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La sovrapposizione tra la nozione di “pericolosità per la sicurezza pubblica” e quella di “pericolosità sociale” quella di “pericolosità sociale”

LA PERICOLOSITÀ PER LA SICUREZZA PUBBLICA

3. La sovrapposizione tra la nozione di “pericolosità per la sicurezza pubblica” e quella di “pericolosità sociale” quella di “pericolosità sociale”

Da tempo si registra però anche un diverso orientamento interpretativo, secondo cui la presunta distinzione tra le forme di pericolosità rispettivamente richieste per le misure di sicurezza e per le misure di prevenzione non avrebbe alcun fondamento, esistendo, al contrario, «un concetto unitario di pericolosità»17. Si sostiene, cioè, che – proprio come in tema di misure di sicurezza – anche per le misure di prevenzione sarebbe richiesto «un giudizio concernente la pericolosità del soggetto in rapporto alla probabilità che egli possa compiere atti lesivi di determinati beni della collettività, aventi rilevanza penale»18.

Questo secondo orientamento – indubbiamente maggiormente in linea con il principio costituzionale di proporzione19 – trova più di un riscontro anche nella giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale anche recentemente ha riconosciuto che le misure di prevenzione personali mirano «a limitare la libertà di movimento del loro destinatario per

15 Art. 1, co. 1, n. 5, l. 27 dicembre 1956, n. 1423. Tuttavia, anche nella vigenza del vecchio dato normativo,

una parte della dottrina sosteneva che «la “sicurezza pubblica” e la “pubblica moralità”, in tanto possono acquistare rilievo ai fini dell’applicazione delle misure ante-delictum, in quanto siano comunque riferibili a comportamenti sostanzialmente criminosi, e cioè posti in essere in violazione della norma penale», cfr. A.

BARGI, L’accertamento della pericolosità…, cit., p. 98.

16 Cfr. supra, cap. I, sez. II, par. 5.2.

17 Cfr. B. PETROCELLI, La pericolosità criminale e la sua posizione giuridica, cit., p. 231; nello stesso senso cfr. F.

GRISPIGNI, Risposta sulla pericolosità criminale nel codice penale (Postilla all’articolo precedente), in Scuola Pos., 1933,

p. 30 ss.; A. MARUCCI, Misure di sicurezza e misure di prevenzione, cit.; P. PETTA, Le nuove norme per la repressione

e la prevenzione…, cit., p. 2836.

18 Così P. NUVOLONE, voce Misure di prevenzione e misure di sicurezza, cit., p. 652. Ma cfr. anche P. NUVOLONE,

Il controllo del potere discrezionale attribuito al giudice per la determinazione delle pene e delle misure di prevenzione, in Ius, 1958, p. 251, ove l’Autore afferma che la pericolosità per la sicurezza pubblica si identificherebbe con la

probabilità di commissione di soli alcuni reati, e cioè quelli «contro l’ordine pubblico, la libertà personale e domiciliare dei cittadini, la loro incolumità e il loro patrimonio, cioè dei reati che è compito precipuo dell’autorità di p.s. prevenire». La nozione di pericolosità rilevante ai fini dell’applicazione di una misura di prevenzione, dunque, sarebbe più “ristretta” di quella accolta nel sistema delle misure di sicurezza.

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impedirgli di commettere ulteriori reati, o quanto meno per rendergli più difficoltosa la loro realizzazione»20.

Del resto, è lo stesso legislatore che, anche in relazione alle misure di prevenzione, negli ultimi anni ha fatto talora ricorso, nel tessuto del d.lgs. n. 159 del 2011, all’espressione “pericolosità sociale”21 – e non “pericolosità per la sicurezza pubblica” – così ricalcando, quantomeno da un punto di vista lessicale, la nozione di cui all’art. 203 c.p.

La dottrina secondo la quale la “pericolosità per la sicurezza pubblica” rilevante per il sistema preventivo coincide con la “pericolosità sociale” di cui all’art. 203 c.p. ha peraltro recentemente ricevuto significative conferme da parte della giurisprudenza di legittimità22.

