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La prevenzione nel Regno d’Italia

3.1. Dalla protezione della ricchezza al contrasto del brigantaggio: nasce il domicilio coatto

Il paradigma della prevenzione si innovò e si inasprì profondamente poco tempo dopo, nel 1863, vale a dire a soli due anni dalla proclamazione del Regno d’Italia.

L’Italia Unita necessitava di essere salvaguardata e proprio verso tale obiettivo si diresse la legge Pica del 15 agosto 1863, n. 1409, che – nata anch’essa come legge temporanea ed eccezionale44 – introdusse severissime pene per i “briganti”45.

Al di là delle significative novità repressive, si deve a questo provvedimento la nascita del “domicilio coatto”, senz’altro «la più grave tra le misure preventive»46, il cui contenuto “minimo” consisteva «nella dimora obbligatoria, secondo certe regole e discipline, in un luogo designato»47. Il “domicilio coatto”, che in epoca fascista sarà sostituito dal “confino di polizia”48, può essere considerato un lontano antenato dell’odierno “obbligo di soggiorno”, misura applicabile assieme alla “sorveglianza speciale di pubblica sicurezza”49.

L’art. 5 della legge Pica riconobbe al Governo la «facoltà di attribuire un domicilio coatto» – per la durata massima di un anno50 – a diverse categorie di soggetti: non soltanto agli oziosi e ai vagabondi, ma anche ai “camorristi”, agli individui sospetti di essere loro

44 L’art. 1 della legge Pica stabiliva che la stessa avrebbe dovuto trovare applicazione sino al 31 dicembre 1863

e nelle sole «province infestate dal brigantaggio» e dichiarate tali con Decreto Reale.

45 L’art. 2 della legge Pica prevedeva la fucilazione per «i colpevoli del reato di brigantaggio, i quali armata

mano oppongono resistenza alla forza pubblica».

46 Cfr. G. CORSO,L’ordine pubblico, cit., p. 269.

47 F. CARFORA, voce Domicilio coatto, in Digesto Italiano, IX, Torino, 1902, p. 719.

È appena il caso di osservare che il domicilio coatto rappresentava una misura ben più afflittiva del divieto di «stabilire domicilio» in determinate città, che aveva fatto la propria comparsa con la legge sulla pubblica sicurezza n. 3720 del 1859 (art. 91) e che il governatore della provincia poteva disporre nei confronti degli oziosi e dei vagabondi. Quest’ultima misura può essere considerata un’antenata dell’odierno “foglio di via obbligatorio”, disciplinato dall’art. 2, d.lgs. 159/2011.

48 Cfr. infra, par. 4.2.

49 Cfr. infra, sez. II, par. 2.1. V. anche infra, cap. II, sez. III, par. 2.3.

50 Occorre però tenere conto dell’art. 28 del regolamento per l’esecuzione dell’art. 5 della legge 15 agosto

1863, approvato il 25 agosto 1863, n. 1424, ai sensi del quale i periodi di tempo trascorsi in carcere «per qualsiasi titolo» non venivano computati nella durata del domicilio coatto.

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complici (c.d. «manutengoli») e, più in generale, «alle persone sospette, secondo la designazione del Codice penale».

Viene immediato osservare come si ebbe, con questo provvedimento, un primo mutamento di “pelle” degli obiettivi propri delle misure di polizia. Al bisogno di proteggere la proprietà si affiancò, in quel momento storico, l’esigenza di tutelare il «nuovo ordine»51

da forme di pericolosità che avrebbero potuto turbarlo. Esigenza, questa, che spinse a delineare un procedimento ancor meno garantito di quello esaminato nel paragrafo precedente.

Le disposizioni dedicate alle “forme” del procedimento erano infatti alquanto scarne. L’attribuzione del potere di assegnazione del domicilio coatto al potere esecutivo era controbilanciata dalla necessità di ottenere previamente il parere di una giunta. Tuttavia, per cogliere la reale incisività di questa garanzia occorre considerare, da un lato, che si trattava di parere non vincolante e, dall’altro, che i componenti della giunta erano in prevalenza di nomina governativa52. Una volta dichiarato applicabile il domicilio coatto, poi, il luogo in cui il soggetto avrebbe dovuto soggiornare veniva individuato dal Ministero dell’Interno53.

