DALLA COSTITUZIONE A OGGI
1. La Costituzione repubblicana e il suo “silenzio” in materia di misure di polizia
La caduta del regime fascista e l’entrata in vigore della Costituzione segnarono, come si vedrà a breve, un importante punto di svolta per il sistema delle misure di polizia, le quali dovettero presto “fare i conti” con il fondamento costituzionale che venne riconosciuto ai diritti e alle libertà su cui esse incidevano.
Non fu però facile – e, in verità, il dibattito è ancora oggi tutt’altro che sopito1 – comprendere se nel nuovo ordinamento vi fosse ancora spazio per le misure di polizia. Ciò per via del fatto che la Carta costituzionale non dedica alcuna disposizione ai poteri di prevenzione personale di polizia, ponendo in questo modo quello che ad autorevole dottrina è parso «il problema più tormentoso in materia di libertà personale»2.
Il silenzio serbato dal testo della Carta fu il risultato di una certa «reticenza» che i costituenti mostrarono, nei confronti delle misure di polizia, «sia durante l’attività di studio che precedette la riunione dell’Assemblea Costituente, sia nel corso dei lavori di questa»3. In verità, durante i lavori della prima Sottocommissione della Commissione dei 75, gli onorevoli Aldo Moro e Francesco De Vita prospettarono l’esigenza di discutere anche del confino di polizia4; tale proposta, però, non ebbe alcun seguito: né quando si discusse della libertà personale, né quando si discusse della libertà di circolazione.
Anche in assemblea i riferimenti alle misure di polizia furono sporadici. In particolare, deve segnalarsi la presentazione di un emendamento a quello che è l’attuale art. 13 Cost., col quale si propose di introdurre la riserva di legge e la riserva di giurisdizione anche per
1 Cfr. G. P. DOLSO, Le misure di prevenzione tra giurisprudenza costituzionale e giurisprudenza della Corte europea dei
diritti dell’uomo, in Arch. Pen., 2017, III, p. 2.
2 Così G. AMATO, Individuo e autorità…, cit., p. 499.
3 Cfr. L. ELIA, Libertà personale e misure di prevenzione, Giuffrè, Milano, 1962, p. 25, il quale offre un’attenta
analisi dei lavori dell’Assemblea.
4 Cfr. i Lavori dell’Assemblea costituente, Prima sottocommissione, Resoconto sommario della seduta di giovedì12
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le «misure di polizia restrittive della libertà personale a carico di persone socialmente pericolose»5; questo, però, non fu mai discusso né votato6.
Così, nel 1948 le misure di polizia si trovarono «in una sorta di vuoto istituzionale»7. L’oggetto di questo elaborato non consente di tracciare una compiuta ricostruzione dell’articolato e animato dibattito dottrinale che si è confrontato con tale silenzio8. Basti qui segnalare che, in generale, è prevalso un forte scetticismo circa la compatibilità costituzionale delle misure preventive9, salvo alcune prese di posizione di segno contrario di una parte della dottrina10.
La Corte costituzionale, dal canto suo, sin dalle sue prime pronunce si è sempre espressa nel senso della compatibilità di tali istituti con il tessuto costituzionale, individuandone il fondamento nel «principio di prevenzione e di sicurezza sociale», espressione di «una esigenza e regola fondamentale di ogni ordinamento». Già con una nota sentenza del 1959, infatti, il giudice delle leggi affermò che «l’ordinato e pacifico svolgimento dei rapporti fra i cittadini deve essere garantito, oltre che dal sistema di norme repressive dei fatti illeciti, anche da un parallelo sistema di adeguate misure preventive contro il pericolo del loro verificarsi nell’avvenire»11.
5 Si tratta dell’emendamento presentato dall’onorevole Bulloni e sottoscritto anche dall’onorevole Mortati,
cfr. i Lavori dell’Assemblea costituente, seduta di giovedì 10 aprile 1947, Pres. Terracini, p. 2685.
6 Cfr. G. CORSO, L’ordine pubblico, cit., p. 299.
7 Così P. BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Il Mulino, Bologna, 1984, p. 137; v. anche P. BARILE,
La pubblica sicurezza, in Atti del Congresso celebrativo del centenario delle leggi amministrative di unificazione. La tutela del cittadino – 2. La pubblica sicurezza, P. Barile (a cura di), Neri Pozza Editore, Firenze, 1967, p. 48.
8 Per una panoramica sul punto si rinvia a G. AMATO, Individuo e autorità…, cit., p. 499 ss.; F. BRICOLA, Forme
di tutela «ante-delictum» e profili costituzionali della prevenzione, in Le misure di prevenzione. Atti del Convegno di Studi “Enrico De Nicola”, Giuffrè, Milano, 1975; A. CELOTTO, La prevenzione speciale, i principi costituzionali e le
garanzie europee, in AA.VV., Misure di prevenzione, S. Furfaro (a cura di), Utet, Torino, 2013, p. 23 ss.; G.
