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I principali interventi legislativi degli anni ’60 e ’70

DALLA COSTITUZIONE A OGGI

3. I principali interventi legislativi degli anni ’60 e ’70

3.1. La legge “antimafia” del 1965

A partire dagli anni ’50, così come l’Italia si trasformò da Paese tradizionalmente agricolo in Paese prevalentemente industriale, allo stesso modo le associazioni per delinquere presenti sul territorio nazionale cambiarono volto, tendendo a divenire più organizzate e pericolose72.

Il legislatore sentì presto l’esigenza di fare i conti con questa realtà e proprio a tal fine, con la legge 31 maggio 1965, n. 575, dettò una serie di «disposizioni contro la mafia».

3.1.1. Le novità “sostanziali”. In particolare: nasce la prima fattispecie “indiziaria”

69 Per le citazioni contenute in questo periodo cfr. U. DE LEONE, Contributo allo studio del processo di prevenzione,

cit., p. 49.

70 Significativa l’analisi di G. GALLI, Sulla pretesa incostituzionalità dell’art. 1, n. 1, della Legge 27 dicembre 1956,

n. 1423, relativamente alla qualificazione di «oziosi e vagabondi abituali», per contrasto con l’art. 3 della Costituzione,

in Giust. pen., 1964, I, p. 28: «[…] né rileva che il giudizio sulla violazione del provvedimento di rimpatrio, e, ancor più, l’applicazione dell’ulteriore misura della sorveglianza speciale, spettino all’autorità giudiziaria, poiché presupposto dell’intervento di questa è – per il caso che qui interessa – l’appartenenza dell’interessato alla categoria degli oziosi e vagabondi, ritenuta in un atto amministrativo. Appunto caratteristica dell’atto amministrativo è la discrezionalità di apprezzamento dell’organo…».

71 Cfr. Pret. Legnano, ord. 10 luglio 1969, in Giur. cost., I, pp. 315-316 (corsivo aggiunto).

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Da un punto di vista “sostanziale”, la più importante novità che interessa il nostro

excursus la si rinviene nell’estensione dell’ambito applicativo delle misure di prevenzione

disciplinate dalla legge Tambroni a una nuova categoria soggettiva: gli «indiziati di appartenere ad associazioni mafiose»73.

Al riguardo si deve notare che, a quell’epoca, non esisteva ancora, nel codice penale, una fattispecie incriminatrice dedicata alle “associazioni di tipo mafioso”. Spettava dunque all’interprete il compito di precisare i contorni del nuovo concetto di “associazione mafiosa”, al fine di distinguerla dalle altre “associazioni per delinquere” di cui all’art. 416 c.p. L’imprecisione di questa formulazione portò la dottrina a sollevare critiche e perplessità74; ciononostante, la nuova fattispecie riuscì a superare i dubbi di legittimità costituzionale da cui fu subito investita75.

Si può dunque dire che il legislatore, al fine di contrastare un fenomeno di cui avvertiva la crescente pericolosità, ma di cui non aveva ancora una conoscenza così profonda che gli consentisse di tipizzare una fattispecie criminosa, si affidò in prima battuta al sistema preventivo76. Sistema che, come detto sopra, si accontentava – per usare le parole della Consulta – di un rigore “diverso” rispetto a quello richiesto per la formulazione delle fattispecie incriminatrici77.

Oltre che nel fenomeno che intendeva colpire, l’originalità di questa fattispecie preventiva risiedeva anche in un’altra caratteristica, che non deve passare inosservata.

Ci si riferisce al fatto che, proprio con essa, è stato coniato il paradigma che individua i destinatari delle misure di prevenzione attraverso la formula “indiziati di…”, formula che negli ultimi anni ha avuto grande fortuna, essendo stata ricalcata dal legislatore con estrema disinvoltura.

