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La cooperazione amministrativa

Nel documento Unione Europea e sanità (pagine 110-116)

L'analisi fin qui svolta ha messo in luce che gli interventi successivi del legislatore, fino alla definitiva promulgazione della direttiva 2005/36, non hanno eliminato i problemi concernenti lo stabilimento dei professionisti e che, nel frattempo, si sono verificate nuove situazioni altrettanto meritevoli di certezza giuridica. Del resto, ne sono prova le pronunce con cui la Corte di Giustizia ha interpretato il diritto dell'Unione in senso ampiamente favorevole all'integrazione dei mercati nazionali, soprattutto per quel che riguarda le professioni regolamentate.

La cooperazione amministrativa è il meccanismo che si è ormai affermato per evitare indirettamente il contenzioso ma soprattutto per favorire una mobilità effettiva delle persone. Essa costituisce uno degli aspetti di maggiore importanza per permettere ai professionisti di stabilirsi o prestare liberamente i propri servizi negli Stati membri dell'Unione Europea.

La direttiva 2005/36, utilizzando una tecnica normativa ormai consolidata, pone a carico degli Stati membri alcune specifiche obbligazioni. Ognuno di essi identifica -in base alle proprie

415Blanco Perez cit., par. 82. Inoltre “un tale accesso potrebbe essere ritenuto necessario ove si consideri, da un lato, che

la somministrazione di medicinali può rivelarsi urgente e, dall'altro, che tra i clienti delle farmacie vi sono persone a mobilità ridotta, come gli anziani e i malati gravi”

416Da ultimo cfr. anche Ottica New Line, C-539/11, non ancora pubblicata in Racc. che riguardava invece la distanza

disposizioni nazionali- l'autorità competente a decidere sul riconoscimento, dandone adeguata pubblicità e rendendo le procedure di accesso agevoli da reperire, facili e trasparenti. Inoltre, per le professioni regolamentate, assume particolare rilevanza lo scambio di informazioni qualora l'interessato sia stato sottoposto ad azioni disciplinari o sanzioni penali (art. 56 par. 2). Queste ultime sono da intendersi come quelle che il soggetto ha subito per la mancata ottemperanza ad obbligazioni che gli incombono in virtù della sua specifica posizione ovvero in quanto associato ad un determinato organismo di rappresentanza. Infatti, lo Stato membro di origine giudica i fatti controversi ed informa quello ospite ma senza poterne influenzare la decisione. Ciononostante, non è specificato se questa ipotesi dia la possibilità di rifiutare tout court il riconoscimento. Oppure si potrebbe ipotizzare che le autorità dello Stato membro ospite esprimano parere favorevole ma che vietino l'iscrizione all'associazione di categoria impedendo, di fatto, l'esercizio dell'attività. L'esito di casi simili appare di difficile previsione, comunque non si hanno notizie di controversie pendenti.

L'art. 57 della direttiva impone la creazione dei punti di contatto nazionali. Essi sono strutture agili con lo scopo di favorire la comunicazione e l'accesso alle informazioni da parte dei soggetti interessati. Inoltre, sono competenti a indicare le norme che disciplinano l'esercizio della professione in un determinato Stato membro, comprese le regole deontologiche. Essi, per il tramite della rete SOLVIT, sono anche in grado di risolvere i problemi concreti che si pongono tra l'interessato e le autorità che frappongano ostacoli. La rete SOLVIT fornisce inoltre soluzioni extra- giudiziali a tali problemi, con l'ulteriore specificazione che se queste non sono soddisfacenti rimane fermo il diritto di adire il giudice.

Infine, il professionista che abbia ottenuto il riconoscimento della qualifica può utilizzare il titolo così come rilasciato dallo Stato ospite e, al tempo stesso, mantenere anche quello dello Stato membro di origine a condizione che quest'ultimo non induca in confusione il beneficiario della prestazione (artt. 52 e 54). Tale diritto rappresenta il necessario complemento del sistema. Senza di esso, i soggetti stabiliti “sarebbero privati della possibilità di comunicare agli ambienti interessati le qualifiche professionali da essi possedute417”

9. Conclusioni

La suddivisione dell’art. 49 TFUE nelle due aree concernenti i professionisti della sanità e le persone giuridiche ha permesso di evidenziare i principali problemi che le istituzioni dell'Unione sono chiamate ad affrontare per conciliarlo con le esigenze degli Stati membri. Il nodo centrale rimane comunque la loro competenza nella sanità pubblica. Se, per quel che riguardava i farmaci, le maggiori divergenze erano rapidamente superabili grazie al tecnicismo della materia e ad una armonizzazione che ormai sfiora la normalizzazione, così non può essere per il campo di applicazione ratione materiae dell'art. 49 TFUE.