Scaduto il termine di validità della legge Pica, il 7 febbraio 1864 fu approvata la legge n. 166154, c.d. Peruzzi, che, pur ricalcando in gran parte l’impianto della prima, portò con sé alcune novità.

Se da un lato la disciplina del domicilio coatto subì un inasprimento, in quanto la durata massima fu aumentata a due anni, dall’altro ad esso si accompagnò l’introduzione di qualche garanzia procedimentale. Infatti, si previde espressamente che la giunta55 dovesse «assumere le informazioni opportune» e «sentire personalmente i denunziati»56; inoltre, il parere della stessa giunta divenne vincolante per l’esecutivo57.

51 Cfr. I. MEREU,Cenni storici sulle misure di prevenzione nell’Italia «liberale» (1852-1894), cit., p. 297.

52 Ne facevano parte il prefetto, il presidente del Tribunale, il procuratore del Re e due consiglieri provinciali.

53 Cfr. art. 3 del regolamento per l’esecuzione dell’art. 5 della legge 15 agosto 1863, approvato il 25 agosto

1863, n. 1424.

54 Questa legge fu pubblicata nella Gazzetta ufficiale del 9 febbraio 1864, n. 34.

55 La formazione della giunta subì una variazione, in quanto l’art. 10 della legge “Peruzzi” previde che i due

consiglieri provinciali venissero nominati dagli altri tre componenti, e cioè dal prefetto, dal presidente del Tribunale del circondario del capoluogo della provincia e dal regio procuratore presso il medesimo Tribunale.

56 Cfr. art. 10, co. 2, l. 7 febbraio 1864, n. 1661.

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3.2. La legge di pubblica sicurezza del 1865 per tutto il Regno d’Italia e il successivo uso “politico” delle misure ante delictum

L’unificazione amministrativa del Regno d’Italia si realizzò con l’approvazione della legge 20 marzo 1865, n. 2248, il cui allegato B conteneva le disposizioni relative alla pubblica sicurezza. In questo testo normativo “ordinario” fece ingresso anche il domicilio coatto, che la legge Pica aveva introdotto in via eccezionale e temporanea58.

Per quanto concerne l’ammonizione – vero e proprio «nerbo del sistema di prevenzione»59 – la procedura era alquanto sbrigativa e le garanzie difensive continuavano a essere assai limitate. Basti pensare che la persona sospetta non aveva neppure il diritto di consultare i verbali degli accertamenti svolti a suo carico60.

Soltanto in relazione agli oziosi e ai vagabondi si confermò che il giudice del mandamento dovesse «assumere ulteriori informazioni» ogni qualvolta la persona denunciata avesse contestato «l’ascrittagli oziosità o vagabondaggio», e questa volta anche in caso di denuncia proveniente da Ufficiali o Carabinieri Reali. Tuttavia, la portata di tale previsione non deve, neanche questa volta, essere sopravvalutata: era infatti sufficiente che il giudice ritenesse false le allegazioni del denunciato perché la necessità di ulteriori indagini venisse meno61.

Questa disciplina diede luogo a numerosi «abusi»62, in quanto spesso i pretori ammonivano – e talora, come risulta dalla giurisprudenza dell’epoca, sulla base di moduli precompilati – non perché convinti della «verità della imputazione», ma per il solo fatto che il denunciato «non si era rilevato dall’addebito»63.

Assai significative, a tal proposito, sono le parole con cui un deputato, nel corso di una discussione parlamentare del 23 giugno 1881, lamentò l’inesistenza di un giudizio che accertasse la fondatezza dell’accusa: «ex informata conscientia, un pretore può dire che conosce la vita della persona ammonita, mentre non conosce forse neppure il suo nome»64.

58 Cfr. F. VERONA, Oziosi e vagabondi…, cit., p. 42.

59 Cfr. G. NEPPI MODONA –L.VIOLANTE, Poteri dello stato e sistema penale. Corso di lezioni universitarie, Editrice

Tirrenia-Stampatori, Torino, 1978, p. 492.