Non deve però sfuggire che, al momento della sua nascita, questo paradigma non generava una perfetta sovrapposizione tra la fattispecie “preventiva” e una qualche fattispecie incriminatrice, come invece – lo si vedrà – avviene oggi78. La categoria degli “indiziati di appartenere ad associazioni mafiose”, infatti, negli anni ’60 e ’70 fu impiegata dalla giurisprudenza per colpire ambienti e condotte cui il codice penale – e in particolare

73 Cfr. art. 1 l. 31 maggio 1965, n. 575.

74 Cfr. F. TAGLIARINI, Le misure di prevenzione contro la mafia, in Ind. Pen., 1974, II, p. 378.

75 Nel 1965 la Corte costituzionale dichiarò manifestamente infondata una questione di legittimità

costituzionale della disposizione che prevedeva la fattispecie in esame, in relazione agli articoli 3 e 13 della Costituzione, sollevata dal Pretore di Reggio Calabria, 27 giugno 1965, in Giur. It., 1966, II, p. 139.

76 L’osservazione è di S. FINOCCHIARO, La confisca “civile” dei proventi…, cit., p. 25.

77 Cfr. supra, par. 2.1.

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l’art. 416 c.p. – non era ancora in grado di arrivare79. La prima fattispecie preventiva “indiziaria”, dunque, non rappresentava l’“ombra” di una corrispondente fattispecie incriminatrice, come invece si può dire per le fattispecie “indiziarie” oggi presenti nel d.lgs. 159/2011.

Oltre a ciò, si deve poi segnalare che il sistema preventivo si arricchì di nuovi strumenti, proprio al fine di contrastare più efficacemente la pericolosità dei soggetti indiziati di appartenere alle associazioni mafiose. Da un lato fu introdotto il divieto di concedere loro licenze per detenzione e porto d’armi, nonché per la fabbricazione, il deposito, la vendita e il trasporto di materie esplodenti80. Dall’altro lato si previde che all’applicazione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza dovesse seguire, di diritto, la decadenza delle licenze «di polizia, di commercio, di commissionario astatore presso i mercati annonari all’ingrosso», delle concessioni «di acque pubbliche o di diritti ad esse inerenti», nonché delle iscrizioni «agli albi di appaltatori di opere o di forniture pubbliche»81.

Con questa legge, dunque, le misure di prevenzione personali divennero in grado di incidere non solo sulla libertà personale del soggetto destinatario, ma anche sulla sua libertà di iniziativa economica. Ciò, però, valeva solo in relazione alle persone indiziate di appartenere ad associazioni mafiose82, ritenute pericolose per l’economia legale.

3.1.2. Le novità “processuali”

La legge “antimafia” del 1965 apportò novità di grande rilievo anche dal punto di vista del procedimento, novità che però riguardavano solo i soggetti indiziati di appartenere ad associazioni mafiose.

79 Cfr. Trib. Napoli, 30 gennaio 1986, in Cass. pen., 1986, p. 1869, ove si dà conto del fatto che la

giurisprudenza si era orientata nell’escludere la punibilità del fenomeno mafioso in sé considerato attraverso l’art. 416 c.p. Sulle difficoltà di ricondurre il fenomeno mafioso nel perimetro dell’art. 416 c.p. cfr. F. BRICOLA, Commenti articolo per articolo, l. 13/9/1982 n. 646 («norme antimafia»), Premessa, in Leg. Pen., 1983,

p. 239. Sul punto cfr. anche G. FIANDACA, Commenti articolo per articolo, l. 13/9/1982 n. 646 (norme

«antimafia»), art. 1, in Leg. Pen., 1983, p. 257, il quale, all’indomani dell’introduzione dell’art. 416-bis c.p.,

osservò: «[i]l nuovo art. 416 bis c.p. dovrebbe, dunque, consentire di ricondurre senza incertezze all’area del penalmente illecito una forma di criminalità organizzata che, in considerazione sia delle finalità perseguite sia dei mezzi adoperati, si troverebbe ai margini della sfera di operatività delle tradizionali categorie penalistiche».

80 Art. 8 l. 31 maggio 1965, n. 575.

81 Art. 10 l. 31 maggio 1965, n. 575.

82 L’art. 1 della l. 31 maggio 1965, n. 575, recitava infatti: [l]a presente legge si applica agli indiziati di

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È con questa legge che, per la prima volta, il potere di presentare la proposta per l’applicazione delle misure di prevenzione venne attribuito anche al procuratore della Repubblica.

