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L’esigenza di “fare ordine”: nasce il “codice antimafia”

DALLA COSTITUZIONE A OGGI

8. L’esigenza di “fare ordine”: nasce il “codice antimafia”

Dalla ricostruzione sin qui svolta emerge come la storia delle misure di prevenzione sia sempre stata caratterizzata da un’attività legislativa frenetica e molto spesso emergenziale, che raramente si è premurata di assicurare coerenza al quadro normativo nel suo complesso234. A partire dall’emanazione della legge Tambroni del 1956, il legislatore è infatti intervenuto a più riprese in questa materia con provvedimenti fra loro autonomi, spesso facendo ricorso alla tecnica del “rinvio” ad altre disposizioni, assegnando così all’interprete il non facile compito di destreggiarsi in un reticolo di disposizioni dall’aspetto labirintico235.

8.1.La legge-delega

Da questa situazione è scaturita una diffusa esigenza di conferire razionalità al sistema delle misure di prevenzione, nonché, più in generale, alle disposizioni dettate per contrastare la criminalità organizzata236. Ciò ha portato alla proposta di redazione di un testo unico in grado «riordinare e innovare la normativa antimafia, ivi compresa quella già contenuta all’interno del codice penale e del codice di procedura penale, nonché quella relativa alle misure di prevenzione, frutto di una copiosa e frammentaria produzione legislativa, stratificatasi nel corso degli anni in numerosi provvedimenti»237.

234 Osserva A. GIARDA, Un ulteriore sforzo legislativo contro la criminalità organizzata, in Corriere Merito, 2011, XII,

p. 1133 ss., §1, che tra la legge n. 1423 del 1956 e il c.d. codice antimafia si contano almeno 28 interventi legislativi contro la criminalità organizzata.

235 Cfr. A. CISTERNA, Il codice antimafia tra istanze compilative e modelli criminologici, in Dir. Pen. Proc., 2012, II,

p. 214; G.BOSCO PUGLISI, Il procedimento di prevenzione, in Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura,

1998, n. 104, p. 55.

236 Cfr. F. MENDITTO, Le luci e le (molte) ombre del c.d. codice antimafia, in Cass. pen., 2012, III, p. 792 ss., §1.

237 Così si legge nella relazione illustrativa al disegno di legge «Piano straordinario contro le mafie, nonché

delega al Governo in materia di normativa antimafia» (A.C. 3290), presentata dal governo alla Camera dei

deputati il 9 marzo 2010; cfr. F. MENDITTO, Lo schema di decreto legislativo del codice delle leggi antimafia e delle

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L’art. 1 della l. 13 agosto 2010, n. 136, rubricato «[d]elega al Governo per l’emanazione di un codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione», al comma 2 indicava nei seguenti quattro punti gli scopi che il decreto legislativo avrebbe dovuto realizzare: a) una completa ricognizione della normativa penale, processuale e amministrativa vigente in materia di contrasto della criminalità organizzata, ivi compresa quella già contenuta nei codici penale e di procedura penale; b) l’armonizzazione di tale normativa; c) il coordinamento della stessa con le ulteriori disposizioni di cui alla legge-delega; d) l’adeguamento alle disposizioni adottate dall’Unione europea. Con specifico riguardo alla materia delle misure di prevenzione, il successivo comma 3 prevedeva la ricognizione e l’armonizzazione della disciplina vigente, nonché un suo aggiornamento e una modifica secondo i «molteplici e a volte stringenti»238 criteri direttivi espressamente dettati in un puntuale elenco.

Il legislatore delegato predispose inizialmente uno schema di decreto legislativo composto da 132 articoli, ripartiti in cinque libri, con i quali si interveniva anche in materia penale e processuale penale. Tuttavia, le disposizioni contenute nel libro I, dedicato a «la criminalità organizzata di tipo mafioso», furono oggetto di aspre discussioni in seno alla Commissione Giustizia della Camera, la quale ne propose la soppressione239. Di conseguenza, accogliendo le indicazioni della Commissione, il Governo ridimensionò l’orizzonte del proprio intervento, dedicando il decreto legislativo prevalentemente alle misure di prevenzione e rinunciando a una contestuale rivisitazione della normativa penale e processuale penale.

