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Capitolo 1. M ASCHILITÀ : STUDI ED EVOLUZIONE DI GENERE

2.1. Costruzione storica e culturale della paternità

2.1.3. Il Novecento

Se, come sostiene Zoja «la storia del padre in Occidente è una linea di lunghissimo declino, spezzata da occasionali risalite»24, è vero anche che proprio nel XXI secolo tale declino si è accelerato. I disastri provocati dagli eventi del fascismo e del nazismo hanno determinato «la resa dei conti per l’immagine del padre. I conti finali non furono solo quelli orribili delle stragi o quelli devastanti dei danni, ma anche quelli psicologici dell’autorità in macerie. […] i padri pubblici, si erano rivelati così distruttivi da trascinare in un nuovo discredito anche quelli privati»25. Tuttavia, pensare che col passaggio di secolo tutto possa cambiare radicalmente è convinzione tanto approssimativa quanto limitata. Bisognerà aspettare almeno il primo conflitto mondiale affinché la figura del padre si sganci definitivamente dal sistema patriarcale conosciuto fino a quel momento.

Nella letteratura primo-novecentesca appare ancora una figura di padre intransigente, il cui esempio ci viene fornito da uno degli autori che più di tutti dedica alla società borghese e al conflitto con la famiglia le sue opere più importanti: Franz Kafka.

Sono conosciuti i profondi dissidi che hanno alimentato i rapporti tra Hermann Kafka e il figlio Franz causati spesso sia dalla grande sensibilità del ragazzo sia dagli atteggiamenti pragmatici del padre, interessato all’esclusivo mantenimento dello status borghese. A questo proposito è molto significativa la celebre Lettera al padre (1919), con cui Franz confessa i sentimenti ambivalenti nei confronti del genitore «forte, alto, imponente» [LP 15], verso cui provava un grande timore. Tutta la lettera si sviluppa fra accuse, recriminazioni e talvolta anche eccessi di dolcezza che non permettono comunque di risollevare il ritratto negativo del padre Hermann. Tuttavia, seppur questa limpida requisitoria non è mai arrivata al destinatario – come nel caso di Leopardi – essa è diventata un modello per testimoniare l’insanabile dissidio generazionale che è spesso causa di sofferenze e nevrosi nei figli.

22 IVI, p. 404. 23 ZOJA 2009, p. 151. 24 ZOJA 2000 p. 300. 25 IVI, p. 208.

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Mi è sempre stata incomprensibile la tua assoluta insensibilità al dolore e alla vergogna che suscitavi in me con le tue parole e i tuoi giudizi, era come se non ti rendessi conto del tuo potere. Certo, anch’io ti ho spesso aggredito verbalmente, ne ero consapevole, mi dispiaceva, ma non riuscivo a dominarmi, a trattenere le parole, e già mi pentivo pronunciandole. Tu invece con le tue offese colpivi alla cieca, senza pietà per nessuno, né durante né, di fronte a te si era completamente indifesi.

Ma così era impostato il tuo sistema educativo. In questo campo tu hai, credo, del talento; avresti certamente avuto successo con una persona simile a te, educandola a tuo modo; avrebbe capito la ragionevolezza delle tue parole, non si sarebbe preoccupata d’altro e avrebbe fatto tranquillamente quanto doveva. Per me, bambino, tutto quello che mi ingiungevi era senz’altro un comandamento del cielo, non l’ho mai dimenticato, diveniva il metro determinante per giudicare il mondo, soprattutto per giudicare te, e qui hai fallito totalmente. [LP 18-19]

Altro elemento importante che modifica irreversibilmente le riflessioni sull’uomo e sui rapporti che lo legano agli altri fu la psicanalisi. L’elaborazione del complesso edipico fu significativa per gli studi sulla paternità. Freud – ma lo vedremo meglio più avanti – è convinto che il figlio viva fin da piccolo un’attrazione per il genitore del sesso opposto e un sentimento di gelosia e rivalità verso l’altro. Fortemente aiutato dalle vicende personali, il fondatore della psicoanalisi comprese l’importanza che il padre detiene nello sviluppo psichico del bambino, emancipando così il ruolo paterno dal semplice compito di educazione e trasmissione di valori.

I contributi forniti dalla psicoanalisi vengono accolti in modo particolare dalla letteratura, in cui sempre più spesso si farà riferimento al rapporto conflittuale tra padri e figli. Basta ricordare a tale proposito il capitolo La morte di mio padre nella Coscienza di Zeno (1923) di Italo Svevo. In questo episodio il padre poco prima di morire colpisce il figlio con uno schiaffo, gesto che diventerà per Zeno il simbolo del senso di colpa che lo confinerà per sempre in uno stato di inferiorità e frustrazione:

Con uno sforzo supremo arrivò a mettersi in piedi, alzò la mano alto alto, come se avesse saputo ch’egli non poteva comunicarle altra forza che quella del suo peso e la lasciò cadere sulla mia guancia. Poi scivolò sul letto e di là sul pavimento. Morto!

