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Madri, maternità e violenza del partner

4.3 La colpevolizzazione delle madri

4.3.3 Altre “Sindromi relazionali”

Oltre alla Sindrome d’Alienazione Parentale e all’Alienazione genitoriale, che abbiamo visto essere prive di valenza scientifica, sono state create sindromi “altre”, il cui scopo e utilizzo è sempre quello di occultare e mettere a tacere le madri che denunciano un maltrattamento dell’ex marito sui figli. Qualora queste “sindromi” non vengano accettate, si ricorre a sindromi cosiddette “relazionali”, accettate dalla comunità, presenti nel DSM, e che permettono di interpretare i dubbi, le preoccupazioni e le segnalazioni materne come una menzogna deliberata o una patologia psichiatrica.

Sindrome della madre malevola

La Sindrome della madre malevola viene descritta da Ira Daniel Turkat come segue:

1. Una madre che senza giustificazione punisce il marito da cui sta divorziando o ha divorziato: a. tentando di alienare i figli dal padre

b. coinvolgendo altri in azioni malevole contro il padre c. intraprendendo un contenzioso eccessivo

2. La madre tenta semplicemente di impedire: a. le visite regolari dei figli al padre

b. le libere conversazioni telefoniche tra i figli e il padre

c. la partecipazione del padre alla vita scolastica e alle attività extracurricolari dei figli 3. Lo schema è pervasivo e comprende azioni malevole come:

a. mentire ai figli b. mentire ad altri c. violazioni della legge

4. Il disturbo non è specificamente dovuto ad un altro disturbo mentale, pur potendo coesistere con un altro disturbo mentale distinto (Turkat, 1999).

83 Così, la Sindrome della madre malevola (SAL) si differenzia dalla SAP in quanto, se nella seconda la madre insinua che c’è stata violenza, nella prima la madre afferma falsamente che c’è stata violenza (Romito, 2006).

Anche in questo caso, la Sindrome non ha alcun valore scientifico ma, come nel caso dell’AP, viene adottato, dai chi fervidamente la sostiene, un escamotage:dal momento che la Sindrome della madre malevola non è riconosciuta dal DSM e dalla comunità scientifica, qualora non venisse accettata, viene suggerita questa lista di Disturbi, presenti nel DSM, correlati alla Sindrome della madre malevola:

- DISTURBO DELL’ADATTAMENTO: si sviluppa «in risposta a uno o più fattori stressanti psicosociali identificabili». Il disturbo rappresenta una risposta a breve termine maladattiva a uno o più eventi di vita stressanti, per cui la persona non riesce subito ad “adattarsi” all’esperienza traumatica, e questo fa emergere sintomi emotivi e comportamentali invalidanti e fonte di sofferenza.

- DISTURBO DELLA PERSONALITA’: indica un disturbo mentale con manifestazioni di pensiero e di comportamento disadattivi che si manifestano in modo pervasivo, inflessibile e apparentemente permanente, coinvolgendo la sfera cognitiva, affettiva, interpersonale e della personalità dell'individuo colpito. Si parla di disturbo nel momento in cui tale manifestazione sintomatologica causa disagio clinicamente significativo.

- DISTURBO ESPLOSIVO INTERMITTENTE: è un disturbo del comportamento caratterizzato da espressioni estreme di rabbia, spesso incontrollabili, che sono sproporzionate rispetto alla situazione. L'aggressione impulsiva non è premeditata ed è definita da una reazione sproporzionata a qualsiasi provocazione, reale o percepita. Alcuni individui riportano cambiamenti affettivi prima di un'esplosione.

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Sindrome del padre interdetto

La Sindrome del padre interdetto è stata creata da Gerald Rowels, psicologo statunitense e fondatore di DADI.org, “papà contro l’industria del divorzio”. Essa ha come preambolo la condizione di “stress esponenziale” che i padri proverebbero “a causa delle continue esperienze di impotenza” vissute durante la fase di separazione e divorzio (Rowles, 2003). Il termine “interdetto” viene ricondotto alla condizione dei padri, “da quando gli Statuti dei diritti dei minori hanno cominciato a distinguersi, privando i padri della patente per svolgere la loro professione di genitore” (DADI.org). Questi padri interdetti sarebbero accumunati da fattori di stress, “causati dal dolore della perdita dell’affetto coniugale e della convivenza con i figli”, che sono:

- l’impreparazione alla prospettiva di un divorzio e di una perdita incombente, comprese stabilità finanziaria e stile di vita;

- il grave trauma di chi è costretto a separarsi psicologicamente dal coniuge, mantenendo al tempo stesso il ruolo di genitore;

- il trauma psicologico e le difficoltà economiche di rifarsi una casa e una nuova vita;

- l’inesorabile punizione che il sistema del diritto di famiglia riserva contro chi tenta di mantenere il ruolo di genitore durante una causa di divorzio;

- la vergogna e l’indignazione che accompagna le false accuse di abuso; - l’improvvisa e prolungata separazione dai figli;

- le ripetuti negazioni delle visite stabilite dal tribunale;

- il sabotaggio della relazione affettiva padre-figlio da parte della madre che detiene la custodia; - l’inefficacia, reale o presunta, della rappresentanza legale;

- l’associare per punizione l’attaccamento ai figli con ostilità o indifferenza verso il coniuge avversario (alienazione);

- l’esaurimento fisico e psicologico indotto dagli inutili tentativi di sostenere il ruolo di padre; - la progressiva presa di coscienza che un padre non ha diritti da far valere in tribunale.

