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Riportando tutto a casa di Nicola Lagioia

Capitolo 1. M ASCHILITÀ : STUDI ED EVOLUZIONE DI GENERE

3.4. Cambiamenti nello statuto genitoriale: verso la scomparsa del padre

3.4.1. Riportando tutto a casa di Nicola Lagioia

Riportando tutto a casa (2009) di Nicola Lagioia è una storia di formazione che segue l’andamento canonico del Bildugsroman, come fa notare Cristina Savettieri43, mostrando però anche un lento processo di svuotamento e sgretolamento dell’esperienza dei personaggi. La città di Bari e gli anni Ottanta sono i riferimenti geo-storici che configurano lo spazio in cui i protagonisti si muovono. Da sfondo alle singole vicende, seppur con valore esotico e distaccato, appaiono gli effetti di alcuni importanti eventi mondiali come il disastro di Chernobyl e la caduta del muro di Berlino, vissuti indirettamente dai protagonisti attraverso gli schermi televisivi. Lagioia, nel suo tentativo di raccontare un «trauma senza evento» [RTC 315] che ha dato origine alla contemporaneità, contempla gli anni ’80 come il decennio che ha visto il massimo consumo dell’eroina tra i giovanissimi ma anche come gli anni in cui un inatteso boom economico è la causa del logoramento dell’autorità paterna. Per l’insistenza su alcuni aspetti tipici degli anni ’80 quali la musica, i film cult e la cultura dominante del tempo, il romanzo presenta un ritratto particolareggiato della generazione di quegli anni a cavallo del nuovo secolo.

Il protagonista è un narratore onnisciente che con continui salti fra gli anni Ottanta e il 2008 ci racconta le proprie vicissitudini familiari e quelle di un gruppo di ragazzi durante gli anni del liceo. Il protagonista, tornato a Bari a distanza di vent’anni, ha modo di rivedere alcuni di quei volti amichevoli che hanno segnato gli anni più importanti della sua adolescenza ma diventati dei perfetti estranei col trascorrere del tempo.

Il padre del protagonista è un venditore di stoffe occupato nei vari mercati generali per sopperire a una situazione economica non ottimale, vissuta come una colpa, e che ben presto lascerà spazio a un florido periodo di benessere. È il protagonista stesso che

39 RECALCATI 2011, p. 26. 40 RECALCATI 2010, p. 29. 41 RECALCATI 2011, pp. 3-12. 42 ZUCCHI 2017, pp. 13-16. 43 SAVETTIERI 2009,p. 224.

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accompagnerà il padre a bordo del Fiorino bianco tra i diversi compratori, cali del fatturato, titoli azionari, clienti non paganti e frustrati direttori di banca sparsi in diverse zone del capoluogo e della provincia. In questo modo il romanzo si struttura come un vero e proprio «road novel»44, in cui viene registrato da una parte il mutamento dello status familiare e dall’altra il rapporto con il mondo degli adulti.

Il denaro diventa il motore d’azione dei personaggi e dà il via a nuove amicizie, a conflitti e a strategie imprenditoriali. Vediamo così l’ostentazione di quei simboli che testimoniano l’ascesa economica della famiglia e di un’intera classe sociale: Bmw, ventiquattrore, soprabiti che designano la nuova fisionomia di un padre totalmente votato al denaro e di una triade familiare non più costituita da padre-madre-figlio ma da padre-denaro-figlio. L’incomunicabilità fra i due viene colmata solo all’interno dei sogni, luogo in cui è ancora possibile immaginare un contatto fra i due:

rimasi per un po’ a soppesare il buio della stanza sconosciuta. Chiusi e riaprii gli occhi. Mi rigirai tra le coperte e mi ritrovai a tu per tu con il corpo addormentato di mio padre. Chiesi:

«Che ci fai ancora qui?» Papà si stiracchiò, fece uno sbadiglio: «Vedi che avevo ragione?»

