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La legge Rognoni-La Torre del 1982

DALLA COSTITUZIONE A OGGI

4. La legge Rognoni-La Torre del 1982

All’inizio degli anni ’80, il sistema delle misure di prevenzione conobbe uno dei più significativi momenti di svolta, segnato dall’entrata in vigore della legge 13 settembre 1982, n. 646, nota come legge Rognoni-La Torre.

Nell’anno in cui il parlamentare Pio La Torre e il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa vennero uccisi per mano mafiosa, il legislatore diede prova della propria intenzione di contrastare la mafia con maggiore razionalità ed efficacia123.

È con questa legge che vide la luce la confisca di prevenzione, con la quale il legislatore si proponeva di colpire la mafia nei suoi ingenti patrimoni, definiti «l’arma più efficace del mafioso per sfuggire alla giustizia attraverso l’omertà, le collusioni con gli apparati pubblici e privati, l’intimidazione, il conseguimento di rilevanti subappalti, ecc…»124. La nascita di

122 Cfr. M. NOBILI, L’accertamento del fatto nei processi contro la mafia e la nuova normativa del settembre 1982, in

Cass. pen., 1984, p. 1023.

123 Cfr. R. BERTONI, La legge antimafia dopo tre anni tra limiti della giustizia e carenze della politica, in AA.VV., La

legge antimafia tre anni dopo. Bilancio di un’esperienza applicativa, G. Fiandaca – S. Costantino (a cura di), Franco

Angeli Libri, Milano, 1986, p. 279.

124 Così si legge nel disegno di legge presentato il 20 novembre 1981 dal Ministro dell’interno Rognoni di

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questa nuova misura segnò una radicale trasformazione del sistema preventivo. Come è stato osservato in dottrina, da questo momento «non è più la povertà ad essere il presupposto della pericolosità», bensì la ricchezza ritenuta di provenienza illecita125.

La legge Rognoni – La Torre, però, conteneva anche un’altra significativa novità, ai nostri fini ancor più rilevante rispetto alla nascita della confisca. Ci si riferisce all’introduzione della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 416-bis c.p. (“associazione di tipo mafioso”), che richiese agli interpreti lo sforzo di ricostruire i rapporti esistenti tra procedimento di prevenzione e processo penale, dal momento che, sino ad allora, il riferimento alle associazioni mafiose era comparso esclusivamente nella “fattispecie preventiva” introdotta nel 1965126. Una novità, questa, che a un rapido sguardo sull’evoluzione del sistema preventivo potrebbe sfuggire, perché messa “in ombra” dalla contestuale introduzione della confisca di prevenzione, ma che merita tutte le attenzioni dell’interprete.

4.1. Il nuovo reato di “associazione di tipo mafioso”: un momento centrale nella progressiva sovrapposizione tra processo penale e processo di prevenzione

L’art. 416-bis c.p. fu introdotto dall’art. 1 della legge Rognoni-La Torre. Scopo dichiarato della nuova fattispecie incriminatrice era quello di «colmare una lacuna legislativa», dal momento che il già esistente delitto di “associazione per delinquere” si era rivelato insufficiente «a comprendere tutte le realtà associative di mafia, che talvolta prescindono da un programma criminoso»127, elemento indispensabile ex art. 416 c.p.

Così, l’art. 416-bis c.p., nella sua versione originaria, definì «di tipo mafioso» quell’associazione i cui partecipi «si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva» non solo per commettere delitti, ma anche «per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o

“Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazioni alla legge 27 dicembre 1956, n. 1423”, p. 2.

125 Cfr. C. MACRÌ –V.MACRÌ, La legge antimafia. Commento articolo per articolo della l. 646/1982 integrata dalle

ll. 726 e 936/1982, Jovene Editore, Napoli, 1983, p. 90. Analoghe considerazioni si rinvengono, più di

recente, in M. F. CORTESI, Le misure personali, in La giustizia penale preventiva. Ricordando Giovanni Conso,

Giuffrè, Milano, 2016, p. 196.

