Obiettivi e Metodo
8.2 Separazione e affidamento dei figli
8.2.3 Contatti padre-figli
La Convenzione di Istanbul, primo strumento internazionale legalmente vincolante a protezione delle donne contro qualsiasi forma di violenza, legge in Italia fin dal 2014, all’art. 31, “Custodia dei figli, diritti di visita e sicurezza”, precisa che: «1 Le Parti adottano misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che, al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, siano presi in considerazione gli episodi di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione. 2 Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che l’esercizio dei diritti di visita o di custodia dei figli non comprometta i diritti e la sicurezza della vittima o dei bambini».
Non sono purtroppo però rari i casi ove i figli, vittime della violenza del padre, sono ancora costretti da pronunce giudiziali – anche contro la loro volontà personalmente espressa – a incontrarlo durante le “visite protette”, ossia alla presenza di una persona di fiducia o dei servizi. L’intento delle visite protette è di evitare il rischio di violenza e allo stesso tempo salvaguardare il diritto del padre (violento) alla bigenitorialità, forzando pertanto un presunto “recupero” della relazione padre-figlio.
190 Tuttavia, come riportato da questa assistente sociale, non è raro che intimidazioni e minacce paterne abbiano luogo anche all’interno dello spazio dei servizi, durante degli incontri padre-figli cosiddetti “protetti”:
“Più volte abbiamo anche chiamato le forze dell’ordine, per tutelare il bambino, per permettergli di poter andare via. Una volta abbiamo interrotto anche un incontro protetto perché (il padre) mandava dei messaggi molto chiari, diceva che gli psicologi sono delle persone che devono essere uccise, perché ti annientano il cervello, come dovevano essere uccise le persone che si prendono cura di te se non sono la tua famiglia, la tua famiglia però intesa papà e in questo caso nonna, perché il papà viveva con la nonna. E quindi, avevamo anche interrotto una visita, in uno di questi contesti, perché il messaggio era molto chiaro “tu devi ascoltare me, tutti gli altri sono persone da uccidere...” proprio erano questi i termini … gli operatori e anche la madre, per questo avevamo interrotto la visita, abbiamo dovuto chiamare i vigili per poter far uscire il bambino… il bambino era terrorizzato… impietrito, che non sapeva cosa fare. Una volta si è presentato a Pasqua, ha tirato fuori un coltello grosso così (mostra una lunghezza di 30/40 cm) per tagliare l’uovo insomma…il coltello era un messaggio...” (AS12).
In alcuni casi, come racconta questa mamma, le visite che dovrebbero essere protette avvengono invece senza protezione.
“Io mi sono lamentata perché non è possibile che questa psicologa non solo lascia il papà solo con questi bambini, che avete capito, cioè, se è partito un decreto, facciamo le visite protette, non è possibile… basta… io ho bassa stima dei servizi devo dire… un disastro… e che il papà gli porta i petardi e il bambino mi viene a casa con i petardi? Da esser deficienti… e poi visto che la bambina non era ben vista dalla famiglia, portava i regali dei nonni al bambino e alla bambina no. Così quando venivano fuori mi si riversava tutto, la bambina che piangeva, cioè robe! Ma che storia è? Visite protette? Ma fatte come? Col sedere? Scusi… una roba allucinante… in quel periodo là mi ricordo
191 che addirittura un bambino, non a Trieste, è stato ucciso dal papà durante una visita protetta… clamoroso… e allora questo dà la misura che proprio… ste visite protette son fatte male… spesso son un disastro, poi qualcuno magari anche no, le fa bene, non so (…) Io in quel momento affido i miei figli in quel momento all’operatrice che deve assistere alla visita protetta col padre che non è tanto a bolla e ti allontani? Io ti punto gli occhi addosso, penso che al suo posto chiederei anzi, che ci fosse una collega con me. Evidentemente, non so, prendono sottogamba quello che dice la mamma, non lo so com’è vista sta cosa…” (Carla).
