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La Convenzione europea dei diritti dell’uomo

Nel documento Unione Europea e sanità (pagine 186-192)

La CEDU e la Corte di Strasburgo hanno influenzato profondamente la costruzione e l’interpretazione del diritto alla salute. Tale opera è di grande rilevanza nella misura in cui la CEDU non lo riconosce, anzi, il suo impianto normativo non lo menziona nemmeno incidentalmente. Per tale ragione risulta di particolare importanza la giurisprudenza della Corte EDU che è giunta, attraverso un orientamento ormai consolidato, a considerare la protezione della salute come uno dei diritti fondamentali dell’uomo. Ciò è tanto più vero se si considera la struttura stessa del sistema giurisdizionale CEDU se rapportata sia a quella dell’Unione681sia al Patto e sia alla Carta sociale.

680Analogamente cfr. art. 1 TUE: “il presente trattato segna una nuova tappa nel processo di creazione di un’unione

sempre più stretta tra i popoli dell’Europa, in cui le decisioni siano prese nel modo più trasparente possibile e il più vicino possibile ai cittadini”.

681HARPAZ G., The European Court of Justice and its relations with the European Court of Human Rights: the quest

Per quel che riguarda l’Unione, il riparto di competenza con gli Stati membri pone un freno alla creazione di uno spazio unico di sanità e salute pubblica sebbene taluni interventi normativi, ma soprattutto la giurisprudenza della Corte di Giustizia, stiano facendo breccia in un impianto finora granitico. Tuttavia, l’incardinamento di molte problematiche squisitamente sanitarie all’interno delle dinamiche del mercato interno ne compromette la visione d’insieme. Inoltre, le controversie potenzialmente proponibili sono definite dai giudici nazionali che, solo quando opportuno, le rinviano alla Corte di Giustizia. A ciò si aggiungano anche le note difficoltà che incontrano i singoli nell’esperire un ricorso giurisdizionale direttamente di fronte al giudice dell’Unione.

Per il Patto e la Carta sociale le questioni, seppure differenti, sono basate sul medesimo assunto, l’irrilevanza della tutela offerta al singolo. Entrambi gli strumenti prevedono, a limitatissime condizioni, un ricorso collettivo che condurrà –se ammissibile- ad una dichiarazione da parte dei rispettivi Comitati. Tuttavia, sono ben pochi gli Stati che hanno ratificato i protocolli addizionali dei due trattati.

Il sistema CEDU è invece differente. Esso fornisce alla vittima di una violazione, perpetrata da una delle Parti contraenti sotto la propria giurisdizione, un mezzo di ricorso che la vede direttamente contrapposta allo Stato ipoteticamente responsabile. Tale protezione, non si configura come un ultimo grado di giudizio, bensì come un mezzo sussidiario, idoneo a radicare una controversia esauriti tutti i mezzi interni. Sono noti il processo di adesione dell’Unione nonché l’obbligo di interpretare le disposizioni della Carta dei diritti fondamentali in senso equivalente a quelle CEDU, sempre fatta salva la possibilità di garantire un livello di protezione maggiore. Non ci si soffermerà su tali aspetti, né si analizzerà la sterminata dottrina in materia682.

Più interessante è invece capire quale sia il livello effettivo di protezione conferito dalla CEDU e dalla Corte di Strasburgo al diritto alla salute che, in tale ordinamento, a causa dell’assenza di una previsione esplicita, è stato ricondotto al diritto alla vita (art. 2 CEDU), al divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti (art. 3 CEDU) e al rispetto della vita privata e familiare (art. 8 CEDU683).

Le disposizioni in commento, oltre ad aver creato un corpus giurisprudenziale vastissimo, si rivelano di particolare importanza ai fini della presente trattazione nella misura in cui sono state interpretate –seppur con le riserve che verranno successivamente evidenziate- in senso di garantire al singolo l’accesso alle cure mediche. Tuttavia, tale nozione è da intendersi nella sua accezione atecnica poiché i giudici di Strasburgo non hanno le cognizioni necessarie per identificare un determinato trattamento come una terapia, lasciando la decisione concreta –in virtù della

682 Poichè analizzata nel Cap. III, Sez. I, in questa sede ci si limita a richiamare solamente DE BURCA G., The

evolution of EU human rights law, in CRAIG P., DE BURCA G., The evolution of EU law, pp. 465-497, 2 ed., 2011, Oxford; GAJA G., Accession to the ECHR, in BIONDI A., EU law after Lisbon, pp. 180-194, 2012, Oxford; POTTEAU A., A propos d'un pis-aller : la responsabilité des Etats membres pour l'incompatibilité du droit de l'Union avec la Convention européenne des droits de l'homme. Remarques relatives à plusieurs décisions « post-Bosphorus » de la Cour européenne des droits de l'homme, in Revue trimestrielle de droit européen, pp. 697-715, 2009.