85 Questa Sindrome, seppur non riconosciuta dalla comunità scientifica, priva di riscontro empirico, ha seguito negli USA ed è promossa dalla potente lobby dei padri separati.

Sindrome di Münchhausen per procura

La sindrome di Münchhausen per procura, conosciuta anche come sindrome di Polle, (Polle, figlio del barone di Münchhausen, morto infante in circostanze misteriose), è un disturbo mentale che affligge genitori o tutori (solitamente le madri) e li spinge ad arrecare un danno fisico al/alla figlio/figlia per farlo/a credere malato e attirare l'attenzione su di sé. Il genitore/tutore viene così a godere della stima e dell'affetto delle altre persone perché apparentemente si preoccupa della salute del/della proprio figlio/a (Meadow, 1977). Differisce dalla sindrome di Münchhausen, nella quale il paziente si fa del male per farsi credere malato e attirare l'attenzione su di sé13.

Questa Sindrome, anch’essa non presente nel DSM-V, viene non di rado applicata in Italia quando le madri denunciano un abuso sessuale paterno sui figli e non vi sono prove a riguardo. Un esempio è la sentenza del Tribunale Civile di Cosenza, sez. II°, G. Rel. Filomena De Sanzo, Pres. Rosangela Viteritti (23/29 luglio2015), in cui “le conclusioni che portano i figli all’affidamento paterno ed in via transitoria ad una collocazione presso case famiglia, parlano del fatto che la donna non è stata convinta — dalle indagini tecniche — ad affermare che l’abuso sessuale non era esistito, e pertanto questa sua convinzione, non suffragata da pareri tecnici (ma solo sulla fedeltà al riferito dei minori) induceva anche i figli a credere di essere vittime di un abuso inesistente. Si giungeva a questa conclusione nella sentenza senza individuare una patologia psichiatrica, in grado di spiegare nella donna un rapporto alterato con la realtà (gravi sindromi dissociative, ad esempio) se non il ricorso ad una diagnosi di sindrome di Münchausen; sindrome per altro, non applicabile al caso in questione, e

86 per di più desunta solo dal comportamento processuale della donna (non essersi convinta appunto, dopo l’archiviazione nel procedimento penale, che l’abuso non era stata perpetrato)14.

La «folie a deux» o Disturbo psicotico condiviso

Il disturbo psicotico condiviso o folie à deux è una rara sindrome psichiatrica nella quale un sintomo di psicosi (spesso una convinzione delirante, di tipo paranoica) viene trasmessa da un individuo all'altro15. Si tratta di un disturbo psicotico indotto, la cui manifestazione essenziale è un sistema delirante che si sviluppa in una seconda persona conseguentemente ad una relazione molto stretta con un altro soggetto (il caso primario) che abbia già un disturbo psicotico con rilevanti deliri. I deliri hanno di solito contenuto persecutorio (Tay & Li, 2017).

Come per la SAP, la terapia richiede di solito la separazione delle persone coinvolte per un periodo di circa 1-2 anni. La riunificazione può essere tentata prima, a seconda della velocità con la quale il soggetto secondario (il bambino) riesce a sviluppare le proprie strutture che gli consentano di resistere alla fusione psicologica con il soggetto primario (il genitore patologico, tipicamente la madre). Il progresso può essere misurato osservando contatti periodici (Tay & Li, 2017).

Dall’elencazione di queste cosiddette sindromi, applicate alle madri vittime di violenza qualora lottino per la protezione dei loro figli, anche denunciando gli abusi paterni, emerge la volontà, politica, culturale, di creare un alibi per i padri violenti. Il rifiuto, le paure, le parole e i racconti dei bambini non hanno alcun valore innanzi alla ideologia maschilista secondo la quale le colpe e le responsabilità devono ricadere sempre sulle donne, sulle vittime (Coffari, 2018).

14 Reale, E. (2016) “Oltre la PAS: il percorso della vittimizzazione secondaria di donne e minori”, in Cassano G. (2016) “Il minore nel conflitto genitoriale. Dalla sindrome di alienazione parentale alla legge sulle unioni civili”, Giuffre

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