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Filiazione, eredità e testimonianza: Joyce, Roth e McCarthy

Capitolo 1. M ASCHILITÀ : STUDI ED EVOLUZIONE DI GENERE

2.3. Il padre in Lacan

2.3.3. Filiazione, eredità e testimonianza: Joyce, Roth e McCarthy

Sempre Recalcati spiega che la telemachia moderna non consiste nel voler restaurare la sovranità smarrita del padre-padrone, ma nel provare a riabilitare un tipo di padre che attraverso la testimonianza della propria esistenza sappia dimostrare che la vita ha un senso83.

Lo psicanalista arriva a parlare di testimonianza e eredità partendo da un insegnamento dell’ultimo Lacan secondo cui «del Nome-del-Padre […] se ne può fare a meno a condizioni di servirsene» [S XXIII 133]. Infatti Lacan nell’ultimo capitolo della sua meditazione sulla figura del padre – realizzata nel Seminario XXIII – si serve della biografia di James Joyce per parlare di un nuovo caso di filiazione. L’autore di Ulisse

81 BOTTIROLI 2016. 82 GODANI 2014, p. 30. 83 RECALCATI 2013, p. 14.

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(1922) e di Finnegans Wake (1939) avrebbe patito una «carenza paterna»84 essendo suo padre, John Joyce, «un padre inattendibile, bislacco, inconcludente, donnaiolo, alcolista, sommerso dai debiti, impegnato per tutta la vita in continui e rocamboleschi traslochi per evadere i suoi creditori»85, come ci ricorda Massimo Recalcati sulla base della biografia dell’autore irlandese scritta da Richard Elmann. Per rimediare a questa assenza Joyce inventa il “sintomo” della scrittura. Già nell’Ulisse è evidente come il figlio rimanga fortemente ancorato al padre pur rinnegandolo, ma questa tesi raggiunge il suo culmine in Finnegans Wake dove Joyce diventa letteralmente padre di una «lingua libera, polifonica, plurivoca e plurisensa»86.

A Lacan interessa indagare le ragioni della telemachia joyciana, ma nella sua analisi lo psicanalista non si addentra mai totalmente nell’opera di Joyce – così come aveva fatto con l’Antigone nel Seminario VII e con l’Amleto nel Seminario VI – poiché non è il senso dell’opera a interessargli, bensì il valore sintomatico nella vita dello scrittore irlandese.

La telemachia joyciana appare diametralmente opposta a quella omerica: mentre Stephen Dedalus, vorrebbe essere un figlio senza padri, il Telemaco omerico va alla ricerca del padre per ristabilire la Legge nella città di Itaca. Per quanto riguarda la descrizione del padre di Joyce, l’immagine che ci viene restituita dal biografo Richard Ellmann è quella di un padre tutt’altro che silenzioso, ma la cui parola non era mai finalizzata a umanizzare e orientare la vita del figlio. Non è un caso che nell’Ulisse lo scrittore demolisca a più riprese la funzione normativa del Nome-del-padre:

Un padre, disse Stephen, lottando contro lo scoramento, è un male necessario. […] La paternità, in quanto generazione cosciente, è sconosciuta all’uomo. È uno stato mistico, una successione apostolica dall’unico generatore all’unico generato. […] La paternità forse è una finzione legale. Chi è il padre di un qualsiasi figlio perché qualsiasi figlio debba amarlo e viceversa? [U 281]

La telemachia joyciana rovescia in questo modo quella omerica a cui si ispira. In questa opera vi è una filiazione differente da quella governata dall’Edipo: i padri vengono rifiutati, la loro testimonianza fallisce e l’eredità non può essere fatta propria da parte dei figli. Contro questo esito che scaturisce da un totale rifiuto della paternità e della sua eredità, Lacan nel Seminario XXIII ricorda a Joyce che soltanto servendosi del padre – e non rinnegandolo – si può imparare a farne a meno.

Sensibile a questi temi, così necessari nel tempo del tramonto della figura paterna, Recalcati si serve di due opere della narrativa contemporanea per spiegare più dettagliatamente i concetti di “eredità” e “testimonianza”.