126 Cfr. supra, par. 3.1.1.

127 Per questa e per la precedente citazione cfr. la Proposta di legge d’iniziativa dei deputati La Torre e altri,

presentata il 31 marzo 1980, n. 1581, recante «norme di prevenzione e repressione del fenomeno della mafia e costituzione di una Commissione parlamentare permanente di vigilanza e controllo», p. 2 (corsivo aggiunto).

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comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri».

Come è stato osservato in dottrina, nel delineare la fattispecie de qua il legislatore si sforzò di tradurre in linguaggio giuridico concetti elaborati sul terreno dell’indagine “storico-sociologica”, prima, e «nella prassi applicativa delle misure di prevenzione»128, poi. Così, quelle che in un primo momento erano «situazioni “gestite” a livello di misure di prevenzione», da qui in poi divennero «materia di jus dicere»129.

Con la stessa legge, peraltro, anche la formulazione della fattispecie preventiva subì una rimodulazione, passandosi da «indiziati di appartenere ad associazioni mafiose» a «indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra o ad altre associazioni, comunque localmente denominate, che perseguono finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso»130.

Di fronte a questo scenario occorreva comprendere in quale relazione si ponessero la fattispecie preventiva e quella repressiva. Il tema – come si vedrà nel prossimo capitolo – si è trascinato sino ai giorni nostri, e proprio di recente vi è stata, in proposito, una presa di posizione da parte delle Sezioni Unite131.

In questa sede, basti segnalare che la pressoché totale sovrapponibilità tra le formulazioni delle due fattispecie132 indusse gli interpreti a ravvisare la principale nota

128 Così G. FIANDACA,L’associazione di tipo mafioso nelle prime applicazioni giurisprudenziali, in AA.VV., La legge

antimafia tre anni dopo…, cit., p. 26. Sul punto v. anche G. FIANDACA, Criminalità organizzata e controllo penale, in Ind. pen., 1991, pp. 20-21, ove l’Autore ricollega la vaghezza della nuova fattispecie incriminatrice al

«decisivo influsso della prassi preesistente». Sul punto v. anche A. GIALANELLA, Il punto sulla questione

probatoria nelle misure di prevenzione antimafia, in Quest. Giust., 1994, p. 781.

129 Cfr. M. NOBILI, L’accertamento del fatto nei processi contro la mafia…, cit., p. 1021, da cui è tratta anche la

precedente citazione.

130 Art. 13, l. 13 settembre 1982, n. 646.

131 Cfr. infra, cap. II, sez. I, par. 3.2.1.

132 Sul punto si veda R. BERTONI, La legge antimafia dopo tre anni…, cit., p. 309, il quale osserva che, stando a

un’interpretazione letterale della fattispecie preventiva, era ancora possibile riconoscerle un – seppur del tutto marginale – spazio di autonomia rispetto a quella penale, relativamente alle ipotesi «di associazioni che agiscono con metodi o (e non e) per finalità mafiose» (corsivi aggiunti per mettere in luce l’importanza assegnata alla disgiunzione). Ciò rilevato, l’Autore così prosegue: «Ne deriva che comunque i presupposti dell’uno e dell’altro procedimento coincidono per larghissima misura e che dunque, nella stragrande maggioranza dei casi, lo stesso presupposto è sufficiente a dar luogo al processo penale e a quello di prevenzione». Sulla possibilità di operare questa distinzione tra fattispecie preventiva e fattispecie repressiva

cfr. anche R. BERTONI, Rapporti sostanziali e processuali tra associazione mafiosa e fattispecie di prevenzione, in Cass.

pen., 1986, p. 1883 e C. MACRÌ –V.MACRÌ, La legge antimafia. Commento articolo…, cit. pp. 82-83. Propende

invece per la perfetta identità tra le due fattispecie G. TESSITORE, Commenti articolo per articolo, l. 13/9/1982

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distintiva tra sede penale e sede preventiva nel differente «quantum di prova»133

rispettivamente richiesto per l’irrogazione di una pena o per l’applicazione di una misura di prevenzione, e conseguentemente a denunciare da subito il rischio che il primo potesse scivolare “a vele spiegate” verso il mero sospetto134.