4. Un capovolgimento di prospettiva. La “pericolosità per la sicurezza pubblica” quale nozione più “ristretta” della “pericolosità sociale” e più simile all’esigenza cautelare di cui all’art. 274, lett. c), c.p.p.

A ben vedere, però, in più di una occasione i giudici di legittimità si sono addirittura “spinti oltre”, offrendo una lettura ancor più “restrittiva” della nozione di “pericolosità per la sicurezza pubblica”.

Per rendersene conto, è sufficiente leggere le seguenti affermazioni giurisprudenziali: «affermare la “attualità” della pericolosità sociale di un individuo (in un dato momento storico) è […] operazione complessa che nel giudizio di prevenzione non si basa esclusivamente

sulla ordinaria “prognosi di probabile e concreta reiterabilità” di qualsivoglia condotta illecita – così

20 Così Corte cost., 24 gennaio 2019, n. 24, §9.7.1. In termini analoghi cfr. anche Corte cost., 2 dicembre

2013, n. 291, §6, che sottolinea «la comune finalità delle misure di sicurezza e delle misure di prevenzione – volte

entrambe a prevenire la commissione di reati da parte di soggetti socialmente pericolosi e a favorirne il recupero

all’ordinato vivere civile» (corsivo aggiunto), richiamando altri precedenti conformi. Fra questi, si veda in particolare Corte cost., 16 dicembre 1980, n. 177, §5: «Si deve ancora osservare che le condotte presupposte per l’applicazione delle misure di prevenzione, poiché si tratta di prevenire reati, non possono non involgere il riferimento, esplicito o implicito, al o ai reati o alle categorie di reati della cui prevenzione si tratta, talché la descrizione della o delle condotte considerate acquista tanto maggiore determinatezza in quanto consenta di dedurre dal loro verificarsi nel caso concreto la ragionevole previsione (del pericolo) che quei reati potrebbero venire consumati ad opera di quei soggetti» (corsivo aggiunto).

21 Cfr., in particolare, l’art. 14, co. 2-ter, cod. ant., ai sensi del quale «l’esecuzione della sorveglianza speciale

resta sospesa durante il tempo in cui l’interessato è sottoposto a detenzione per espiazione di pena», prevedendosi che, «dopo la cessazione dello stato di detenzione, se esso si è protratto per almeno due anni, il tribunale verifica, anche d’ufficio […] la persistenza della pericolosità sociale dell’interessato» (corsivo aggiunto). Un ulteriore richiamo al concetto di “pericolosità sociale” compare all’art. 18 del c.d. codice antimafia.

22 Recentemente, richiama l’art. 203 c.p. in materia di misure di prevenzione personali Cass. pen., Sez. VI,

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come previsto in via generale dall’articolo 203 del codice penale, norma che non distingue la natura della violazione commessa a monte e postula la semplice commissione di un reato – ma implica il precedente inquadramento del soggetto in una delle categorie criminologiche tipizzate dal legislatore, sicché la espressione della prognosi negativa deriva, appunto, dalla constatazione di una specifica inclinazione mostrata dal soggetto […] cui non siano seguiti segni indicativi di un tangibile

ravvedimento o dissociazione. Dunque, parlare di pericolosità sociale come caratteristica fondante del giudizio di prevenzione se da un lato è esatto, in quanto si intercetta il valore sistemico della misura di prevenzione, che è strumento giuridico di contenimento e potenziale neutralizzazione della pericolosità, dall’altro può essere fuorviante lì dove tale nozione

venga intesa in senso del tutto generico, senza tener conto della selezione normativa delle specifiche

“categorie” di pericolosità»23.

Stando a questo orientamento giurisprudenziale si dovrebbe concludere che tra la pericolosità richiesta per le misure di prevenzione e quella richiesta per le misure di sicurezza «non sussiste più alcuna differenza ontologica, qualitativa», essendo entrambe «fondate sulla previa commissione di reati e proiettate verso la probabile futura commissione di reati». Tra di loro sussisterebbe unicamente una differenza «quantitativa», dal momento che, nel processo di prevenzione, la pericolosità deve essere necessariamente riferita, «sia guardando al passato che guardando al futuro», ai soli reati indicati nelle diverse fattispecie preventive, e non a qualsiasi reato, come invece consente l’art. 203 c.p.24.