Disse. Così ci alzammo dal letto sentendo sotto i piedi la consistenza dell’erba bagnata, e poi guardammo il sole sorgere dietro la collina dove eravamo esiliati da sempre. Iniziammo a camminare mano nella mano sulla pendice punteggiata da pochi anemoni, sovrastati da un astro di rovente e interminabile consanguineità che diventava sempre più caldo, insopportabile… [RTC 40]

Con l’aumento delle ore di lavoro, le occasioni di incontro e di dialogo tra padre e figlio si fanno sempre più rare. Così, nel frattempo, il protagonista ha la possibilità di stringere i rapporti con due compagni di liceo provenienti da famiglie altrettanto problematiche. Vincenzo, contraddistinto da una smaccata disinvoltura soprattutto in questioni di donne, porta su di sé il peso della morte della madre. L’organizzazione familiare è pertanto gestita da una matrigna giovanissima e da un padre incapace di compiere qualsiasi atto educativo che non risulti coercitivo e inibitorio, come porre al seguito del figlio un uomo costretto a vigilarlo in tutti i suoi spostamenti:

Vincenzo Lombardi… Venimmo a sapere che sua madre era morta in un incidente automobilistico e suo padre era uno degli uomini più in vista della città: il titolare dello «studio Lombardi» […]. Non fu difficile persuaderci che l’avvocato Lombardi era un concentrato di intelligenza reazionaria, un uomo che considerava il proprio figlio un erede perfetto proprio perché non gli riconosceva una volontà autonoma, e che suo figlio ricambiava considerandolo

«il nemico» […] Io lo avevo appreso dal diretto interessato… ma a un certo punto tutti

sapevano che, per ordine dell’avvocato Lombardi, lo Sghigno seguiva Vincenzo ovunque andasse. [RTC 82-83]

Giuseppe, ignaro della precaria situazione familiare, è colui che vive la vita come un eterno lunapark, cambiando quotidianamente auto e motorini e dilapidando soldi non suoi in feste e alcol, ma totalmente incapace di stabilire una sana relazione, amichevole e non:

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Giuseppe invitò me e Vincenzo nella sua villa hollywoodiana. La disponibilità di denaro del nostro amico dai capelli rossi era pari solo alla disinvoltura con cui ne faceva uso. Lo vedemmo alternativamente a bordo di una Vespa color prugna, di un’Aprilia Red Rose, di una Zundapp 125 per portare la quale non possedeva neanche il patentino. Nei primi giorni di pioggia iniziò a scandalizzare i docenti arrivando a scuola in Lamborghini. [RTC 93]

Il romanzo da un certo punto in poi sembra seguire due direzioni differenti: quella della vita del figlio sempre più dissoluta e mancante di un centro e quella di un padre sempre più piegato alle logiche capitalistiche. Gli unici e rari momenti di confronto fra i due si esauriscono in monologhi vuoti e inascoltati.

Mi chiamò a sé con uno sguardo dolente e mortificatissimo. Senza accorgersi dello stato in cui ero, mi mise una mano sulla spalla e disse: «Io ho sempre lavorato come un cane, no?» Iniziò a parlarmi dei suoi guai: un triste monologo notturno che l’Havana Club rese poco comprensibile e di cui dunque ho un ricordo sfocatissimo. Ma riguardava genericamente il male. Il Male nel Mondo. […], ma a un certo punto (ecco la cosa che mi spaventò) alluse in modo nebuloso alla possibilità che un giorno potessi essere io il suo vendicatore. Sarei diventato uno stimato professionista, consapevole e assetato di giustizia – assicurò al culmine di un delirio sorvegliatissimo –, e grazie alle mie «future conoscenze» avrei potuto aiutarlo a risolvere i problemi che lo tormentavano. […] Rimpiansi di non aver bevuto così tanto da non vedere la sciarada. Andai a letto cercando di dimenticare al più presto ogni parola. [RTC 129]

Con il XX secolo e l’affermazione della società dei consumi, il mutamento antropologico dei padri è compiuto: egli passa dall’essere maestro di vita all’essere un

«breadwinner»45, ossia cacciatore di reddito, con l’unico scopo di contribuire all’economia della casa. Avviene un capovolgimento del normale rapporto familiare, dal momento in cui non solo il padre non è più garante di un’educazione, ma obbliga il figlio ad assistere al graduale processo di sgretolamento del proprio Ideale: «il padre che deve rassicurare deve essere rassicurato, il padre che salva dallo smarrimento è smarrito, il padre che deve salvare i propri figli si trasforma in un figlio»46. Ciò avviene nel romanzo quando il padre nella disperazione totale per alcuni suoi affari di lavoro minaccia di lanciarsi dalla finestra, venendo così trasferito d’urgenza al reparto di psichiatria del policlinico:

Il medico […] sistemò ciò che restava di mio padre nel letto matrimoniale. Riempì di prescrizioni una mezza dozzina di fogli e ci comunicò con una vivacità intellettuale prossima all’entusiasmo che certo, la letteratura di casa nostra avrebbe parlato banalmente di