La nascita di questa sovrapposizione tra fattispecie rappresenta, ad avviso di chi scrive, un momento davvero cruciale nella trama della recente evoluzione delle misure di prevenzione. Guardando rapidamente alle categorie di soggetti destinatari sin qui incontrate, si può constatare che, nell’età repubblicana, il processo di prevenzione non aveva mai posseduto un “thema probandum” così simile a quello del processo penale. Vero è che alcune fattispecie preventive già richiedevano un collegamento con reati non accertati; tuttavia, si trattava di casi in cui il giudice doveva accertare la ricorrenza di un certo “stile di vita”, più che di singole condotte135. Da questo momento, invece, l’unica categoria costruita attraverso il paradigma che si apriva con la formula “indiziati di…” conobbe una corrispondente fattispecie penalmente rilevante, e condotte suscettibili di essere descritte in un unico capo d’imputazione potevano, al contempo, rappresentare l’oggetto di un processo di prevenzione.

Questa situazione non solo mise definitivamente in crisi l’idea – peraltro già ampiamente sbiadita – secondo cui le misure di prevenzione prescindevano dalla

133 Cfr. M. NOBILI, L’accertamento del fatto nei processi contro la mafia…, cit., p. 1021. V. anche F. CAPRIOLI,

Una pronuncia innovativa in tema di rapporti tra processo di prevenzione e processo penale per il reato di associazione mafiosa, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1988, pp. 1186-1187; G. FIANDACA, La prevenzione antimafia tra difesa sociale

e garanzie di legalità, in Foro it., 1987, c. 366; P. MANGANO, La confisca nella legge 13 settembre 1982 n. 646 e i

diritti dei terzi, in Ind. Pen., 1987, p. 649; G. TESSITORE, Spunti di riflessione sui rapporti tra processo penale e

procedimento di prevenzione nella nuova legge antimafia, in Foro it., 1984, V, c. 252 ss. Per un approfondito esame

della tematica cfr. A. BARGI, L’accertamento della pericolosità nelle misure di prevenzione. Profili sistematici e rapporti

con il processo penale, Jovene Editore, Napoli, 1988, p. 77, il quale precisava che fra le due fattispecie

intercorreva un ulteriore elemento distintivo, nel processo di prevenzione dovendosi accertare anche la “pericolosità” del soggetto.

134 Cfr. F. BRICOLA, Commenti articolo per articolo, l. 13/9/1982 n. 646 («norme antimafia»), Premessa, cit., pp.

240, 252.

Per completezza, si deve segnalare che, secondo l’opinione prevalente in dottrina, in sede preventiva si sarebbe potuto accertare in via indiziaria soltanto l’appartenenza del soggetto a un’associazione di tipo mafioso, mentre

l’esistenza dell’associazione stessa doveva risultare pienamente provata; cfr., ad esempio, G. TRAVAGLINO, La

prova dell’esistenza dell’associazione mafiosa nel procedimento penale e di prevenzione, in Giust. Pen., 1995, III, p. 186;

A. GIALANELLA, Il punto sulla questione probatoria nelle misure di prevenzione antimafia, cit., p. 791.

135 In questi termini R. BERTONI, Prime considerazioni sulla legge antimafia, in Cass. pen., 1983, pp. 1024-1025,

il quale, all’indomani dell’entrata in vigore della legge Rognoni-La Torre, osservava che solo per le fattispecie diverse da quella degli indiziati di appartenere ad associazioni mafiose il processo penale e il procedimento di prevenzione presentavano una diversa «tematica probatoria», dal momento che, anche quando si colpivano soggetti «ritenuti possibili autori di reati», la legge faceva riferimento «a un sistema di vita».

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commissione di un reato136, ma, soprattutto, creò significative «interferenze e sovrapposizioni, prima sostanzialmente inesistenti, tra procedimento di prevenzione e processo penale»137.

Così, all’indomani dell’entrata in vigore della legge in esame, gli sforzi degli interpreti si concentrarono proprio sui rapporti tra le due sedes processuali.