Oltre alle visite protette, i Servizi potrebbero optare per gli incontri cosiddetti “facilitanti” fra padre e figli: incontri in presenza quindi di un educatore/trice per un periodo di non più di 12 mesi. Tuttavia, dall’intervista che segue emerge un’incongruenza: dopo due anni di incontri facilitanti fra padre e figlia, senza passi avanti, l’assistente sociale si chiede che senso abbia accanirsi e dove stia in tutto ciò il diritto del minore.
“Un livello di conflittualità allucinante tra i due genitori e questa bambina che assolutamente non gliene frega niente del papà, ma proprio non gliene frega niente, anche perché il papà non la vede, il papà…il papà sta con lei, ma è una persona, emotivamente, assolutamente, bloccata …. immatura, che vive ancora con i genitori e che la mamma controlla … però l’elevata conflittualità della situazione, decido di mettere un educatore per facilitare gli incontri tra la bambina e il papà, per tranquillizzare la mamma, in qualche modo, inizio questi incontri facilitanti con un educatore, che facesse da mediatore e accompagnasse anche la bambina e il papà a relazionarsi. Inizio questo percorso nel 2014, siamo ancora a quel punto! Nel senso che abbiamo ancora una bambina che comunque non chiama neanche papà, il papà è un papà che…si ferma al livello puramente formale mmm…non riesce a entrare veramente in relazione con la bambina e la bambina lo sente. E lì io mi faccio la domanda e dico: ok, quanto senso ha accanirsi?” (AS5).
192 Dall’intervista con la stessa operatrice, emerge come il focus sia incentrato sul diritto del padre più che sul “miglior interesse” del minore.
“C’è stato un periodo in cui … in cui la bambina proprio non voleva saperne del padre, dicono, guarda che questa bambina ha dei problemi con il papà, perché se la bambina, quando il papà chiama, indietreggia fisicamente e si fa la pipì addosso in quel momento, forse vuol dire qualcosa? Tu CTU non lo tieni assolutamente in considerazione? Noi avevamo sospeso gli incontri e dici che si riprendano immediatamente gli incontri? Allora io mi chiedo “per chi stiamo lavorando? Lo facciamo per il minore o lo facciamo per l’adulto?” perché, capiamoci, se lo facciamo per l’adulto, ok, ma allora non parliamo più di Tutela del Minore, parliamo di Tutela dell’Adulto! Capiamo di cosa stiamo parlando e capiamo per chi stiamo lavorando!!! Quindi, alle volte, mi chiedo quanto determinate situazioni abbiano senso, quanto dei lavori lunghissimi, anche in questa situazione, facciamo incontri facilitanti da due anni e mezzo, non siamo arrivati da nessuna parte, forse vorrà dire qualcosa!” (AS5).
Quando gli incontri sono “liberi”, ossia avvengono senza la presenza dei Servizi, è la donna a dover fare da “mediatrice” fra i figli che non vogliono vedere il padre, di cui hanno, a ragione, paura, e l’ex partner, che utilizza questi incontri per continuare ad agire violenza.
“Ti dirò che la bambina da lui non ci vuole andare, dice “paura, papà paura”… io “no, non devi avere paura”, io cerco di, devo fare così…” (Marta).
“Le bambine tante volte facevano finta di dormire, avevano 4 anni, non volevano uscire con il padre… io guarda, ho fatto una vita… solamente per farle parlare al telefono le rincorrevo, le dicevo “ti prego, dì almeno ciao al papà…”, perché… ogni cosa è un pretesto per lui… io cercavo in tutti i modi, uscivo addirittura anch’io per rassicurare le bambine, perché erano periodi che le bambine proprio non volevano, dopo io dicevo, cercavo anche con lui, dicevo “dai, esco anch’io con voi, facciamo finta di prendere caffè, così magari le bambine cominciano di nuovo fiducia in te, vedendoti con me”, poi
193 diciamo che la situazione si calmava, le bambine accettavano anche di uscire da sole con lui, non passavano 2-3 visite che di nuovo era “non voglio”…” (Ivana).