Tale scelta affondava le proprie radici in una delle sollecitazioni provenienti dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, istituita nel 1962, la quale aveva avanzato alcune proposte finalizzate a «rendere più efficaci le misure di prevenzione»83. Essa, si badi, non fu dettata dall’esigenza di rendere maggiormente “giurisdizionale” il procedimento di prevenzione, bensì da logiche di potenziamento dell’apparato preventivo.

È peraltro interessante osservare che la stessa Commissione aveva altresì proposto di estendere le misure di prevenzione a coloro che fossero stati prosciolti per insufficienza di prove da imputazioni riguardanti una serie di gravi reati, quali strage, omicidio, estorsione, rapina, associazione per delinquere84. Di ciò – come si è visto analizzando le novità “sostanziali” – non vi era però traccia nel tessuto della legge del 1965. Cionondimeno, l’attribuzione del potere di proposta al procuratore della Repubblica di fatto creò «una relazione di continuità, di mutuo e reciproco scambio»85 tra processo penale e procedimento di prevenzione, tale da consentire un facile “travaso” nel secondo delle prove raccolte nel primo, anche in caso di assoluzione dell’imputato. Attribuendo al pubblico ministero il ruolo di «attore con due parti in commedia»86, insomma, la linea di demarcazione tra prevenzione e repressione subì una sbiaditura.

Per rendere più rapida e snella l’applicazione delle misure di prevenzione personali nei confronti degli indiziati di mafia, si previde inoltre che il relativo procedimento potesse essere avviato anche a prescindere da una previa diffida da parte del questore87.

Infine, venne disciplinato un nuovo provvedimento d’urgenza da applicarsi nelle more del procedimento. Nell’esaminare la legge Tambroni88 si è detto che, in presenza di “motivi di particolare gravità”, il giudice poteva disporre la carcerazione preventiva del soggetto proposto per l’applicazione dell’obbligo di soggiorno in un determinato comune. Con la legge antimafia il “ventaglio” a disposizione del giudice si ampliò, potendo egli ordinare

83 Cfr. Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, doc. n. 6, Relazione e proposte della

Commissione al termine della prima fase dei lavori (comunicata alle Presidenze delle Camere il 7 agosto 1963), p. 2.

84 Cfr. p. 2 della Relazione di cui alla nota precedente.

85 Così R. ORLANDI, La “fattispecie di pericolosità”. Presupposti di applicazione delle misure e tipologie soggettive nella

prospettiva processuale, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2017, II, §2.

86 L’efficace espressione è di R. ORLANDI, La “fattispecie di pericolosità”. Presupposti…, cit., §3.

87 Cfr. art. 2 l. 31 maggio 1965, n. 575.

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anche l’applicazione provvisoria dell’obbligo di soggiorno in un determinato comune89. Il fatto che questo provvedimento più mite potesse essere applicato solo agli indiziati di appartenere ad associazioni mafiose, e non anche agli altri soggetti rientranti nell’art. 1 della l. 1423/1956, non era invero foriero di disparità di trattamento. Questo, infatti, non

sostituiva la carcerazione preventiva, che doveva in ogni caso essere disposta in presenza

delle relative condizioni di applicabilità, ma si affiancava a essa per i casi in cui non vi fossero “motivi di particolare gravità”.

3.2. La legge Reale del 1975

A dieci anni di distanza dall’entrata in vigore della legge “antimafia”, la materia delle misure di prevenzione fu interessata da un nuovo importante intervento legislativo.

Come spesso era già accaduto, ancora una volta le misure di prevenzione si rivelarono un agile strumento cui ricorrere per fronteggiare l’emergenza “del momento”.

Con la legge c.d. Reale del 22 maggio 1975, n. 152, infatti, il legislatore intese far fronte alla «situazione emergenziale determinatasi nel paese»90, che si trovava ad attraversare i c.d. anni di piombo.