Patrimonio (1991) di Philip Roth sembra essere per Recalcati un chiaro esempio di cosa significhi ottenere un’eredità paterna. Roth racconta la storia vera della malattia e della morte di suo padre Hermann che a ottantasei anni si ritrova a combattere contro un tumore al cervello dal momento in cui, una mattina, si ritrova con una paralisi facciale:

84 RECALCATi 2012, p. 220. 85 IVI , p. 226.

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a ottantasei anni mio padre aveva perso quasi per intero la vista dell’occhio destro, ma per tutto il resto sembrava godere di una salute fenomenale per un uomo della sua età quando fu colpito da quella che il medico della Florida diagnosticò, sbagliando, come paralisi di Bell, un’infezione virale che provoca la paralisi, di solito temporanea, di un lato del viso. […] la mattina dopo, guardandosi nello specchio, del bagno vide che metà del suo viso non era più sua. L’uomo che il giorno prima assomigliava a lui, ora non assomigliava più a nessuno […]. [P 3]

Quello che interessa a Recalcati è far emergere attraverso il racconto di Roth il lascito simbolico che ogni padre dovrebbe consegnare al proprio figlio, tramandato poi di generazione in generazione. Nel romanzo una prima eredità è rappresentata da una tazza da barba appartenente al nonno Sender, che passerà prima a Hermann e poi a Philip:

mentre uscivo per tornare a New York, andò in camera da letto e tornò indietro con un pacchettino per me. Aveva selvaggiamente stropicciato due sacchetti di carta per sistemarvi bene il contenuto, poi li aveva legati insieme con pezzi di scotch di diversa lunghezza, che per la maggior parte si erano attorcigliati su sé stessi come tronconi di Dna. Compresi che la confezione era opera sua e riconobbi anche la calligrafia: sulla piega superiore dell’involucro aveva scritto con un pennarello, in un malfermo stampatello: «Da un padre a un Figlio».

– Ecco, – disse. – Portatela a casa.

In macchina aprii il pacchetto e ci trovai la tazza per la barba di mio nonno. [P 91].

Per buona parte del libro Philip è convinto che la tazza da barba rappresenti l’eredità che il padre gli ha affidato e che testimoni per la sua famiglia «una discendenza», «una memoria condivisa»87. Ma la vera entità del patrimonio verrà rilevata solo quando, dopo essersi sottoposto ad una biopsia invasiva, Hermann si concede qualche giorno di riposo nella casa in campagna. Alla fine di un pranzo, dopo essersi accorto dell’assenza del padre, Philip andò a cercarlo, cogliendolo nudo, poco dopo una crisi intestinale:

Quado raggiunsi il suo bagno, la porta era socchiusa, e sul pavimento del corridoio esterno c’erano i calzoni e le mutande. Dentro la porta del bagno c’era mio padre, completamente nudo, appena uscito dalla doccia e gocciolante. L’odore era fortissimo.

Quando mi vide, per un pelo non scoppiò in lacrime. Con una voce desolata che non avevo mai sentito, né da lui né da chiunque altro, mi disse ciò che non era stato difficile immaginare. – Mi sono smerdato addosso, – disse. [P 134]

Ecco cosa intende Recalcati quando parla di eredità non-ideale, non-esemplare. La testimonianza più autentica che un padre può lasciare al proprio figlio non ha legami con la retorica pedagogica, non ha la pretesa di dare un esempio eclatante, ma si cela nello «scarto», nel «residuo»88, come in quell’atto di ripulire e asciugare il padre:

si pulisce la merda del proprio padre perché deve essere pulita, ma dopo averlo fatto tutto quello che resta da sentire lo senti come mai prima d’allora. E non era la prima volta che lo capivo: una volta sfuggito al disgusto e ignorata la nausea e dominate quelle fobie che hanno acquistato la forza di un tabù, c’è ancora tantissima vita da accogliere dentro di sé. [P 137]

87 RECALCATI 2011 p. 94. 88 IVI, p. 108.

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In Cosa resta del padre? Recalcati attesta la morte definitiva del pater familias e della sua autorità suprema sui figli, verificando come non sia più funzionale questo antico ruolo all’interno della dinamica familiare.

Più precisamente, secondo lo psicanalista, è proprio nel momento del declino del padre che emerge la sua vera e autentica funzione: unire – come diceva Lacan – il desiderio alla Legge. Questa unione è quella che viene chiamata da Recalcati la

«testimonianza di cosa significhi vivere eticamente il proprio desiderio come un

dovere»89.

Un esempio del concetto di “testimonianza” è tratto dalla narrativa contemporanea statunitense. La strada (2006) di Cormac McCarthy, vincitore nell’anno successivo del Premio Pulitzer per la narrativa, narra la storia di un padre e un figlio all’interno di uno scenario post-apocalittico. Il panorama di desolazione e distruzione viene interpretato da Recalcati come la trasfigurazione letteraria del tempo del tramonto del padre, in cui il protagonista del romanzo rappresenta l’ultima speranza di sopravvivenza. Quello che colpisce di più del libro sono infatti le tenere cure con cui il padre cerca di proteggere il bambino dal mondo esterno.