Questi contatti hanno conseguenze negative sui bambini, come raccontato da questa mamma: “i bambini come vivono le visite con il padre male… male… non ci vogliono andare. Il più grande mi ha detto chiaramente che non ci vuole andare. Il più piccolo lo vede come un babysitter (…) quando torna a casa poi vuole sempre dormire con me, nonostante abbia due anni è molto attaccato a me, ha paura che vada via, che lo lasci solo… Mentre (nome figlia) regredisce ogni volta che sta dal papà… quindi uso del ciuccio, capricci, anche lei non vuole stare da sola a letto, diventa proprio una bambina piccola, di 2 anni” (Anna).
In quasi metà dei casi emerge inoltre negligenza paterna, con conseguente messa a rischio della salute dei figli.
“Quando stavano con lui o non avevano mangiato, o non erano vestiti abbastanza ed erano raffreddati, era sempre successo qualcosa e io ero terrorizzata perché erano piccoli…” (Paola).
Inoltre, questi contatti si configurano come occasione per continuare ad agire violenza e controllare le donne.
“I bambini mi tornavano a casa con lividi, (nome figlio piccolo) appena facevo così (muove appena il braccio) si spostava… una volta è arrivato con un livido (…) L’ho portato in ospedale, ho denunciato la cosa, lì è partita la denuncia al Tribunale dei minori. Ho fatto un sacco di segnalazioni” (Anna).
194 “I bambini hanno iniziato ad andare dal papà, con il papà ci incontravamo e ogni volta che ci incontravamo lui mi insultava, mi urlava dietro di tutto, davanti ai bambini, non erano sereni di vederlo, ovviamente” (Michela).
Infine, questi uomini violenti hanno scelto di rendere la vita delle donne un inferno, impedendo loro e ai bambini di organizzare e gestire la vita quotidiana.
“Fa sempre prepotenza, cambia sempre gli orari… ti chiede di venire a prenderla prima o portarla dopo, come un pacchetto… gli orari invece devono essere rispettati, per l’equilibrio della bambina, invece lui che cosa fa? Ehm… è arrabbiato con me e me la fa tornare a casa solo col pannolino (…) lui cambiava sempre le giornate. Lui mi dava le giornate settimanali e poi mi diceva “Oh…oggi non posso perché mi hanno cambiato il turno… te la porto prima…”, puntualmente tutte le settimane lo faceva e non andava bene (...) Lui invece faceva quello che voleva, a volte ha saltato le giornate… non sempre però me la portava prima con la scusa sempre del cambio turno… e non era vero che gli avevano cambiato turno… faceva così come gli girava. Da più di un anno che lo fa, e ancora adesso, mi manda le giornate quando vuole lui” (Marta).
“Mi diceva “sono imprenditore non posso stabilire un giorno per dedicare ai figli, ti dico quando posso” e così me lo diceva il giorno stesso, o il giorno prima, dopo il giorno stesso mi diceva oggi no, domani, ma la bimba aveva attività, io i miei impegni, mi organizzavo e mi gestivo e invece…poi assecondavo tutto. Ad un certo punto avevo iniziato a dire che doveva fissare delle giornate, non lo assecondavo più e lì lui era scaturito, in più probabilmente si era messo in testa di voler tornare con me nonostante poi manifestasse tutto il contrario e non lo so, a volte succedeva, ehm… che lasciava i bambini a casa da soli di notte e veniva a vedere se io c’ero o meno a casa.” (Lena).
“Noi tramite i servizi sociali abbiamo i giorni, le ore esatte di quando i bambini stanno solo con il papà e quando con me, ma quando lui viene qua [vive all’estero] tutto va come vuole lui… io non vorrei fisicamente incontrarlo quindi cerco di comunicare tramite telefono e quando ci vediamo ci
195 salutiamo, per i bambini… ma cerco di non incontrarlo (…) il problema è che quando è qua lui gestisce tutto come vuole, i bambini come vuole lui (…) arriva di sorpresa, gli ho detto, lui ha avvisato e scritto forse 3 volte quando arriva, sennò arriva di sorpresa, i bambini quasi si ingoiano la lingua, perché lui a lungo dice “vengo”, poi no, cambia, e loro sono talmente agitati che quasi svengono quando arriva” (Sveva).