8.2. Il d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159

Così, a partire dal 13 ottobre 2011, data della sua entrata in vigore, la materia delle misure di prevenzione risulta disciplinata dal d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, recante il «codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136»240. Tale corpus normativo viene comunemente chiamato “codice antimafia”, locuzione a cui, per mera comodità espositiva, si farà ricorso anche in questo elaborato

238 Così G. FIANDACA –C.VISCONTI, Il “codice delle leggi antimafia”…, cit., p. 181.

239 Cfr. A. BALSAMO, Codice antimafia, in Dig. Disc. Pen., VIII agg., Torino, 2014, p. 58.

240 Per una breve, ma efficace panoramica sulla struttura del codice antimafia cfr. R. ADORNO –L.CALÒ, Il

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tramite l’abbreviazione “cod. ant.”. Essa, però, non deve essere presa “alla lettera”: come si è potuto constare fin qui, il sistema preventivo non si è mai proposto di colpire solo la criminalità organizzata di stampo mafioso, ma si è sempre rivolto a un ampio novero di soggetti destinatari, ancora oggi in espansione. “Codice antimafia” rappresenta, insomma, una sineddoche, con cui ci si riferisce al tutto indicando solo una parte241.

Al momento della sua entrata in vigore, il d.lgs. 159/2011 si componeva di 120 articoli, suddivisi in quattro libri242. Alle misure di prevenzione è stato dedicato il libro I, composto – nella versione originaria – da ben 81 articoli, suddivisi in cinque titoli e vari capi.

I cinque titoli di questo libro sono rispettivamente dedicati alle misure di prevenzione personali243; alle misure di prevenzione patrimoniali244; all’amministrazione, alla gestione e alla destinazione dei beni sequestrati e confiscati245; alla tutela dei terzi e ai rapporti tra misure di prevenzione e procedure concorsuali246; agli effetti e alle sanzioni connessi all’applicazione di misure di prevenzione, nonché ad alcune disposizioni finali247.

Come è stato da subito osservato in dottrina, a dispetto del nome attribuitogli il d.lgs. 159/2011 non può dirsi un vero e proprio “codice”, difettando sia della completezza, sia del rigore e della coerenza interna «impliciti nel modello ideale tipico di codice»248. Esso, inoltre, ha introdotto pochi elementi di novità, essendosi per lo più limitato a operare una sistematizzazione dell’esistente. Pertanto, per via della tendenziale assenza di originalità, alcuni Autori ritengono più corretto considerare il provvedimento del 2011 alla stregua di un “testo unico”249.

241 In questi termini S. FINOCCHIARO, La confisca “civile”…, cit., p. 63. Sottolinea efficacemente, già nel titolo,

questo aspetto V. N. D’ASCOLA, Un codice non soltanto antimafia. Prove generali di trasformazione del sistema

penale, in AA.VV., Misure di prevenzione, S. Furfaro (a cura di), Utet, Torino, 2013, p. 53.

242 Il libro I (artt. 1-81) è dedicato alle misure di prevenzione; il libro II (artt. 82-101) detta «[n]uove disposizioni

in materia di documentazione antimafia»; il libro III (artt. 102-114) è intitolato «[a]ttività informative ed investigative nella lotta contro la criminalità organizzata. Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata»; infine, il libro IV (artt. 115-120) reca alcune «modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e alla legislazione penale complementare», elenca le «abrogazioni» e detta le «disposizioni transitorie e di coordinamento».

243 Libro I, titolo I, artt. 1-15.

244 Libro I, titolo II, artt. 16-34 (oggi questo titolo si chiude con l’art. 34-ter, introdotto dalla l. 17 ottobre

2017, n. 161, il quale prevede la «trattazione prioritaria dei procedimenti di prevenzione patrimoniale»).