Quando si svegliava in mezzo ai boschi nel buio e nel freddo della notte allungava la mano per toccare il bambino che gli dormiva accanto. […] Sapeva solo che il bambino era la sua garanzia. Disse. Se non è lui il verbo di Dio allora Dio non ha mai parlato […] Il bambino si rigirò nelle coperte. Poi aprì gli occhi. Ciao papà, disse.

Sono qui.

Lo so. [ST 3-4-5]

Quello che rappresenta la figura del padre in questo libro non è solo la funzione meramente simbolica del Nome-del-padre, bensì una presenza fisica a cui l’ultimo Lacan attribuisce inevitabilmente importanza90. Nel romanzo non vi è la sola retorica del Nome, ma l’esigenza dell’intervento reale del padre, come se nell’epoca della caduta degli ideali il contrappasso dell’assenza di Legge fosse la presenza costante della figura paterna. Presenza che non è solo fisicità, ma dialogo, confronto e amore. Eppure ciò che emerge da queste pagine non è la figura di un padre esemplare o un padre che si pone al di sopra degli altri, ma un padre che ha l’umiltà di togliersi la corazza per farsi riconoscere dal figlio nelle sue più intime paure.

Nella scena finale vedremo capovolgersi la situazione: non sarà più il padre a proteggere il figlio, ma il figlio a prendersi cura del padre, ferito gravemente da un aggressore durante uno scontro:

L’uomo gli prese la mano, ansimando. Devi andare avanti, disse. Io non ce la faccio a venire con te. Ma tu devi continuare. Chissà cosa incontrerai lungo la strada. Siamo sempre stati fortunati. Vedrai che lo sarai ancora. Adesso vai. Non ti preoccupare.

Non posso.

Non ti preoccupare. Questo momento doveva arrivare da tempo. E adesso è arrivato. Continua ad andare verso sud. Fa’ tutto come lo facevamo insieme.

Fra poco ti passa, papà. Ti deve passare.

89 IVI, p. 125. 90 IVI, p. 116.

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No, non passerà. Tieni sempre la pistola con te. Devi trovare gli altri buoni, ma non pupi permetterti di correre rischi. Niente rischi. Capito?

Voglio restare con te. Non puoi.

Ti prego.

Non puoi. Devi portare il fuoco. […]

E dove sta? Io non lo so dove sta.

Sì che lo sai. È dentro di te. Da sempre. Io lo vedo. Portami con te. Ti prego.

[…]

Quando non ci sarà più potrai comunque parlarmi. Potrai parlare con me e io ti risponderò. Vedrai.

E riuscirò a sentirti?

Sì. Mi sentirai. […] Ma non ti arrendere. Ok? Ok.

Ok.

Ho tanta paura, papà.

Lo so. Ma vedrai che andrà tutto bene. Sarai fortunato. So che lo sarai. Adesso è meglio che smetto di parlare, altrimenti ricomincio a tossire.

Va bene, papà. Non c’è bisogno che parli. Non ti preoccupare. [ST 211-212. Corsivo mio]

È questo fuoco, questa parola, questo desiderio di cui il padre si fa testimone e il figlio si fa erede. Non a caso «erede», in latino heres, conserva la stessa radice della parola «orfano», in latino kheros, che significa «spoglio, mancante»:

Eredità non significa "caricarsi" di contenuti dati, presupposti, ma ricercare il proprio stesso nome nell' interrogazione del passato. Eredità non significa assumere dei "beni" da ciò che è morto, ma entrare in una relazione essenziale, non occasionale, non contingente, con chi ci appare portante passato. Ma una tale relazione potrà essere voluta soltanto da chi si sente, da solo, in quanto semplice "io", deserto, mancante, impotente a dire e a vedere. […] Poter essere eredi comporta, invece, provare angoscia per una condizione di sradicatezza o di abbandono, porsi, su un tale "fondamento", all' ascolto interrogante del "così fu", cogliere di esso quelle voci, quei simboli che ci siano riconoscibili come relazioni essenziali, costitutive della trama del nostro stesso esserci91.

Il figlio diventa in questo modo la figura del giusto erede. Egli si fa carico di quel fuoco e inizia il suo viaggio in solitaria, fin quando non giungerà in una comunità di uomini e donne in cui verrà accolto benevolmente.

