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Ruolo paterno e paternità nella cultura patriarcale

5.1 La figura del padre: un’eredità patriarcale

5.1.1 Fra mito e storia classica

Nell’esame della figura del padre e della sua funzione ritengo interessante, nonché esplicativo, partire dalle origini della nostra cultura, ossia dai miti, in particolare dai miti teogonici di stampo esiodeo. Qui emerge con chiarezza come i problemi familiari e, più in particolare, i problemi nel rapporto padre-figlio, non siano una caratteristica della modernità, in quanto esistevano e si manifestavano in forme a dir poco preoccupanti, prima addirittura che “comparissero i mortali sulla terra” (Cantarella, 2015). In questi miti, l’amore tra padri e figli trova ben poco spazio, per non dire che non ne trova alcuno17.

17 Per ripercorrere l’antico, mitico rapporto padre-figli, utilizzo come fonte principale il libro Cantarella, E. (2015). Non

95 Partiamo dalla “Teogonia” (lett. “origine degli dei”) di Esiodo, da cui emergono spontaneamente Caos, Gea, Tartaro ed Eros. Da Gea e Tartaro nacque Urano, dal quale Gea concepì numerosi figli che però Urano ricacciava nell’utero materno, impedendone la nascita. Un padre quindi che non mostra un grande desiderio di paternità. Gea, disperata, decise di tendere un tranello al marito: con la complicità di Crono, armò di falcetto il Tempo (uno dei figli che aveva in grembo), cosicché, nascendo, egli evirò il padre. Crono divenne così padrone del mondo ma si dimostrò non diverso dal padre: quando seppe che dalla sua unione con la sorella Rea sarebbe nato un figlio che lo avrebbe detronizzato, ogniqualvolta questa partoriva, divorava il neonato, finché Rea riuscì a fuggire, dando alla luce Zeus. Con una pozione magica Zeus costrinse il padre a vomitare i fratelli che aveva divorato e, dopo averlo spodestato, instaurò un regno molto diverso da quello dei suoi predecessori (Cantarella, 2015).

Con Zeus nascono infatti le norme di convivenza civile e, secondo l’analisi di Cantarella (2015), la famiglia patriarcale. Interessante quindi, ai fini del mio lavoro di ricerca, esaminare i rapporti interni alla famiglia patriarcale, ossia quelli fra marito e moglie e quelli fra padre e figlio.

Il rapporto fra Zeus e la moglie Hera era gerarchico e il seguente episodio illustra bene quali potevano essere le conseguenze dell’ira maritale: “un giorno Hera, per distrarre Zeus da quanto accadeva sulla terra e far si che i greci sopraffacessero i troiani, lo aveva indotto a far l’amore con lei, raggiungendo lo scopo. Zeus, risvegliatosi, era stato colpito da un’ira terribile: il comportamento della moglie era inaudito. Perché la moglie si rendesse conto della gravità della sua insubordinazione, le aveva ricordato il giorno in cui, dice: “t’appesi in alto e dai piedi ti feci pender due incudini, una catena ti gettai sulle braccia, d’oro, infrangibile? E tu nell’etere fra le nubi pendevi...” (Iliade, XV, vv.18-21). L’episodio violento voleva essere esemplificativo e insegnare alle mogli cui non mancava buon senso che il marito era il padrone i cui poteri non erano sottoposti ad alcun limite e controllo. Quando infatti gli dei videro Hera incatenata, benché ne fossero indignati, nessuno osò aiutarla perché la volontà di un marito non poteva essere contrastata” (p. 35-36, Cantarella, 2015).

96 Emerge così il primo dovere femminile, l’obbedienza, a cui si accosta quello della fedeltà sessuale (dovere al quale, ovviamente, i mariti non erano tenuti). All’obbedienza non dovevano sottostare solo le mogli ma anche i figli. Emblematica a questo proposito è la storia di Efesto, figlio di Zeus, brutto e zoppo ma non di nascita. Ad azzopparlo era stato infatti il padre quando, un giorno, aveva cercato di sottrarre la madre alle sue prepotenze.