«depressione da stress con pensieri paranoidi», ma in realtà mio padre era affetto da «nikefobia», un tipo di patologia già diffusa tra i broker di Wall Street e i campioni dell’Nba, la

quale evidentemente iniziava a portare un po’ di civiltà anche sulle rive del Mediterraneo. «Se proprio vogliamo semplificare, – disse – si può parlare di depressione da successo improvviso». [RTC 132. Corsivo mio]

Il protagonista si chiede cosa sia rimasto di suo padre, consapevole che quei viaggi fatti in sua compagnia per rifornire i clienti, rimarranno solo un lontano ricordo. Ed è la stessa domanda che Recalcati si pone nel suo saggio: cosa resta del padre nel momento

45 ZOJA 2000, p. 277. 46 RECALCATI 2013, p. 22.

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in cui la sua autorità normativa sembra essersi irreversibilmente esaurita? Lo psicanalista lacaniano vede l’evaporazione del padre come presupposto per fare emergere la sua vera funzione, cioè il padre del dono della parola, il padre della testimonianza, il padre simbolo di una Legge che non si realizza tanto nella proibizione ma nell’aprire la vita alla forza del desiderio. D’altronde – come sanziona Lacan – il padre esiste dove la Legge si incarna nel desiderio. Al contrario, possiamo constatare come nel romanzo di Lagioia la testimonianza della parola lasci il posto ad una morale dettata esclusivamente dalla conquista del benessere. I padri sono incapaci di scendere a compromessi e di garantire ai propri figli un percorso di crescita che non sfoci nella deriva sociale. Recalcati ricorda che la clinica attuale si confronta sempre più spesso con forme della sofferenza che sembrano aver interrotto ogni contatto con l’inconscio, generando un totale annichilimento del soggetto. Tra le cause di questo quadro psicopatologico ritroviamo questa idea di crisi della paternità: figli spaesati, vuoti, intrappolati in legami liquidi e narcisisticamente votati alla conquista dell’oggetto del godimento offerto dal sistema globale del mercato illimitato. Ed è quello che accade al protagonista, ma anche ai compagni Vincenzo, Giuseppe, Donatella, Rachele, tutti accumunati dalla perdita di un punto di riferimento.

Il venir meno di un Ideale in grado di orientare le azioni dei soggetti genera un tipo di godimento che può essere definito – come fa Lacan in un’intervista televisiva degli anni Settanta – inesorabilmente «smarrito» [RT 90], quindi senza centro e totalmente alla deriva. Nel romanzo l’effetto più evidente di questo smarrimento consiste nell’avvicinamento dei personaggi alla tossicodipendenza. Secondo Recalcati il soggetto tossicomane è il risultato del discorso capitalista, ovvero di quel discorso che sfruttando la depotenziata funzione orientativa dell’Ideale impone come unico obiettivo il consumo continuo dell’oggetto di godimento che il mercato capitalistico rende illimitatamente disponibile47. Lo psicanalista precisa però più volte che l’idea di tossicodipendenza non riguarda esclusivamente la psicologia individuale – ossia il soggetto che fa uso di droghe ecc. – ma una psicologia sociale che contribuisce alla configurazione di un «tempo intossicato»48.

Il desiderio non regolato dalla Legge tende alla dispersione sregolata e alla deriva mortifera, ed è alimentato esclusivamente dalla necessità di essere soddisfatto nell’immediato con l’uso di oggetti feticizzati o abuso di sostanze.

Luigi Zoja ha modo di affrontare questo tema in un volume dedicato alla tossicodipendenza, Nascere non basta, ma anche nella parte finale del Gesto di Ettore. Egli è convinto che tra gli effetti del consumismo ci sia proprio l’indebolimento dell’incapacità di autodisciplinarsi, poiché la coscienza umana è mossa dall’impazienza della soddisfazione, orizzonte contro cui cerca di lottare la dimensione del paterno. Appare ovvio, pertanto, che nel momento in cui una di queste dimensioni – in questo caso quella del paterno – inizi a vacillare, l’altra – quella della deriva – prenda inevitabilmente il sopravvento49. Questo è ciò che accade ai protagonisti del romanzo

47 RECALCATI 2010, p. 199. 48 IVI, p. 195.

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nel momento in cui le rispettive famiglie iniziano a trascurare le loro vite. Trascinati dal più audace del gruppo, Vincenzo, i ragazzi si ritroveranno a casa di Santo Petruzzelli, dove ha avuto inizio la loro implacabile rovina:

Non eravamo mai stati in un appartamento di drogati. Non ci era soprattutto mai successo di attraversare un intero quartiere in cui sembrava che il calendario gregoriano fosse stato sostituito dai turni degli spacciatori. Avevamo sentito un’infinità di storie su Japigia, ma metterci piede fu un’altra cosa.