Il diritto di stabilimento dei professionisti è ormai sottoposto alle regole della direttiva 2005/36 quindi, da un punto di vista teorico, non si registrano problemi. Inoltre, poichè è stato uno dei primi settori armonizzati ed oggetto di una copiosa giurisprudenza gli ostacoli al suo corretto

esercizio sono per lo più endemici e legati alla farraginosità dei meccanismi statuali, quindi non destano reali preoccupazioni. Inoltre, il fatto stesso che la professione medica sia regolamentata in tutti gli Stati membri e che le direttive siano estremamente sedimentate permette alla Corte di sconfessare le argomentazioni degli Stati membri che, talvolta, asseriscono di non fidarsi dei medici stabiliti o formati altrove. Inoltre, il riconoscimento automatico di alcune qualifiche predefinite - medicina, ostetricia, infermieristica- deriva essenzialmente dai processi che hanno coinvolto il conseguimento dei relativi titoli di studio. É altrettanto vero però che, se per essi è automatico, lo stesso non può dirsi per altri diplomi universitari.

La soluzione a tali problemi sembra dunque investire questioni di natura più politica che giuridica. Innanzitutto, l'istruzione rientra tra le materia elencate all'art. 6 TFUE, dove l'Unione può intervenire solo con azioni di coordinamento, supporto o completamento e, di conseguenza, l'art. 165 TFUE ha un contenuto speculare rispetto all'art. 168 TFUE. Essa infatti rispetta le responsabilità degli Stati membri “per quanto riguarda il contenuto dell'insegnamento e l'organizzazione del sistema di istruzione, nonché delle loro diversità culturali e linguistiche”. Inoltre, ogni forma di armonizzazione è espressamente vietata e si possono adottare solo azioni di incentivazione. Tale assunto sembra invece confutato da quanto appena evidenziato.

Dalla direttiva 2005/36 e dalla formula Vlassopoulou si ricava che il riconoscimento è ormai un diritto dei cittadini dell'Unione anche se, concretamente, agisce attraverso il diaframma statuale. Infatti, poiché sarebbe illogico negare l'esperienza professionale precedentemente maturata si è deciso di regolamentarla attraverso i c.d tirocini di adattamento e le piattaforme comuni. Tale regime è applicabile per le professioni ed i titoli non armonizzati ma comunque indicati nella direttiva 2005/36.

Il cauto approccio che è stato mantenuto nei confronti dei cittadini di Paesi terzi desta invece qualche perplessità. Dal momento che costoro entrano in uno Stato membro ed ivi ottengono dalle autorità competenti il riconoscimento della propria qualifica o l'equipollenza del diploma non si comprende fino in fondo la ratio sottesa alla mancanza di efficacia transfrontaliera del provvedimento favorevole. La direttiva 2005/36 non osta infatti a tali situazioni fattuali418. Esso però non è valido in un altro Stato membro. Come già evidenziato, si potrebbe argomentare nel senso che i beneficiari del diritto di stabilimento sono esclusivamente i cittadini dell'Unione. Sembra tuttavia un'interpretazione troppo letterale e restrittiva. La soluzione potrebbe essere dunque rintracciata nel principio generale419 e non nella sua applicazione pratica derivante dalla direttiva 2005/36. Se lo Stato membro di origine lo garantisce quello ospite dovrebbe, per l'appunto, riconoscere tali valutazioni. Anche in questo caso, l'impasse è superabile solo attraverso un

418Considerando 10 direttiva 2005/36 “la presente direttiva non esclude la possibilità di riconoscere, secondo la propria

regolamentazione, qualifiche professionali acquisite da un cittadino di un paese terzo al di fuori del territorio dell'Unione Europea. In ogni caso il riconoscimento dovrebbe avvenire nel rispetto delle condizioni minime di formazione per talune professioni”.

419HATZOPOULOS V., Le principe de reconnaissance mutuelle dans la libre prestation des services, in Cahiers de droit

européen, pp. 47-93, 2010. Pag. 68: «la reconnaissance mutuelle s'impose à toutes les autorités nationales en tant que principe général du droit de l'Union, de nature fonctionnelle. […] il doit comporter un contenu susceptible d’être traduit en des règles juridiques contraignantes».

rafforzamento della cooperazione amministrativa e della fiducia tra le istituzioni coinvolte nella procedura.