Non solo, dunque, la pericolosità presa in considerazione dal sistema preventivo somiglia molto alla “pericolosità sociale” rilevante per le misure di sicurezza, ma addirittura sembra “scivolare” verso quella accolta dal sistema cautelare disciplinato dal codice di rito.

Occorre infatti ricordare che, ai sensi dell’art. 274, co. 1, lett. c) c.p.p., le misure cautelari personali possono essere disposte per finalità di “prevenzione”. In questi casi, «il

23 Così si legge in Cass. pen., Sez. I, 24 marzo 2015, n. 31209, §3 (corsivi aggiunti), che si riferiva alle fattispecie

di pericolosità “generica”. Cfr. anche Cass. pen., Sez. I, 11 febbraio 2014, n. 23641, §1.1.

Più di recente cfr. Cass. pen., Sez. I, 20 febbraio 2019, n. 21735, §2.4 dei “motivi della decisione”, che riprende questa impostazione in termini ampi, sì da ricomprendere sia le fattispecie di pericolosità “generica”, sia le fattispecie di pericolosità “qualificata”.

In dottrina propone questa ricostruzione F. SIRACUSANO, I destinatari della prevenzione personale per “fatti di

mafia”, cit., p. 5.

24 Per le citazioni contenute in questo e nel precedente periodo cfr. F. BASILE, Esiste una nozione ontologicamente

unitaria di pericolosità sociale?..., cit., p. 984. L’Autore svolge queste considerazioni esaminando la

giurisprudenza riguardante le fattispecie di pericolosità “generica”. Ma cfr. I. GITTARDI,Intervista a Fabio

Basile, Cosimo Palumbo e Alberto Ernesto Perduca. Un dialogo a tre voci in materia di misure di prevenzione, in Dir. Pen. e Uomo (web), 16 ottobre 2019, p. 16, ove lo stesso Autore segnala che il medesimo approdo riguarda

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soddisfacimento delle esigenze preventive approfitta del procedimento in corso»25 e, come è stato icasticamente affermato, «l’intervento cautelare diventa misura di sicurezza»26.

Più in particolare, l’art. 274, co. 1, lett. c), c.p.p. contempla, tra le esigenze cautelari, il pericolo che la persona sottoposta alle indagini o l’imputato commetta determinati gravi delitti27 o delitti della stessa specie di quello per cui è gravemente indiziato28. Anche qui, a ben vedere, si richiede una relazione di continuità tra i reati asseritamente commessi nel passato e quelli che l’imputato potrebbe probabilmente commettere nel futuro29.

La necessità di una “relazione biunivoca” tra fattispecie preventive e finalità delle misure era stata peraltro ben delineata dalla Corte costituzionale già nel 1980, quando aveva affermato che «le condotte presupposte per l’applicazione delle misure di prevenzione, poiché si tratta di prevenire reati, non possono non involgere il riferimento, esplicito o implicito, al o ai reati o alle categorie di reati della cui prevenzione si tratta»30. Già il giudice

25 Cfr. F. VIGANÒ, La neutralizzazione del delinquente pericoloso nell’ordinamento italiano, cit., §5.

In dottrina, l’orientamento prevalente nega la legittimità costituzionale di questa esigenza cautelare, ritenendola incompatibile con la presunzione di non colpevolezza. In tal senso cfr., ad esempio, G. ILLUMINATI, La presunzione d’innocenza dell’imputato, cit., pp. 42-44; O. MAZZA, Le persone pericolose (in difesa

della presunzione di innocenza), in Dir. Pen. Cont., 20 aprile 2012, p. 7; P. P. PAULESU, La presunzione di non

colpevolezza dell’imputato, cit., pp. 137-138; F. ZACCHÈ, Criterio di necessità e misure cautelari personali, Giuffrè, Milano, 2018, pp. 92-93.

Non mancano, peraltro, autorevoli prese di posizione di segno contrario. Cfr. in particolare le acute

considerazioni di M. CHIAVARIO, Profili di disciplina della libertà personale nell’Italia degli anni Settanta, cit., pp.

