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La prevenzione durante il regime fascista

4.1. I tratti salienti

L’evoluzione sin qui descritta, caratterizzata da una progressiva “compensazione” sul terreno delle garanzie procedimentali dell’«arbitrarietà dei presupposti e [del]la funzione di repressione politica del sistema di prevenzione»120, si arrestò bruscamente sotto il regime fascista.

Spariti «il pudore e l’imbarazzo con cui la classe politica e la dottrina liberale avevano ammesso certe compressioni della sfera individuale»121, le misure di polizia divennero «un’arma affilatissima»122 a difesa dello Stato totalitario123.

Per rendersene conto, è sufficiente richiamare due dati: nel corso del ventennio fascista il confino di polizia fu disposto nei confronti di ben 13 mila persone, alcune delle quali

116 Cfr. art. 2 l. 316/1894 e artt. 11 e 16 R.D. 390/1894.

117 Cfr. art. 9 R.D. 390/1894.

118 Ne facevano infatti parte il presidente del Tribunale, il procuratore del re e un consigliere della prefettura,

unico componente dipendente dal potere esecutivo.

119 Si tratta di una circolare del 24 luglio 1894, richiamata da F. CARFORA, Domicilio coatto, cit. p. 735.

120 Cfr. G. NEPPI MODONA –L.VIOLANTE, Poteri dello stato e sistema penale…, cit., pp. 496-497.

121 Così G. CORSO, L’ordine pubblico, cit., p. 284.

122 Cfr. D. PETRINI, La prevenzione inutile, cit., p. 162.

123 Cfr. G. NEPPI MODONA – M. PELISSERO, La politica criminale durante il fascismo, in Storia d’Italia, Annali

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inviate al confino per più di una volta124, mentre si contarono circa 160 mila casi di uso dell’ammonizione e della sorveglianza speciale125.

Le peculiarità del sistema preventivo di epoca fascista sono essenzialmente due: da un lato venne “istituzionalizzato”126 quell’uso politico delle misure che negli anni precedenti aveva invece rivestito carattere eccezionale e transitorio; dall’altro, ed è ciò che più interessa ai nostri fini, si assistette a una piena “amministrativizzazione” del procedimento di applicazione delle misure di polizia127, che demolì quegli aspetti di “giurisdizionalità” cui era approdato il sistema liberale128.

4.2. Le leggi di pubblica sicurezza del 1926 e del 1931

Il «riflusso autoritario»129 fascista di cui si è detto traspare già a una rapida lettura della disciplina che i testi unici delle leggi di pubblica sicurezza del 1926130, prima, e del 1931131, poi, tratteggiarono per il rimpatrio, l’ammonizione – che poteva essere preceduta da una «diffida» da parte dell’autorità di pubblica sicurezza132 – e il confino di polizia, misura che sostituì il domicilio coatto.

L’ammonizione subì radicali trasformazioni, sia dal punto di vista dei presupposti applicativi, divenuti decisamente più «labili»133, sia sotto il profilo del procedimento.

124 Cfr. D. PETRINI,La prevenzione inutile, cit., p. 155.

125 Cfr. L. LACCHÈ, Uno “sguardo fugace”…, cit., p. 435.

126 Cfr. G. CORSO, L’ordine pubblico, cit., p. 284 e D. PETRINI, Il sistema di prevenzione personale tra controllo

sociale ed emarginazione, in Storia d’Italia, Annali 12, La criminalità, L. Violante (a cura di), Giulio Einaudi,

Torino, 1997, p. 912.

127 Cfr. D. PETRINI, La prevenzione inutile, cit., p. 135. Nella sentenza del 9 giugno del 1956, n. 11, la Corte

costituzionale individuerà proprio nell’attribuzione integrale della competenza in materia di misure di prevenzione a «un collegio amministrativo, che agisce appunto nell’orbita dell’amministrazione governativa», la principale innovazione introdotta nel 1926.

128 Cfr. L. LACCHÈ, Uno “sguardo fugace”…, cit., p. 436.

129 Cfr. G. AMATO, Individuo e autorità…, cit., p. 288.

130 R.D. 6 novembre 1926, n. 1848.

131 R.D. 18 giugno 1931, n. 773. L’emanazione di questo secondo t.u.l.p.s. – che in gran parte ricalcò quello

del 1926 – fu giustificata dall’esigenza di coordinare la legislazione di pubblica sicurezza con i nuovi codici – penale e di procedura penale – del 1930.

