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Breve riepilogo: dal procedimento “senza fatto” al processo “senza accertamento del fatto” del fatto”

DALLA COSTITUZIONE A OGGI

10. Breve riepilogo: dal procedimento “senza fatto” al processo “senza accertamento del fatto” del fatto”

Nel rapido viaggio che dalla legge Galvagno del 1852 ci ha condotto sino alle più recenti modifiche al “codice antimafia”, si è tentato di mettere in luce le profonde trasformazioni che hanno riguardato il sistema preventivo.

Da un punto di vista generale, si sarà senz’altro notato come le misure di polizia, poi divenute “misure di prevenzione”313, si siano sempre rivelate un agile strumento su cui fare affidamento per fronteggiare l’emergenza o la minaccia “del momento”314.

Così è stato, ad esempio, nel 1863, di fronte all’esigenza di contrastare il “brigantaggio”315, e così è stato, da ultimo, nel 2001 e nel 2015, quando si è maggiormente avvertita la minaccia terroristica316.

311 Cfr. L. FILIPPI, Profili processuali: dalla proposta al giudizio di primo grado, in AA.VV., Le misure di prevenzione

dopo il c.d. codice antimafia. Aspetti sostanziali e aspetti procedurali, F. Basile (a cura di), in Giur. It., 2015, VI, p.

1542. Cfr. anche F. GIUNCHEDI, Le forme del procedere e il generale rinvio all’art. 666 c.p.p., cit., p. 247.

312 Cfr. R. GUERRINI –L.MAZZA, Le misure di prevenzione. Profili sostanziali e processuali, cit., p. 223; P. V.

MOLINARI, Conflitti virtuali ed esigenze concrete, in Cass. pen., 2003, VI, p. 2033.

313 Cfr. supra, par. 2.

314 Mette in luce questa “attitudine” del sistema preventivo L. MAZZA, Le misure di prevenzione: un passato

nebuloso, un futuro senza prospettive, in Riv. Pol., 1992, p. 397.

315 Cfr. supra, sez. I, par. 3.1.

316 Cfr. supra, par. 9.

Lo stesso può peraltro dirsi rispetto alla nascita del domicilio coatto “politico”, diretto a contrastare gli anarchici (cfr. supra, sez. I, par. 3.4); alla “istituzionalizzazione” dell’uso politico delle misure di polizia avvenuta durante il regime fascista (cfr. supra, sez. I, par. 4.1); alle finalità perseguite dalla legge “antimafia”

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Nel corso di questa evoluzione, istituti nati con finalità di «controllo delle fasce sociali marginali» sono stati reimpiegati per aggredire la «grande criminalità organizzata»317. Da questo punto di vista, un cruciale momento di svolta lo si è avuto con l’emanazione della legge Rognoni-La Torre318, che, introducendo strumenti diretti a contrastare efficacemente la criminalità da profitto, ha spostato il “controllo” «dalla persona al patrimonio»319. E con le riforme del 2008 e del 2009, il sistema preventivo, come un Giano Bifronte320, ha

definitivamente assunto un duplice volto, avendo quale finalità non solo la neutralizzazione

della pericolosità della persona, ma anche l’ablazione dei beni di provenienza illecita. Nessun legislatore ha mai preso in considerazione l’opportunità di rinunciare a strumenti tanto “maneggevoli” ed efficaci, nonostante essi siano sempre stati oggetto di aspre critiche provenienti dalla dottrina e, talvolta, da alcune forze politiche321.

Le risposte a queste critiche ci sembra siano giunte per lo più sul terreno delle garanzie procedimentali. Già nella seconda metà del XIX secolo, infatti, si assistette a una prima “giurisdizionalizzazione” del procedimento di prevenzione. In questo senso si mosse, in particolare, la legge di pubblica sicurezza del 1889322.