Ci arrivammo in motorino un pomeriggio autunnale – in sella alla Vespa, io e Rachele tallonavamo lo Zundapp su cui Giuseppe e Donatella rombavano in salita lungo il ponte. Fu come attraversare un varco aperto tra due mondi.

[…] Santo Petruzzelli ci accolse sulla porta d’ingresso […]. Lui salutò solo Vincenzo. Mise a fuoco per un attimo il resto del gruppo. Si diresse verso il corridoio senza prestarci più attenzione, mentre le code della vestaglia svolazzavano a destra e sinistra spolverando il pavimento. […] Una decina di ragazzi occupavano le stanze principali, e sebbene quel pomeriggio soltanto tre di loro se ne stessero seduti ad aspirare i fumi dell’eroina da un foglio di carta stagnola, era il clima generale a far pensare che fossimo in un mondo governato da regole per noi assolutamente sconosciute. [RTC 249-251]

Come scrive Zoja all’indebolimento della figura paterna corrisponde la sostituzione di un’altra persona simbolica, apparentemente più forte e valorosa, verso cui si concentra l’attenzione dei figli50. Infatti, Santo Petruzzelli diventa una sorta di padre adottivo, di sostituto di quel padre evanescente che consente ai ragazzi di ritrovare il loro stato di serenità:

ci trovavamo in un luogo che nessuno dei nostri compagni di scuola avrebbe immaginato, che i nostri professori presumevano di conoscere grazie ai resoconti dei cronisti più esaltati […] e che i nostri genitori intravedevano nei loro incubi catodici fatti di madri in lacrime dentro uno studio televisivo. I nostri genitori! Sarebbero svenuti a saperci qui dentro… Poi anche questo tipo di euforia sfumò sulla consapevolezza di trovarci fra persone che facevano del disinteresse per le opinioni del mondo il loro punto di forza. Così adesso io e Rachele non pensavamo più neanche ai nostri genitori – ci tenevamo per mano, ed eravamo calmi. [RTC 251]

Il mondo degli adulti – ma soprattutto la figura dei padri – è totalmente eclissato in questi capitoli. Il narratore, infatti, si limita a descrivere i brevi e rari incontri con i genitori per ribadire l’inconsistenza dei discorsi affrontati con loro e la sua volontà sempre crescente di fuggire nell’unico posto in cui sentiva complicità – «ma a quel punto uscivo di casa, raggiungevo Rachele, e in pochi scoppi di marmitta il mondo dei nostri genitori non esisteva più» [RTC 262].

Pertanto la perdita di un riferimento simbolico per i protagonisti – e nel romanzo abbiamo solo padri chiusi nel proprio «io» narcisistico – fa sì che il quartiere Japigia diventi per i ragazzi l’unico luogo in cui il senso di aggregazione riesca a sostituire genitori sempre più assenti:

A parte queste sviste, papà e mamma non associarono una sola volta le mie occhiaie a qualcosa che non fosse il sonno agitato degli adolescenti. E non lo fecero mamma e papà

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Rubino rispetto a Giuseppe, che con le droghe ci stava andando pesante molto più di me. [RTC 264]

Eroina, stupefacenti, pasticche: sono queste le sostanze che causano un’inesorabile sconnessione da sé stessi e dall’altro e che vengono assunte dai frequentatori dell’appartamento di Petruzzelli. Inoltre, l’abuso di sostanze garantisce una pseudo- identità con gli altri soggetti che vivono la medesima situazione: «in questo modo la tossicodipendenza» – ed è ciò che accade nei personaggi di Riportando tutto a casa –

«diventa un’etichetta identificatoria che solidifica un’identità narcisisticamente

fragile»51.

Solo dopo il ricovero d’urgenza di Giuseppe per overdose e la morte di un altro compagno a causa dell’assunzione di droghe, la narrazione di quel periodo di vita del protagonista si interrompe drasticamente con la rottura del legame di amicizia tra i ragazzi. A questo punto il narratore fa un balzo temporale di circa vent’anni. Dopo aver lasciato la città pugliese per motivi lavorativi, il protagonista avverte la necessità di recuperare quel periodo di vita passata e di incontrare le vecchie conoscenze che si riveleranno totalmente estranee, lasciandolo nel totale sconforto.