Per le persone giuridiche le considerazioni da svolgere sono di carattere diverso. In primo luogo, si è di fronte ad un fenomeno nuovo, sviluppatosi solo negli ultimi anni e che ha generato poche pronunce. Inoltre, esse hanno un'origine differente essendo frutto di ricorsi per inadempimento e di rinvii pregiudiziali, riducendo dunque l'uniformità delle stesse. La Commissione ha giocato un ruolo molto attivo ed ha tentato di trasporre la giurisprudenza della Corte sul regime di proprietà dei negozi di ottica sia alle farmacie che ai laboratori medici. Ancora, l'orientamento giurisprudenziale sul diritto di stabilimento dei grandi operatori parte sempre dall'assunto che gli Stati membri sono sovrani in materia e che, in virtù delle peculiari caratteristiche della sanità pubblica, bisogna loro riconoscere un margine di manovra molto ampio. Non è dunque facile giungere a conclusioni univoche dal momento che le esigenze sottese alla regolamentazione statuale, pur essendo sempre le medesime -almeno a livello teorico- sono attuate in modo diverso. É necessario quindi porre l'attenzione su questo aspetto con l’aiuto dei rinvii pregiudiziali dei giudici nazionali. Inoltre, alla verifica della corretta esecuzione delle normative interne rispetto ai consueti canoni di idoneità, necessità e proporzionalità si aggiungono anche quelli di sistematicità e coerenza.

I casi Hartlauer e Blanco Perez ne sono la prova. Essi partono dagli stessi presupposti ma giungono a conclusioni differenti. Nel primo, l'obiettivo non era perseguito in modo coerente e sistematico, nel secondo si. Che indicazioni ricavare dunque?

Allo stato attuale è arduo identificare un approccio unitario. Ancora più difficile è ipotizzare gli sviluppi in assenza di giurisprudenza. Del resto, anche a livello legislativo, non si può invocare un intervento dal momento che l'art. 168, par. 5 TFUE, esclude qualsiasi armonizzazione compresa la fornitura di medicinali fa indissolubilmente parte.

Per quel che riguarda invece le procedure di infrazione le considerazioni sono in parte diverse. Esse si ricollegano alla crescente importanza che ha assunto il mercato sanitario negli ultimi anni420. A ciò si aggiunga che la pronuncia con cui la Corte accerta l'inadempimento obbliga lo Stato membro a emendare la propria legislazione, effetto che non si verifica con una sentenza proveniente da un rinvio pregiudiziale. Certo, quest'ultima ha valore erga omnes ma non sistemico, è valida dunque nel giudizio a quo e solo partendo da esso esplica i suoi effetti. L'opera della Commissione ha quindi avuto il pregio di portare l'attenzione su una materia prima sconosciuta ma anche il difetto di addentrarsi troppo in profondità nei gangli del potere statuale in materia di sanità pubblica. Non è una casualità che la Corte di Giustizia abbia accolto solo il ricorso contro la Grecia; gli ottici, infatti, non ne fanno parte. Lo stesso potrebbe dirsi dei laboratori di analisi cliniche ma, sia la Commissione, sia la Corte hanno preferito includerli nell'assistenza prestata da un medico e, di conseguenza, come afferenti al servizio sanitario nazionale.

Sembra potersi affermare che la Corte, limitatamente al diritto di stabilimento delle persone giuridiche, non abbia reso sentenze in linea con quelle riguardanti la libera circolazione delle merci e -come vedremo nella Sezione III- sulla libera prestazione di servizi. Se ne ricava un approccio

420ROEDER C. M., The EC Commission's new adopted baby: health care, in Columbia journal of european law, pp.

eccessivamente deferente verso i sistemi nazionali i quali, a ben vedere, sono sottoposti a pressioni europeistiche sotto altri profili.

Si considerino di nuovo i casi Blanco Perez e Hartlauer. In entrambi era presente una vera e propria quota connessa alla popolazione ed al territorio ma la soluzione è stata differente. Se la coerenza e l'unità della legislazione interna sono ormai parte integrante del test di ragionevolezza atto a verificare le eventuali giustificazioni basate su motivi imperativi e deroghe, anch'essi dovrebbero essere applicati... coerentemente. La differenza di trattamento non è data tanto -a parere di chi scrive- dalle caratteristiche intrinseche della normativa, quanto piuttosto da una certa assenza di visione organica da parte dei giudici nonostante le pronunce siano state rese dalla grande sezione. Di conseguenza, la difformità delle due soluzioni non è da ricercarsi nella determinazione dei requisiti quantitativi che, già di per sé, costituiscono una restrizione al diritto di stabilimento ma nell'applicazione della legge stessa da parte delle amministrazioni nazionali. É ragionevole supporre che se un altro operatore avesse provato ad aprire una farmacia in due regioni diverse della Spagna e avesse ottenuto due provvedimenti di diniego basati su disposizioni differenti, l'eventuale rinvio pregiudiziale sarebbe stato risolto nel senso della sentenza Hartlauer.

