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Alessandro Piperno: Con le peggiori intenzioni e

Capitolo 1. M ASCHILITÀ : STUDI ED EVOLUZIONE DI GENERE

3.5. Gli effetti della scomparsa del padre

3.5.1. Alessandro Piperno: Con le peggiori intenzioni e

Alessandro Piperno esordisce nel 2005 con il romanzo Con le peggiori intenzioni, vincitore del premio Viareggio e del premio Campiello Opera Prima.

L’opera ripercorre le vicende dei Sonnino, ricca famiglia di ebrei romani, a partire dai tempi dello sfrenato nonno Bepy, sino al tracollo finanziario degli stessi. Con tono ironico e a tratti sprezzante, il giovane nipote Daniel ci racconta gli amori, gli scandali, i segreti e le avventure che hanno riguardato la sua famiglia a partire dall’immediato dopoguerra. Il passaggio generazionale, la trasmissione ereditaria, il complesso rapporto padre-figlio, diventano i fili conduttori dell’intera narrazione che tende a smascherare la

«depravazione»63 di questa famiglia borghese.

L’io narrante si inserisce nel racconto con descrizioni anche fin troppo dettagliate riguardo le bizzarre personalità di ogni componente familiare, in particolare del nonno Bepy che rappresenta un anti-mito per eccellenza, termine di paragone, ma soprattutto di distacco per suo nipote Daniel:

non so mica come la figura di Bepy in seguito sia sbandata nella memoria, fino a incarnare il simulacro del mio problema originario. Non ho motivi di personale rancore. Semmai è lecito parlare d’un livore riflesso, suscitato, retroattivo. Questo sì! E anche se da un certo punto della mia vita in poi lui non è più esistito e lo spazio che da lui mi separa è più largo di quello che occupai al suo fianco, in qualche modo Bepy ha continuato a vivere di volta in volta in alcune espressioni ipertrofiche di mio padre, negli sguardi luminosi dello zio neo-israeliano, o in certe esuberanze erotico-vitaliste di mio fratello, ma soprattutto in talune affettazioni di galanteria e snobismo che, inattese, emergevano dal mio acido cuore di secondogenito e di sopravvissuto. [CPI 43]

È infatti Bepy Sonnino il vero protagonista di questa storia: uomo spregiudicato e truffatore, marito infedele e padre indegno, colui che attraverso le sue azioni sgangherate è la causa della crisi economica che la sua famiglia deve tentare di risolvere.

62 IVI. p. 50.

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Bepy ha messo a segno un centinaio di truffe: è braccato dai carabinieri, finanzieri, curatori fallimentari, probabilmente anche da malintenzionati nanetti al soldo di qualche furioso usuraio, e da Dio sa chi altro: non gli resta che un’immediata fuga negli Stati Uniti. Sì, da un giorno all’altro acquista con gli ultimi spiccioli, estorti a mia madre con l’inganno, un biglietto aereo per New York […] e vola via verso Angelo, il fratello minore, che ha aperto dopo la guerra un ristorante ebraico-romanesco nel cuore di Manhattan. [CPI 33]

La prima descrizione che ci viene fornita di Bepy è quella di un uomo talmente legato ai piaceri carnali e all’apparenza esteriore, da essere terrorizzato all’idea di essere vittima di impotenza, per lui segno della perdita di virilità:

Bepy sentì di non avere scampo diverse ore dopo aver incassato la diagnosi di tumore alla vescica […]. Sebbene tale dilemma possa apparire una patologica inversione della priorità, per lui, nell’estremo frangente, risultò più spaventoso lo spettro della compromessa mascolinità che l’orrore del nulla: forse perché nel suo immaginario impotenza e morte coincidevano, anche se la seconda era preferibile alla prima, se non altro per il conforto dell’assenza eterna…O forse il salto nel buio che aveva condotto quest’uomo di successo alla bancarotta finanziaria era stato troppo fulmineo per non scalfirgli l’integrità emotiva. [CPI 11]