Nel suo ritorno a casa il protagonista prende coscienza di quanto sia mutato anche il rapporto col padre. Nell’ultima descrizione di quest’uomo alla fine della sua carriera, il narratore non può che restituirci il ritratto di un padre solo e deluso dalla propria vita, verso cui è incapace di provare un sentimento di comprensione. Pertanto, anche l’ultimo tentativo di riconciliazione fra i due appare del tutto insignificante. Una società senza padri diventa drammaticamente una società senza figli52:

mio padre ero andato a trovarlo il giorno dopo avere visto Donatella. Abitava nella villa – finalmente terminata – in cui saremmo dovuti andare a vivere venticinque anni prima. Era una fredda, elegante, spaziosa abitazione piena di carte da parati un tantino démodé e mobili di ottima fattura. Lui ci passava le notti in solitudine dopo che anche il suo secondo matrimonio era andato a rotoli. Quando andavo a trovarlo, ci scambiavamo un abbraccio di media intensità. Riguadagnavo una distanza di due passi e domandavo: «Come va?» Lui rispondeva: «Eh…» senza distogliere gli occhi dalle farfalle stilizzate della carta da parati. Il fatto di ritrovargli sul comodino – lui, che aveva sempre considerato la letteratura una perdita di tempo – un libro di Anthony De Mello e altri opuscoli del tipo Aristotele, Confucio e l’arte di essere felici mi faceva venire voglia di saltargli al collo e abbracciarlo fino a stare male tutti e due. Volevo farlo, ma non riuscivo a farlo. Staccava gli occhi dalla carta da parati e domandava: «Da quanti giorni sei arrivato?» Qualunque cosa rispondessi, scuoteva la testa per i fatti suoi. La situazione era riassunta dalla cyclette piazzata in una stanza mai arredata: tanti esercizi mattutini, nessun posto dove andare. […] Un attento ridimensionamento dell’azienda e qualche oculato investimento in campo immobiliare gli consentivano di vivere in modo decisamente agiato (molto meglio di me, ad esempio), con buone garanzie di continuare a farlo sino alla fine dei suoi giorni. Ma come dire… la grande onda, l’elettrizzante vento del successo avevano cessato di ingrossarsi sotto le fragili strutture dei suoi sogni. E adesso, espulso da un turbine di adrenalina che ormai soffiava altrove, si ritrovava a settant’anni con il normale patrimonio di domande che prima o poi affliggono gli uomini: cosa ho fatto nel corso della vita, dove sono i miei affetti, esiste un senso per tutto questo. Le domande erano nuove e gigantesche, lui non era equipaggiato molto bene, e il tempo a disposizione rischiava di non essere abbastanza. Credo

51 IVI, p. 208.

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che in certi momenti si sentisse terrorizzato. Lo osservavo mentre si addormentava sul divano. Dovevo fare uno sforzo per non voltare la testa dall’altra parte. [RTC 313-314]

I protagonisti del romanzo di Lagioia potrebbero essere definiti– come farebbe Recalcati – «soggetti senza inconscio». Sono quest’ultimi infatti i protagonisti dell’epoca ipermoderna, irrimediabilmente antagonista dell’esperienza freudiana dell’inconscio che «esige tempo per pensare, disponibilità a perdersi, a incontrare il caos, l’imprevisto, il reale come l’impossibile da pensare»53. Nel nostro tempo, un «tempo drogato» vige, invece, la ricerca affannosa di nuove sensazioni e nuovi oggetti del godimento, del cambiamento repentino e continuo dell’oggetto. L’imperativo morale dell’odierno Super-Io sociale esige che la trasgressione funzioni da modello per ogni prestazione. Ed è a questo imperativo che guida le azioni dei personaggi.

Ciò che possiamo desumere da questo testo è la radicale mutazione del padre autoritario primonovecentesco. Complici della civiltà consumistica, i padri del dopoguerra e dell’inaspettato boom economico hanno ridimensionato la loro funzione all’interno della famiglia per rivestire il ruolo di procacciatori di reddito e per entrare a capofitto nelle ferree regole del capitalismo. L’imporsi del «discorso capitalista» ha messo in crisi il compito del padre di unire il desiderio alla Legge mediante il principio di castrazione, provocando una mortifera degenerazione del desiderio del figlio54. La dissoluzione di questa Legge allontana l’esperienza del limite e propone un universo