132 Cfr. art. 166 R.D. 1848/1926 e art. 164 R.D. 773/1931. Ai sensi dell’art. 321 del regolamento per

l’esecuzione del t.u.l.p.s. del 1926, approvato con R.D. 21 gennaio 1929, n. 62, la diffida veniva fatta dal questore alla presenza del diffidato (comparso spontaneamente a fronte dell’invito a comparire o accompagnato dalla forza pubblica), e consisteva nell’“ingiunzione” a cambiare tenore di vita, con l’avvertimento che, in caso contrario, sarebbe stata proposta denuncia per l’ammonizione. In argomento si

veda E. CIACCIO, voce Diffida, in Enciclopedia del diritto, XII, Milano, 1966, p. 507 ss.

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Quanto al primo aspetto, basti osservare che, con una formulazione alquanto generica, l’art. 164, co. 1, t.u.l.p.s. del 1931 rese passibili di ammonizione, oltre agli oziosi e ai vagabondi134, tutte «le persone designate dalla pubblica voce come pericolose socialmente o per gli ordinamenti politici dello Stato». Nei confronti di questi ultimi soggetti, peraltro, la commissione poteva imporre, con ampia discrezionalità, tutte le prescrizioni che ravvisasse «necessarie in relazione alle particolari condizioni dell’ammonito e alle speciali esigenze di difesa sociale o statale»135. Continuavano poi a poter essere ammoniti tutti i soggetti diffamati dalla voce pubblica come abitualmente colpevoli di una lunga serie di delitti specificamente elencati, richiedendosi quale unico presupposto “oggettivo” anche una sola sentenza di proscioglimento per insufficienza di prove136.

Quanto al procedimento, l’applicazione della misura in esame fu sottratta al sindacato dell’autorità giudiziaria, per essere affidata a una Commissione presieduta dal Prefetto e composta da altri membri facenti capo al potere esecutivo137. Inoltre, mentre la legge di pubblica sicurezza del 1889 imponeva al giudice di valutare le «prove a difesa» presentate dall’«imputato», «assu[mendo] le testimonianze ed esamina[ndo] i documenti»138, le leggi del 1926 e del 1931 consentirono alla Commissione, qualora ritenesse «di avere elementi sufficienti», di pronunciarsi nel merito «in qualunque stadio del procedimento»139.

Infine, contro le decisioni della Commissione non era ammesso appello, potendo le stesse essere revocate solo «per errore di fatto»140.

Novità assai incisive si ebbero infine in relazione al domicilio coatto, che, come si è anticipato, prese il nome di «confino di polizia»141, misura da scontarsi, per un periodo da uno a cinque anni, «in una colonia o in un comune del Regno diverso dalla residenza del confinato»142.

134 Ai sensi dell’art. 166 R.D. 1848/1926 e dell’art. 164 R.D. 773/1931 potevano essere denunciati per

l’ammonizione i vagabondi «abituali validi al lavoro non provveduti di mezzi di sussistenza o sospetti di vivere col ricavato di azioni delittuose».

135 Cfr. art. 170 R.D. 773/1931.

136 Cfr. art. 165 R.D. 773/1931.

137 L’art. 168 del R.D. 6 novembre 1926, n. 1848 prevedeva: «l’ammonizione è pronunciata da una

Commissione provinciale composta dal Prefetto, dal procuratore del Re, dal questore, dal comandante l’Arma dei carabinieri Reali nella Provincia e da un ufficiale superiore della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, designato dal Comando di zona competente». La medesima composizione fu mantenuta dall’art. 166 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773.

