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4. T EMPO DI UCCIDERE : ANALISI DEL ROMANZO

4.3 Alcune osservazioni stilistiche

Benché si tratti di un romanzo e non di una raccolta di pensieri o aforismi, Tempo di

uccidere presenta alcuni tratti stilistici che lo accomunano alla produzione flaianea

successiva. Questi elementi – messi in luce da A. Longoni nel suo intervento «Tempo di

uccidere» e la narrazione frantumata. Il romanzo e l’«altro» Flaiano53 – hanno

contribuito a rendere la narrazione più articolata e vivace, facendo dello stile del romanzo,

così ironico e conciso, il punto di maggior forza del suo successo di pubblico.

Scendendo nel dettaglio, possiamo notare come Flaiano sia abilmente riuscito a inserire

nel contesto narrativo appunti e annotazioni provenienti – lo abbiamo già visto – dal

taccuino Aethiopia, adoperando tutte le accortezze richieste da tale passaggio. Spesso

infatti nel romanzo la concentrazione della battuta originaria deve venire meno a causa

del disperdersi del pensiero lungo tutto un paragrafo, oppure per via dell’esplicitazione di quei nessi subordinanti che lo stile epigrammatico proprio della diaristica rifiuta

necessariamente. Ad esempio:

L’indigeno considera le nostre macchine enti soprannaturali che funzionano per intervento divino. Quindi se ne stupisce assai poco. Egli accetta la metafisica.

L’uomo, quaggiù, considera le nostre macchine come enti soprannaturali che funzionano per intervento divino e, siccome accetta la metafisica, non se ne meraviglia troppo. (pp. 20-21)

Ancora, il nuovo contesto spinge talvolta l’autore ad attenuare la forza della sentenza o a ridurre il margine di sottinteso, di non detto:

Di questo paese ricordo soprattutto l’orrore della notte, quando il mondo rotolava nel buio e sotto di me sentivo l’inferno sgranchirsi.

Ecco, di quella terra non sarei mai riuscito a vincere l’orrore della notte, quando il mondo sembrava rotolare nel buio e sotto di me sentivo l’inferno sgranchirsi negli urli delle fiere. (p. 195)

53 A. LONGONI, «Tempo di uccidere» e la narrazione frantumata. Il romanzo e l’«altro» Flaiano, in Tempo

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Gli aforismi presenti nel romanzo non sono tuttavia solo “prestiti” dalle pagine del diario, ma possono nascere anche in maniera autonoma all’interno di Tempo di uccidere, come dimostrano questi esempi:

Un colonnello annoiato come un generale (p.6); la realtà vince l’immaginazione e anzi questa si accorge di aver trascurato gli apporti della luce e dei suoni (p. 53); (le parole indecenti) Sono le indispensabili, il resto è letteratura (p.60); non sapeva tacere, apprezzava il silenzio soltanto per il valore delle pause (p.64); l’Africa è lo sgabuzzino delle porcherie, ci si va a sgranchirsi la coscienza (p. 71); Se in una terra nasce la iena ci deve essere qualcosa di guasto (p. 116); Si diventa lebbrosi come si diventa tiranni: ereditarietà o contagio (p. 130); Un buon scrittore non precisa mai (p. 133); (l’Africa) un impero contagioso (p. 134); le virtù ce le apprende l’esperienza ed è inutile anticiparle (p. 198); le piaghe non si discutono, ma si accettano (p. 250).

Caratteristica dello stile di Flaiano è anche la presenza, all’interno di periodi mediamente uniformi, di accostamenti linguistici dall’effetto un po’ straniante che vivacizzano la narrazione e catturano l’attenzione del lettore. È il caso di espressioni come: «Rottami di

buoni propositi» (p. 14); del sole che cade all’orizzonte «stanco di sostenere più a lungo

la commedia del tramonto africano» (p. 30); della definizione del Mar Rosso, «un mare

uso ai miracoli» (p. 154); del destino «che pone difficoltà accademiche» (p. 173);

dell’altipiano «osservatorio olfattivo delle iene» (p. 202). Attraverso questo tipo di espediente – definito da A. Longoni “cortocircuito linguistico” – Flaiano è in grado di

generare quella che forse è la sua più spiccata cifra stilistica: l’ironia. Il romanzo è infatti

disseminato di battute, come ad esempio quella relativa al puzzo dei cadaveri dei muli

che potrebbero indicare la strada al tenente, se solo gli animali fossero caduti con la

regolarità delle pietre miliari, o quella delle iene che si rivelerebbero di grande aiuto per

guarire l’insonnia, se solo parlassero di letteratura.