Questo trend evolutivo subì però una drastica battuta di arresto sotto il regime fascista, che – demolendo gli aspetti di “giurisdizionalità” cui era approdato il sistema liberale – optò per una piena amministrativizzazione del sistema preventivo323.

Con l’entrata in vigore della Carta costituzionale si rese necessario un nuovo cambio di rotta, dal momento che l’art. 13, co. II, Cost. tollera restrizioni della libertà personale soltanto per mano dell’autorità giudiziaria324. Così, a partire dal 1956, l’applicazione delle

del 1965 (cfr. supra, par 3.1) e dalla legge Reale del 1975, quest’ultima emanata durante i c.d. anni di piombo (cfr. supra, par. 3.2.).

317 Lo osserva, fra i molti, C. DI CASOLA, Dalla marginalità sociale alla macro-criminalità. Una panoramica

introduttiva delle principali questioni, in Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura, 1998, n. 104, p. 73, da

cui è tratta anche la precedente citazione.

318 Cfr. supra, par. 4.

319 Mette in luce questo trend evolutivo E. AMODIO, Le misure di prevenzione patrimoniale nella legge antimafia,

in Giust. Pen., 1985, III, c. 633.

320 Cfr. supra, par. 7.3.

321 Cfr. ad esempio supra, sez. I, par. 3.3. Come osserva M. CERESA-GASTALDO, Il futuro della prevenzione:

approfondimenti, in La giustizia penale preventiva. Ricordando Giovanni Conso, Giuffrè, Milano, 2016, p. 288,

ancora oggi nessun partito politico prenderebbe «seriamente in considerazione proposte di modifica dell’assetto normativo che non fossero nel segno del potenziamento del mezzo».

322 Cfr. supra, sez. I, par. 3.3.

323 Cfr. supra, sez. I, par. 4.

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“misure di prevenzione” – che solo in quell’anno presero questo nome – tornò a essere una prerogativa del giudice.

Nonostante il nuovo «pantheon processuale»325, il rito coniato dalla legge Tambroni – poco attento al diritto di difesa del proposto – non fu in grado di allontanare lo spettro della discrezionalità amministrativa da questa materia: nei decenni successivi, infatti, i giudici di legittimità non sembravano dubitare che «l’applicazione della misura di prevenzione [avesse] esclusivo carattere amministrativo»326.

Progressivamente ci si è però liberati di questo retaggio, giungendo pian piano a riconoscere – a partire dagli anni ’60 – la natura giurisdizionale delle “forme” con cui si attua la prevenzione c.d. ante delictum327. Ma questo punto di approdo, si badi, non ha rappresentato che un altro “punto di partenza”, da cui avviare una nuova “giurisdizionalizzazione” del rito – da più punti di vista carente – delineato nel 1956. In pochi anni è infatti mutato il modo di intendere la giurisdizione, e da una «concezione della giurisdizionalità in chiave esclusivamente soggettiva», intesa quale attribuzione della competenza a un giudice, si è passati a un progressivo aumento delle garanzie328.

E così, in breve, si può concludere che quello che era un procedimento – perché di natura

amministrativa – si è trasformato in un processo – perché attuazione della giurisdizione –, che,

come tale, si ispira (o dovrebbe ispirarsi?) ai canoni di cui all’art. 111 Cost.329.

325 L’espressione è di A. CISTERNA, L’azione di prevenzione tra giusto processo e regole di acquisizione probatoria, in

Arch. Pen. (web), 2012, III, p. 2.

326 Cfr. Cass. pen., 31 gennaio 1958, Torina (corsivo aggiunto), richiamata da G. BOSCO PUGLISI, Il

procedimento di prevenzione, cit., p. 53, che ne riporta un ampio brano, in cui, ancora, si legge: «E la

discrezionalità del giudice si rispecchia necessariamente anche sulla motivazione dei relativi decreti che sono naturalmente atti amministrativi per i quali la motivazione stessa non deve essere necessariamente cosi completa ed aderente a fatti specifici come nelle sentenze».