245 Libro I, titolo III, artt. 35-51 (oggi questo titolo si chiude con l’art. 51-bis, introdotto dal d.l. 4 ottobre

2018, n. 113, convertito dalla l. 1 dicembre 2018, n. 132»).

246 Libro I, titolo IV, artt. 52-65.

247 Libro I, titolo V, artt. 66-81.

248 Cfr. G. FIANDACA –C.VISCONTI, Il “codice delle leggi antimafia”…, cit., p. 181.

249 Cfr., ex plurimis, D. MANZIONE, Dal “piano straordinario” al codice antimafia e delle misure di prevenzione, in

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Uno dei più censurabili profili di continuità con il passato lo si rinviene sul piano dei soggetti destinatari delle misure di prevenzione, e ciò nonostante il legislatore delegante non si fosse limitato ad auspicare un mero “collage” delle categorie già esistenti. Fra i criteri direttivi elencati all’art. 1 della legge n. 136/2010 ve ne era infatti uno in virtù del quale si sarebbe dovuto definire «in maniera organica la categoria dei destinatari delle misure di prevenzione personali e patrimoniali, ancorandone la previsione a presupposti chiaramente

definiti e riferiti in particolare all’esistenza di circostanze di fatto che giustificano l’applicazione

delle […] misure di prevenzione»250. Un passo in questa direzione avrebbe senz’altro giovato alla salute del processo di prevenzione e alla “qualità” della giurisdizione da esso attuata.

Ad ogni modo, non può non riconoscersi al codice antimafia quantomeno il merito di aver reso più agevoli l’“accessibilità” e la “conoscibilità” di un settore dell’ordinamento ostico quale è sempre stato quello delle misure di prevenzione. Finalmente gli interpreti alle prese con questa materia si sono trovati a maneggiare un unico testo normativo. Circostanza che, secondo alcuni, avrebbe immediatamente provocato «un vistoso aumento delle proposte di applicazione di misure di prevenzione»251.

8.3. Le novità in materia processuale

Fermo restando quanto detto nel paragrafo precedente, si deve segnalare che il codice antimafia non era del tutto privo di elementi di novità252, alcuni dei quali hanno interessato la materia processuale. Non si è trattato, però, di modifiche “strutturali”: il legislatore delegante non aveva riservato particolare attenzione al procedimento, il quale, pertanto, anche dopo l’emanazione del codice antimafia ha continuato a presentare i significativi limiti che lo hanno caratterizzato sin dall’emanazione della legge Tambroni. Così, salvo riproporre le disposizioni che erano già state specificamente dettate per il processo di prevenzione, e innestarvi le (poche) modifiche di cui si dirà nelle righe che seguono, l’art. 7 cod. ant. si è limitato, al co. 9, a prevedere che al procedimento di prevenzione debbano applicarsi, in quanto compatibili, le disposizioni contenute nell’art. 666 c.p.p.253.

250 Cfr. art. 1, co. 3, lett. a), n. 5, l. 13 agosto 2010, n. 136 (corsivo aggiunto).

251 Cfr. A. BALSAMO, Codice antimafia, cit., p. 61.

252 Per una breve panoramica sulle novità apportate dal “codice antimafia” al sistema delle misure di

prevenzione cfr. B. ROMANO, Il nuovo codice antimafia, in AA.VV., Misure di prevenzione, S. Furfaro (a cura di),

Utet, Torino, 2013.

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A parte ciò, una prima novità consisteva nella possibilità di disporre l’audizione dell’interessato254 detenuto e dei testimoni mediante videoconferenza255.

Quanto ai testimoni, l’art. 7, co. 8, cod. ant. aveva previsto che il presidente del tribunale potesse disporne l’esame a distanza nei casi e nei modi indicati dal co. 2 dell’art. 147-bis disp. att. c.p.p., che tutt’ora reca la disciplina dell’«esame degli operatori sotto copertura, delle persone che collaborano con la giustizia e degli imputati di reato connesso».