60 Cfr. G. AMATO,Individuo e autorità nella disciplina della libertà personale, Giuffrè, Milano, 1967, p. 232.

61 Cfr. art. 70, co. 2, l. 20 marzo 1865, n. 2248.

62 Così F. VERONA,Oziosi e vagabondi…, cit., p. 40.

63 Per questa e la precedente citazione cfr. B.PAOLI, Rendiconto sulla amministrazione della giustizia, Tipografia

del R. Istituto dei sordo-muti, Genova, 1877, p. 20.

64 Cfr. l’intervento dell’onorevole Villa, Atti Del Parlamento Italiano - Discussioni della Camera dei Deputati, XIV

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Gli anni successivi alla nascita del Regno d’Italia furono caratterizzati da una grande instabilità politica. In questo clima emergenziale, a partire dal 1866 – anno della terza guerra di indipendenza – si ebbe una progressiva estensione dei soggetti passibili delle misure di prevenzione.

Quanto al domicilio coatto, con il R.D. 17 maggio 1866, n. 2907, divenne possibile disporne l’applicazione nei confronti delle «persone per cui ci sia fondato motivo di giudicare che si adoperino per restituire l’antico stato delle cose o per nuocere in qualunque modo all’Unità d’Italia e alle sue libere istituzioni»65, vale a dire dei “nemici dell’Unità”66. Nacque, così, quello che la dottrina battezzò come domicilio coatto “politico”67, per differenziarlo da quello “comune” in ragione del particolare tipo di pericolosità che mirava a neutralizzare68, il quale rimarrà in vita sino al 1889, per poi essere nuovamente introdotto – sotto nuove vesti – nel 189469.

Quanto, invece, all’ammonizione, nel 1871 vennero inclusi, tra i possibili destinatari,

tutti i diffamati per crimini o delitti, non solo contro la proprietà, ma anche contro le

persone. Un’ampiezza, questa, che finì per assecondare un uso “politico” della misura70, alla quale si iniziò a fare ricorso per colpire, ad esempio, soggetti attivi all’interno del movimento dell’Internazionale71.

3.3. La legge di pubblica sicurezza del 1889: una prima “giurisdizionalizzazione” L’emanazione della legge di pubblica sicurezza del 188972 e la coeva promulgazione del codice penale Zanardelli rappresentarono, da più punti di vista, un momento di svolta nell’evoluzione del sistema delle misure preventive. Sistema che, peraltro, in un certo senso vide accrescere la propria autonomia: l’esigenza di salvaguardare la «“purezza” del sistema penale»73 fece sì che fattispecie quali oziosità e vagabondaggio abbandonassero

65 Cfr. art. 3 R.D. 2907/1866.

66 Cfr. D. FOZZI, Tra prevenzione e repressione. Il domicilio coatto nell’Italia liberale, Carocci, Roma, 2010, p. 80.

67 Cfr. G. CORSO,L’ordine pubblico, cit., p. 269 ss. e L. LACCHÈ, Uno “sguardo fugace”…, cit., p. 420.

68 Secondo D. PETRINI, La natura giuridica delle misure di prevenzione, in Quaderni del Consiglio Superiore della

Magistratura, 1998, n. 104, p. 16, proprio questo “uso politico” del domicilio coatto ha consentito alle misure

di prevenzione di resistere alle critiche e alle proposte di abolizione.

69 Cfr. infra, par. 3.4.

70 Cfr. G. CORSO, L’ordine pubblico, cit., p. 265.

71 Cfr. L. LUCCHINI, voce Ammonizione, cit., p. 45.

72 Il testo della legge di pubblica sicurezza del 23 dicembre 1888, n. 5888, fu approvato con R.D. 30 giugno

1889, n. 6144.

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definitivamente il codice penale, per via del loro attrito con il principio di legalità74; da quel momento, le stesse fattispecie giustificarono solo interventi preventivi75.