Bepy è sposato con Ada, che tradisce abitudinariamente e dalla quale ha avuto due figli, Teo e Luca. Il primo è un convinto fondamentalista, fissato con la politica israeliana e volenteroso di battersi per i diritti di questa nazione che, ad un certo punto della sua vita, contrariamente al volere paterno, decide di trasferirsi in Israele. Il suo unico figlio, Lele, è un omosessuale anticonformista, forse l’unico all’interno della famiglia Sonnino a volersi liberare dalle ipocrite convenzioni sociali. Ciò che Piperno costruisce all’interno di questa famiglia è un sistema di contrappasso che dai padri si trasmette ai figli: un insieme di punizioni che i personaggi avvertono come unica possibilità per espiare una colpa precedente. Così Teo che ha deluso il padre per le sue scelte di vita estreme è ora costretto ad accettare l’orientamento sessuale del figlio, seppur non riuscirà mai a comprenderlo fino in fondo:

[…] Lele si presenta con capelli color paglierino, pantaloni attillati, zatteroni d’almeno cinque centimetri ai piedi, e soprattutto con la drammatica intenzione di mettere al corrente i genitori del suo incontenibile appetito.

Teo rimane turbato da quel modo eccentrico di vestire. Ma avendo lottato una vita contro l’ipocrita convenzionalismo di Bepy, non può certo rimbrottarlo. Come non angustiarsi, però? Fin qui Teo ha sempre creduto che la libertà si esprimesse nell’indossare jeans e maglietta. Che la libertà fosse un rifugio dell’affettazione. Non gli è venuto in mente che si può essere liberi esasperando i contrasti, enfatizzando capricci e vezzosità […]. Solo ora sembra di scoprire che la libertà non è soltanto la tua legittima aspirazione a emanciparti da tuo padre, ma anche il desiderio altrettanto struggente di tuo figlio di emanciparsi da te. [CPI 57]

Luca invece soffre di albinismo, è un uomo costantemente in viaggio per lavoro e un padre poco incline ai gesti d’affetto verso i due figli, Daniel e Lorenzo.

L’ironia con cui Daniel si pone davanti ai problemi economici della propria famiglia è evidente soprattutto nell’immaginario dialogo col padre Luca, nel momento in cui cerca di comprendere il turbamento provato dal padre al tempo in cui il nonno Bepy fuggì per sottrarsi ai suoi creditori:

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è esattamente così: ogni volta che il telefono squilla e una voce gelida chiede di Bepy, Luca rabbrividisce. Sa che dovrà tergiversare, inventare balle e eludere la verità, dovrà smorzare la rabbia d’un interlocutore, che per il solo fatto di vantare un credito si sentirà autorizzato alla scortesia. Come ci siamo ridotti così? L’umanità intera sembra avere un conto in sospeso con Bepy. […] Calma, Luca! Ormai hai superato il trauma. Puoi concederti un po’ di ironia e un po’ di compassatezza. Trascorri due ore a riempire valigie e scatoloni dell’inconfondibile mercanzia di Bepy […]. Ma c’è qualcosa di lui, di Bepy, che desideri salvare? [CPI 34-37]

Il rapporto tra Luca e Daniel è basato su regali materiali, sulla mancanza di dialogo, sulla diversità inconciliabile, sulla distanza e sul senso di inferiorità che il figlio avverte nei confronti del padre e del fratello Lorenzo:

di solito era Lorenzo a incaricarsi di queste dettagliate relazioni di viaggio. Era affidato a lui il compito di esagerare, di storcere, d’inventare. Il mio ruolo era secondario. Facevo da testimone silenzioso. Da attore non protagonista. Il mio compito era assentire, negare, talvolta sospirare, nei casi estremi arrivavo persino a emettere monosillabi. […] Lorenzo somigliava a mio padre molto più di me. E non è solo questione di corporatura. E neppure di carisma la leader. […] La sua anomalia – ciò che lo rendeva così profondamente affine al padre e così sfacciatamente diverso da ogni altro individuo – era il sentimento, la purezza del sentimento, lo scandalo dei sentimenti: il dolente accordo tra la generosità e il disperato tentativo di dissimularla attraverso quella verbosa ostentazione di cinismo. [CPI 92-93]

Se il rapporto tra Bepy e il figlio Luca era stato incrinato dalla mancanza di responsabilità del primo che era sfociato in un grave indebitamento della famiglia, il rapporto tra Luca e Daniel è compromesso proprio dall’assenza del padre, sempre troppo impegnato negli affari di lavoro, ad acquistare stagionalmente nuove auto, ad aggiornare il suo raffinato guardaroba, ad ostentare la sua ricchezza e ad affermare su tutti la sua eccentrica personalità. Luca rappresenta più di tutti quella figura di breadwinner nel pieno del boom economico italiano che nel raggiungimento del massimo profitto vede il suo unico scopo di vita.

