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Capitolo 1. M ASCHILITÀ : STUDI ED EVOLUZIONE DI GENERE

2.1. Costruzione storica e culturale della paternità

2.1.2. L’Ottocento

L’Ottocento è a tutti gli effetti il secolo dei padri. Infatti, il codice napoleonico del 1804 testimonia un ritorno all’autoritarismo paterno, dopo che la rivoluzione francese aveva ridimensionato una serie di valori e tradizioni di stampo patriarcale, in favore di idee universali di fratellanza. Bisogna però precisare che il ruolo dei padri nei secoli, per quanto sia sottoposto a evidenti trasformazioni, non è mai qualcosa di univoco e stabile, ma pur sempre legato alla classe sociale di appartenenza, al ruolo rivestito dal padre all’interno della società, ed è pertanto un continuo contrapporsi di tendenze differenti. Ad esempio, per quanto il XIX secolo sia il secolo che più di tutti riabilita l’istituzione paterna, non mancano dei casi in cui i padri vengono colti in gesti di affetto e cura nei confronti dei loro figli: il quadro di Jean-Auguste-Dominique Ingres del 1817 raffigura Enrico IV (1553-1610), re di Francia e Navarra, nel momento in cui gioca con i suoi figli, a conferma del fatto che anche in questo secolo sono diffuse forme di paternità differenti, anche in contesti sociali in cui l’attenzione riservata ai figli da parte dei padri non è assolutamente un fatto ordinario.

Sicuramente l’evento storico che più di tutti funziona da contraccolpo è la rivoluzione industriale – già avviatasi nel secolo precedente – che ancora di più contribuisce al mutamento delle relazioni e dell’economia domestica: l’abbandono delle campagne e la crescita generalizzata della popolazione, spingono masse sempre più crescenti di uomini a vivere nelle città e a trascorrere intere giornate all’interno delle fabbriche. Da qui inizia quel fenomeno sempre più crescente che ha portato lo psicologo Alexander Mitscherlich a parlare di «padre invisibile»18, non a causa della morte del

padre o di divorzio fra i genitori, ma perché viene meno la presenza attiva e operante del padre all’interno della famiglia.

Fino a questo momento, infatti, la figura del padre ha dei contorni ben definiti; al di là della sua professione, egli detiene una solida autorità. Ora, invece, i padri iniziano a produrre un reddito, ma non garantiscono più un insegnamento diretto nei confronti dei loro figli. Quel bagaglio di conoscenze tecniche, ma anche di regole e valori da tramandare di padre in figlio si disperdono a causa di orari di lavoro sempre più ferrei e decentrati. Il padre non è più considerato il detentore di una “legge” domestica, forte quanto quella pubblica, capace di orientare l’adolescente nella vita sociale che, di conseguenza, si fa sempre più complessa e articolata rispetto alle epoche precedenti. Adesso il figlio può fare i conti con nuovi termini di paragone e incontrare nuovi adulti: si rende conto di come il padre non sia un modello, ma esistono uomini decisamente più forti, più ricchi e più intelligenti.

I padri, a loro volta, perdono ogni abilità e orgoglio professionale, perché costretti a compiti molto spesso limitati e ripetitivi, svincolati dal prodotto finale. Per la prima

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volta si parla di un padre indegno, costretto a vedersi privato della sua campagna, della sua tradizione lavorativa, della sua identità e persino del rispetto degli altri e di sé stesso. Questo problema non riguarda solo i ceti più poveri, ma l’assenza fisica e spirituale del padre investe drammaticamente tutta la società, dal basso verso l’alto. La rarefazione del capofamiglia si trasforma in un genocidio che colpisce le funzioni psicologiche tradizionali del padre e dal mondo Occidentale si estende agli altri Paesi del globo. Quando in Italia – e bisognerà aspettare il nuovo secolo – si avvierà il processo di industrializzazione, la famiglia subirà una serie di contraccolpi: la famiglia patriarcale così come è conosciuta fino a quel momento si sfalda e si verifica quello che lo psicanalista Risé ha definito «rottura antropologica tra l’uomo e la cultura maschile precedente»19.