683Per una prima analisi di tali disposizioni, cfr. HARRIS D., O'BOYLE M., WARBRICK C., Law of the European

Convention on Human Rights, pp. 37-67, pp.69-112, pp. 341-422, 2 ed., 2009, Oxford. Per quel che riguarda il ruolo di tali norme nel diritto alla salute cfr. invece SAN GIORGI M., The human right to equal access to health care, pp. 97- 110, 2012, Intersentia. Per un commento alle singole disposizioni della CEDU cfr. anche BARTOLE S., DE SENA P., ZAGREBELSKY V., Commentario breve alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, 2012, CEDAM.

consolidata dottrina del margine di apprezzamento684- alle scelte legislative delle Parti contraenti. Taluni casi hanno anche attirato l’interesse dell’opinione pubblica per la delicatezza delle questioni trattate e per il malcelato disappunto di alcuni Stati che non hanno accolto positivamente i giudizi della Corte EDU. Altri hanno invece suscitato notevole interesse a causa della presenza di aspetti di bioetica, la cui concezione varia da uno Stato all’altro e muta nel tempo.

Ora, per quel che riguarda l’accesso alle cure dei detenuti nulla quaestio. Infatti, non esistono legislazioni che comprimono in maniera assoluta tale diritto ma erano piuttosto le prassi delle amministrazioni carcerarie a comprometterlo. Naturalmente è considerato responsabile lo Stato nel suo complesso, a prescindere dall’organo che materialmente commette la violazione di uno dei diritti fondamentali. In altri termini, pur collocandosi all’interno di un orientamento giurisprudenziale molto ampio, le sentenze che riguardano questi profili non suscitano problemi interpretativi685. Esse si segnalano invece per aver consentito alla Corte EDU di enucleare il diritto all’accesso alle cure per il tramite dell’art. 3 CEDU. Inoltre, pur riconoscendo un diritto alla salute tout court lo rapportano pur sempre alle condizioni carcerarie, imponendo agli Stati di garantire ai detenuti quanto meno le prestazioni minime e non prevedendo, ad esempio, la possibilità di ottenere terapie ospedaliere se non nelle situazioni più gravi. In altri termini, il diritto alla salute è modulato in considerazione delle caratteristiche soggettive degli individui impossibilitati a goderne.

Ciò posto, risultano più interessanti le sentenze della Corte EDU che riguardano le terapie non disponibili nello Stato che esercita la giurisdizione sulla presunta vittima. L’obbligo di adeguarsi ad una tale pronuncia potrebbe implicare una modifica sostanziale del sistema sanitario nazionale, comportando l’introduzione di prestazioni prima non coperte oppure l’importazione di un farmaco in precedenza vietato.

Nella decisione sull’ammissibilità del ricorso proposto dal sig. Nitecki686 il ricorrente chiedeva alla Corte di Strasburgo di voler dichiarare che la Polonia aveva violato il suo diritto alla vita ex art. 2 CEDU nella misura in cui detto Stato non gli rimborsava interamente il prezzo di un farmaco per la cura della sclerosi laterale amiotrofica. La Corte EDU dichiara il ricorso irricevibile in quanto manifestamente infondato. I giudici argomentano infatti che il ricorrente aveva avuto accesso al sistema sanitario polacco in maniera sufficiente nella misura in cui egli doveva pagare autonomamente solo il 30% del costo mentre la quota restante era a carico dello Stato. Già da tale decisione si comprende l’accortezza con la quale la Corte di Strasburgo si occupa dei sistemi sanitari nazionali, anche se, poiché il ricorso è stato dichiarato inammissibile, non è stato necessario ricorrere alla dottrina del margine di apprezzamento.