In fondo basta capire che lui è uno degli uomini della nostra epoca che non solo non ha casa, intesa come fissa dimora, ma non sembra averne la necessità. Detto così può apparire enfatico, ma la sua casa è il mondo: se non tutto, uno spicchio ragguardevole. Più a suo agio nei labirinti asettici dei dut free, nei meticolosi reticoli dei ristoranti giapponesi, nei fasti impersonali degli Hilton, persino nelle afose sarabande delle sale d’attesa che non a casa propria. Forse perché un uomo di quella mole extralarge non sa che farsene del calore domestico: ha bisogno degli spazi larghi, di affollare hall. [CPI 88]

Daniel deve fare i conti con un padre sconosciuto, troppo distante da lui per saperne dare una descrizione quantomeno soddisfacente, è un figlio che vive la sua adolescenza – con tutto ciò che questo periodo della vita comporta per un ragazzo – senza potersi confrontare con un modello di padre. Luca – ed è già significativo che il figlio si rivolga al padre chiamandolo col nome proprio – rappresenta per Daniel un enigma indecifrabile:

Luca […] la sua vita intima era un mistero fitto quasi quanto la sua interiorità. L’opera di desertificazione sentimentale che i suoi genitori avevano operato su di lui, affinché dienticasse (o quanto meno non drammatizzasse) il suo singolarissimo aspetto, aveva sortito l’effetto

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collaterale di renderlo superbamente enigmatico. Sì, era un enigma purgato dalla viscosità degli enigmi. [CPI 90]

Il rapporto conflittuale che ritroviamo in questo romanzo è causato dalla tensione provocata da padri eccentrici e incoerenti con alte aspettative verso i propri figli, ma ogni volta disattese. Nel testo i personaggi si rivelano delle esistenze isolate che devono fare i conti con un padre o un figlio così profondamente diverso dal proprio ideale. Bepy, uomo alfa, deve confrontarsi con Teo dalle alte aspirazioni politiche e con Luca, dall’aspetto ben poco apprezzabile. Teo, a sua volta, che per una vita intera ha combattuto per ideali di libertà, deve fare i conti con una libertà di tipo diversa, quella dell’orientamento sessuale del figlio, e infine Luca che con l’autoritarismo e la sfrontatezza ha cercato di sopperire al suo aspetto fisico, subirà le critiche di un figlio fin troppo più sensibile di lui. I tre personaggi che più di tutti strutturano una complessità all’interno dei rapporti familiari sono indubbiamente Bepy, Luca e Daniel. È attraverso loro, infatti, che emerge il tema fondamentale che permette di caratterizzare le singole vicende. Si tratta del contrasto tra padri ribaldi, a tratti istrionici e sessualmente arroganti e figli che, al contrario, risultano eccessivamente deboli. Questo è il motivo principale che differenzia Bepy e il figlio Luca, il primo così pieno di sicurezza in sé stesso e nella propria virilità e il secondo contraddistinto da una esagerata discrezione per la sua vita più intima:

Eppure, a dispetto di tutti gli altri uomini della sua famiglia, a dispetto di Bepy soprattutto, a dispetto di tutta la stirpe da Bepy rappresentata, Luca era di assoluta discrezione. […] La sua vita era un mistero fitto quasi quanto la sua interiorità. L’opera di desertificazione sentimentale che i suoi genitori avevano operato su di lui, affinché dimenticasse (o quanto meno non drammatizzasse) il suo singolarissimo aspetto, aveva sortito l’effetto collaterale di renderlo superbamente enigmatico. Sì, era un enigma purgato dalla viscosità degli enigmi. Come ho già detto: per Bepy il piacere dell’adulterio era tutto nella possibilità di ostentarlo. Per mio padre – ammesso che lo abbia praticato con l’assiduità del suo dissoluto genitore – fu probabilmente qualcosa di molto più profondo (passioni cocenti e inconfessabile) o altrimenti di molto più superficiale: scosse ormonali, appetiti erotici placati con qualche occasionale compagna viaggiatrice. Forse perché lui, che a prima vista poteva sembrare inscalfibile, lui che amava sfoggiare un cinismo da cui era totalmente immune e che quando gli si torceva contro lo faceva soffrire tremendamente, non aveva perdonato al padre e alla madre l’esibizione delle loro rispettive conquiste. [CPI 90]