Rispetto al soggetto interessato, l’art. 7, co. 4, cod. ant., in linea con quanto previsto dall’art. 666, co. 4, c.p.p. per il procedimento di esecuzione, non riconosceva al soggetto detenuto o internato in luogo posto fuori dalla circoscrizione del giudice il diritto di essere sentito personalmente, prevedendo che egli, in presenza di una tempestiva richiesta, dovesse essere sentito, «prima del giorno dell’udienza, dal magistrato di sorveglianza del luogo»256. A tale previsione, il “codice antimafia” aveva affiancato la possibilità di sentire il soggetto «mediante collegamento audiovisivo ai sensi dell’art. 146-bis, commi 3, 4, 5, 6 e 7 disp. att. c.p.p.», sempreché vi fosse la disponibilità di «strumenti tecnici idonei»257.

Solo al soggetto interessato libero o detenuto all’interno della circoscrizione del giudice veniva riconosciuto il diritto di essere sentito personalmente. A “presidio” di tale diritto, il d.lgs. 159/2011 ha previsto il rinvio dell’udienza in presenza di un legittimo impedimento dell’interessato che abbia chiesto di essere sentito. Si è recepito, in questo modo, quell’orientamento giurisprudenziale formatosi già prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 159/2011, secondo cui soltanto in questa particolare ipotesi il legittimo impedimento del proposto poteva determinare il rinvio dell’udienza258.

254 Tale termine è riferibile sia al “proposto” per l’applicazione di una misura di prevenzione, sia agli

intervenienti ammessi al giudizio, cfr. G. NICASTRO, Le misure di prevenzione nel codice antimafia: il nuovo stenta

a nascere e il vecchio a morire (d.lgs. 6.9.2011 n. 159: artt. 1-34, 66-81), in Leg. Pen., 2012, II, p. 202.

255 L’art. 1, co. 3, lett. a), n. 7 della legge-delega 136/2010, disponeve, quale criterio direttivo, «che l’audizione

dell’interessato o dei testimoni possa avvenire mediante video-conferenza ai sensi degli articoli 146-bis e

147-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto

legislativo 28 luglio 1989, n. 271, e successive modificazioni». Sul punto cfr. G. NICASTRO, Le misure di

prevenzione nel codice antimafia: il nuovo stenta a nascere…, cit., pp. 201-203.

256 L’art. 666, co. 4, c.p.p. fa tutt’ora salva la possibilità che il giudice «ritenga di disporre la traduzione».

Questo periodo non era stato riprodotto nell’art. 7 del “codice antimafia”.

257 In assenza di una disposizione ad hoc come questa, in giurisprudenza si era formato l’orientamento secondo

cui l’art. 146-bis disp. att. c.p.p. – in ragione della sua eccezionalità – non potesse trovare applicazione nel procedimento di prevenzione, trattandosi di un procedimento non avente «per oggetto alcuna pretesa punitiva», cfr. Cass. pen., Sez. VI, 8 febbraio 2000, n. 612.

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8.4. Segue: il diritto a un’udienza pubblica. Da Bocellari e Rizza c. Italia al “codice antimafia”, passando per la Consulta

Fra le novità processuali introdotte dal c.d. codice antimafia merita particolare attenzione la cristallizzazione del diritto dell’interessato di chiedere che il procedimento si svolga in pubblica udienza (art. 7, co. 1, d.lgs. 159/2011).

Invero, non si tratta di novità introdotta per la prima volta con il d.lgs. del 2011: già l’anno precedente, infatti, la pubblicità dell’udienza si era fatta largo nel procedimento di prevenzione per mano della Consulta, la quale, a sua volta, aveva recepito le indicazioni provenienti dai giudici di Strasburgo259.

Con la celebre sentenza emessa nella causa Bocellari e Rizza c. Italia il 13 novembre 2007260, la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva condannato il nostro Stato – in relazione alla disciplina del procedimento di prevenzione – per violazione dell’art. 6 §1 CEDU, nella parte in cui prevede che ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata pubblicamente da un tribunale indipendente e imparziale. Tale diritto non veniva infatti preso in considerazione dalla legge Tambroni del 1956, il cui art. 4, nel prevedere – in via generale – che il tribunale dovesse provvedere in camera di consiglio, non offriva al proposto e agli altri soggetti interessati neppure la possibilità di sollecitare una pubblica udienza261.