138 Cfr. art. 101 R.D. 30 giugno 1889, n. 6144.

139 Cfr. art. 171, co. 2, R.D. 1848/1926 e art. 169, co. 3, R.D. 773/1931.

140 Cfr. art. 175 R.D. 1848/1926 e art. 173 R.D. 773/1931.

141 Cfr. artt. 184 ss. R.D. 1848/1926 e artt. 180 ss. R.D. 773/1931.

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Anzitutto, anche qui si ebbe un ampliamento della platea dei possibili destinatari: secondo quanto previsto dal t.u.l.p.s. del 1931, potevano essere «assegnati al confino» tutti gli ammoniti, senza che fosse necessario aver previamente violato le prescrizioni imposte con l’ammonizione; i soggetti diffamati passibili di ammonizione di cui si è detto sopra; nonché «coloro che svolg[essero] o [avessero] manifestato il proposito di svolgere un’attività rivolta a sovvertire violentemente gli ordinamenti politici, economici o sociali costituiti nello Stato o a contrastare o a ostacolare l’azione dei poteri dello Stato, o un’attività comunque tale da recare nocumento agli interessi nazionali»143.

La competenza a disporne l’applicazione venne attribuita alla medesima commissione competente per l’ammonizione144, facendosi così svanire quella garanzia che, pochi anni prima, era stata introdotta in relazione al domicilio coatto “politico”, e che consisteva nella composizione prevalentemente “giurisdizionale” dell’organo decidente145.

A differenza di quanto detto per l’ammonizione, contro le ordinanze di assegnazione al confino poteva essere proposto ricorso a una commissione di appello istituita presso il Ministero dell’interno146. Tuttavia, «in tale sede il denunciato non aveva […] nessuna facoltà di difesa»147: quanto alla disciplina, la legge prevedeva soltanto che il ricorso non avesse effetto sospensivo148.

4.3. La “convivenza” tra misure di polizia e misure di sicurezza

Non è un caso che i due testi unici in materia di pubblica sicurezza di cui si è brevemente parlato supra siano stati approvati a distanza di così poco tempo. Ciò è dovuto al fatto che nel 1930 vennero promulgati il codice penale e il codice di procedura penale legati al nome di Alfredo Rocco, cui il legislatore sentì l’esigenza di adeguare il t.u.l.p.s. del 1926149.

143 Cfr. art. 81 R.D. 773/1931.

144 Cfr. art. 186 R.D. 1848/1926 e art. 182 R.D. 773/1931.

145 Cfr. supra, par. 3.4.

146 Ai sensi dell’art. 188 R.D. 1848/1926 e dell’art. 184 R.D. 773/1931 tale commissione era composta «dal

Sottosegretario di Stato del Ministero dell’interno, […] dall’Avvocato generale presso la Corte di appello di Roma, dal Capo della polizia, da un ufficiale generale dell’Arma dei carabinieri reali e da un ufficiale generale della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, designati dai rispettivi Comandi generali».

147 Cfr. G. AMATO,Individuo e autorità…, cit. p. 297.

148 Cfr. artt. 188 R.D. 1848/1926 e 184 R.D. 773/1931.

149 Cfr. art. 6 R.D. 14 aprile 1927, n. 593, convertito nella legge 22 gennaio 1928, n. 290, che autorizzava il

Governo del Re a coordinare le disposizioni del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza del 1926 con i nuovi codici penale e di procedura penale e a emanare un nuovo testo unico delle leggi di pubblica sicurezza.

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Con il codice penale Rocco, il sistema penale si arricchì di un secondo binario – che si affiancò a quello delle “pene” – sul quale ancora oggi corrono le misure di sicurezza, di solito considerate «una delle più significative novità della codificazione del 1930»150, senz’altro la più importante «in tema di pericolosità sociale»151.

In questo doppio binario – figlio di due diverse «idee madri»152: la repressione da un lato e la prevenzione dall’altro – la dottrina è solita intravedere una sorta di “compromesso” tra la scuola classica e la scuola positiva153, la prima legata al paradigma «della (tradizionale) colpevolezza»154, la seconda a quello della pericolosità sociale.

Le misure di sicurezza, infatti, sia quelle personali, sia quelle patrimoniali, sono appunto «imperniate sull’idea di pericolosità»155, caratteristica che da subito le accomunò alle misure di polizia già disciplinate dal t.u.l.p.s.

Oggi le misure di prevenzione e le misure di sicurezza si trovano a correre su binari diversi, le prime su quello che è stato efficacemente definito come un «“terzo binario” […] ad alta velocità»156. Spesso vengono studiate separatamente, ma quasi sempre, nel trattare delle une o delle altre, le si accosta al fine metterne in luce i (pochi, come vedremo) tratti differenziali157.