La dottrina maggioritaria propugnò un’interpretazione tesa a escludere che i due procedimenti potessero coesistere. Più in particolare, si ritenne che, avviato un processo penale per il delitto di cui all’art. 416-bis c.p., non si sarebbe dovuto consentire l’instaurazione di un analogo processo di prevenzione e, se già iniziato al momento dell’esercizio dell’azione penale, lo si sarebbe dovuto sospendere, attraverso un’applicazione analogica dell’art. 3 c.p.p. 1930138. Ciò al fine di evitare decisioni contraddittorie in relazione al medesimo oggetto e nei confronti della medesima persona139.

Tuttavia, salvo qualche isolata pronuncia di segno contrario140, la giurisprudenza ampiamente prevalente adottò una soluzione opposta: facendo leva sulla “diversità dell’oggetto”141 tra i due procedimenti, li ritenne “autonomi” e ne ammise un contemporaneo svolgimento142.

Cionondimeno, negli anni successivi la questione non lasciò indifferente il legislatore. Quest’ultimo, infatti, nel 1990 introdusse una sorta di “pregiudiziale” penale, prevedendo che, nel caso di simultanea pendenza di un procedimento di prevenzione e di un processo penale per il delitto di cui all’art. 416-bis c.p., il giudice della prevenzione, laddove la cognizione del reato influisse sulla sua decisione, avrebbe dovuto sospendere il proprio

136 Segnalarono subito il «rischio di un vero e proprio snaturamento della misura di prevenzione» D.GIGLIO

–A.M.LEONE, Brevi spunti problematici sulle misure di prevenzione, in Foro it., 1984, V, c. 269.

137 Così R. BERTONI, Rapporti sostanziali e processuali tra associazione mafiosa…, cit., p. 1891 (corsivo aggiunto).

138 Cfr. A. FERRARO, Sui rapporti tra procedimento di prevenzione e procedimento penale per associazione di tipo

mafioso, in Cass. pen., 1986, p. 33; M. DE NIGRIS SINISCALCHI, Considerazioni sui rapporti tra il procedimento

penale per il delitto di associazione di tipo mafioso e il procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione, in Cass. pen., 1985, pp. 772-774; E. FORTUNA, La risposta delle istituzioni alla criminalità mafiosa, in Cass. Pen., 1984, pp. 210-212.

139 Di questo avviso F. CAPRIOLI, Una pronuncia innovativa in tema di rapporti…, cit., pp. 1194-1195.

140 Cfr. Corte d’appello di Torino, Sez. I, 23 giugno 1986, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1988, p. 1179 ss.

141 Cfr. R. GUERRINI –L.MAZZA, Le misure di prevenzione. Profili sostanziali e processuali, Cedam, Verona, 1996,

p. 258. In giurisprudenza cfr., ex plurimis, Cass. pen., Sez. I, 2 aprile 1987, n. 1103, secondo cui «sussiste piena autonomia tra il processo per il delitto di associazione di tipo mafioso ed il procedimento di prevenzione antimafia, con la conseguenza che il secondo non deve essere sospeso in attesa della definizione del primo».

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procedimento fino alla definizione dell’altro143. Tuttavia, questa disposizione ebbe vita assai breve, essendo stata abrogata, «con repentino ed assoluto revirement»144, l’anno successivo145.

4.2. Brevi cenni sulla nascita della confisca di prevenzione. In particolare: la confisca quale misura che presuppone la pericolosità attuale del destinatario

Altra novità che incise profondamente sul sistema preventivo fu rappresentata, come anticipato, dalla nascita della confisca di prevenzione, nuova misura di carattere patrimoniale finalizzata a sottrarre definitivamente i beni nella disponibilità diretta o indiretta del soggetto pericoloso che si avesse motivo di ritenere essere il “frutto” o il “reimpiego” di «attività illecite»146.