CORSO, L’ordine pubblico, cit., p. 299 ss.; L. ELIA, Libertà personale e misure di prevenzione, cit., p. 7 ss; E. GALLO,
voce Misure di prevenzione, in Enciclopedia giuridica, XX, Roma, 1990, p. 2 ss.; F. PALAZZO, Il principio di
determinatezza nel diritto penale, Cedam, Padova, 1979, pp. 238-247; D. PETRINI, La prevenzione inutile…, cit., p. 170 ss.
9 Cfr. G. P. DOLSO, Le misure di prevenzione personali nell’ordinamento costituzionale, in AA.VV., Misure di
prevenzione personali e patrimoniali, F. Fiorentin (a cura di), Giappichelli, Torino, 2018, p. 56 ss.
10 Cfr. A. BARBERA, I principi costituzionali della libertà personale, Giuffrè, Milano, 1967, p. 219 ss.; P.
NUVOLONE, voce Misure di prevenzione e Misure di sicurezza, in Enc. Dir., XXVI, Giuffré, Milano, 1976, p. 636.
11 Per le citazioni contenute in questo e nel precedente periodo cfr. Corte cost., 20 aprile 1959, n. 27. Si
esprime in senso critico sulla formulazione di questo principio costituzionale L. FILIPPI, L’attività di prevenzione
del delitto, in Studium iuris, 2003, I, pp. 30-31, ritenendo che esso avalli «un’interpretazione dell’art. 13 Cost.
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Tuttavia, questa posizione non ha impedito alla Corte di correggere, sin da subito, «le più gravi storture»12 ereditate dalla legislazione fascista, che si ponevano in contrasto, in particolare, con le garanzie previste dagli articoli 13 e 25 della Costituzione13.
1.1. I primi interventi della Corte costituzionale
Entrata in funzione nel 1956, la Corte costituzionale dedicò subito due importanti pronunce alla materia delle misure di polizia, dettando alcuni principi che ancora oggi rappresentano le “fondamenta” della disciplina delle misure di prevenzione personali.
La prima disposizione a essere portata all’attenzione della Consulta fu l’art. 157 del t.u.l.p.s. del 1931, il quale consentiva all’autorità locale di pubblica sicurezza di far «rimpatriare con foglio di via obbligatorio o anche, secondo le circostanze, per traduzione» sia coloro che, con la propria condotta, destassero «sospetti», sia «le persone pericolose per l’ordine e la sicurezza pubblica o per la pubblica moralità».
Con la sentenza n. 2 del 1956, la Corte costituzionale si premurò anzitutto di individuare i diritti fondamentali incisi da questa misura. Nel farlo, adottò una nozione “ristretta” di libertà personale, affermando che l’art. 13 Cost. non prevede una «garanzia di indiscriminata e illimitata libertà di condotta del cittadino»14. Tale premessa condusse alla prima importante conclusione raggiunta dal giudice delle leggi negli snodi di questa pronuncia: mentre «il potere di ordinare la traduzione del rimpatriando»15 doveva ritenersi incidente sulla libertà di cui all’art. 13 Cost., quello di ordinare il rimpatrio mediante foglio di via obbligatorio trovava fondamento nell’art. 16 Cost., che – senza prevedere una riserva di giurisdizione – consente alla legge di stabilire, «in via generale», limitazioni alla libertà di circolazione e di soggiorno per motivi di sanità o di sicurezza. Di qui, l’incostituzionalità dell’art. 157 t.u.l.p.s. nella parte in cui, in contrasto con la riserva di giurisdizione di cui all’art. 13 Cost., consentiva all’autorità di pubblica sicurezza di disporre il rimpatrio per
traduzione. Tale pronuncia, evidentemente, lasciava le “ore contate” anche al confino di
12 Così F. BASILE, Brevi considerazioni introduttive…, cit., p. 1521.
13 Sul punto cfr. F. BRICOLA, Forme di tutela «ante-delictum» e profili costituzionali della prevenzione, cit., pp.
42-43; G. FIANDACA, voce Misure di prevenzione (profili sostanziali), in Dig. Disc. pen., VII, Torino, 1994, p. 113.
14 Cfr. Corte cost., 14 giugno 1956, n. 2.
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polizia, che – disposto dalla medesima commissione amministrativa – poteva dirsi ancor più restrittivo della libertà personale del destinatario16.