È però interessante soffermarsi su quali fossero i rapporti tra le misure di polizia (che ancora non avevano preso il nome di misure di prevenzione) e le misure di sicurezza allorché queste fecero la loro comparsa nell’ordinamento.

A tal fine, prima di volgere lo sguardo al dato normativo, sembra utile richiamare un passaggio della relazione al Re presentata dal Guardasigilli Alfredo Rocco per

150 Cfr. E. MUSCO, voce Misure di sicurezza, in Enc. Giur., 1983. Cfr. anche A. ROCCO, Le misure di sicurezza e

gli altri mezzi di tutela giuridica, in Riv. Pen., 1931, I, p. 22.

151 Cfr. G. CORSO,L’ordine pubblico, cit., p. 285.

152 Così G. BETTIOL, Ottimismo e pessimismo in tema di prevenzione del reato, in Ind. Pen., 1978, I, p. 5.

153 Cfr., ex plurimis, C. PELUSO,voce Misure di sicurezza (profili sostanziali), in Dig. Pen., 1994, VIII, p. 147; G.

CORSO, L’ordine pubblico, cit., p. 286. Nella relazione al Re del Ministro Guardasigilli Rocco, presentata

nell’udienza del 19 ottobre 1930, per l’approvazione del testo definitivo del codice penale si legge: «il nuovo codice penale perciò ha ritenuto migliore avviso non giurare in modo esclusivo nel verbo di una o di altra scuola scientifica. Esso ha ritenuto opportuno prendere da ciascuna scuola soltanto ciò che in esse vi è di buono e di vero […]», cfr. Codice penale e di procedura penale con relazioni a S. M. il Re, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma, 1931, p. 11.

154 Cfr. G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale…, cit., p. 820.

155 Cfr. G. MARINUCCI – E. DOLCINI, Manuale di diritto penale. Parte generale, VI ed., Giuffrè, Milano, 2017,

p. 755.

156 L’espressione è di F. BASILE, Brevi considerazioni introduttive…, cit., p. 1522.

157 Per un’ampia e chiara ricostruzione della materia si veda T. PADOVANI, Misure di sicurezza e misure di

prevenzione, Pisa University Press, Pisa, 2014, il quale sin dalle prime battute segnala che «le misure di

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l’approvazione del testo definitivo del codice penale. In particolare, preme segnalare che le nuove misure di sicurezza furono subito definite come «mezzi di difesa preventiva dello Stato contro le cause individuali dei reati consistenti […] in provvedimenti amministrativi di polizia sostanzialmente non diversi da quelli disciplinati dalla legge di pubblica sicurezza»158. Questo accostamento emerge peraltro anche in una prolusione di Arturo Rocco – che è stata definita «una sorta di interpretazione autentica del disegno legislativo del 1930»159 – nella quale sia le misure di sicurezza, sia le misure di polizia venivano definite come «mezzi di tutela preventiva»160.

Per il legislatore fascista, le misure di sicurezza e le misure di polizia, ritenute “mezzi sostanzialmente non diversi”, erano dunque accomunate da almeno due caratteristiche: la funzione preventiva, e non repressiva, da un lato; la natura amministrativa, dall’altro.

A quest’ultimo proposito, non deve stupire che l’applicazione delle prime fu affidata all’autorità giudiziaria, e che solo le seconde rientravano nella competenza esclusiva dell’autorità amministrativa. Tale scelta, infatti, come veniva sottolineato nella stessa relazione, lungi dall’essere il riflesso di una diversa natura, fu dettata – prima ancora che da «ragioni di maggior garanzia dei cittadini»161, data la gravità delle limitazioni derivanti dall’applicazione delle misure di sicurezza – dalla stretta connessione esistente tra queste e la «materia penale propriamente detta», nonché da «ragioni di economia funzionale», in quanto obbligare l’autorità giudiziaria «a rimettersi per esse all’opera dell’autorità amministrativa» avrebbe comportato un inutile dispendio di energie, trattandosi di «misure accessorie o surrogatorie delle pene»162.