In particolare, la legge Rognoni-La Torre introdusse nella legge antimafia n. 575 del 1965147 i nuovi articoli 2-bis, 2-ter e 2-quater, disciplinando il perimetro applicativo della nuova misura, i tipi di sequestro che potevano essere disposti nel corso del procedimento,

143 Art. 9, co. 3, l. 19 marzo 1990, n. 55. A proposito di questo intervento legislativo cfr. L. MARAFIOTI,

Sinergie fra procedimento penale e procedimento di prevenzione, in Dir. Pen. Cont., 22 aprile 2016, §2, il quale parla

di «pregiudizialità soft», vista la sua derogabilità.

144 Così G. TRAVAGLINO, La valutazione del materiale probatorio nel procedimento di prevenzione: il problema degli

«indizi», in Arch. Nuova Proc. Pen., 1995, p. 11

145 Cfr. art. 23, co. 3, d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv. dalla l. 12 luglio 1991, n. 203.

146 Cfr. art. 2-ter, co. 2, l. 31 maggio 1965, n. 575.

147 La scelta di innestare la disciplina della confisca di prevenzione nel tessuto della legge antimafia del 1965

generò, negli anni immediatamente successivi, alcuni dubbi in dottrina e giurisprudenza circa l’ambito di applicazione della nuova misura. Come si è già avuto modo di segnalare (v. supra, par. 3.2.3), l’art. 19 della legge Reale del 1975 aveva previsto che la disciplina dettata dalla legge del 1965 dovesse trovare applicazione anche nei confronti dei soggetti rientranti nelle categorie di cui all’art. 1, nn. 2, 3, 4, l. 27 dicembre 1956, n. 1423. Alla luce di questo assetto normativo ci si chiese se, in forza di tale rinvio, anche la nuova misura potesse essere applicata a questi ultimi soggetti. Se secondo parte della dottrina la confisca di prevenzione

doveva ritenersi applicabile solo ai soggetti indiziati di appartenere ad associazioni mafiose (cfr. G. FIANDACA,

Osservazioni a decreto Sez. I, 11 novembre 1985, Nicoletti, in Foro. it., 1986; R. BERTONI, Prime considerazioni sulla

legge antimafia, cit., pp. 1022-1023), la giurisprudenza di legittimità si schierò a favore dell’interpretazione

estensiva, in forza dell’assunto secondo cui il richiamo alla disciplina della legge del 1965 non doveva ritenersi di carattere “recettizio”, bensì “formale”, “mobile”, e pertanto riferibile anche a tutte le sue successive modifiche. Una prima presa di posizione in tal senso si rinviene in Cass. pen., Sez. I, 11 novembre 1985, n. 2773; si dà conto di questo orientamento, definendolo consolidato, in Cass. pen., Sez. Un., 25 marzo 2010, n. 13426.

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nonché l’attività di indagine che doveva148 precedere la proposta di applicazione della misura patrimoniale149.

Al momento della sua nascita, la confisca di prevenzione poteva dirsi indissolubilmente legata al sistema di prevenzione personale. La relativa disciplina risultava infatti ispirata al «principio di dipendenza della misura patrimoniale rispetto a quella personale»150, che rendeva la confisca una misura “accessoria” alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza151.

Questo nesso di presupposizione tra la nuova misura ablativa e la pericolosità del soggetto indusse la Corte costituzionale, qualche anno più tardi, a ritenere che il sequestro e la confisca fossero rivolti «non a beni come tali, in conseguenza della loro sospetta provenienza illegittima, ma a beni che, oltre a ciò, [fossero] nella disponibilità di persone socialmente pericolose», e che la pericolosità del bene derivasse «dalla pericolosità della persona che ne può disporre»152.

Ad ogni modo, si deve osservare che l’apparato di prevenzione patrimoniale assunse un volto ben diverso da quello che lo caratterizzava al momento della sua nascita, avvenuta con l’introduzione della “sospensione provvisoria dall’amministrazione dei beni personali”153. Sebbene anche la confisca di prevenzione potesse essere disposta soltanto nei confronti di soggetti ritenuti pericolosi, non si deve trascurare che essa, a differenza della prima misura, determinava (e determina) un’ablazione istantanea e definitiva, del tutto indifferente alla successiva evoluzione della pericolosità del soggetto.