327 Cfr. Cass. pen., Sez. I, 30 maggio 1967, n. 1721, in Giust. Pen., 1968, III, c. 258, che viene segnalata come

una delle prime pronunce che ha riconosciuto la natura giurisdizionale del processo di prevenzione da L. FILIPPI, Il procedimento di prevenzione patrimoniale: le misure antimafia tra sicurezza pubblica e garanzie individuali, cit., p. 6.

328 Per la citazione contenuta in questo periodo cfr. E. AMODIO, Il processo di prevenzione: l’illusione della

giurisdizionalità, in Giust. Pen., 1975, III, c. 499.

In questo capitolo si sono messe in luce, di volta in volta, le garanzie introdotte dai diversi provvedimenti legislativi, e nel par. 2.3 di questa sezione si è segnalato l’importante arresto con cui la Corte costituzionale ha reso obbligatoria l’assistenza tecnica nel processo di prevenzione. I “contributi” alla giurisdizionalizzazione forniti dalla giurisprudenza di legittimità saranno esaminati nel corso del terzo capitolo, quando si esaminerà la disciplina del processo.

329 Cfr., ex plurimis, Cass. pen., Sez. Un., 25 marzo 2010, n. 13426, §6, secondo cui il procedimento di

prevenzione deve ricevere una “lettura” «che sia in linea con i principi del “giusto processo”». Sulla natura del processo di prevenzione si tornerà infra, cap. III, sez. I, par. 1.

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Ma a mutare profondamente non è stato solo il processo di prevenzione. Un altro significativo trend evolutivo, che ai nostri fini non è meno importante di quello appena esaminato, ha riguardato le categorie dei soggetti destinatari della prevenzione.

Guardandolo dalla distanza, al fine di coglierne l’insieme, questo trend ci restituisce un dato di particolare interesse, segnalandoci che, progressivamente, sono venute meno le categorie fondate su giudizi meramente prognostici o tipologici d’autore330. Ciò è avvenuto in particolare negli anni ’80, quando, da un lato, è stata dichiarata costituzionalmente illegittima la categoria che colpiva i “proclivi a delinquere”331 e, dall’altro, sono usciti di scena gli “oziosi” e i “vagabondi”332. Tali categorie consentivano di formulare una prognosi sulla pericolosità di un individuo partendo non da un determinato “fatto”, ma dal suo inquadramento in una determinata “classe” di soggetti. Certo, un qualche “fatto” non era estraneo neppure a questo giudizio, giacché esso doveva necessariamente muovere dai “comportamenti” tenuti dai soggetti destinatari. Tali comportamenti, però, potevano essere i più vari, e giustificavano un giudizio prognostico di pericolosità non in sé, ma solo se consentivano l’apposizione di una determinata “etichetta” negativa in capo a un individuo333. Il procedimento poteva cioè avere di mira uno “stile di vita”, e i “fatti” rimanevano su un lontano sfondo, che non assurgeva a thema probandum.

Oggi, invece, tutte le categorie di soggetti destinatari sono formulate facendo diretto riferimento alla commissione di uno o più fatti. Fatti che, quasi sempre, hanno rilevanza penale, sicché processo penale e processo di prevenzione finiscono per distinguersi essenzialmente per lo standard probatorio richiesto.

Riprendendo la metamorfosi cui si è appena fatto cenno, possiamo allora aggiungere un’ulteriore notazione, osservando che, se gli ingranaggi del procedimento non giravano necessariamente attorno a un “fatto”, l’odierno processo può invece essere innestato solo a fronte della commissione di uno o più fatti, di cui, tuttavia, non è richiesto un pieno accertamento. Con una punta di approssimazione, potremmo allora dire che da un

procedimento senza fatto si è passati a un processo senza accertamento del fatto.