Tra le numerose disposizioni adottate per contrastare il fenomeno dell’eversione politico-terroristica, quelle che più da vicino riguardarono la nostra materia si mossero essenzialmente in tre direzioni, di seguito analizzate separatamente: l’estensione dell’ambito applicativo delle misure di prevenzione; l’introduzione di una prima misura “patrimoniale”; il “potenziamento” del procedimento di prevenzione.

3.2.1. Le nuove fattispecie: si assottiglia, ma non sparisce, il confine tra fattispecie preventive e fattispecie incriminatrici

Quanto al primo profilo, l’art. 18 della legge Reale introdusse quattro nuove categorie di soggetti destinatari – tutte chiaramente dettate dalla volontà di colpire i “sovversivi”91 – che sono giunte sino ai giorni nostri con una formulazione pressoché invariata.

89 Cfr. art. 3 l. 31 maggio 1965, n. 575.

90 Cfr. R. GUERRINI – L. MAZZA – S. RIONDATO, Le misure di prevenzione. Profili sostanziali e processuali, II ed.,

Cedam, Padova, 2004, p. 16.

91 Sul punto cfr. M. PAVARINI,Il «socialmente pericoloso» nell’attività di prevenzione, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1975,

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Nella prima categoria rientrano coloro che, «operanti in gruppo o isolatamente, pongano in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti a sovvertire l’ordinamento dello Stato»92 attraverso la commissione di una serie di gravi reati tassativamente elencati, come, ad esempio, i delitti di strage (art. 422 c.p.p.), di banda armata (art. 306 c.p.), di sequestro di persona semplice o a scopo di estorsione (artt. 605 e 630 c.p.).

La seconda e la terza categoria sono accomunate dalla finalità di prevenire un’eventuale restaurazione del regime fascista, comprendendo, da un lato, coloro che abbiano fatto parte delle associazioni politiche disciolte ai sensi della legge del 20 giugno 1952, n. 64593, «nei confronti dei quali debba ritenersi, per il comportamento successivo, che continuino a svolgere una attività analoga a quella precedente»94 e, dall’altro, coloro che «compiano atti

preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti alla ricostruzione del partito fascista», in

particolare attraverso «l’esaltazione o la pratica della violenza»95.

Con la quarta categoria il legislatore ha inteso colpire coloro che, dopo essere stati

condannati per alcuni delitti in materia di armi, siano ritenuti, «per il loro comportamento

successivo, […] proclivi a commettere delitti della stessa specie»96 con il fine di sovvertire l’ordinamento dello Stato.

A chiusura di questa elencazione, infine, è stata prevista l’applicabilità delle misure di prevenzione anche «agli istigatori, ai mandanti e ai finanziatori»97 delle suddette condotte.

La formulazione di queste fattispecie destò subito diversi problemi interpretativi. Su di essi sembra opportuno soffermarsi brevemente, se non altro per segnalare come essi si riflettino sui rapporti intercorrenti tra processo penale e processo di prevenzione e, in particolare, sul tipo di accertamento richiesto nel secondo.

Anzitutto, occorreva dare contenuto alla nozione di «atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti a…», contenuta sia nella prima, sia nella terza delle categorie sopra richiamate. Occorreva, in particolare, comprendere in che tipo di relazione queste nuove fattispecie preventive si ponessero con le diverse fattispecie di tentativo e di attentato già sanzionate dal codice penale.

92 Art. 18, co. 1, n. 1, l. 22 maggio 1975, n. 152 (corsivo aggiunto).

93 Si tratta della c.d. legge Scelba, recante «norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale

(comma primo) della Costituzione», disposizione che vieta la riorganizzazione del partito fascista.

94 Art. 18, co. 1, n. 2, l. 22 maggio 1975, n. 152.

95 Art. 18, co. 1, n. 3, l. 22 maggio 1975, n. 152, da cui è tratta anche la precedente citazione (corsivo aggiunto).

96 Art. 18, co. 1, n. 4, l. 22 maggio 1975, n. 152.

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A pochi anni dall’entrata in vigore della legge Reale, la Corte costituzionale intervenne proprio su questo tema, allorché, con una nota pronuncia98, dichiarò infondata una questione di legittimità sollevata con riferimento alle fattispecie preventive di cui all’art. 18, co. 1, n. 1, sospettate di violare il principio di precisione imposto dall’art. 25, co. III, della Costituzione.