Inoltre, la medesima pronuncia dichiarò incostituzionale l’art. 157 del t.u.l.p.s. del 1931 nella parte in cui consentiva il rimpatrio, obbligatorio o per traduzione, di «persone sospette»17. Questa seconda parziale declaratoria di illegittimità costituzionale, talvolta trascurata nelle trattazioni di questa materia, rappresentò, a parere di chi scrive, una prima importante presa di distanza dal modello preventivo fascista. Poche, ma dense di significato, le parole usate dal giudice delle leggi: «il procedimento del rimpatrio obbligatorio, perché sia legittimo, deve […] essere giustificato da fatti concreti»18; e «il sospetto, anche se fondato, non basta, perché, muovendo da elementi di giudizio vaghi e incerti, lascerebbe aperto l’adito ad arbitrii»19.
Nello stesso anno, la Corte costituzionale fu altresì chiamata a vagliare la legittimità costituzionale dell’ammonizione, la cui applicazione era a quel tempo demandata, come si è visto sopra, a una commissione presieduta dal prefetto20.
La sentenza n. 11 del 1956 fu, senza dubbio, di maggiore impatto rispetto alla precedente: ricondotte le limitazioni apportate dall’ammonizione nell’ambito dell’art. 13 Cost., la sua disciplina non poteva che essere dichiarata interamente incostituzionale, in ragione dell’inosservanza della riserva di giurisdizione imposta da tale disposizione.
Per giungere a tale conclusione, la Consulta – diversamente dal precedente arresto – prese le mosse da una nozione “lata” di libertà personale21, ravvisando una sua “restrizione”,
16 Già prima della pronuncia della Corte costituzionale, alcuni Autori avevano denunciato l’illegittimità
costituzionale dell’ammonizione e, soprattutto, del confino di polizia per contrasto con l’art. 13, co. II, Cost.; la giurisprudenza maggioritaria e altra parte della dottrina, invece, ne avevano preso le difese affermando che tale disposizione non fosse “immediatamente precettiva”, ponendo solo un «comando al legislatore
ordinario». Per quest’ultima posizione – poi smentita dalla Corte costituzionale – cfr. G. SANNA, La
Commissione per l’ammonizione ed il confino può continuare nell’esercizio delle sue funzioni, in Giust. Pen., 1950, I, p.
150; per la prima, invece, si veda P. NUVOLONE, La prevenzione nella teoria generale del diritto penale, in P.
Nuvolone, Trent’anni di diritto e procedura penale: studi, Cedam, Padova, 1969, p. 271; A. CANINO,
L’ammonizione e il confino sopravvivono in Costituzione?, in Giust. Pen., 1952, I, p. 272 ss.; F. SPINELLI,
Ammonizione, confino e Costituzione, in Giust. Pen., 1950, I, p. 69, il quale definì le commissioni provinciali per
i provvedimenti di polizia come «una patente violazione della Costituzione» e le relative decisioni come «una
usurpazione delle funzioni dell’autorità giudiziaria». Per riferimenti giurisprudenziali sul punto v. C. RODDI,
La polizia di sicurezza, Giuffrè, Milano, 1953, p. 219 ss.
17 Cfr. Corte cost., 14 giugno 1956, n. 2.
18 Cfr. Corte cost., 14 giugno 1956, n. 2.
19 Cfr. Corte. cost., 14 giugno 1956, n. 2.
20 Cfr. supra, sez. I, par. 4.2.
21 Per un’analisi della pronuncia cfr. G. CORSO, L’ordine pubblico, cit., p. 307, il quale esprime una critica
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nei termini dell’art. 13, co. II, Cost., anche di fronte a quella «degradazione giuridica» in cui il soggetto ammonito si viene a trovare per effetto dell’insieme «di obblighi, di fare e di non fare»22, derivanti dall’ammonizione stessa.
Sul concetto di “degradazione giuridica” la Consulta tornò negli anni successivi, precisando che essa corrisponde a «una menomazione o mortificazione della dignità o del prestigio della persona, tale da potere essere equiparata a quell’assoggettamento all’altrui potere, in cui si concreta la violazione del principio dell’habeas corpus»23.
Ricapitolando brevemente: le incertezze su quale sorte dovesse spettare alle misure di polizia a seguito dell’entrata in vigore della Costituzione trovarono risposta in una pronta presa di posizione della Corte costituzionale a pochi mesi dalla sua “nascita”. Il giudice delle leggi da subito riconobbe a tali istituti piena cittadinanza nel nuovo ordinamento repubblicano, ma a una condizione: che venisse colmato il deficit di giurisdizionalità e di legalità ereditato dalle leggi di pubblica sicurezza fasciste, e che i principi costituzionali in materia di libertà personale (art. 13 Cost.) non potevano più tollerare.