Il caso Ramaen e Van Willigen c. Paesi Bassi687 presenta spunti di maggiore interesse dal momento che i due ricorrenti, pensionati residenti in Belgio e Spagna, lamentavano che la riforma del sistema previdenziale olandese avesse portato a un aumento dei costi dell’assistenza sanitaria per i soggetti residenti all’estero. La Corte EDU analizza tutti i ricorsi interni esperiti citando anche

684PRIAULX N., Testing the margin of appreciation: therapeutic abortion, reproductive "rights" and the intriguing case

of Tysiac v. Poland, in European journal of health law, pp. 361-379, 2008.

685

Ex multis, Kudla c. Polonia, 30210/96; Khudobin c. Russia, 59696/00; Price v. Regno Unito, 33394/96; Papon v.

Francia, 64666/01; McGlinchey e a. c. Regno Unito, 50390/99.

686Nitecki c. Polonia, 65653/01.

la sentenza con cui la Corte di Giustizia era stata chiamata a decidere della compatibilità dell’art. 21 TFUE con la nuova normativa olandese688, nonché i pertinenti atti di diritto dell’Unione. I ricorrenti sostengono che i premi da versare alle assicurazioni costituiscono una proprietà e, come tale, non dovrebbero subire intromissioni nel suo pacifico godimento secondo l’art. 1 del Protocollo n. 1 della CEDU. Inoltre, essi argomentano che detta disposizione vada letta in combinato disposto con l’art. 14 CEDU che vieta ogni discriminazione dal momento che essi sono soggetti ad un regime meno favorevole rispetto a coloro i quali sono rimasti nei Paesi Bassi, ie: che non si siano avvalsi della libera circolazione in quanto cittadini dell’Unione.

Secondo il ragionamento seguito dai giudici di Strasburgo, i ricorrenti non possono vantare un diritto di proprietà sulle future prestazione cui avrebbero astrattamente avuto diritto; essi sperano infatti che le loro polizze siano rinnovate. Di conseguenza, in assenza di una legittima pretesa di proprietà anche l’art. 14 CEDU diventa inapplicabile al caso di specie. Il passo successivo consiste nella valorizzazione dell’art. 1 del Protocollo n. 12 che, a differenza dell’art. 14 CEDU non lega il principio di non discriminazione ad una disposizione sostanziale. La Corte EDU è dunque chiamata a verificare se i ricorrenti si trovino nella stessa posizione di altri individui rimasti nei Paesi Bassi e se siano stati trattati in modo differente. La risposta è negativa dal momento che il regime olandese si applica solo a coloro i quali non hanno trasferito la propria residenza; di conseguenza, non sussiste alcuna discriminazione.

Il caso Hristozov e a. c. Bulgaria689 rappresenta al meglio l’approccio tenuto dalla Corte EDU riguardo la questione di terapie e/o farmaci non dispensati nel proprio Paese. In particolare, i ricorrenti argomentavano che il rifiuto da parte delle autorità bulgare di consentire la somministrazione di un medicamento sperimentale ad uso palliativo costituisse una violazione dei loro diritti ex artt. 2, 3 e 8 CEDU. La sentenza è resa ancora più interessante dai richiami della Corte EDU al diritto dell’Unione. Ciò è ampiamente comprensibile e condivisibile stante il profondo grado di armonizzazione raggiunto nel settore dei medicinali ed in particolare per ciò che concerne la loro circolazione. In effetti, i ricorrenti avevano chiesto di utilizzare un farmaco che non era stato autorizzato né in Bulgaria né nell’Unione dal momento che era ancora oggetto di prove di laboratorio. Tuttavia, ai sensi dell’art. 83 del regolamento 726/2004/CE690 è possibile derogare all’art. 6 della direttiva 2001/83/CE691; brevemente, somministrare un farmaco non ancora

688Van Delft, C-345/09, Racc. 2010 p. I- 9879. Si riporta il dispositivo della sentenza per ciò che concerne l’art. 21che

“deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa di uno Stato membro […] la quale prevede che i titolari di una pensione o di una rendita dovuta a titolo della legislazione di tale Stato, residenti in un altro Stato membro, in cui hanno diritto […], alle prestazioni di malattia in natura corrisposte dall’ente competente di quest’ultimo Stato membro, devono versare, sotto forma di trattenute su detta pensione o rendita, un contributo a titolo di siffatte prestazioni, anche qualora i menzionati titolari non siano iscritti presso l’ente competente dello Stato membro di residenza. Per contro, l’art. 21 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale del genere nei limiti in cui essa induca o comporti, punto che spetta al giudice del rinvio accertare, una disparità di trattamento ingiustificata fra residenti e non residenti, relativamente alla garanzia della continuità della protezione globale contro il rischio di malattia […].