148 Sottolineava che questa “tappa” veniva trattata come obbligatoria, «in sostanziale deroga ai criteri dell’art.

299 c.p.p., secondo il quale l’organo istruttorio sceglie i mezzi di prova da compiere», M. NOBILI,

L’accertamento del fatto nei processi contro la mafia…, cit., p. 1023. Sul punto si avrà modo di tornare infra, cap.

III, sez. II, par. 2.2.

149 Per un primo commento all’originaria disciplina delle indagini patrimoniali cfr. G. CONTE, Poteri di

accertamento, misure patrimoniali e sanzioni amministrative antimafia, in Foro It., 1984, V, p. 261.

150 Così S. FINOCCHIARO, La confisca “civile” dei proventi da reato…, cit., p. 40 (corsivo nel testo).

151 In particolare, ai sensi dell’art. 2-ter, co. 1, l. 31 maggio 1965, n. 575, la confisca poteva essere disposta

esclusivamente: i) nel momento dell’adozione della misura personale; ii) successivamente all’applicazione della misura personale, ma non oltre un anno dall’avvenuto sequestro, qualora la complessità delle indagini non avesse consentito una contestuale adozione dei due provvedimenti; iii) dopo l’applicazione della misura personale, ma prima della sua cessazione, qualora le condizioni per disporre il sequestro fossero maturate nel corso dell’esecuzione della sorveglianza speciale

152 Cfr. Corte cost., 30 settembre 1996, n. 335, §2.1. del “considerato in diritto”, da cui è tratta anche la

precedente citazione. Per alcune osservazioni cfr. P. V. MOLINARI, Una parola forse definitiva su confisca

antimafia e morte della persona ritenuta pericolosa, in Cass. Pen., 1997, II, p. 334. Nello stesso senso si esprime

Corte cost., 29 novembre 2004, n. 368, in Cass. Pen., 2005, III, p. 803, con nota di P. V. MOLINARI, Ancora

una volta bocciata la giurisprudenza creativa in tema di confisca antimafia.

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5. Una seconda “ripulitura” legislativa: la legge n. 327 del 1988

Sul finire degli anni ’80, il legislatore ritoccò in maniera significativa la legge Tambroni del 1956, ripulendo il sistema preventivo da alcune “scorie” dal sapore ancora ottocentesco154.

Proprio come quello del 1956155, anche quest’altro intervento legislativo può dirsi ispirato dall’intento di recepire alcune importanti indicazioni che, qualche anno prima, erano state fornite dal giudice delle leggi156.

5.1. La sentenza della Corte costituzionale n. 177 del 1980

Il riferimento corre, in particolare, alla nota sentenza del 16 dicembre 1980, n. 177, con la quale la Consulta dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, n. 3, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, nella parte in cui includeva tra i possibili destinatari delle misure di prevenzione anche coloro che «per le manifestazioni cui abbiano dato luogo, diano fondato motivo di ritenere che siano proclivi a delinquere».

Gli snodi motivazionali di questa pronuncia coraggiosa e «di notevolissimo rilievo»157

meritano di essere sinteticamente ripercorsi, essendo essi densi di riflessioni che, ad avviso di chi scrive, ancora oggi potrebbero ispirare un “ripensamento” del sistema preventivo.

Per giungere alla suddetta declaratoria di incostituzionalità, la Consulta prese le mosse da un solido punto di partenza: la legittimità costituzionale delle misure di prevenzione è necessariamente subordinata all’osservanza del principio di legalità, da un lato, e all’esistenza della garanzia giurisdizionale, dall’altro. Due requisiti, questi, definiti «intimamente connessi, perché la mancanza dell’uno vanifica l’altro, rendendolo meramente illusorio»158.

Più nel dettaglio, il giudice delle leggi osservò che il riferimento ai “casi previsti dalla legge”, contenuto sia nell’art. 13, co. II, Cost., sia nell’art. 25, co. III, Cost., impone che il giudizio prognostico sulla pericolosità del soggetto si fondi su «presupposti di fatto […]

154 Il riferimento è alla legge del 3 agosto 1988, n. 327, recante «norme in materia di misure di prevenzione