Diversamente, tra Luca e il figlio Daniel vediamo un legame incrinato dalla scarsissima vocazione alla paternità del primo, tutto concentrato sull’autoaffermazione lavorativa e sull’ostentazione esteriore che di conseguenza provoca nel figlio un sentimento di inferiorità tale da farlo sentire un «testimone silenzioso», un «attore non protagonista» [CPI 92] della propria vita, in continua competizione con l’egocentrismo paterno e il fratello Lorenzo. È da notare quindi, come Luca e Daniel rappresentano all’interno del romanzo l’incarnazione di quell’evaporazione della figura paterna, decentrata dal nucleo familiare, poco incline alle cure dei figli, se non quelle meramente materiali. Così la scarsissima capacità del figlio di avere a che fare con l’altro sesso, di essere autonomo e di riuscire a far emergere la propria personalità non è altro che la prova effettiva che un padre assente nella crescita e nel dialogo col figlio è una delle

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maggiori fonti di disadattamento dei giovani nella vita sociale. Pertanto, nella lunga epopea della famiglia Sonnino, a partire dall’anziano Bepy sino a suo nipote Daniel, possiamo vedere come gli eccessi paterni e la loro carenza affettiva, siano determinanti nella crescita dei figli. Piperno ci offre un romanzo su padri prepotenti, svincolati da qualsiasi dovere etico nei confronti della propria famiglia: i Sonnino sono dunque l’esempio di padri incapaci di esserlo per davvero.

Luca Sonnino […]. Non sarebbe sopravvissuto allo squallore d’una vita media di footing e calcetto, di sapori elementari e soffocanti banalità. Sin dai primi anni dell’infanzia aveva sentito come il proprio corpo gigantesco andasse smussato, addolcito occultato, possibilmente da stoffe inglesi, ma anche da una dialettica raffinata e uno spirito combattivo o, altrimenti, andasse secondato, esaltato con una buona dose di volgarità e arroganza. E più oltre non sarebbe potuto andare. Aveva schiacciato il mondo, aveva schiacciato quel suo fiorellino tanto più bello e delicato di lui, aveva schiacciato la moglie, aveva schiacciato i suoi dipendenti e i suoi collaboratori, pur di affermare la propria personalità. [CPI 82]

L’ultimo romanzo di Piperno è Dove la storia finisce (2016), l’unico dei testi finora presi in considerazione in cui la storia non è narrata da un unico punto di vista – quello del figlio o del padre, reale o finzionale che sia – ma dai diversi personaggi, presenti nella vicenda. La figura del padre sembra qui “letterariamente evaporata” poiché la narrazione è concentrata molto più sull’effetto che la fuga del padre ha generato nei figli – Giorgio e Martina – e nella seconda moglie – Federica. Anche in questo romanzo è fondamentale la figura del padre: non un padre dedito al lavoro, alla cura dei figli e all’amore verso un’unica moglie, bensì un uomo inaffidabile e poligamo, quale è Matteo Zevi che decide di ritornare a Roma dopo sedici anni trascorsi in California, dove era fuggito a causa dei debiti contratti con uno strozzino. Matteo Zevi è a tutti gli effetti una versione depotenziata di Bepy Sonnino: di quest’ultimo ricorda la

«sfrontatezza, l’insolenza, l’amoralità» [CPI 133]. Sia Bepy Sonnino sia Matteo Zevi

hanno caratteristiche in comune con il padre insolvente64

di James Joyce, così come lo abbiamo visto descritto da Recalcati sulla base della biografia redatta da Richard Ellmann, ossia un uomo abituato a fuggire dai suoi creditori.

Piperno scandaglia la psicologia e le azioni di Matteo con quel polemico distacco che gli permette di riflettere sul ruolo genitoriale. Più volte l’autore nelle diverse interviste rivela che il non avere dei figli propri non è da lui percepito come una soffocante mancanza o come una colpa irremovibile. Consapevole dell’esperienza angosciosa che l’infanzia ha rappresentato per lui – e che potrebbe rappresentare per ogni bambino – l’autore ha organizzato la propria vita in modo tale che i propri figli diventino esclusivamente i propri libri65. Al di là della personale condizione, Piperno inserisce in quest’ultimo romanzo due delle più importanti declinazioni del tema della paternità, nonché dello statuto genitoriale: l’incapacità di molti adulti di rivestire questo ruolo e le conseguenze talvolta irreversibili che questa inabilità ha sulla psiche dei figli.