L'ultimo aspetto da evidenziare concerne invece la deontologia professionale, venuta in rilievo, paradossalmente, nei casi sullo stabilimento delle farmacie e non in quelli sui medici421. La Corte ripone eccessiva fiducia sul controllo effettuato dagli ordini professionali e sul fatto che gli affiliati non perseguano il profitto in quanto tale ma che i loro obblighi siano temperati dalla formazione ricevuta e dal possibile discredito che deriverebbe da una loro violazione. La dissociazione tra gli aspetti interni ed esterni della gestione di una farmacia, di un negozio di ottica e di un laboratorio di analisi cliniche non è priva della sua ragion d'essere per il solo fatto che alcune attività sono parte del sistema sanitario nazionale ed altre ne sono invece escluse.

Le legislazioni italiane e tedesche sono emblematiche a riguardo poichè entrambe conferiscono agli eredi del farmacista un diritto di esercizio continuo dell'attività, subordinato ovviamente al possesso della laurea, prolungando il periodo transitorio da un proprietario all'altro di dieci anni. Non è questa una restrizione al diritto di stabilimento dal momento che cristallizza gli assetti proprietari? Si pensi infatti al soggetto che volesse stabilirsi in Italia e Germania ma che ciò gli fosse impedito invocando le prerogative concesse agli eredi del precedente proprietario. Casi del genere non sono mai giunti all'attenzione della Corte; del resto, la procedura d'infrazione contro l'Italia riguardava le qualifiche dei detentori delle quote societarie, idem per il rinvio pregiudiziale sollecitato dall'ordine dei farmacisti tedeschi contro la DocMorris. Risulta dunque arduo ricollegare

421Specifici obblighi deontologici si ricavano anche dal divieto di pubblicità dei trattamenti medici. Cfr. Doulamis. C-

446/05, Racc. 2008, p. I-1377 in cui però il ricorrente lamentava una lesione dovuta al suo diritto di stabilimento sul presupposto che il divieto di pubblicità costituisse una distorsione della concorrenza ex art. 101 TFUE dal momento che non agevola un'intesa anticoncorrenziale tra le imprese, laddove queste ultime sono, ovviamente, tutti gli studi medici iscritti all'ordine belga. Cfr. Grabner cit.,; Corporacion Dermoestetica, C-500/06. Racc. 2008, p I-5785 e, più in generale, FORNI F., La libertà di espressione del messaggio commerciale, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, pp. 407-446, 2011. Inoltre, in op. cit. nota 394 pag. 1063: "although the Directive [2006/123] adopts a rather liberal approach vis-à-vis the content of CoC [codes of conduct], allowing a considerable room for manoeuvre to professional bodies to self-regulate their industry and establish deontological rules in co-ordination with their counterparts in other Member States, it adopts a more interfering stance towards the need for common rules relating to commercial communications".

la corretta tutela della sanità pubblica solo ed esclusivamente agli obblighi di deontologia cui sono soggetti i professionisti.

Sembra possibile dunque rintracciare un orientamento conservatore da parte della Corte di Giustizia che nell'esaltare gli obblighi deontologici raggiunge il massimo consenso possibile. Essi sono infatti presenti in tutti gli Stati membri e costituiscono parte integrante delle professioni regolamentate e delle relative associazioni di categoria, quindi non sono oggetto di contestazioni. Tuttavia, l'aspetto di maggiore importanza è da ricercarsi nella salvaguardia dei sistemi sanitari nazionali che sono stati tendenzialmente protetti dal diritto di stabilimento dopo essere stati scardinati per almeno un decennio dalla libera prestazione di servizi. Del resto, non è neanche ipotizzabile un atto di diritto derivato volto ad armonizzare le innumerevoli sfaccettature dello stabilimento delle persone giuridiche. Lo si è potuto approvare per le persone fisiche dal momento che esse rientravano tra i fattori produttivi di cui incentivare la mobilità fin dall'inizio dell'esperienza comunitaria. Ma per le persone giuridiche al momento non si vedono margini di manovra da parte delle istituzioni dell'Unione. La Corte di Giustizia sarà chiamata –si vedrà in futuro quanto saltuariamente- ad occuparsi di legislazioni nazionali restrittive per mezzo di rinvii pregiudiziali o di procedure di infrazione, lasciando dunque il compito dell'apertura dei mercati nazionali all'integrazione negativa.

CAPITOLO II

MERCATO INTERNO E SANITÀ SEZIONE III

LA LIBERA PRESTAZIONE DEI SERVIZI: LA MOBILITÁ DEI PAZIENTI E LA PUBBLICITÁ

Sommario: 1. La libera prestazione dei servizi 2. I sistemi sanitari nazionali e la libera

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