A livello di sintassi, Flaiano predilige di gran lunga le costruzioni paratattiche, formate

da frasi brevi o brevissime che si succedono l’una all’altra, talora senza esplicitare

nemmeno il legame logico che sussiste tra di esse. La giustapposizione della paratassi,

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profondo: secondo l’autore infatti, nella decifrazione del mondo l’uomo non è più in

grado di cogliere i nessi di causa ed effetto che legano tra loro gli eventi. Ecco due esempi:

Mi infuriai. La spinsi davanti a me, e per qualche passo andò bene. Dopo si fermò, guardandomi con le palpebre socchiuse, con quel suo sguardo insopportabile di animale diffidente. Non c’era niente da fare. Oramai era buio e sarebbe stata una notte senza luna. Mi sedetti a fumare una sigaretta, dopotutto ero stato io a volerlo e non dovevo incolpare quella donna. Vedendomi calmo, ella mi venne vicino e indicò di nuovo il villaggio, oltre gli alberi. (p. 31)

La donna si stava lavando e mi guardava di sopra il paravento. Le sorrisi, quel volto opaco era ravvivato da un fiocco rosso nei capelli, ed era un volto calmo, sopravvissuto al disastro del corpo. Dunque, le sorrisi e ripresi a convincere il fuochista, che mi ascoltava. Ma vedevo i suoi occhi inespressivi perdersi nello sforzo di quella noia. (p. 143)

Ai legami subordinanti si sostituisce un altro tipo di relazione, quello rappresentato dalla

ripetizione, figura retorica che aggancia fra di loro vari segmenti linguistici. Anche sotto

questo aspetto, Flaiano si pone in una posizione anomala rispetto alla tradizione letteraria

italiana e si avvicina piuttosto alla lingua inglese, nella quale le strutture iterative sono

molto più frequenti. In Tempo di uccidere le pagine sembrano tenute saldamente insieme

da queste continue ripetizioni, utilizzate dall’autore in tutte le loro possibili forme; è come se Flaiano non volesse ancora rassegnarsi alla frammentazione totale della pagina,

tentazione a cui cederà definitivamente negli scritti successivi.

La forma di ripetizione più usata in Tempo di uccidere è quella dell’anadiplosi, che

ricordiamo essere “la ripetizione dell’ultima parte di un segmento […] nella prima parte del segmento successivo”54. Ecco qualche esempio:

Per scongiuro toccai il legno di una pianta; ma le piante di quella boscaglia…(p. 9)

Il ciglio dell’altipiano rientrava ora sino a confondersi coi monti lontani. Rientrava scavato dall’affluente (p. 12)

Aveva paura. Ma paura di che? (p. 22)

Forse vegliava pensando a me. Pensava a me, senz’altro (p. 139) «Nessuno ha colpa». «Già nessuno» (p. 56)

Troviamo poi esempi di epanadiplosi, “ricorrenza di una o più parole all’inizio e alla fine

di un segmento testuale”, con effetto a cornice:

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Me li restituiva, riconosceva ch’era roba non sua, approfittava dell’occasione di quell’incontro con un “signore” per restituirla. (p. 85)

Sì, l’appetito era scomparso e a fatica mi recavo alla mensa, dove non senza disgusto vedevo gli altri gettarsi sulle pietanze con incredibile appetito. (p. 105)

Molto frequenti anche anafore ed epifore, “la ripresa in forma di ripetizione di una o più parole all’inizio di enunciati o alla fine”:

mi imposi di andarmene, prima che fosse troppo tardi, prima che mi lasciassi guidare alla sua capanna e vi trascorressi i quattro giorni della mia licenza e forse anche di più, prima che accettassi quella incalcolabile sconfitta. (p. 24)

Dovevo ucciderla. Molte ragioni mi consigliavano di ucciderla (p. 45)

Nessuno mi aveva visto, nemmeno i soldati che adesso rientravano nelle baracche, sempre ordinati; nemmeno gli ufficiali che, senza guardarsi, entravano nella baracca principale a prendere un cognac o un caffè; nemmeno il cappellano, che aspettava vicino al furgone, per salirvi. (p. 158)

