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Alcuni isolati precedenti

Nel documento Unione Europea e sanità (pagine 81-87)

Le occasioni in cui una difesa basata sulla deroga ex art. 36 TFUE per la tutela della salute pubblica ha avuto successo sono inversamente proporzionali al numero delle volte in cui è stata invocata.

La semplicità del caso Schwarz282 testimonia che quando gli Stati membri dimostrano che l'interesse di proteggere la sanità pubblica è realmente genuino, la Corte si dimostra giustamente propensa a riconoscere loro siffatta possibilità. Il giudice austriaco chiedeva l'interpretazione di alcune disposizioni della direttiva 93/43283 sull'igiene nei prodotti alimentari. Le autorità di Salisburgo avevano avviato un procedimento penale a carico del sig. Schwarz poiché aveva posto in vendita, tramite distributori automatici, gomme da masticare prive di confezione. Sostanzialmente, gli si addebitava di aver violato la normativa austriaca, che trasponeva verbatim l’atto richiamato. Egli sosteneva che una legislazione come quella in discorso costituisse una misura ex art. 34 TFUE.

La Corte comincia con l'affermare che il confezionamento dei prodotti alimentari non è compreso nel campo di applicazione della direttiva; quindi, in mancanza di armonizzazione, sono gli Stati membri a dover decidere come garantire la sicurezza sanitaria e alimentare. Come sottolinea il ricorrente in altri Stati membri le norme sono più miti e consentono la vendita delle gomme da masticare anche senza confezionamento. Ciò comporta un conseguente aggravio dei costi per l'operatore economico che non solo dovrebbe provvedere autonomamente a tale operazione ma anche procurarsi dei distributori automatici costruiti diversamente, rendendo sostanzialmente più difficoltosa e costosa l'importazione in Austria. La Corte, traendo le necessarie indicazioni giuridiche e fattuali dall'ordinanza del giudice del rinvio si limita a dichiarare che la normativa nazionale sull'igiene dei dolciumi “costituisce una misura adeguata e proporzionata per tutelare la salute284”.

Aspetti più complessi sono stati affrontati invece in Toolex285. La normativa comunitaria all'epoca in vigore286 imponeva agli Stati membri la cessazione di ogni uso del tricloroetilene a causa della sua elevata cancerogenicità. Gli operatori economici potevano comunque richiedere una esenzione dal divieto per continuare a usarlo oltre il 31 marzo 1997. La domanda della Toolex era stata respinta in quanto il ricorrente non era riuscito a fornire il piano dettagliato necessario per

282Schwarz, C-366/04, Racc. 2005 p. I- 10139.

283Direttiva 93/43/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993, sull'igiene dei prodotti alimentari, GU L 175 del 19.7.1993,

pagg. 1–11.

284Schwarz cit. par. 36.

285Toolex, C-473/98, Racc. 2000 p. I- 5681.

286Direttiva del Consiglio 27 giugno 1967, 67/548/CEE, concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative,

regolamentari ed amministrative relative alla classificazione, all'imballaggio e all'etichettatura delle sostanze pericolose GU 1967, 196, pag. 1. Direttiva del Consiglio 27 luglio 1976, 76/769/CEE, concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri relative alle restrizioni in materia di immissione sul mercato e di uso di talune sostanze e preparati pericolosi GU L 262, pag. 201. Il regolamento (CEE) del Consiglio 23 marzo 1993, n. 793, relativo alla valutazione e al controllo dei rischi presentati dalle sostanze esistenti GU L 84, pag. 1.

avvalersi dell'estensione del periodo. I problemi di fondo, rilevanti in primis per il regime generale della libera circolazione delle merci e poi per la tutela della salute pubblica, sono essenzialmente due. Il primo riguarda la possibilità di conferire ad un'impresa una deroga -a motivo di sanità pubblica- da una disciplina già interamente armonizzata dal diritto dell'Unione. Il secondo invece è balzato agli onori della cronaca accademica287 dopo i casi Commissione c. Italia288 (trasporto stradale) e Mickelson e Roos289 e riguarda il dibattito se l'uso sia da considerarsi requisito del prodotto ovvero modalità di vendita, posto che entrambi i casi potrebbero violare l’art. 34 TFUE. Si può dunque notare che i due temi sono strettamente correlati laddove solo risolvendo in senso affermativo la prima questione si può passare all'analisi della seconda. Ai sensi della normativa comunitaria, la Commissione avrebbe dovuto proporre nuovi strumenti per limitare l'uso del tricloroetilene e per impedire che le imprese che già ne disponevano continuassero a seguire i vecchi procedimenti produttivi. Tuttavia, la Commissione non agì entro i termini imposti quindi agli Stati membri rimase un significativo margine di manovra di cui, in particolare, la Svezia si avvalse nell'emanare una legislazione particolarmente restrittiva.