236-239; dello stesso Autore v. pure M. CHIAVARIO, voce Libertà, III) Libertà personale – dir. proc. pen., in Enc.

Giur., 1990, §3.1.3. Cfr. anche le riflessioni di G. VASSALLI, Libertà personale dell’imputato e tutela della

collettività, in Giust. Pen., 1978, I, c. 20.

Più recentemente, v. M. DANIELE, I vizi degli automatismi cautelari persistenti nell’art. 275, comma 3, c.p.p., in Dir.

Pen. Proc., 2016, I, p. 114 ss., §3, secondo il quale «il diritto alla libertà personale e la presunzione di non

colpevolezza appaiono suscettibili di un bilanciamento con la tutela della sicurezza».

26 Così F. CORDERO, Procedura penale, cit., p. 480.

27 In particolare, la disposizione fa riferimento a «gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza

personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata».

28 Sul fondamento e sugli abusi di questa esigenza cautelare cfr. G. VASSALLI, Emergenza criminale e sistema

penale, in Giuliano Vassalli. Ultimi scritti, Giuffrè, Milano, 2007, p. 20.

29 Si deve peraltro segnalare che, agli occhi di una parte della dottrina, neppure la delimitazione dell’oggetto

segnalata in questo paragrafo potrebbe rivelarsi in grado di rendere l’accertamento prognostico svolto dal giudice della prevenzione affidabile quanto quello svolto dal giudice penale. Pur avendo sempre a oggetto la probabile futura commissione di reati, gli accertamenti prognostici svolti nelle diverse sedi avverrebbero, inevitabilmente, secondo differenti modalità. Più in particolare, si è osservato che, non ricostruendo puntualmente la commissione di un singolo fatto, il giudice della prevenzione avrebbe a disposizioni minori strumenti rispetto al giudice penale che applica una misura di sicurezza o una misura cautelare personale. Di qui l’impressione che, nel sistema preventivo, il giudizio di attuale pericolosità rappresenti «una garanzia più

apparente che reale», cfr. A. MARTINI, Il mito della pericolosità. Alla ricerca di un senso compiuto del sistema della

prevenzione personale, cit., §4.

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delle leggi, dunque, aveva affermato che la prognosi di pericolosità demandata al giudice non può che vertere su reati “aventi a che fare” con le condotte descritte nelle fattispecie preventive.

5. La necessità di un accertamento in concreto, senza presunzioni. In particolare: alcune considerazioni sul superamento della presunzione semel mafiosus, semper mafiosus

Se da un punto di vista astratto nessuno dubita della necessità di un giudizio a struttura “bifasica”, composto da una parte “diagnostica” e una “prognostica” e “probabilistica”, da più parti si segnala che, di fatto, l’inquadramento di un soggetto in una delle categorie soggettive di cui agli artt. 1 e 4 cod. ant. finisce spesso per “assorbire” anche l’accertamento della sua pericolosità31. In altri termini, risulta particolarmente avvertito il rischio che il giudizio sulla pericolosità individuale si “appiattisca” sulla ricostruzione delle condotte illecite asseritamente tenute dal soggetto nel passato32. Rischio la cui concretezza pare

31 Già V. CAVALLARI, Il procedimento delle misure di prevenzione…, cit., p. 84, osservava: «mentre la

giurisprudenza e gran parte della dottrina lodevolmente ribadiscono la necessità di distinguere fra sospetto e pericolosità, nella pratica gli elementi idonei al primo finiscono con l’essere assunti come prova della seconda».

32 In questi termini, ex multis, F. PALAZZO, Per un ripensamento radicale del sistema di prevenzione ante delictum,

cit., p. 12 e V. MAIELLO, La corruzione nel prisma della prevenzione ante delictum, cit., §1.

Una simile “prassi deviante” è stata riscontrata anche nel processo penale: in dottrina si è osservato che, quando viene in gioco l’esigenza cautelare di cui all’art. 274, lett. c), c.p.p., la motivazione del provvedimento «subisce un brusco arresto nel suo sviluppo argomentativo, esaurendosi, non di rado, nell’enunciazione pura

e semplice dell’asserita “pericolosità sociale” del destinatario della misura», cfr. L. MARAFIOTI, Sovraffollamento

delle carceri e custodia cautelare: una proposta di riforma, in Dir. Pen. Cont., 13 settembre 2011, §4. Anche G.