Il dibattito parlamentare che precedette l’approvazione di questa legge fu animato da aspre critiche nei confronti, soprattutto, dell’ammonizione, definita «odiosissimo istituto» per varie ragioni: perché si reggeva sul “sospetto” e su un’inversione dell’onere della prova; perché tendeva a emarginare ancor di più il soggetto destinatario, rendendogli difficile la ricerca di un’occupazione lavorativa, e dunque ottenendo un risultato opposto rispetto a quello sperato; perché se ne abusava al fine di colpire gli avversari politici, grazie anche al fatto che il pretore non si trovava in una posizione di indipendenza dal potere esecutivo76. Lo stesso Francesco Crispi, allora Presidente del Consiglio dei ministri, si dichiarò non entusiasta dell’ammonizione; ciononostante, si schierò comunque a favore del suo mantenimento, sia perché essa era ormai «entrata nelle abitudini italiane», sia perché, «perdurando le non buone condizioni della sicurezza», sarebbe stato «imprudente avventurarsi nell’esperimento politico di una pronta abolizione che svincolasse tutta la massa degli ammoniti»77.

Così, la legge di pubblica sicurezza del 1889, munendosi di un’impostazione più organica rispetto alle leggi precedenti, oltre a mantenere in vita il rimpatrio con foglio di via obbligatorio o per traduzione a mezzo della forza pubblica, dedicò tre distinti capi del titolo III rispettivamente all’ammonizione, alla vigilanza speciale della pubblica sicurezza e al domicilio coatto78.

Tale atteggiamento “conservativo” fu accompagnato, però, da un maggiore sforzo definitorio in relazione ai possibili destinatari dell’ammonizione, nonché da un tangibile innalzamento delle garanzie procedimentali, volto a “imbrigliare” l’«agilità amministrativa»79 che fino ad allora ne aveva caratterizzato l’applicazione.

74 Cfr. D. PETRINI,La prevenzione inutile…, cit., p. 12 ss.

75 Cfr. A. M. MAUGERI, I destinatari delle misure di prevenzione tra irrazionali scelte criminogene e il principio di

proporzione, in La giustizia penale preventiva. Ricordando Giovanni Conso, Giuffrè, Milano, 2016, p. 28.

76 Cfr. in particolare l’intervento dell’onorevole Costa, in Atti Del Parlamento Italiano - Discussioni della Camera

dei Deputati, XVI Legislatura - Volume V, tornata del 16 novembre 1888, Tipografia Camera dei Deputati, Roma,

1888, p. 5266.

77 La citazione è riportata in G. CORSO, L’ordine pubblico, cit., p. 266.

78 In precedenza, invece, le leggi di pubblica sicurezza dedicavano autonomi titoli alle singole classi di persone

pericolose e fra queste disposizioni andavano ricercate le misure loro applicabili. Secondo F. VERONA,Oziosi

e vagabondi…, cit., p. 62 la nuova tecnica legislativa fu figlia della preoccupazione «di oggettivare per quanto

possibile gli istituti nomativi, per poter dare corpo giuridico al principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge».

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Quanto al primo profilo, si richiese che gli oziosi e i vagabondi fossero «abituali, validi al lavoro, e non provveduti dei mezzi di sussistenza»80, mentre per essere considerati “diffamati” non era più sufficiente la “voce pubblica”, ma occorreva altresì essere stati già “giudicati” – indipendentemente dall’esito del giudizio, che poteva essersi concluso anche con sentenza assolutoria – per determinati titoli di reato tassativamente elencati81.

Quanto al procedimento, le novità furono molteplici e tutte dirette a far apparire più “accettabile” il mantenimento di questi istituti.

Anzitutto, la competenza a pronunciare l’ammonizione fu attribuita al presidente del Tribunale, magistrato che, a differenza del pretore, godeva della garanzia dell’inamovibilità prevista dall’art. 69 dello Statuto albertino.

Inoltre, la denuncia doveva necessariamente provenire dal «capo dell’ufficio di pubblica sicurezza della provincia o del circondario»82, e non più da qualsiasi carabiniere o ufficiale di sicurezza pubblica83.

Ricevuta la denuncia, il giudice doveva provvedere a sommarie indagini preliminari e, entro cinque giorni, chiamare «innanzi a sé l’imputato con mandato di comparizione», comunicandogli un’«esposizione succinta dei fatti», nonché la «facoltà di presentare prove a discarico»84.

Ancora, divenne possibile farsi assistere da un difensore85, riconoscendosi così per la prima volta il diritto alla difesa “tecnica” «nelle materie di polizia»86.

Infine, contro l’ordinanza di ammonizione venne espressamente ammesso il reclamo per incompetenza e per violazione di legge, deciso da un consigliere di appello e con effetto sospensivo del provvedimento di primo grado87.