Il punto più interessante è costituito dall'argomentazione fornita dalla Corte. In primo luogo, alquanto lapidariamente, i giudici statuiscono che “il divieto di principio dell'uso del tricloroetilene a fini professionali può comportare una restrizione del volume delle importazioni290”; ciò non è confutato nemmeno dalla facoltà concessa alle imprese di chiedere una esenzione dal momento che anche questa è da considerarsi una restrizione in quanto tale. Infine, dopo aver fatto riferimento al rischio che deriva dall'utilizzo di detta sostanza, la Corte conclude che le misure adottate dalla Svezia sono idonee e proporzionate a garantire la tutela della salute, specialmente quella dei lavoratori che si trovano a contatto con essa.

Il terzo caso è la procedura di infrazione Commissione c. Germania291 con cui veniva contestata la legge tedesca che fissava le condizioni cui le farmacie dovevano soggiacere per poter fornire i medicinali agli ospedali. Tali requisiti erano così restrittivi292 da impedire sia a quelle stabilite in un altro Stato membro che a quelle geograficamente lontane di poter partecipare alla contrattazione. La Corte segue l’iter argomentativo discusso nel paragrafo precedente, analizzando la legislazione contestata attraverso la lente dei casi Dassonville e Keck. Il primo non è applicabile trattandosi di una modalità di vendita, il secondo è escluso dal momento che le norme controverse – seppur applicabili sia alle farmacie tedesche che a quelle straniere- impattano maggiormente su queste ultime ostacolandone l’accesso al mercato. Per tali motivi, i giudici esaminano la normativa attraverso gli artt. 34 e 36 TFUE.

La Corte afferma che la legislazione contestata costituisce una misura di effetto equivalente a restrizioni quantitative alle importazioni per poi passare ad esaminarla secondo il test di

287DERLEN M., LINDHOLN J., Article 28 E.C and rules on use: a step towards a workable doctrine on measures

having equivalent effect to quantitative restrictions, in Columbia journal of European law, pp. 191-231, 2010.

288Commissione c. Italia, C-110/05, Racc. 2009, p. I- 519. 289Mickelson e Roos, C-142/05, Racc. 2009, p. I- 4273. 290Toolex cit., par. 36.

291Commissione c. Germania, C-141/07, Racc. 2008, p. I- 06935.

292Commissione c. Germania cit., par. 4. Si segnalano, inter alia, la disponibilità di locali, l’obbligo di consulenza, la

ragionevolezza. Le previsioni tedesche risultano innanzitutto adeguate al fine di proteggere la sanità pubblica293 ed assicurano l’ “unità e l’equilibrio294” del sistema di approvvigionamento dei medicinali. Al contrario, se la normativa fosse stata strutturata secondo le indicazioni della Commissione, la fornitura costante, veloce e di qualità sarebbe stata messa a repentaglio. Per tali motivi, la la legge contestata è idonea e proporzionata ex art. 36 TFUE e la Germania non ha quindi violato il diritto dell’Unione.

Si potrà obiettare che i casi in esame non costituiscono precedenti validi per esaminare il livello effettivo di protezione della sanità pubblica garantito dalla Corte. In altri termini, rappresentano dei precedenti isolati?

Allo stato attuale del diritto dell'Unione si è portati a dare una risposta positiva.

Il settore farmaceutico e alimentare sono caratterizzati da una ingente produzione legislativa che consente ai giudici di Lussemburgo di interpretare le norme del Trattato solo qualora quelle di diritto derivato non siano applicabili. Lo stesso discorso è valido anche per altri beni come i giocattoli295 e le sostanze chimiche296 ma è ormai evidente che, con il passare degli anni e con la promulgazione di atti sempre più avanzati che si spingono a disciplinare anche aspetti di dettaglio, lo spazio rimasto per l'applicazione della deroga ex art. 36 TFUE è alquanto stretto. Tale approccio è ricavabile anche in DocMorris laddove la Corte utilizza il diritto primario nella misura in cui la fattispecie fattuale non era ricompresa nel campo di applicazione della direttiva sul commercio elettronico. A prescindere da ciò, occorre notare che anche la soluzione offerta è conseguenza della distinzione tra medicinali con l'obbligo di ricetta medica o meno, essendo il concetto di sanità pubblica tutelato ab origine dal codice comunitario del farmaco.