A fronte di queste – assai significative – note comuni, non mancavano, certo, i tratti distintivi. Oltre alla diversità degli organi chiamati ad applicarle, e allo stretto legame intercorrente tra le pene e le misure di sicurezza, cui si è appena fatto cenno, nella relazione al Re ne venivano messi in luce altri due.

Anzitutto, le misure di polizia venivano applicate «ante factum, priusquam peccatum est», mentre le misure di sicurezza, pur avendo finalità preventiva, soccorrevano «post factum,

158 Cfr. Codice penale e di procedura penale con relazioni…, cit., p. 11 (corsivo aggiunto). I principali passaggi della

Relazione sui rapporti tra misure di polizia e misure di sicurezza vengono richiamati da S. OTTOLENGHI,

Applicazione delle misure di sicurezza, in Riv. Dir. Pen., 1932, I, pp. 537-538.

159 Così G. CORSO, L’ordine pubblico, cit., p. 288.

160 Cfr. A. ROCCO, Le misure di sicurezza e…, cit., p. 26.

161 Cfr. Codice penale e di procedura penale con relazioni…, cit., p. 12.

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postquam peccatum est, e quindi dopo il reato avvenuto»163, rivelando, così, la propria

vocazione di strumenti di difesa contro il pericolo non del primo reato, bensì della recidiva. In secondo luogo, sul versante delle finalità perseguite, mentre le misure di sicurezza nascevano quali «mezzi di prevenzione […] dei reati», alle misure di polizia veniva demandata la «prevenzione generale non dei reati soltanto, ma di ogni e qualunque fatto illecito»164.

Di queste due differenze, peraltro, la prima merita una precisazione. Occorre infatti tenere a mente che il capoverso dell’art. 202 c.p. consentiva – e consente tutt’oggi – alla legge di determinare i «casi nei quali a persone socialmente pericolose possono essere applicate misure di sicurezza per un fatto non preveduto dalla legge come reato»165. Sicché, volendo dare una definizione delle misure di sicurezza, per così dire, “onnicomprensiva”, che tenga cioè conto di tutte le applicazioni astrattamente possibili, dovrebbe parlarsi ancora oggi, più che di misure post delictum, come correntemente si dice, di misure “post

factum”166.

Questa “continuità”, che comunque non escludeva una certa “suddivisione di compiti”, tra misure di sicurezza e misure di polizia appena delineata si lascia cogliere da un’attenta analisi delle disposizioni del t.u.l.p.s. del 1931.

Entrato in vigore il codice Rocco, e dunque anche l’apparato delle misure di sicurezza, l’ammonizione veniva applicata – come si è già accennato supra – agli oziosi e ai vagabondi, alle persone «designate dalla pubblica voce come pericolose socialmente o per gli

163 Cfr. Codice penale e di procedura penale con relazioni…, cit., p. 12. Cfr. anche V. MANZINI, Trattato di diritto

penale italiano secondo il codice del 1930, vol. III, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, 1934, p. 178:

«Le misure di sicurezza prevedute dal codice penale, pur essendo in sé stesse provvedimenti di polizia, si distinguono dai provvedimenti meramente polizieschi non solo perché, come abbiamo detto, sono applicate con l’intervento della garanzia giurisdizionale (differenza formale), ma altresì perché sono connesse, con una relazione di occasionalità, alla commissione di un fatto che la legge prevede come reato o che del reato ha qualche elemento. Questi caratteri distinguono le misure di sicurezza prevedute dal codice penale da quelle altre misure di sicurezza (tutte sono evidentemente provvedimenti di polizia) stabilite da leggi di polizia o di finanza, e che possono essere applicate anche senza il presupposto di un fatto preveduto dalla legge come reato e senza il requisito dell’accertata pericolosità, ma pur in base al semplice sospetto».

164 Per questa e la precedente citazione cfr. Codice penale e di procedura penale con relazioni…, cit., p. 12.

165 Anche su tale disposizione ha fatto perno quell’autorevole dottrina che, attaccando le posizioni di chi

individua nel reato lo “spartiacque” tra misure ante delictum e misure post delictum, assegna allo stesso il valore di «sintomo fra gli altri sintomi» per la dichiarazione di pericolosità, spendendosi per «un concetto unitario

di pericolosità, prima e dopo il reato», cfr. B. PETROCELLI, La pericolosità criminale e la sua posizione giuridica,

Cedam, Padova, 1940, pp. 229-231.