ILLUMINATI, Verso il ripristino della cultura delle garanzie in tema di libertà personale dell’imputato, in Riv. It. Dir.

Proc. Pen., 2015, III, p. 1130 ss., §3 segnala che, nella prassi, la «valutazione sull’esigenza cautelare della

pericolosità dell’imputato […] tende a venire assorbita dal giudizio sulla probabile sussistenza del fatto di reato». Si deve però ricordare che, sul punto, il legislatore non è rimasto inerte, avendo cercato di affrontare il problema con le modifiche introdotte dalla l. 16 aprile 2015, n. 47, in materia di misure cautelari personali. Tuttavia, anche successivamente alla riforma attenta dottrina ha rilevato che «si rinvengono […] con preoccupante frequenza motivazioni che esauriscono in poche battute la verifica della sussistenza delle

esigenze cautelari», cfr. E. MARZADURI, Law in the books e law in action: la libertà personale tra rispetto della

presunzione di non colpevolezza ed anticipata esecuzione delle sanzioni detentive, in Leg. Pen. (web), 19 settembre

2016, §1; e sembra che, ancora oggi, questa “prassi deviante” riguardi in particolar modo la prognosi sulla

pericolosità del soggetto, cfr. F. ZACCHÈ, La libertà personale tra diritti della persona e nuove sfide del processo

penale, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2018, IV, p. 1996 ss., §4. Del resto, in dottrina si era prontamente segnalato

che, nonostante le intenzioni annunciate dal legislatore, le innovazioni apportate dalla l. n. 47 del 2015 si sarebbero potute rivelare inidonee ad assicurare un maggior rigore nella stesura della motivazione

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peraltro confermata dalla scarsa elaborazione giurisprudenziale in tema di accertamento prognostico33.

Quello appena segnalato è appunto un profilo patologico, una deformazione legata al tipo di accertamento richiesto dal requisito della pericolosità34.

Su un altro piano si colloca – rectius: si collocava – invece quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui, rispetto alla categoria degli «indiziati di appartenere alle associazioni di cui all’articolo 416-bis c.p.» (art. 4, lett. a, cod. ant.), non era proprio «necessaria alcuna motivazione in punto di attuale pericolosità»35. In altre parole, secondo l’indirizzo sino a poco tempo fa prevalente, l’inquadramento (retrospettivo) del soggetto “proposto” nella categoria degli indiziati di appartenere ad associazioni mafiose doveva ritenersi sufficiente a sorreggere l’applicazione di una misura di prevenzione personale, senza che fosse necessaria alcuna ulteriore valutazione in ordine all’attualità della pericolosità dello stesso, che, in questa specifica ipotesi, doveva ritenersi presunta ex lege36.

Questa impostazione è stata recentemente superata dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, le quali, aderendo a un più recente orientamento37, hanno affermato il principio di diritto secondo cui anche «nel procedimento applicativo delle misure di prevenzione personali agli indiziati di “appartenere” ad una associazione di tipo mafioso, è necessario accertare il requisito della “attualità” della pericolosità del proposto»38.

Tribunale della libertà. A proposito dell’interpolazione dell’art. 309, comma 9 c.p.p. ad opera dell’art. 11 l. 16 aprile 2015, n. 47, in Dir. Pen. Cont. – Riv. Trim., 2015, IV.

33 Cfr. le recenti osservazioni di F. Basile in I. GITTARDI,Intervista a Fabio Basile, Cosimo Palumbo e Alberto

Ernesto Perduca…, cit., p. 13.

34 Cfr. G. FIANDACA –F.MUSCO, Diritto penale. Parte generale, cit., p. 824.

35 Cfr., ex plurimis, Cass. pen., Sez. II, 24 marzo 2017, n. 17128, §3.

36 Invero, i due orientamenti giurisprudenziali che si “contendevano il campo” presentavano, a loro volta,

alcune diversità di accenti. In questa sede non è possibile soffermarsi oltre sul punto. Per una breve

ricostruzione dei diversi orientamenti cfr. A. QUATTROCCHI, Lo statuto della pericolosità qualificata sotto la lente

delle Sezioni Unite, in Dir. Pen. Cont., 15 gennaio 2018.