In quell’occasione, il giudice delle leggi chiarì che la linea di demarcazione tra le fattispecie preventive portate alla sua attenzione e le “corrispondenti” fattispecie penalmente rilevanti risiedesse proprio nella distinzione tra atti preparatori, da un lato, e atti

esecutivi, dall’altro. Secondo la Consulta, infatti, solo questi ultimi avrebbero potuto

integrare gli estremi del delitto tentato ex art. 56 c.p.99.

Senza soffermarci oltre sulle riflessioni dottrinali maturate attorno a queste fattispecie, basti qui rilevare che, seguendo l’impostazione suggerita dalla Corte costituzionale, e successivamente accolta anche nella giurisprudenza di legittimità100, si può dire che queste due nuove categorie di soggetti destinatari non avevano generato sovrapposizioni tra procedimento di prevenzione e processo penale, essendo le condotte integranti la “fattispecie preventiva” diverse da quelle penalmente rilevanti.

A tal proposito, è utile richiamare l’attenzione su di un passaggio conclusivo della pronuncia appena menzionata, con cui la Consulta affermò che «gli atti preparatori di cui all’art. 18, n. 1, della legge n. 152 del 1975 in tanto possono venire in considerazione per l’applicazione di misure di prevenzione in quanto non costituiscano figure autonome di

98 Ci si riferisce alla nota sentenza Corte cost., 16 dicembre 1980, n. 177, su cui ci si soffermerà ampiamente

infra, par. 5.1.

99 Cfr. Corte cost., 16 dicembre 1980, n. 177: «Ciò perché “atti idonei diretti in modo non equivoco a

commettere un delitto” possono essere esclusivamente atti esecutivi, in quanto se l’idoneità di un atto può denotare al più la potenzialità dell’atto a conseguire una pluralità di risultati, soltanto dall’inizio di esecuzione di una fattispecie delittuosa può dedursi la direzione univoca dell’atto stesso a provocare proprio il risultato criminoso voluto dall’agente […] Si può dunque dire che la distinzione tra tentativo punibile ed atto preparatorio è certamente percepibile e che l’atto preparatorio consiste in una manifestazione esterna del proposito delittuoso che abbia un carattere strumentale rispetto alla realizzazione, non ancora iniziata, di una

figura di reato». In dottrina, nello stesso senso cfr. E. GALLO, voce Misure di prevenzione, cit., p. 16; M.

PAVARINI, Il «socialmente pericoloso» nell’attività di prevenzione, cit., p. 448; P. PETTA, Le nuove norme per la

repressione e la prevenzione di attività eversive (legge 22 maggio 1975, n. 152), in Giur. Cost., 1975, pp. 2798-2799.

Sul punto v. anche G. MARINUCCI –E.DOLCINI, Corso di diritto penale, II ed., Giuffè, Milano, 2001, p. 585.

100 Cfr. Cass. pen, Sez. I, 27 marzo 1984, n. 731, citata in A. BALSAMO, Le modifiche in materia di misure di

prevenzione e di espulsione degli stranieri, in Il nuovo ‘pacchetto’ antiterrorismo, R. Kostoris – F. Viganò (a cura di),

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reato»101. Con queste parole, si era voluto tracciare una netta distinzione tra la funzione del procedimento di prevenzione e quella del processo penale, il primo dovendosi caratterizzare per un differente “thema probandum” e non, semplicemente, per un accertamento meno rigoroso.

Anche la seconda fattispecie di pericolosità sopra menzionata presentò subito profili di criticità, avendo il legislatore fatto riferimento allo svolgimento di un’attività analoga102 a quella prima svolta dai membri di associazioni fasciste già disciolte. In particolare, ancora una volta ci si è posti un problema di “interferenza” con altre fattispecie penalmente rilevanti, atteso che l’art. 2, l. 20 giugno 1952, n. 645 punisce la partecipazione a qualsiasi gruppo che persegua «finalità antidemocratiche proprie del regime fascista»103 con le modalità di cui all’art. 1 della stessa legge. Tuttavia, pure in questo caso una parte della dottrina è riuscita a conferire una propria autonomia alla fattispecie preventiva, ritenendola integrata dalla condotta del singolo che — da solo o con un gruppo di persone inferiori a cinque (numero minimo di soggetti richiesto dalla fattispecie penale) — compia manifestazioni esteriori di carattere fascista, senza però commettere alcuna delle condotte tipizzate in fattispecie penali dalla legge Scelba104.