Le prescrizioni imposte all’ammonito furono da un lato inasprite88, dall’altro in parte diversificate in base al tipo di “pericolosità”: gli oziosi e i vagabondi avrebbero dovuto «darsi, in un conveniente termine, al lavoro» e «fissare stabilmente la propria dimora»89, mentre ai diffamati per gravi delitti veniva ordinato «di vivere onestamente; di rispettare le persone e

80 Cfr. art. 94 R.D. 30 giugno 1889, n. 6144.

81 Cfr. artt. 95 e 96 R.D. 30 giugno 1889, n. 6144.

82 Cfr. art. 94 R.D. 30 giugno 1889, n. 6144.

83 Come invece prevedeva l’art. 70 l. 20 marzo 1865, n. 2248.

84 Cfr. art. 97 R.D. 30 giugno 1889, n. 6144.

85 Cfr. art. 99, co. 2, R.D. 30 giugno 1889, n. 6144.

86 Cfr. F. VERONA,Oziosi e vagabondi…, cit., p. 63.

87 Cfr. art. 107 R.D. 30 giugno 1889, n. 6144.

88 Cfr. G. AMATO, Individuo e autorità…, cit., p. 250.

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le proprietà; di non dar ragione a sospetti»90. Inoltre, a entrambe le categorie veniva fatto divieto di abbandonare la propria dimora senza preventivo avviso all’autorità, di associarsi a persone pregiudicate, di ritirarsi la sera più tardi e di non uscire al mattino più presto di una data ora; di non portare armi e di non trattenersi abitualmente nelle «osterie, bettole o case di prostituzione»91.

Tutti questi vincoli davano vita a una fitta rete in cui era assai facile rimanere “impigliati” e che rappresentava, per l’ammonito, solo l’inizio di una «spirale criminogena»92: la loro inosservanza veniva infatti punita con la pena detentiva e con la vigilanza speciale dell’autorità di pubblica sicurezza93, la quale, a sua volta, era fonte di ulteriori numerosi obblighi – in gran parte coincidenti con quelli derivanti dall’ammonizione – anch’essi penalmente sanzionati94.

Inoltre, in caso di doppia condanna per «contravvenzione alla ammonizione o alla vigilanza speciale»95 poteva altresì essere disposto il domicilio coatto.

Seppur in maniera meno incisiva96, anche quest’ultima misura conobbe un innalzamento delle garanzie procedimentali: contro l’ordinanza di assegnazione al domicilio coatto pronunciata dalla commissione provinciale fu ammesso il ricorso a una commissione di appello istituita presso il ministero dell’interno97 e nella composizione delle commissioni – in cui comunque continuavano a prevalere gli organi amministrativi – venne fatto spazio all’autorità giudiziaria98.

Gli «appesantimenti procedurali»99 sopra elencati, se da un lato contribuirono a legittimare il severo trattamento riservato, con questa nuova legge, agli ammoniti, dall’altro non allontanarono del tutto l’ombra del “sospetto” quale regola di giudizio, sebbene tale termine non comparisse in alcuna delle disposizioni dedicate all’ammonizione100.

90 Cfr. art. 104 R.D. 30 giugno 1889, n. 6144.

91 Cfr. art. 105 R.D. 30 giugno 1889, n. 6144.

92 Cfr. G. CORSO, L’ordine pubblico, cit., p. 268.

93 Cfr. art. 110 R.D. 30 giugno 1889, n. 6144.

94 Cfr. art. 120 R.D. 30 giugno 1889, n. 6144.

95 Cfr. art. 123, n. 1, R.D. 30 giugno 1889, n. 6144.

96 Cfr. infra, par. 3.4.

97 Cfr. art. 127 R.D. 30 giugno 1889, n. 6144.

98 Della commissione provinciale faceva parte anche il presidente del Tribunale (art. 125 R.D. 30 giugno

1889, n. 6144), mentre la commissione presso il ministero era composta anche da un consigliere di Stato, un consigliere di Corte di appello e un sostituto procuratore generale.