37 Tra le prime pronunce che hanno affermato che «[l]a pericolosità attuale del soggetto è presupposto

applicativo generale, da riferirsi ad ogni categoria criminologica specifica, derivante dalla detta previsione di legge, oltre che dal necessario rispetto dei principi costituzionali sul tema», si segnala Cass. pen., Sez. I, 11

febbraio 2014, n. 23641, su cui cfr. l’analisi di F. MENDITTO, L’attualità della pericolosità sociale va accertata,

senza presunzioni, anche per gli indiziati di mafia, in Dir. Pen. Cont., 3 luglio 2014.

38 Cfr. Cass. pen., Sez. Un., 30 novembre 2017, n. 111, §13.

Per un commento all’ordinanza di rimessione della I Sezione della Corte di cassazione cfr. F. BALATO,

L’attualità della pericolosità sociale al vaglio delle Sezioni Unite: tra stereotipi di perdurante appartenenza e la possibilità per la persona di cambiare, in Dir. Pen. Cont., 10 novembre 2017, e M. CERFEDA, La presunzione semel mafioso semper mafioso, applicata alle misure di prevenzione, non è ammissibile: osservazioni in attesa delle motivazioni delle

Sezioni Unite, in Dir. Pen. Cont., 18 dicembre 2017. Per un commento alla pronuncia delle Sezioni Unite cfr.,

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Tuttavia, leggendo attentamente gli snodi motivazionali lungo i quali si articola la decisione delle Sezioni Unite, è possibile cogliere alcune sfaccettature del tema che, considerando il solo principio di diritto, potrebbero sfuggire.

A ben vedere, infatti, gran parte delle riflessioni dei giudici di legittimità hanno riguardato non tanto la sussistenza di una presunzione di pericolosità di chi risulti appartenere a un’associazione di stampo mafioso al momento dell’applicazione della misura, bensì la possibilità di presumere la permanenza del vincolo di appartenenza nei confronti di soggetti per i quali gli indizi rilevanti si collochino nel passato, in un momento distante dalla decisione39. La presunzione cui si faceva ricorso in giurisprudenza, in altre parole, involgeva il momento “constatativo” – prima ancora che quello prognostico – del giudizio di pericolosità: tenendo in considerazione alcune caratteristiche delle associazioni mafiose, quali la loro storicità e stabilità, nonché la forza del vincolo che normalmente lega gli associati40, si riteneva valida la formula “semel mafiosus, semper mafiosus”. Pertanto, ci si accontentava di indizi circa una

pregressa appartenenza al sodalizio criminoso, per poi affermare l’attualità della stessa.

In relazione all’accertamento della perduranza del vincolo di partecipazione, le Sezioni Unite hanno avallato il ricorso, da parte del giudice della prevenzione, a presunzioni semplici, purché debitamente motivate e corroborate da elementi in grado di confermare la “continuità” degli apporti forniti dal singolo all’associazione di stampo mafioso cui, in passato, risultava appartenere41.

mafiosa” riceve l’avallo delle Sezioni Unite, in Proc. Pen. Giust., 2018, III, p. 550 ss.; A. QUATTROCCHI, Lo statuto

della pericolosità qualificata sotto la lente delle Sezioni Unite, cit., e, volendo, D. ALBANESE, Il giudice della

prevenzione personale deve accertare la sussistenza di una pericolosità attuale anche per i soggetti indiziati di appartenere alle associazioni di tipo mafioso. Brevi considerazioni a margine di una recente pronuncia delle Sezioni Unite, in Cass. pen., 2018, IV, p. 1086 ss.

39 Questo profilo traspare già dalla lettura del quesito che la prima Sezione della Corte di cassazione aveva

sottoposto alle Sezioni Unite, così formulato: «se in presenza di elementi ritenuti indizianti circa la pregressa