In questo romanzo che molto deve alla prima opera dell’autore non vi è un unico punto di vista, ma una coralità di voci con cui l’autore descrive le ragioni e i sentimenti

64 RECALCATI 2012 p. 226. 65 IVI.

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di ogni personaggio. Federica, relegata al ruolo di seconda moglie, è l’unica a non essersi costruita una nuova vita e, anni dopo, la ritroviamo ancora in attesa del marito. Martina, figlia di seconde nozze, è una dottoranda in giurisprudenza a cui un matrimonio in piena crisi la costringe a porsi delle domande su sé stessa, ormai non più procrastinabili. Giorgio, figlio di prime nozze, è diventato il proprietario di un ristorante e l’imminente nascita del primo figlio lo porta a fare i conti con l’idea di paternità così tanto corrotta dal proprio padre.

Ciò che è intuibile è che il romanzo ha come motivo ricorrente il concetto greco di nostos ossia di “ritorno” infatti la prima parte del libro è significativamente intitolata Il diritto al ritorno. Non si tratta però del ritorno di Ulisse. Non vi è nessuna strutturazione mitica nel personaggio di Matteo Zevi, né tanto meno ci sono dei figli-Telemaco che attendono il suo ritorno o lo ricercano. Solo Federica può ricordare la Penelope omerica, ma la sua è un’attesa vana e umiliante:

A quarantanove anni Federica Zevi sapeva di rappresentare – per vedovi, divorziati, single di lungo corso – un ripiego accettabile alle trentenni vagheggiate e sempre meno disponibili. Nei rari momenti di autostima si sentiva come una Jaguar di terza mano a cui i vecchi proprietari abbiano fatto regolari tagliandi. […] Non le sfuggiva la concomitanza tra la smania di svalutarsi e la decisione del marito di rientrare a Roma dopo sedici anni di esilio in California. Le sembrava di non aver fatto altro nella vita che aspettare: persino prima di conoscerlo, e ancora durante gli spensierati anni di matrimonio. Per non dire di quando lui, assillato da debiti e creditori, se l’era svignata. [DSF 9]

Con Matteo siamo molto lontani da quella figura di padre mitizzato e socialmente attivo come in Berto, Magrelli e Albinati. Il modo di agire di questo padre è molto più simile all’irresponsabilità che abbiamo ritrovato negli adulti descritti da Lagioia. Recalcati si serve dell’espressione «adulterazione dell’adulto» per indicare quei genitori regrediti ad uno stato di immaturità testarda e desiderosi di recuperare una giovinezza che non può tornare, a causa dei quali i figli sono sconfinati in una confusione generazionale in cui i ruoli familiari non sono più ben definiti66. Matteo subisce questo processo di regressione. Egli non è più il padre-eroe per eccellenza, «è più un solitario avventuroso, troppo avido di vita per non essere solitario, troppo simile, appunto, agli antichi figli ribelli»67. È un padre animato da un profondo egoismo e convinto di poter pretendere l’ascolto da parte di chi ha abbandonato senza alcuna esitazione.

«Non dico la banda di benvenuto, ma almeno rispondere al telefono! Non so neppure se sanno che sono qui.»

«Lo sanno.»

«E?»

«E cosa?»

«Perché non rispondono? Perché non richiamano?»

[DSF 25]

66 RECALCATI 2013, p. 68. 67 BAUDINO 2016.

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Matteo e gli altri personaggi del romanzo – così come i personaggi del primo romanzo – sono caratterizzati più per i lori vizi che per le virtù68. E Matteo più di tutti accentra su di sé il disprezzo non solo di suo figlio, ma anche dei lettori speranzosi in un suo sincero pentimento che non avverrà mai. Anche nella sua plurimatrimoniale vita da adulto, Matteo si comporta esattamente come quei ragazzi privati del senso di responsabilità e della volontà di riflettere sui propri errori.

Era a Roma da poco più di ventiquattr’ore e già sognava di restarci per sempre. Certo, a Los Angeles aveva due mogli (di cui una in carica), ma tutto sommato ne aveva due anche qui (di cui una in carica). E comunque non si sentiva in obbligo con nessuna delle quattro. A cinquantasei anni poteva dirsi, non solo in questo, piuttosto libero. [DSF 42]

Matteo incarna perfettamente quell’idea di homo felix indagata così tanto da Recalcati, come la più terribile conseguenza della società ipermoderna e iperedonistica. «Ciò che conta» – dice lo psicanalista lacaniano – «è fare quello che si vuole senza