689Hristozov e a. c. Bulgaria, no. 47039/11 e 358/12.

690Regolamento (CE) n. 726/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004 che istituisce procedure

comunitarie per l'autorizzazione e la sorveglianza dei medicinali per uso umano e veterinario, e che istituisce l'agenzia europea per i medicinali (Testo rilevante ai fini del SEE) GU L 136 del 30.4.2004, pagg. 1–33.

691Direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 novembre 2001, recante un codice comunitario

autorizzato ma già sottoposto a sperimentazione clinica692. La questione di diritto è particolarmente complessa dal momento che operano due insiemi di norme. Ad un primo livello, le disposizioni del regolamento, ad un secondo la legislazione nazionale che ha trasposto la direttiva e soprattutto le sue successive modificazioni.

Poiché la Corte EDU decide il caso seguendo l’ordine delle disposizioni asseritamente violate, si riproporrà lo stesso schema. Innanzitutto, essa afferma che non rientra nelle sue competenze né esprimere un giudizio sul sistema bulgaro di accesso ai medicinali e né valutare se il diniego sia compatibile con la Convenzione, né tantomeno esprimersi sull’idoneità della terapia693.

Sulla violazione dell’art. 2 CEDU, i ricorrenti lamentavano che la legislazione dovrebbe essere “scritta” in modo da consentire loro l’utilizzo di un farmaco non ancora testato. Inoltre, la somministrazione sarebbe stata gratuita in quanto a carico dell’impresa farmaceutica produttrice che poi avrebbe utilizzato i dati clinici per studi ulteriori. Secondo la Corte non sussiste una violazione dell’art. 2 CEDU dal momento che in Bulgaria esisteva una legislazione sull’accesso ai medicinali non autorizzati, al contrario, il diritto alla vita sarebbe stato violato se una tale normativa non fosse stata in vigore. Infatti, “Article 2 of the Convention cannot be interpreted as requiring that access to unhautorised medicinal products for the terminally ill be regulated in a particular way694”.

Per quel che riguarda la violazione dell’art. 3 CEDU, la Corte di Strasburgo richiama la giurisprudenza in materia sottolineandone i punti di contatto con il diritto alla salute. Innanzitutto, i ricorrenti non hanno lamentato l’assenza di trattamenti medici adeguati, per tale motivo la loro situazione non è comparabile a quella dei detenuti che invece non hanno accesso ad alcuna forma di assistenza sanitaria. Pertanto, non si tratta di tortura ma al limite di trattamento inumano e degradante nella misura in cui il divieto di usare quel determinato farmaco ha provocato sofferenze altrimenti alleviabili. Qui si giunge ad uno dei punti maggiormente interessanti. Infatti, “it cannot be said that by refusing the applicants access to a product […] whose safe and efficacy are still in doubt the authorities directly added to the applicants’ physical suffering695” o comunque il livello di sofferenza non raggiunge la soglia per essere considerato trattamento inumano e degradante. Infine, l’art. 3 CEDU non può essere usato per livellare le disparità nell’assistenza sanitaria che si verificano da uno Stato all’altro.

Tale assunto rivela particolare deferenza verso l’organizzazione previdenziale delle Parti contraenti; desta qualche interrogativo anche la circostanza che la Corte non ricorra sotto questo

692Direttiva 2001/20/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 aprile 2001, concernente il ravvicinamento delle

disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri relative all'applicazione della buona pratica clinica nell'esecuzione della sperimentazione clinica di medicinali ad uso umano GU L 121 dell' 1.5.2001, pagg. 34–44. In dottrina si segnala FORNI F., Consenso informato e sperimentazione clinica nella normativa dell'Unione Europea, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, pp. 215-242, 2012. Cfr. anche Regolamento (CE) n. 1394/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2007 , sui medicinali per terapie avanzate recante modifica della direttiva 2001/83/CE e del regolamento (CE) n. 726/2004 (Testo rilevante ai fini del SEE) GU L 324 del 10.12.2007, pagg. 121–137 su cui MAHALATCHIMY A., Access to advanced theray medicinal products in the EU: where do we stand?, in European journal of health law, pp. 305-317, 2012.

693Hristozov e a. c. Bulgaria cit., par. 105, la Corte EDU prosegue affermando che “the Court does not to establish

whether the product that the applicants wished to use met the requirements of European Union law […]; the Court is competent to apply only the Convention, and it is not its task to review compliance with other international instruments”.