Con questa pronuncia, la Corte europea ha colto l’occasione per ricordare che «la pubblicità della procedura degli organi giudiziari» da un lato «tutela i giustiziabili contro una giustizia segreta che sfugge al controllo del pubblico», dall’altro costituisce «uno dei mezzi per preservare la fiducia nelle corti e nei tribunali», facendo così da ingrediente necessario per la realizzazione dell’equo processo262. È vero che lo stesso art. 6 CEDU

259 Per una puntuale illustrazione degli interventi della Corte EDU e della Corte costituzionale cfr. L.

CAMALDO, La garanzia della pubblicità dell’udienza nel processo di prevenzione: recenti approdi della Corte europea e

della Corte costituzionale, in Sequestro, confisca e recuperi a tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea. La legislazione comunitaria e l’attuazione nei Paesi membri. Atti del VI Convegno di studi CSDPE, L. Camaldo – A.

Bana (a cura di), Bruylant, Bruxelles, 2010, p. 355 ss.

260 Cfr. Corte EDU, Sez. II, sent. 13 novembre 2007, Bocellari e Rizza c. Italia. Per delle prime osservazioni cfr.

G. GARUTI, In Italia il procedimento di prevenzione non garantisce una pubblica udienza, in Dir. Pen. Proc., 2008, I, p. 113.

261 È orientamento consolidato in giurisprudenza quello secondo cui, quando una disposizione prevede che

la decisione del giudice debba essere emessa “in camera di consiglio”, e non sia diversamente stabilito, trovano applicazione per relationem la procedura e le forme di base stabilite dall’art. 127 c.p.p., compreso il co. 6, ai sensi del quale «l’udienza si svolge senza la presenza del pubblico», cfr., ex plurimis, Cass. pen., Sez. Un., 28 maggio 2003, n. 26156, §2 del “considerato in diritto”. Sul punto v. anche infra, cap. III, sez. I, par. 3.

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prevede la possibilità di porre limitazioni a tale principio in presenza della necessità di salvaguardare determinati interessi263; ma, come osserva la Corte, lo svolgimento dell’udienza a porte chiuse deve risultare necessario alla luce delle circostanze del caso

concreto264.

Le argomentazioni avanzate dallo Stato italiano – che facevano leva in particolare sulla «natura altamente tecnica delle procedure per l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali, basate essenzialmente su documenti e nelle quali il pubblico non può esercitare alcun controllo»265 – non si sono rivelate sufficienti per risparmiargli la condanna da parte dei giudici di Strasburgo266. Questi ultimi, piuttosto, si sono mostrati particolarmente sensibili alla «posta in gioco delle procedure di prevenzione e [a]gli effetti che sono suscettibili di produrre sulla situazione personale delle persone coinvolte»267, a fronte dei quali «non si può affermare che il controllo del pubblico non sia una condizione necessaria alla garanzia del rispetto dei diritti dell’interessato»268. Con queste parole, la Corte dei diritti umani ha quindi giudicato «essenziale che i giustiziabili coinvolti in un procedimento di applicazione delle misure di prevenzione si vedano almeno offrire la possibilità di sollecitare una pubblica udienza davanti alle sezioni specializzate dei tribunali e delle corti d’appello»269.

A questa pronuncia ne sono seguite diverse altre di identico tenore270, sino a quando, perdurando l’inerzia del legislatore, non è stata la Corte costituzionale a porre rimedio a questa violazione dei principi del giusto processo europeo.

263 L’art. 6 §1 CEDU prevede che «l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico

durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia».

264 Cfr. Corte EDU, Sez. II, sent. 13 novembre 2007, Bocellari e Rizza c. Italia, §34.

265 Cfr. Corte EDU, Sez. II, sent. 13 novembre 2007, Bocellari e Rizza c. Italia, §30.

266 Cfr. S. FURFARO, Il diritto alla pubblicità dell’udienza tra sistema interno e giusto processo europeo, in Giur. it.,

2008, VII, p. 1761 ss., §2.