Si possono registrare anche casi di epanalessi, “il raddoppiamento di un’espressione, o all’inizio, o al centro, o alla fine di un segmento testuale”:

Sì, avevo sbagliato, avevo sbagliato in tutti i sensi (p. 11) Ormai ero troppo lontano, troppo lontano! (p. 15)

La ripetizione anaforica serve a Flaiano non solo per agganciare tra di loro segmenti di

frase o periodi, ma anche interi paragrafi; accade di frequente infatti che paragrafi

contigui inizino col medesimo attacco:

Neanche un autocarro. Gli operai avevano smesso di lavorare… Dunque, neanche un autocarro. Dissero… (p. 7)

Ripresi un po’ di coraggio, ridendo… Ripresi a camminare… (p. 15)

Qualcosa era nato in me che non sarebbe più morto…

Pensavo che qualcosa era nato in me che non sarebbe più morto. Era nato al contatto con quella donna buia… (p. 24)

Era questa la sua forza, la forza di stare accanto ai suoi morti… Pensavo che questa sua forza io l’avevo perduta… (p. 220)

L’anafora può servire talvolta a mettere meglio a fuoco un’impressione o a creare rapporti di antitesi:

69 Dunque, era un animale. Ma quale animale (p. 36) Mi allontanai dalla donna…

Ritornai dalla donna…

Tornai verso la donna… (pp. 45-96)

Le varie forme di ripetizione possono poi sovrapporsi e incrociarsi, come si osserva nel

brano seguente:

La donna non si accorse della mia presenza. Era nuda e stava lavandosi a una delle pozze, accosciata come un buon animale domestico. Mentre la osservavo, pensai che mi avrebbe indicato la strada e così non sarei dovuto tornare al ponte. Una donna che si lava è spettacolo comunissimo quaggiù, e indica la vicinanza di un villaggio. “C’è di tutto in questa boscaglia” dissi. E continuai a guardar la donna. Anzi sedetti, mi accorgevo ora di essere veramente stanco dopo l’inutile marcia della mattinata. La donna alzava le mani pigramente, portandosi l’acqua sul seno e lasciandovela cadere, sembrava presa in quel giuoco. Forse era là da molto tempo, decisa a lavarsi senza fretta, per il piacere di sentirsi scorrere l’acqua sulla pelle, lasciando che il tempo scorresse egualmente. Non si accorgeva della mia presenza e restai a guardarla. Era uno spettacolo comunissimo, ma migliore degli altri che mi si erano offerti sinora. Poiché il giuoco non accennava a finire, accesi una sigaretta, e intanto mi sarei riposato. Alzava le mani e lasciava cadere l’acqua, ripetendo il gesto con una melanconica monotonia. (p. 16-17)

Altra caratteristica dello stile di Flaiano è l’ampio uso delle parentesi, presenti a colpo d’occhio quasi in ogni pagina del romanzo. Esse si fanno più frequenti quando la voce narrante – a cui Flaiano affida non solo il racconto dei fatti in prima persona ma anche il

commento di quanto sta accadendo55 – interviene nella narrazione per esprimere i propri

pensieri e le proprie riflessioni relative al momento in cui si svolge la vicenda:

Laggiù il villaggio (ma c’era laggiù un villaggio?) (p.45)

L’uomo (ma era poi un uomo o la distanza ci ingannava?) (p. 83) Una delle capanne (mi chiedevo se non era quella di Mariam) (p. 195)

Altrove invece le parentesi racchiudono ragionamenti del narratore a posteriori:

Ecco (ricordo che pensai questo) (p. 42)

La donna era agonizzante (non mi si venga a dire che poteva essere salvata, mi rifiuterò sempre di crederlo) (p. 42)

Quando finii di parlare (non ricordo che cosa dissi) (p. 132)

55 Scelta che l’autore riproduce anche in Oh Bombay!, Melampus e nella maggior parte dei pezzi delle

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Possiamo quindi concludere citando quanto afferma A. Longoni sul rapporto tra Tempo

di uccidere e la produzione successiva dell’autore:

È dunque possibile riconoscere in queste pagine una cifra stilistica che consente di cogliere una continuità tra Tempo di uccidere e l’altro Flaiano, tra l’autore del romanzo e il disincantato aforista, una continuità rafforzata anche dalle scelte “tematiche” che percorrendo tutta l’opera di Flaiano costituiscono un forte legame che coinvolge anche questo primo testo56.