Si ricava dunque un quadro di insieme di difficile applicazione per gli Stati membri sui quali grava l'onere di dimostrare la ragionevolezza delle loro normative interne a tutela della sanità pubblica quando restringono la libera circolazione delle merci. Essi infatti hanno lungamente abusato di questa linea argomentativa con il risultato di averla resa difficilmente difendibile in giudizio297. Sostanzialmente, utilizzare il medesimo approccio per salvaguardare qualunque bene

293 Commissione c. Germania cit., par. 49 “l’adeguatezza delle disposizioni controverse, si deve osservare che, nel

richiedere che tutte le prestazioni connesse al contratto di approvvigionamento siano affidate ad un farmacista stabilito nelle vicinanze, tali disposizioni sono atte a realizzare l’obiettivo di garantire un approvvigionamento sicuro e di qualità degli ospedali tedeschi e, pertanto, a tutelare la sanità pubblica, circostanza che la Commissione peraltro non contesta”.

294Commissione c. Germania cit., par. 56.

295Direttiva 2009/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 giugno 2009, sulla sicurezza dei giocattoli, GU

L 170 del 30.6.2009, pagg. 1–37. Il nono considerando specifica che i giocattoli immessi nel territorio dell'Unione dovrebbero garantire la salute, la sicurezza, nonché la protezione dei consumatori e dell'ambiente. L'atto istituisce un sistema di vigilanza per controllare e bloccare i giocattoli ritenuti dannosi o potenzialmente dannosi, specialmente per la salute dei bambini, e pone in capo agli importatori l'obbligazione di verificare la conformità dei loro prodotti con gli standard qualitativi imposti dall'Unione.

296 Regolamento (CE) n.1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006 , concernente la

registrazione, la valutazione, l'autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH), che istituisce un'Agenzia europea per le sostanze chimiche, che modifica la direttiva 1999/45/CE e che abroga il regolamento (CEE) n.793/93 del Consiglio e il regolamento (CE) n.1488/94 della Commissione, nonché la direttiva 76/769/CEE del Consiglio e le direttive della Commissione 91/155/CEE, 93/67/CEE, 93/105/CE e 2000/21/CE, GU L 396 del 30.12.2006, pagg. 1–849. Il primo considerando chiarisce subito che il regolamento 1907/2006 deve garantire un livello elevato di protezione della salute e dell'ambiente.

297Cfr. anche Rosengren, C-170/04, Racc. 2007, p. I-04071 dove la Corte ha dichiarato che la normativa svedese che

giuridico astrattamente meritevole di tutela da parte dell'ordinamento ha portato ad una sorta di inasprimento delle condizioni alla base del test di ragionevolezza. É pur vero che esso si risolve in una triplice analisi su idoneità, necessità e proporzionalità ma è ormai difficile trovare precedenti in cui la Corte ritiene la misura statale non ultronea rispetto al fine. Pertanto, anche se la deroga per motivi di sanità pubblica è connaturata ai Trattati e non ha mai subito modifiche fin dagli albori dell'esperienza comunitaria essa appare oggi di rilievo residuale, dal momento che la legislazione secondaria l'ha specificata ed i giudici saranno chiamati ad applicarla solo qualora essa non si applichi. Considerato lo sviluppo impetuoso del diritto dell'Unione tale ipotesi appare peregrina.

8. Conclusioni

Questa sezione ha analizzato la disciplina posta in essere dall'Unione Europea per armonizzare il mercato dei medicinali. Il ravvicinamento delle legislazioni nel settore farmaceutico è sempre stato una priorità per le istituzioni che, con interventi successivi e talvolta di carattere alluvionale, hanno costruito un vasto quadro regolamentare. La vastità della materia, ma soprattutto il suo impatto sulle caratteristiche di altri prodotti, hanno portato ad una superfetazione della stessa, al punto da rendere ormai interventi ulteriori del tutto inopportuni. Il codice comunitario del farmaco ha subito incisive modifiche, soprattutto al fine di introdurre la codificazione del principio di prevalenza ed includere nel suo campo di applicazione farmaci prima inesistenti, rectius, non qualificati come tali e quindi assoggettati a discipline differenti.