Abbiamo visto come presso i Romani il rito di sollevare il bambino in pubblico è garante del riconoscimento sociale del figlio in quanto figlio e del padre in quanto padre. L’uomo moderno, anche se volenteroso di costruire la paternità, vive invece in una società in cui la ritualità è del tutto scomparsa. È l’immagine stessa del padre a perdere il suo significato e dal momento in cui l’essere padre necessita di essere culturalmente costruito ancor più dell’essere madre, il venir meno dell’iniziazione ha come conseguenza l’eclissi della paternità. Come ricorda Risé, la società Occidentale, per la prima volta nella storia del mondo, ha deciso di fare a meno della ritualità dell’iniziazione; si temono le perdite e in particolare la dimensione verticale, la direzione verso il Dio negato o rimosso. Da un punto di vista psicologico, il rifiuto della separazione del figlio dalle braccia della madre, e della sua successiva elevazione verso il cielo, equivale alla rinuncia ad una società di adulti. In questo modo «gli uomini e le donne rimangono tutta la vita sul piano orizzontale del bisogno, prigionieri di una continua infanzia, fatalmente segnata dalla depressione, e dalla nevrosi che colpisce ogni infrazione alle leggi della natura»20.

L’immagine del padre di oggi è però quella del padre assente, non necessariamente perché è assente fisicamente, ma perché si rifiuta di combattere nei rapporti. È il loro silenzio che viene colpevolizzato dai figli che non possiedono più un modello a cui rivolgersi. Di conseguenza, quando il figlio non soddisfa le aspettative, il padre gli nega la sua stima. Anzi, il padre disprezza i figli maschi che non realizzano il salto definitivo alla vita adulta. Ma è proprio il venir meno di questa stima che viene avvertita dai figli come colpa: il padre ricopre così l’antico ruolo dell’autorità castrante, senza però la controparte dell’autorevolezza.

L’industrializzazione diffonde pertanto una nuova mentalità e un nuovo modello di gestione familiare non più legato all’onnipresenza dell’uomo nella formazione del bambino. Non è un caso che proprio nell’Ottocento viene coniata per la prima volta l’espressione «romanzo pedagogico»21 per indicare quel genere narrativo che ha per oggetto la crescita dell’individuo. In questo secolo si registrano però anche tentativi di riportare il rapporto padre-figlio a quel sistema autoritario che l’Illuminismo aveva

19 BONVECCHIO -RISÈ 1998, p. 101. 20 RISÉ 2012 posiz. 30,5 di 280. 21 QUILICI 2010 p. 386.

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messo in discussione. E per certi versi durante il periodo della Restaurazione – in particolare nell’impero austroungarico del Asburgo e nell’Inghilterra dell’età vittoriana – si riesce a ripristinare l’auctoritas sul modello degli antichi pater familias. Si ritorna a parlare di padri severi e autoritari e di una marcata distanza tra padre e figlio. Non a caso appartiene proprio a questo secolo uno degli esempi più autorevoli di scontro tra generazioni, ovvero quello tra Giacomo Leopardi e suo padre Manoldo. Il poeta più volte nelle sue lettere accusa il padre per la sua autorità e insensibilità e, in questo senso, molto significativa è una lettera del luglio 1819, in cui il ventunenne annuncia la sua fuga da Recanati. Seppur questa lettera non giunse mai al destinatario, essa è un esempio di quanto, in questo secolo, potesse essere forte lo scarto generazionale tra padri e figli e di quanto quest’ultimi fossero succubi delle decisioni paterne:

Ella conosce me, e conosce la condotta ch’io ho tenuta fino ad ora, e forse quando voglia spogliarsi d’ogni considerazione locale, vedrà che in tutta l’Italia, e sto per dire in tutta l’Europa, non si troverà altro giovane, che nella mia condizione, in età anche molto minore, forse anche con doni intellettuali competentemente inferiori ai miei, abbia usato la metà di quella prudenza, astinenza da ogni piacer giovanile, ubbidienza e sommessione ai suoi genitori ch’ho usata io. Per quanto Ella possa aver cattiva opinione di quei pochi talenti che il cielo mi ha conceduti, Ella non potrà negar fede intieramente a quanti uomini stimabili e famosi mi hanno conosciuto ed hanno portato di me quel giudizio ch’Ella sa, e ch’io non debbo ripetere. Ella non ignora che quanti hanno avuto notizia di me, ancor quelli che combinano perfettamente colle sue massime, hanno giudicato ch’io dovessi riuscir qualche cosa non affatto ordinaria, se mi si fossero dati quei mezzi che nella presente costituzione del mondo, e in tutti gli altri tempi, sono stati indispensabili per fare riuscire un giovane che desse anche mediocri speranze di sé. Era cosa mirabile come ognuno che avesse avuto anche momentanea cognizione di me, immancabilmente si maravigliasse ch’io vivessi tuttavia in questa città, e com’Ella sola fra tutti, fosse di contraria opinione, e persistesse in quella irremovibilmente. […] Io sapeva bene i progetti ch’Ella formava su di noi, e come per assicurare la felicità di una cosa ch’io non conosco, ma sento chiamar casa e famiglia, Ella esigeva da noi due il sacrifizio, non di roba nè di cure, ma delle nostre inclinazioni, della gioventù, e di tutta la nostra vita. Il quale essendo io certo ch’Ella nè da Carlo nè da me avrebbe mai potuto ottenere, non mi restava nessuna considerazione a fare su questi progetti, e non potea prenderli per mia norma in verun modo. Ella conosceva ancora la miserabilissima vita ch’io menava per le orribili malinconie, ed i tormenti di nuovo genere che mi proccurava la mia strana immaginazione, e non poteva ignorare quello ch’era più ch’evidente, cioè che a questo, ed alla mia salute che ne soffriva visibilissimamente, e ne sofferse sino da quando mi si formò questa misera complessione, non v’era assolutamente altro rimedio che distrazioni potenti e tutto quello che in Recanati non si poteva mai ritrovare. Tutto questo e le riflessioni fatte sulla natura degli uomini, mi persuasero ch’io benché sprovveduto di tutto, non dovea confidare se non in me stesso. Ed ora che la legge mi ha già fatto padrone di me, non ho voluto più tardare a incaricarmi della mia sorte. Io so che la felicità dell’uomo consiste nell’esser contento, e però più facilmente potrò esser felice mendicando, che in mezzo a quanti agi corporali possa godere in questo luogo. Odio la vile prudenza che ci agghiaccia e lega e rende incapaci d’ogni grande azione, riducendoci come animali che attendono tranquillamente alla conservazione di questa infelice vita senz’altro pensiero […]. È piaciuto al cielo per nostro castigo che i soli giovani di questa città che avessero pensieri alquanto più che Recanatesi, toccassero a Lei per esercizio di pazienza, e che il solo padre che riguardasse questi figli come una disgrazia, toccasse a noi. Quello che mi consola è il pensare che questa è l’ultima molestia ch’io le reco, e che serve a liberarla dal continuo fastidio della mia presenza, e dai tanti altri disturbi che la mia persona le ha recati, e molto più le recherebbe per l’avvenire, Mio caro Signor Padre, se mi permette di chiamarla con questo nome, io m’inginocchio per pregarla di perdonare a questo infelice per natura e per circostanze. Vorrei che la mia infelicità fosse stata tutta mia, e nessuno avesse dovuto risentirsene, e così spero che sarà d’ora innanzi. Se la fortuna mi farà mai padrone di nulla, il mio primo pensiero sarà di rendere quello di cui ora la necessità mi costringe a servirmi […] [IMDI 33].

Questo esempio testimonia – come nota Maurizio Quilici – che in questo secolo «il padre poteva essere vissuto con un senso di lontananza e di inaccessibilità, ma era comunque lì: distanza, rispetto, severità, punizione, ma anche ammirazione, fiducia,

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punto di riferimento, modello, insegnamento»22. L’impatto che questo secolo ha sulla funzione paterna è evidente nei romanzi popolari della seconda metà dell’Ottocento in cui appare con una certa insistenza una nuova figura di padre «miserabile, povero, senza lavoro e malato»23 Queste figure di padri maledetti o di padri che maledicono i propri figli prospettano una vera e propria disgregazione della dimensione paterna che coinvolge anzitutto i ceti popolari per poi raggiungere, abbastanza velocemente, tutte le classi sociali. Quello che accade all’interno della famiglia in questo secolo può essere considerato solo un piccolo anticipo degli sconvolgimenti di cui il secolo successivo è portatore.