330 Cfr. F. MAZZACUVA, Le persone pericolose e le classi pericolose, cit., p. 96.

331 Cfr. supra, par. 5.1.

332 Cfr. supra, par. 5.2.

333 In relazione alle vecchie fattispecie penali che punivano gli “oziosi” e i “vagabondi” osserva T. PADOVANI,

Misure di sicurezza e misure di prevenzione, cit., p. 199, che «l’oggetto della punizione non è propriamente una

condotta, ma un modo di essere. Si punisce un soggetto non per quel che ha fatto, ma per quello che egli propriamente è. L’oggetto della punizione si risolve in una condizione personale».

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Come si sarà senz’altro notato, proprio all’evoluzione delle categorie dei soggetti destinatari è stata dedicata, nei paragrafi di questo capitolo, particolare attenzione. Calata in quella che vuole essere un’indagine sui profili processuali del sistema preventivo, questa attenzione potrebbe essere apparsa a tratti eccessiva. In verità, essa era davvero necessaria, per almeno due ordini di ragioni.

Da un lato, come si dirà meglio nel prossimo capitolo, dalla formulazione delle categorie soggettive scaturiscono importanti ricadute sul piano della prova nel processo di prevenzione334.

Dall’altro, quello delle misure di prevenzione è forse il settore dell’ordinamento che, più di ogni altro, ha sempre spinto gli studiosi del processo penale a essere attenti alla “sostanza” (in questo caso, alle c.d. fattispecie preventive) tanto quanto alla “forma”335. Del resto, come è stato acutamente osservato, se si ha a che fare con «fattispecie che mancano di tassatività», la “giurisdizionalità” rischia di essere una mera «illusione»336.

Proprio l’“inafferrabilità” delle fattispecie preventive ha talora indotto la dottrina a dubitare dell’opportunità di un innalzamento delle garanzie, giacché la “giurisdizionalizzazione” avrebbe potuto finire «per diventare una copertura di quello che è il vuoto sostanziale»337.

Convinti che la “qualità” del processo di prevenzione sia strettamente legata a quella delle fattispecie preventive, è proprio da queste che prenderemo le mosse, nelle prossime pagine, nel presentare quelli che potremmo definire i profili “statici” della materia.

334 Cfr. infra, cap. II, sez. I, par. 1.1.

335 Come osserva G. DI CHIARA, Il contraddittorio nei riti camerali, Giuffrè, Milano, 1994, p. 137, nel «settore

delle misure di prevenzione» i «rapporti di integrazione e di equilibrio tra sostanza e forma, tra aspetto statico e aspetto dinamico-procedimentale» rivestono «una luce particolarissima» e, «più che altrove, una indagine settorialmente limitata ad uno solo dei due profili, trascurando l’aspetto complementare, non sarebbe

assolutamente in grado di condurre a risultati apprezzabili». Tra gli altri, anche T. PADOVANI, Misure di

sicurezza e misure di prevenzione, cit., p. 279, mette in luce l’inscindibilità, in questa materia, tra momento

sostanziale e momento processuale.

336 Così E. AMODIO, Il processo di prevenzione: l’illusione della giurisdizionalità, cit., passim. In termini analoghi

cfr. M. CHIAVARIO, Profili di disciplina della libertà personale nell’Italia degli anni Settanta, in AA.VV., La libertà

personale, L. Elia – M. Chiavario (a cura di), Utet, Torino, 1977, p. 272.

337 Cfr. E. AMODIO, Il processo di prevenzione: l’illusione della giurisdizionalità, cit., c. 503. Anche V. CAVALLARI,

Il procedimento delle misure di prevenzione. Analisi e spunti critici, cit., p. 85, osservava, nel 1974, che la disciplina

del sistema preventivo poteva ingenerare nello studioso la tentazione di «rifuggire da un impegno che potrebbe essere considerato come un mezzo di copertura delle contraddizioni e degli intenti essenzialmente repressivi del sistema». Sul punto cfr. anche infra, cap. IV, par. 4.1.

Capitolo II