2. L’ AVVENTURA COLONIALE ITALIANA IN E TIOPIA : BREVE SINTESI STORICA
2.1 Percorsi di ricerca sul colonialismo italiano
Come nota anche A. M. Banti nel suo saggio Le questioni dell’età contemporanea36, il
panorama di studi sul colonialismo italiano è stato per lungo tempo appannaggio di una
storiografia filoimperialista, improntata alla difesa e alla giustificazione delle azioni
belliche compiute in terra africana. Solo a partire dagli anni Settanta del XX secolo ci
sono stati forniti degli strumenti di lettura più accurati e documentati, avviando
finalmente una ricostruzione completa dei fatti che mettesse in rilievo gli aspetti rimasti
nell’ombra fino a quel momento.
35 Cfr. Ivi, pp.717-718
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Ad inaugurare questa nuova stagione di studi fu Angelo Del Boca, forse il maggiore
studioso del colonialismo italiano. Tra il 1976 e il 1984 egli ha composto l’opera in
quattro volumi Gli italiani in Africa Orientale, sostenendo, già a partire dall’Avvertenza
del primo volume, che l’imperialismo italiano di fine Ottocento e dei primi decenni del Novecento non è stato più mite e tollerante rispetto a quello delle altre nazioni europee,
ma si è macchiato degli stessi orribili atti di violenza e sopraffazione. Inoltre, Del Boca
individua nello Stato liberale di fine Ottocento la matrice di alcune pericolose modalità
di espansionismo, poi trasmesse in eredità al regime fascista. Queste le sue parole:
Questa, dunque, come suggerisce il titolo dell’opera, è piuttosto la storia del comportamento degli italiani in Africa Orientale, la storia di un popolo povero spinto da minoranze irresponsabili e da un insano concetto del prestigio internazionale ad aggredire e sottomettere popoli ancora più poveri. […] Essa si propone di dimostrare, essenzialmente, che il colonialismo italiano dell’ultimo quarto dell’Ottocento e dei primi due decenni del Novecento non è stato diverso, cioè più umano, più illuminato più tollerante, degli altri colonialismi europei coevi e del tardo colonialismo fascista. Intende anche provare che lo Stato liberale, che è l’artefice dell’espansionismo italiano in Africa, ha trasmesso senza ombra di dubbio alcune pericolose eredità al fascismo: una grande carica aggressiva, non frustrata neppure dalla sconfitte, la pratica del genocidio, il disprezzo dei popoli di colore, gli uomini per ritentare le imprese una prima volta fallite37.
In un altro importante volume sull’argomento, Le guerre coloniali del fascismo, pubblicato nel 1991, lo studioso ha raccolto i contributi di molti storici italiani e stranieri.
Egli stesso vi interviene con un capitolo sui crimini fascisti, ribadendo il ruolo che ebbe
la prima fase colonialista – quella intrapresa dalla democrazia liberale ottocentesca – nel
tracciare il solco di crudeltà e intransigenza in cui si inserì la successiva propaganda di
regime.
Del Boca non si limita tuttavia a trovare analogie tra i due modelli imperialisti, ma arriva
a individuare anche una specificità peculiare del fascismo, che secondo lui è riscontrabile
non tanto nelle modalità di dominazione o repressione, quanto nella gestione
37 A.DEL BOCA, Avvertenza a Gli italiani in Africa Orientale. Dall’unità alla marcia su Roma, Bari, Editori
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dell’informazione e della propaganda in patria: una differenza, in altre parole, da ricercare in Italia e non nelle colonie. Infatti in epoca liberale gli abusi sulle popolazioni conquistate
venivano denunciati in Parlamento dalle forze politiche democratiche, allo scopo di
toccare le coscienze e invitare la società a riflettere sulla legittimità di certe condotte
imperialiste. Con l’ascesa al potere del fascismo, la censura e la manipolazione degli organi di stampa – e non solo – finirono per nascondere, passandoli sotto silenzio, gli
aspetti più crudi e meno edificanti delle guerre coloniali in corso, lasciando trapelare solo
il valore e l’integrità morale con cui i soldati italiani si stavano battendo in nome della madrepatria, affrontando una terra ostile e nemici incivili. Così scrive del Boca:
Con l’avvento del fascismo la condizione dei sudditi delle colonie si fa ancora più precaria, innanzitutto perché viene posta a tacere l’opposizione, tanto in Parlamento che negli organi di informazione. Diventa così possibile, per il regime, esercitare la più severa censura su tutto quello che accade nelle colonie. Quel poco che filtra, attraverso la stampa e l’Eiar, è generalmente destinato a rassicurare l’opinione pubblica oppure si traduce in una continua e crescente esaltazione della missione civilizzatrice dell’Italia fascista in Africa38.
L’aggressività dei metodi repressivi impiegati dall’esercito venne quindi messa totalmente in ombra e poi dimenticata dopo la guerra. Del Boca in seguito ricorda, oltre
all’uso strumentale della macchina mediatica, anche l’orrore di certe pratiche di sterminio proprie del colonialismo italiano, come l’uso di gas tossici o la costruzione di campi di concentramento.
È opportuno ricordare brevemente anche un altro importante studioso del periodo
imperialista italiano: Nicola Labanca. Egli ha seguito e approfondito il percorso di ricerca
di Del Boca, denunciando un aspetto storico di non minore rilevanza rispetto a quelli già
menzionati. Nel suo volume Una guerra per l’Impero. Memorie della campagna
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d’Etiopia, 1935-36, lo studioso rivaluta l’impatto, troppo spesso svilito, dell’impresa
coloniale italiana nella storia nazionale e internazionale. Secondo Labanca, la portata di
questo conflitto va ben oltre quello che la memoria collettiva ci ha per lo più tramandato,
spinta dall’urgenza di archiviare prima possibile una storia imbarazzante che aveva visto gli italiani protagonisti di azioni disumane e scellerate.
Assai rilevante nella storia d’Italia, a livello internazionale la guerra d’Etiopia contribuì a pregiudicare l’equilibrio europeo […]. Nonostante le sue dimensioni e la sua rilevanza, soprattutto in Italia troppo spesso si è finito per vedere nella guerra d’Etiopia un piccolo conflitto coloniale, localizzato e quasi privo di rilevanza, che valeva la pena menzionare più che altro per via di una canzonetta fortunata, Faccetta nera. Troppo spesso le istituzioni, la politica, la cultura, l’opinione pubblica, gli italiani insomma sono sembrati ansiosi di scollarsi di dosso il ricordo di chi portava la responsabilità storica di quel conflitto39.
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