La quarta categoria, invece, richiedendo una sentenza di condanna per determinati reati, determinò un avvicinamento dei presupposti delle misure di prevenzione a quelli propri delle misure di sicurezza.

3.2.2. La nascita delle misure patrimoniali

Con la legge Reale nacque la prima misura di prevenzione di carattere patrimoniale, vale a dire la “sospensione provvisoria dall’amministrazione dei beni personali”105, da cui è derivata l’odierna “amministrazione giudiziaria dei beni personali”106. Tale misura poteva

101 Corte cost., 16 dicembre 1980, n. 177. Sul punto cfr. anche P. NUVOLONE, voce Misure di prevenzione e

misure di sicurezza, cit., p. 647, il quale sottolinea che, rispetto agli “atti preparatori”, «le misure di prevenzione

possono effettivamente avere un carattere di misure “ante delictum”, in armonia con la Costituzione».

102 Tra gli Autori che criticano il riferimento all’analogia in una materia incidente sulla libertà personale cfr.

D. PETRINI, La prevenzione inutile, cit., p. 210.

103 Cfr. art. 1 l. 20 giugno 1952, n. 645, cui fa rinvio l’art. 2.

104 Cfr. E. GALLO, voce Misure di prevenzione, cit., p. 15; G. FIANDACA, voce Misure di prevenzione (profili

sostanziali), cit., p. 125; F. MAZZACUVA, Le persone pericolose e le classi pericolose, in AA.VV., Misure di prevenzione, S. FURFARO (a cura di), Utet, Torino, 2013, p. 113. Sul punto cfr. infra, cap. II, sez. I, par. 3.4.3.

105 Artt. 22-24, l. 22 maggio 1975, n. 152.

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essere disposta sia congiuntamente alla sorveglianza speciale della pubblica sicurezza, sia in via esclusiva, laddove il giudice la ritenesse «sufficiente ai fini di tutela della collettività»107.

Con essa si affidava a un curatore l’amministrazione dei beni personali del soggetto destinatario, la cui disponibilità era ritenuta, sulla base di «sufficienti indizi», idonea ad agevolare «la condotta, il comportamento o l’attività socialmente pericolosa»108 tipica della categoria soggettiva nella quale egli era stato ricondotto109.

Dall’ambito applicativo di questa misura erano però esclusi i beni destinati all’attività professionale o produttiva, e in ciò attenta dottrina vide subito il più grande limite del neonato istituto, dal momento che, in questo modo, si consentiva di mantenere la disponibilità proprio «dei beni più “pericolosi”», in quanto più esposti ad attività di riciclaggio110.

3.2.3. Le novità riguardanti il procedimento. In particolare: alcune “prove” di assimilazione tra processo penale e processo di prevenzione

Quanto alle novità che la legge “Reale” apportò in tema di procedimento, si deve anzitutto segnalare che gli artt. 18 e 19 estesero tutte le disposizioni contenute nella legge “antimafia” del 1965111 sia alle categorie soggettive appena “coniate”112, sia a quelle di cui all’art. 1, nn. 2, 3 e 4 della legge Tambroni del 1956113. Di tutti i possibili destinatari delle misure di prevenzione, rimanevano quindi esclusi da questa estensione soltanto gli oziosi e i vagabondi, da un lato, e «coloro che svolgono abitualmente altre attività contrarie alla morale pubblica e al buon costume», dall’altro. Nei confronti degli altri – dai c.d. pericolosi

generici sino ai nuovi “sovversivi” – divenivano applicabili le disposizioni che un decennio

prima erano state introdotte per contrastare gli indiziati di appartenere ad associazioni

107 Art. 22, l. 22 maggio 1975, n. 152.