Le particolarità della libera circolazione dei medicinali sono collegate anche al ruolo che essi rivestono, da un lato, per la tutela della sanità pubblica; dall'altro, per l'economia e la gestione che di essi attuano gli Stati membri. Del resto, occorre ricordare che il settore farmaceutico è caratterizzato da una fortissima asimmetria informativa che rende particolarmente complessa l'individuazione della condotta più efficiente da parte degli Stati membri. Lo si è visto rispetto alle normative sui prezzi e all'impatto che esse hanno sull'equilibrio economico dello Stato, fino a persuadere la Corte di Giustizia ad enucleare una nuova esigenza imperativa sulla sua base.

In conclusione, qual è il rapporto tra la libera circolazione delle merci, il mercato farmaceutico e la tutela della salute? Le osservazioni proposte nel corso della presente Sezione consentono una risposta ancora parziale.

Poiché le merci devono circolare in condizione da non nuocere alla sanità pubblica, è normale e sensato che il Trattato abbia predisposto la deroga all'uopo necessaria. I problemi sorgono però quando il medicamento è oggetto e non più soggetto della disciplina. Tipici esempi di questa impostazione di fondo sono le normative che presiedono all'immissione in commercio. É del tutto logico che un farmaco debba essere ontologicamente rispettoso della sanità pubblica, è pertanto di interesse generale che venga assoggettato a procedure rigorose che certifichino in modo imparziale sia la sua idoneità a curare che la sua inidoneità a ledere. É stato argomentato che, per quanto la procedura costituisca una restrizione in quanto tale ai principi della libera circolazione delle merci, essi devono nondimeno cedere di fronte all'esigenza di protezione della salute degli individui.

manifestamente quanto necessario alla luce dell’obiettivo perseguito volto alla tutela dei più giovani contro le conseguenze nocive del consumo di alcol” (par. 51). Parimenti, Ludwigs, C-143/06, Racc. 2007, p. I-09623, par. 41.

All'opposto, è parimenti vero che essa deve spiegare la propria forza sui prodotti che effettivamente sono medicamenti e non su altre categorie. Il fatto che un bene sia considerato un farmaco nello Stato A e un alimento nello Stato B non giova a nessuno: né all'operatore economico che dovrà approntare due sistemi di distribuzione differenti e sottoporsi a due procedure altrettanto diverse; né tanto meno per il cittadino che si trova spiazzato da una simile situazione. In altri termini, deve essere la certezza giuridica il principio guida ad ispirare le politiche farmaceutiche degli Stati membri. Tale aspetto trova ennesima conferma e fondamento legislativo nella direttiva 89/105 che fissa i criteri di trasparenza che uno Stato membro deve soddisfare quando include e/o esclude un determinato medicamento dall'elenco di quelli dispensati dal servizio sanitario nazionale.

Inoltre, le nuove tecnologie ed in particolare internet hanno fatto sorgere questioni inedite, come l'acquisto di medicinali a distanza. Ciò suscita interrogativi di non poco momento che attengono le qualifiche professionali del venditore, le restrizioni dovute a tali modalità di vendita, l'autenticità della prescrizione medica ma anche la pubblicità dell'attività dell'impresa.

Nonostante oltre mezzo secolo di integrazione l'approccio dell'Unione alla libera circolazione delle merci e dei farmaci in particolare sembra essere ancora ambivalente. In altre parole, le restrizioni subite da un prodotto destinato a tutelare la sanità pubblica sono in re ipsa rappresentate dal suo scopo. Ciò non toglie che debbano essere perseguite coerentemente dagli Stati membri, con il fine ultimo di innalzare il livello di tutela offerto ai cittadini dell'Unione secondo il disposto dell'art. 35 della Carta.

CAPITOLO II

MERCATO INTERNO E SANITÀ SEZIONE II

IL DIRITTO DI STABILIMENTO DEGLI OPERATORI SANITARI

Sommario: 1. Il diritto di stabilimento e la sanità: inquadramento sistematico 2. Lo stabilimento dei professionisti 3. Il mutuo riconoscimento delle qualifiche professionali 4. Segue: i cittadini di Paesi terzi 5. Le professioni paramediche 6. Lo stabilimento delle persone giuridiche: il caso delle farmacie e dei laboratori clinici 7. Segue: ancora farmacie e studi dentistici 8. La cooperazione amministrativa 9. Conclusioni

1. Il diritto di stabilimento e la sanità: inquadramento sistematico

Si è visto nella Sezione I che la libera circolazione delle merci, sub specie dei medicinali, costituisce un aspetto essenziale del mercato interno dell'Unione Europea coinvolgendo, da un lato, lo sviluppo e la commercializzazione di farmaci su tutto il territorio UE e dall'altro, l'interesse dei cittadini ad usufruire di cure mediche sempre migliori. A questi profili si deve inoltre aggiungere l'equilibrio finanziario dei sistemi sanitari nazionali, che, come già evidenziato, è ormai ritenuto un motivo imperativo idoneo a limitare la circolazione di questo tipo di beni.