Lasciando l’Olimpo, entriamo nel vivo delle “famiglie di mortali”, così come narrate da Omero. Il primo esempio emblematico è quello della famiglia composta da Ulisse, Penelope e Telemaco. Va da subito ricordato che Ulisse partì per Troia e rivide moglie e figlio dopo vent’anni. Telemaco è quindi un figlio cresciuto senza padre.

Sul rapporto Ulisse-Penelope va rilevato che costui viene proposto come “marito perfetto”, che “tesseva le lodi della moglie”, anche se questo non gli aveva impedito di intrattenersi molto più a lungo del necessario con altri personaggi femminili. “Ai mariti la fedeltà non era richiesta. A loro si domandava solo di saper distinguere fra le donne oneste (da sposare) e quelle con le quali intrecciare relazioni. Agli uomini tutto quello che si domandava era questo: non fare confusione” (p.42, Cantarella, 2015).

Telemaco, figlio cresciuto senza una figura paterna, è modello di totale subalternità: “legato alla figura del padre assente, di cui soffre la mancanza e del cui ritorno è felice. Un buon figlio, privo di qualità positive al di là dell’obbedienza. Il povero Telemaco non ha carattere, viene da chiedersi se possa esser stata la mancanza di una figura paterna e renderlo così inconsistente, e se così fosse, dovremmo pensare a lui come al personaggio che esalta l’importanza del ruolo paterno nella condizione della discendenza” (p.50, Cantarella, 2015). Qui, l’ipotesi di mettere in discussione l’ordine paterno non è prevista.

Il secondo nucleo in esame è quello composto da Ettore, Andromaca e Astianatte, famiglia apparentemente legata da rapporti affettivi forti. Tuttavia, anche il rapporto tra Ettore e Andromaca

97 non è esente dall’infedeltà di lui. “Andromaca allatta i figli illegittimi di Ettore che, evidentemente, vivevano nella loro casa coniugale nella quale le madri dei piccoli non erano ammesse (un gesto di cortesia di Ettore verso la moglie)” (p.57, Cantarella, 2015). Sul rapporto tra Ettore e Astianatte, famoso è il gesto di tenerezza del padre prima della partenza per la guerra. Ciononostante “anche se è l’unico eroe dal carattere umano, nel privato Ettore non è diverso dagli altri. È il capo di una famiglia di tipo patriarcale. E come tale si comporta. Sollevare tra le braccia un figlio infante non diminuisce in alcun modo la potenza e il conseguente rispetto trasmessi dalla sua immagine sul campo di battaglia, dove come in famiglia, imponeva la sua volontà” (p.61, Cantarella, 2015). Qui la devozione e obbedienza alla figura paterna e maritale è totale.

La nascita della polis segna il passaggio dall’epoca dei miti a quella storica in cui nasce la cultura del diritto. Per quanto attiene il rapporto marito-moglie, l’idea è che la moglie sia in posizione inferiore rispetto al marito, il quale, nei confronti di lei, “ha l’autorità dell’uomo di Stato”, e “nella relazione del maschio verso la femmina l’uno è per natura superiore, l’altra è comandata, ed è necessario che fra tutti gli uomini sia proprio in questo modo” (Aristotele, Politica, I, 1259b). Per quanto riguarda invece i figli, il padre esercita un’autorità simile a quella esercitata sulla moglie, più specificatamente, sui figli ha “l’autorità di un re (…). Il re dev’essere superiore per natura ai suoi sudditi (…) ed è proprio questa la posizione del padre rispetto al figlio” (Aristotele, Politica, I, 1259b).

Interessante evidenziare come i poteri che il padre aveva sui figli non avevano natura protettiva. Infatti, “la paria potestà degli antichi aveva natura potestativa. A differenza di quanto accade oggi, i poteri paterni (che in Italia, con la riforma del diritto di famiglia del 1975, sono stati attributi per la prima volta dopo millenni a entrambi i genitori) non erano previsti al fine di proteggere, educare e istruire i figli. Erano poteri volti a salvaguardare il patrimonio” (p.71, Cantarella, 2015).

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