Non lo sapevo morto, ma mi contrasse il cuore dal dolore della punizione ch’egli, moribondo, aveva voluto darmi. […] Poi, al funerale, riuscii a ricordare mio padre debole e buono come l’avevo sempre conosciuto dopo la mia infanzia e mi convinsi che quello schiaffo che m’era stato inflitto da lui moribondo, non era stato da lui voluto. Divenni buono, buono e il ricordo di mio padre s’accompagnò a me, divenendo sempre più dolce. Fu come un sogno delizioso: eravamo oramai perfettamente d’accordo, io divenuto il più debole e lui il più forte. [CZ 60-61]

I conflitti mondiali provocano un forte mutamento dell’unità familiare, così come era precedentemente intesa. L’esodo dell’uomo dallo stretto nucleo familiare, causato dall’industrializzazione, modifica le sue priorità: l’uomo lascia la casa non più per il lavoro in fabbrica, ma per il servizio militare e questo comporta effetti ancora più drastici sui figli. Al loro ritorno, infatti, gli uomini troveranno figli che per anni sono stati educati dalle madri e mogli che contemporaneamente hanno dovuto fare da madre e padre. Se invece a tornare sono i figli, sottomessi a lungo tempo alla disciplina dei campi di battaglia, essi non intendono più sottomettersi all’autorità del padre. Pertanto

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nei primi cinquant’anni del Novecento è ancora la severità e il silenzio a distinguere la potestas sui figli. A questo proposito una serie di interviste fatte da Dacia Maraini a importanti figure della letteratura, del cinema e dello spettacolo e raccolte in E tu chi eri? – scritto tra il 1968 e il 1972 – sono un vero e proprio fermo immagine della paternità in quegli anni: Carlo Emilio Gadda, Marco Bellocchio, Eugenio Montale, Natalia Ginzburg, Alberto Moravia, Maria Callas, Pier Paolo Pasolini, sono solo alcuni dei nomi intervistati dalla scrittrice, i quali descrivono ancora una figura di padre molto più spesso autoritaria che bonaria.

Accanto all’imago paterna tradizionale, in questa epoca iniziano a emergere nuove figure di paternità, come il co-partner che aiuta e divide i compiti di casa con la moglie, ma più di tutte – complice la società dei consumi – si consolida la figura del «bredwinner»26. Questo padre trascorre pochissimo del suo tempo con i figli, ma in genere non si sente in colpa, perché il suo tempo è stato speso per una più utile occasione di guadagno. Ma anche il resto della famiglia subisce delle mutazioni: la madre, per esempio, diventa breadwinner a sua volta. La percentuale delle madri in carriera risulta più bassa in Europa rispetto all’America, non tanto per una minor diffusione dell’ideale, ma per una maggior diffusione della disoccupazione.

Il figlio di quest’epoca riceve pertanto un’eredità profondamente diversa dal figlio della tradizione contadina: se quest’ultimo poteva cogliere pienamente tutti gli aspetti della vita domestica e professionale del padre, ora questa trasmissione per via diretta è diventata un lontano ricordo. Questa parcellizzazione del lavoro contribuisce talvolta a far sì che il padre diventi uno «spettro pauroso»27. Questo tipo di raffigurazione è evidente nel romanzo di Giuseppe Berto, in cui l’immagine del padre costretto dal lavoro ad essere lontano da casa è determinante per l’immagine temibile e irraggiungibile che il figlio avrà di lui per tutta la vita.

La trasformazione del padre in questo secolo è visibile, seppur in maniera più episodica rispetto alla letteratura, anche nelle arti figurative. Zoja, recuperando alcune immagini di libri sulla famiglia e sul padre corrispondenti al XIX e all’inizio del XX secolo, nota subito – al di là delle differenze di nazionalità e provenienza sociale – che esistono dei caratteri collettivi e comuni dei padri. Il padre non è parte di una coppia ma è ritratto quasi sempre con tutta la famiglia ed è ben centrato nel suo ruolo sociale, persino se si tratta di un padre operaio e contadino; in poche parole, indossa la corazza di Ettore.

Questi ritratti sono passati quasi immutati attraverso i secoli, ma nell’ultimo paio di generazioni tutto sembra cambiato. Scompare infatti il ritratto di famiglia e il padre sembra non rappresentare più il collante tra la famiglia e il resto della società. I padri sono raffigurati giovani, belli, a torso nudo e il loro corpo è stato ridotto a oggetto, quasi con la stessa volgarizzazione avvenuta per le donne. Queste immagini appaiono grottescamente diverse da quelle raffigurazioni ottocentesche che ritraevano l’uomo per il patriarca che era, ma propongono una figura di padre che depone per l’ultima volta quella corazza che la civiltà e la storia hanno forgiato per lui. La rinuncia a questa

26 ZOJA 2000, p. 278.

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corazza può rendere il padre davvero superfluo, in quanto troppo vicino alle qualità maternamente intese. Ciò che appare interessante è che in questi casi siano i figli a ricercare delle figure maschili differenti dotate di quella autorevolezza non presente nei propri padri; anche in questo corrisponde quel «paradosso del padre» prima accennato, secondo cui la figura paterna si costituisce per il doppio ruolo nella società e nella dimensione familiare.

Secondo Zoja questa contraddittorietà è propria della figura paterna e non ha una vera soluzione. Ciò che lo psicanalista vuole suggerire è l’urgenza di ritrovare questa “corazza” che è simbolo di autorevolezza. D’altronde, se è vero che il padre, come fa Ettore, è costretto a togliersi la corazza per farsi riconoscere dal figlio, è necessario che questa venga prima di tutto indossata.