L'obiettivo della Sezione II è parzialmente diverso da quello della Sezione I. Adesso si vuole tentare di enucleare il rapporto tra il diritto di stabilimento e la tutela della sanità pubblica. Si tratteggeranno brevemente i caratteri salienti del primo per poi addentrarsi in ciò che è più rilevante per il nostro oggetto di studio.

Il diritto di stabilimento prevede l'accesso dei cittadini dell'Unione e delle società costituite conformemente alle legislazioni nazionali al mercato di un altro Stato membro, detto ospite. Per i primi, si tratta di esercitare attività di lavoro autonomo senza subire restrizioni di qualsivoglia natura (art. 49 TFUE) e senza essere discriminati sulla base della nazionalità (art. 18 TFUE). Per le persone fisiche o giuridiche che le gestiscono, implica la possibilità di costituire succursali, filiali, sedi secondarie ovvero di creare una sede a titolo primario.

Il fine della presente Sezione, è dimostrare che questi due aspetti sono intimamente connaturati alla salvaguardia della sanità pubblica, come imposto dall'art. 35 della Carta e dall'art. 9 TFUE298.

Ci si accinge dunque ad esaminare l’art. 49 TFUE attraverso due prospettive differenti. In primo luogo, quella dei professionisti, ossia di coloro i quali siano in possesso di idonei titoli di studio che consentano l'accesso negli Stati membri alle professioni regolamentate. In secondo luogo, quella degli operatori sanitari, ampia categoria che comprende le farmacie, i laboratori clinici, le grandi strutture di cura, i negozi di articoli ottici.

Lo stabilimento dei professionisti, tuttavia, presenta pochi spunti di interesse dal momento che le qualifiche mediche sono state ormai completamente armonizzate - anche alla luce

dell'uniformità dei percorsi formativi universitari- ed inserite nella direttiva 2005/36299. Essa sostituisce tutti i precedenti atti settoriali -che verranno citati nel prosieguo solo se strettamente necessario- codificando al tempo stesso la copiosa giurisprudenza in materia. In realtà, si trattava di casi alquanto semplici ma che hanno dato alla Corte di Giustizia la possibilità di affinare la costruzione dell'art. 49 TFUE e della libera circolazione delle persone. Se dunque per i primi, attraverso l'opera interpretativa dei giudici e le successive codificazioni del legislatore, si è giunti ad avere un quadro unitario, lo stesso non può dirsi per i grandi operatori economici del mercato europeo della sanità.

A livello teorico, non si dovrebbero incontrare difficoltà poiché per le persone giuridiche la giurisprudenza è sufficientemente consolidata300 ma occorre rilevare che allo stato attuale lo stabilimento degli operatori sanitari è disciplinato esclusivamente per via pretoria attraverso le pronunce della Corte di Giustizia. L'orientamento espresso dai giudici di Lussemburgo non è ancora sufficientemente chiaro, dal momento che i precedenti sono pochi e che sono stati originati sia da procedure di infrazione che da rinvii pregiudiziali. Pertanto, non è ancora ipotizzabile una sistemazione organica della materia, per quanto sia però possibile tracciare le linee direttrici che hanno influenzato il ragionamento della Corte.

Con queste premesse, si può indicare la struttura della Sezione II del presente capitolo. Si partirà per comodità espositiva e per semplicità dai casi sul diritto di stabilimento dei professionisti, in quanto ormai assorbiti dalla direttiva 2005/36. Si verificherà poi se quello delle persone giuridiche provenienti da altri Stati membri possa effettivamente contribuire ad innalzare la scelta offerta al consumatore/paziente oppure se la loro presenza sul territorio dello Stato membro ospite possa mettere a repentaglio l'offerta di cure e prestazioni mediche disponibili, alterando la configurazione e/o l'equilibrio finanziario del sistema previdenziale nazionale.

Nel documento Unione Europea e sanità (pagine 81-87)