694Hristozov e a. c. Bulgaria cit., par. 109. 695Hristozov e a. c. Bulgaria cit., par. 113.

specifico profilo alla consueta dottrina del margine di apprezzamento. Al contrario, essa sarà utilizzata per stabilire se ci sia stata una violazione dell’art. 8 CEDU.

Secondo i giudici di Strasburgo i termini della presunta violazione devono essere reinterpretati per accertare se la Bulgaria abbia interferito con la libertà dei ricorrenti di scegliere una terapia ovvero se non abbia previsto un quadro legislativo sufficientemente idoneo per tutelare il loro diritto alla vita privata. In entrambi i sensi, è da determinare se sia stato effettuato un bilanciamento tra l’interesse dei singoli e quello della comunità, da qui l’utilizzo della teoria del margine di apprezzamento. Infatti, solo le Parti contraenti della Convenzione possono indirizzare al meglio la propria politica sanitaria, soprattutto in casi come quello di specie, laddove è in gioco l’utilizzo di una farmaco sperimentale non ancora autorizzato ad essere messo in commercio. Quindi, se i ricorrenti hanno un forte interesse all’accesso a tale terapia -sottintendendo una visione personalista del diritto alla salute- lo Stato resistente deve invece salvaguardarne la dimensione pubblicistica, tutelando quindi i soggetti vulnerabili. Ed è tanto più apprezzabile che la Corte di Strasburgo richiami l’importanza del consenso informato nella misura in cui esso possa configurarsi come l’asse portante per risolvere la dicotomia tra le due summenzionate dimensioni.

Purtroppo il punto non è approfondito a sufficienza poiché la Corte passa subito ad analizzare se esista quanto meno un clear trend696 tra le Parti contraenti nel senso di consentire - seppur a condizioni stringenti- l’utilizzo di farmaci sperimentali non autorizzati. Dal momento che non esistono chiare indicazioni comparative e poiché anche il diritto dell’Unione lascia alle legislazioni nazionali i più ampi poteri in merito, il margine di apprezzamento consentito agli Stati deve essere particolarmente ampio. In altre parole, non spetta alla Corte di Strasburgo decidere su tali scelte che, in ultima analisi, riguardano il rischio che ognuno di essi intende accettare, rectius, far accettare ai propri cittadini. Per tali motivi, la Bulgaria non ha violato l’art. 8 CEDU.

Le tre sentenze commentate hanno dimostrato quanto sia delicato anche per i giudici di Strasburgo intervenire nel diritto alla salute. Anche se non richiamano le obbligazioni di rispettare, proteggere e adempiere una lettura complessiva della giurisprudenza della Corte EDU permette di identificare l’approccio a tale diritto. In primo luogo, esso è essenzialmente demandato alle Parti contraenti che hanno il compito di approntare un sistema sanitario idoneo a rispondere ai bisogni della popolazione. Essi sono mutevoli per definizione, pertanto deve essere presente una cospicua dose di flessibilità nella gestione che, sostanzialmente, rappresenta il vero parametro di riferimento. Se si pensa ai casi esaminati in precedenza, ne scaturisce che gli Stati convenuti non hanno mai violato le disposizioni della CEDU non tanto perché sono riusciti a confutare le affermazioni dei ricorrenti ma, al contrario, perché avevano fatto tutto il necessario per adempiere ai propri obblighi. Nella sentenza riguardante i Paesi Bassi, non era presente una discriminazione perché le situazioni erano diverse e non perché una sua eventuale presenza fosse stata debitamente giustificata. Ancora, nel caso della Bulgaria non sussistono violazioni perché il margine di apprezzamento è amplissimo. Certo, come si vedrà nelle conclusioni della presente Sezione, ciò apre una notevole frattura tra la dimensione privata e quella pubblica del diritto alla salute.

696Hristozov e a. c. Bulgaria cit., par. 123.

La protezione offerta dall’ordinamento CEDU è quindi differente rispetto a quella della Carta sociale o della Convenzione di Oviedo. Tali strumenti del Consiglio d’Europa sono intrinsecamente differenti, pensati per scopi alternativi ma cumulabili. Se la Carta sociale prevede una esplicita disposizione per la protezione della salute al contrario non include, se non

Nel documento Unione Europea e sanità (pagine 186-192)