99 Così G. AMATO,Individuo e autorità…, cit., p. 249.

100 Salvo, come si è visto, che nella prescrizione del «non dare ragione a sospetti», la cui applicazione

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Come si è detto, anche una sentenza di assoluzione – unita a un’accusa proveniente dalla “voce pubblica” – era sufficiente per denunciare un soggetto all’autorità giudiziaria e quest’ultima, ove il denunciato non avesse provveduto ad «addurre testimonianze od altre giustificazioni»101, avrebbe pronunciato ordinanza di ammonizione.

In definitiva, si può concordare con quell’autorevole dottrina che ha ben messo in luce come «l’oggetto ultimo dell’accertamento» affidato al giudice fosse «di indole tanto sfuggente da rendere largamente inutili i meccanismi processuali tanto accuratamente predisposti»102.

3.4. Il “nuovo” domicilio coatto politico del 1894

Significative modifiche all’apparato preventivo furono apportate dalla legge del 19 luglio 1894, n. 316, la quale da un lato ne inasprì la disciplina, dall’altro introdusse nuove garanzie sul piano delle forme103. Ancora una volta, alle garanzie procedimentali fu affidato il compito di far apparire “sostenibile” la politica securitaria perseguita.

La grande tensione sociale che si respirava in quegli anni spinse Crispi ad adottare una sorta di “pacchetto legislativo” volto a contrastare la minaccia proveniente dagli anarchici104.

In particolare, si ebbe un “potenziamento” del domicilio coatto sotto un duplice profilo: da un lato venne estesa la platea dei possibili destinatari105, in modo da consentire, ancora una volta106, di colpire il dissenso politico e sociale107; dall’altro esso fu “sganciato” «dalle misure di prevenzione minori»108. E infatti, se la legge di pubblica sicurezza del 1889 rendeva possibile l’applicazione del domicilio coatto “comune” solo nei confronti di chi, già

ammonito o sottoposto alla vigilanza speciale, fosse stato raggiunto da due sentenze di

101 Cfr. art. 100 R.D. 30 giugno 1889, n. 6144.

102 Così G. AMATO,Individuo e autorità…, cit., p. 251.

103 Cfr. G. AMATO, Individuo e autorità…, cit., pp. 256-257.

104 Cfr. D. PETRINI, La prevenzione inutile, cit., pp. 12-13.

105 La legge del 1894 rese possibile applicare il domicilio coatto a coloro che avessero riportato una condanna

per reati contro l’ordine pubblico, l’incolumità pubblica o per reati commessi con materie esplodenti «quando sieno ritenuti pericolosi alla sicurezza pubblica» (art.1), nonché a coloro che avessero «manifestato il deliberato proposito di commettere vie di fatto contro gli ordinamenti statali» (art.3)

106 Cfr. supra, par. 3.2.

107 Cfr. G. NEPPI MODONA –L.VIOLANTE, Poteri dello stato e sistema penale…, cit., p. 496.

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condanna di un certo tipo109, il “nuovo” domicilio coatto politico poteva essere disposto anche in assenza di una previa sottoposizione all’ammonizione.

Per compensare la durezza del nuovo istituto, di cui in Parlamento si criticò soprattutto l’indeterminatezza dell’«estremo giuridico per l’applicazione [della] qualifica di pericoloso»110, il governo – oltre a prevedere una durata assai limitata, sino al 31 dicembre 1895111 – delineò un procedimento molto simile a quello che era stato introdotto pochi anni prima per l’ammonizione112.

In questo modo, il domicilio coatto politico ricevette una disciplina decisamente più garantita rispetto a quella prevista per il domicilio coatto comune dalla legge di pubblica sicurezza del 1889, le cui disposizioni al riguardo erano così laconiche da non consentire neppure di ricavare «il modo come le commissioni ven[issero] investite di giurisdizione» e «il modo secondo il quale colui che [era] denunziato pel domicilio coatto p[otesse] far valere le sue giustifiche»113.

Queste, in breve, le peculiarità. La “proposta” poteva essere avanzata solo dal «capo dell’ufficio provinciale di pubblica sicurezza» e doveva essere presentata al prefetto, il quale, prima di trasmetterla alla commissione competente, poteva richiedere maggiori informazioni114. Al denunciato venne riconosciuto il diritto di essere sentito personalmente e, a tal fine, l’atto di citazione doveva essergli notificato almeno tre giorni prima della data