267 Cfr. Corte EDU, Sez. II, sent. 13 novembre 2007, Bocellari e Rizza c. Italia, §38.

268 Cfr. Corte EDU, Sez. II, sent. 13 novembre 2007, Bocellari e Rizza c. Italia, §39.

269 Cfr. Corte EDU, Sez. II, sent. 13 novembre 2007, Bocellari e Rizza c. Italia, §40.

270 Cfr., ex plurimis, Corte EDU, Sez. II, 8 luglio 2008, Perre e al. c. Italia, §28; Corte EDU, Sez. II, sent. 5

gennaio 2010, Bongiorno e al. c. Italia, §32; Corte EDU, Sez. II, 2 febbraio 2010, Leone c. Italia, §31; Corte EDU, Sez. II, sent. 17 maggio 2011, Capitani e Campanella c. Italia, §30.

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Recependo le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte EDU, con la sentenza n. 93 del 2010271 i giudici di Palazzo della Consulta hanno dichiarato costituzionalmente illegittimi, per violazione dell’art. 117, co. I, Cost., l’art. 4 della l. n. 1423/1956 e l’art. 2-ter della l. n. 575/1965 «nella parte in cui non consent[ivano] che, su istanza degli interessati, il procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione si svolg[esse], davanti al tribunale e alla corte d’appello, nelle forme dell’udienza pubblica»272.

Dopo aver ricordato che il principio di pubblicità delle udienze giudiziarie, pur avendo rilevanza costituzionale, può «cedere in presenza di particolari ragioni giustificative»273, la Corte costituzionale ha opportunamente messo in luce che il procedimento di prevenzione presenta talune specificità che lo differenziano nettamente «da un complesso di altre procedure camerali»274. All’esito del procedimento di prevenzione, infatti, «il giudice è chiamato ad esprimere un giudizio di merito», idoneo a incidere definitivamente su beni costituzionalmente tutelati, quali la libertà personale, il patrimonio e la libertà di iniziativa economica275. Ciò, comunque, non esclude che, «in rapporto a particolarità del caso

concreto», il giudice possa «disporre che si proceda in tutto o in parte senza la presenza del

pubblico»; il che, però, deve ritenersi possibile solo nei limiti già previsti dall’art. 472 c.p.p. in relazione al processo penale276.

È sulla scorta di queste importanti pronunce che il legislatore del 2011, nel redigere il codice antimafia, ha previsto, limitatamente al giudizio di primo e di secondo grado277, che

271 Cfr. Corte cost., 8 marzo 2010, n. 93, in Dir. Pen. Proc., 2010, VII, p. 829 ss., con nota di M. NADDEO, Un

passo avanti verso il consolidamento garantistico del processo di prevenzione.

272 Corte cost., 8 marzo 2010, n. 93, §10 (corsivo aggiunto).

273 Corte cost., 8 marzo 2010, n. 93, §7.

274 Corte cost., 8 marzo 2010, n. 93, §7.

275 Corte cost., 8 marzo 2010, n. 93, §7. Considerazioni in parte sovrapponibili porteranno la Corte

costituzionale, qualche anno più tardi, a dichiarare l’illegittimità costituzionale degli artt. 666, co. 3, 678, co. 1, e 679, co. 1, c.p.p., nella parte in cui non prevedevano le «forme della pubblica udienza» in relazione al procedimento per l’applicazione delle misure di sicurezza, cfr. Corte cost., 19 maggio 2014, n. 135, §7.

276 Corte cost., 8 marzo 2010, n. 93, §10, da cui sono tratte anche le precedenti citazioni (corsivo aggiunto).

Sul punto cfr. F. SAVINO, Misure di prevenzione e pubblicità processuale: la Corte costituzionale dice sì, in Leg. Pen.,

2010, IV, p. 540, la quale osserva che questa precisazione della Consulta «potrebbe non essere sufficiente a