166 Cfr. R. MESSINI, Le misure di sicurezza e il fatto non preveduto come reato, in Riv. Dir. Pen., 1932, I, p. 634, il

quale, in relazione ai casi di applicazione delle misure di sicurezza per fatti non previsti dalla legge come reato, osservava: «[…] la misura di sicurezza […] non perde l’essenziale caratteristica del provvedimento post factum,

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ordinamenti politici dello Stato»167, nonché ai c.d. diffamati per gravi delitti, venendo definite tali le persone «designat[e] dalla voce pubblica come abitualmente colpevol[i]» di determinati reati, quando per tali reati fossero state sottoposte a «procedimento penale terminato con sentenza di proscioglimento per insufficienza di prove»168. Proprio nella definizione normativa dei diffamati per delitti appena richiamata si può intravedere, ad avviso di chi scrive, un’interessante novità dettata dalla nascita delle misure di sicurezza: nel t.u.l.p.s. del 1926, infatti, rientrava in questa categoria anche chi fosse stato già «colpito da una sentenza di condanna»169 per determinati reati; il nuovo sistema, invece, aveva provveduto ad “affidare” alle neonate misure di sicurezza la prevenzione criminale nei confronti dei soggetti già condannati per un determinato fatto e, pertanto, non aveva bisogno di colpirli con misure di polizia.

Dal canto suo, il confino di polizia poteva essere applicato, oltre che alle categorie soggettive passibili di ammonizione, a coloro che «svolg[essero] o [avessero] manifestato il proposito di svolgere un’attività rivolta a sovvertire violentemente gli ordinamenti politici, economici o sociali costituiti nello Stato o a contrastare o a ostacolare l’azione dei poteri dello Stato, o un’attività comunque tale da recare nocumento agli interessi nazionali»170.

Anche il confino di polizia, quindi, veniva disposto «indipendentemente dal fatto sia

pure imperfetto del reato»171. E per l’ipotesi in cui il soggetto avesse commesso un fatto

penalmente rilevante, si era previsto che la procedura del confino dovesse essere sospesa allorché «per lo stesso fatto [fosse] stato iniziato procedimento penale»172.

Insomma, in un ordinamento totalitario che aveva provveduto a dotarsi di misure di prevenzione post factum (cioè le misure di sicurezza), la prevenzione perseguita dalle misure di polizia non poteva che rivolgersi a “tipi d’autore” (oziosi e vagabondi), a persone sospettate di aver commesso reati dei quali, però, non si erano raccolte prove sufficienti per una condanna (c.d. diffamati), nonché a soggetti che, pur senza commettere reati, “ostacolassero” il regime o che avessero manifestato anche solo la mera intenzione di ostacolarlo.

Con queste brevi osservazioni si è voluto segnalare al lettore quanto fosse formidabilmente liberticida l’ambito di applicazione delle misure di polizia allorché queste

167 Cfr. art. 164 R.D. 773/1931.

168 Cfr. art. 165 R.D. 773/1931 (corsivo aggiunto).

169 Cfr. art. 167 R.D. 1848/1926 (corsivo aggiunto).

170 Cfr. art. 181, co. 1, n. 3, R.D. 773/1931.

171 Così G. A. BELLONI, Pena e misure di sicurezza, Società Editrice Libraria, Milano, 1934, p. 177.

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si trovarono a bussare alle porte dell’Italia repubblicana. Questo sguardo sulla suddivisione di “ruoli” tra la prevenzione disciplinata dal t.u.l.p.s. e quella ospitata dal codice penale consentirà di svolgere alcune considerazioni nel prosieguo dell’elaborato.

A questo punto, viene spontaneo chiedersi se con l’avvento della Costituzione vi sarà ancora spazio per una prevenzione puramente amministrativa come quella appena illustrata, capace di degradare l’individuo «a mezzo e a oggetto di trattamento in vista della difesa sociale»173. In particolare, viene da porsi due interrogativi: la disciplina e l’ambito di