Il bambino del romanzo di McCarthy è molto simile alla figura di Telemaco che Recalcati propone come simbolo delle nuove generazioni. Entrambi, infatti, compiono un movimento di riconquista della memoria dei propri padri, assumendosi fino in fondo le proprie responsabilità. Telemaco è colui che non resta immobile davanti al mare in attesa del padre, ma sa che per riportare la Legge nella sua patria, è necessario ristabilire un patto tra le generazioni92.

Attraverso questo lungo percorso nella storia della paternità, a partire dalle più celebri figure del mito e della tragedia greca, sino agli esempi più contemporanei,

91 CACCIARI 2011. 92 RECALCATI 2014.

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abbiamo rilevato quanto la figura del padre abbia conosciuto dei momenti di forte crisi e poi di risalita. Nell’ipermodernità questa sfasatura è ancora più forte, tanto che sociologi e psicanalisti si sono chiesti più volte cosa potesse sopravvivere di quel mito paterno che da sempre ha svolto una funzione di guida per la famiglia e per la società, fin dalle sue origini.

Dopo aver rivelato i danni provocati dalla dimissione dei padri dal loro ruolo, possiamo solo guardare a coloro che continuano a tenere viva la testimonianza e l’unione tra il desiderio e la Legge. In questa prospettiva il padre del romanzo di McCarthy e, per alcuni versi, anche Hermann Roth ne sono un valido esempio.

In ultima analisi possiamo dire che se da una parte è la storia ad averci dato il padre e ad aver stabilito un suo ruolo nella società e nella famiglia, dall’altra parte è la storia stessa che può riprenderselo93, come sta già facendo. Tuttavia, è proprio attraverso i mutamenti storici che il padre può evolversi e riscoprirsi, rivelando volti del tutto inediti. Di conseguenza all’iniziale eclissi della funzione paterna, sta seguendo una sua ricomparsa che, per quanto nuova, merita di essere analizzata nelle sue forme e negli esiti nella vita dei figli.

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(III)

Alla fine del Novecento: dalla lotta col padre verso la sua eclissi

Devo ricordare con precisione, - mi dissi, - ricordare ogni cosa con precisione, in modo che quando se ne sarà andato io possa ricreare il padre che ha creato me. Philip Roth, Patrimonio

Nella prefazione alla seconda edizione dell’Interpretazione dei sogni (1899), Freud dichiara che l’opera nasce da un periodo di profonda analisi su sé stesso. Più precisamente essa appare come una reazione conseguente alla morte del padre, ovvero

«l’avvenimento più importante nella vita di un uomo» [IS 6]. L’opera consente al

fondatore della psicanalisi di elaborare dettagliatamente quella fondamentale struttura antropologica conosciuta come «complesso di Edipo» che, se mal liquidato, è causa di tutte le psiconevrosi. Pertanto non è un caso se nel corso del Novecento − ma vedremo anche nei più vicini anni Zero − si verificano diverse sperimentazioni letterarie che accolgono consapevolmente la lezione freudiana ponendo al centro della narrazione la diade padre-figlio e mostrando la progressiva mutazione «della molto antiquata potestas patris familias» [IS 250]. È dunque innegabile che la narrativa post-freudiana subisca e incorpori il contributo della psicoanalisi attraverso cui, accanto al tempo della realtà, inizia a delinearsi il tempo dell’inconscio.

In questo capitolo verranno prese in esame alcune opere, anche più recenti, del panorama letterario italiano che testimoniano i profondi mutamenti dello statuto paterno a partire dalla fine degli anni ’60. Già in questi anni Lacan parlava di «evaporazione del padre» per descrivere lo sfaldamento della società, gradualmente scardinata dal normale assetto familiare. Vedremo pertanto come il complesso edipico risulti ormai insufficiente per spiegare la relazione tra padri e figli: i primi, se inizialmente intesi in un’accezione autoritaria e castrante, necessitano ora di nuove categorie interpretative che mettano in risalto la loro dissoluzione1.

L’aspetto che emergerà dall’analisi dei romanzi è infatti quello di un conflitto generazionale destinato a scomparire, in nome di nuove forme di paternità, prima fra tutte quella del padre depotenziato, lontano dalla famiglia, mancante di autorevolezza e, nella maggior parte dei casi, causa del disorientamento dei propri figli. D’altronde, parlare della crisi della paternità ci obbliga a guardare dal punto di vista dei giovani, sempre più spaesati e sempre più infelici, in modo più o meno consapevole.