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I ruoli dei professionisti nei casi di affidamento dei figli

6.1 Giudici, Magistrati e Avvocati/e

In Italia la giustizia è amministrata attraverso i magistrati, i quali sono autonomi, indipendenti e soggetti soltanto alla legge (artt. 101-104 Cost.). L’ordine autonomo dei magistrati fa capo al Consiglio Superiore della Magistratura (CSM, organo costituzionale) che ne disciplina lo status. La giustizia, in quanto gestita dagli esseri umani, non è esente da errori, motivo per cui, a maggior garanzia del cittadino/a, è amministrata su tre gradi di giudizio: due di merito (cioè con cognizione anche del fatto) e uno di legittimità, innanzi alla Corte di cassazione (unico organo previsto dalla Costituzione, art.111), la cui conoscenza è limitata alla corretta applicazione delle norme di legge (p.31, Grohmann, 2017).

La giustizia si suddivide principalmente in civile e penale. Nella giustizia civile un giudice terzo dirime le controversie che insorgono tra le parti private mentre la giustizia penale si occupa della pretesa punitiva dello Stato nei confronti di coloro che hanno violato una norma penale, cioè hanno commesso un reato, acquisendone le prove, identificando i colpevoli e applicando le relative pene (Grohmann, 2017).

Gli organi della giustizia civile e penale sono:

- il giudice di pace: giudice monocratico (cioè opera sempre in composizione singola; magistrato onorario), presente in tutti i Comuni più importanti, le cui funzioni sono sia civili sia penali e riguardano le cause di minor valore. Le sue decisioni possono essere impugnate innanzi al Tribunale nel cui circondario ha sede il giudice di pace;

127 - il Tribunale ordinario: organo giudiziario con competenza civile e penale più ampia. Opera prevalentemente in forma monocratica, mentre per le cause civili e penali di maggiore rilevanza e gravità, il Tribunale giudica in forma di collegio formato da tre giudici. Un’articolazione del Tribunale ordinario penale è costituita dalla sezione gip/gup;

• il giudice per le indagini preliminari (gip): svolge, sempre in forma monocratica, funzioni di garanzia e controllo sull’attività del pubblico ministero (PM) durante le indagini preliminari;

• il giudice dell’udienza preliminare (gup): svolge, sempre in forma monocratica, funzioni di verifica dell’attività investigativa del PM, valuta le prove raccolte, la loro correttezza e consistenza, la qualificazione giuridica dei fatti reati ascritti all’imputato e, se vi sono fondati elementi di responsabilità penale, ne dispone il rinvio al giudizio del Tribunale penale. Può anche definire innanzi a sé il procedimento o con formule di proscioglimento, se gli elementi raccolti non sono sufficienti, ovvero con formule di condanna (solo su richiesta dell’imputato che espressamente richieda procedimenti premiali quali il patteggiamento della pena o il giudizio abbreviato);

- la Corte d’assise: è un’articolazione del Tribunale ordinario penale, giudica solo in composizione collegiale ed è anche a partecipazione popolare (otto giudici, di cui due magistrati e sei cittadini). Essa giudica sui reati di massima gravità che sono puniti con le pene più gravi (ergastolo o reclusione superiore a ventiquattro anni). Le sue sentenze sono appellabili davanti alla Corte d’assise d’appello, che è un’articolazione della Corte d’appello penale;

- la Corte d’appello: è il giudice di appello delle sentenze del Tribunale, in materia civile e penale. Costituisce una sua articolazione la sezione per i minorenni, che ha competenza sulle impugnazioni, sia civili sia penali, delle sentenze del Tribunale per i minorenni. La competenza della Corte d’appello è distrettuale, cioè comprende più Tribunali e, di solito, coincide con il territorio di una regione;

128 - la Corte di cassazione: è unica e ha sede a Roma. È il massimo organo ed è al vertice del sistema giudiziario in quanto giudica sull’impugnazione delle decisioni emanate dai vari organi giudiziari. Giudica sempre in composizione collegiale (cinque magistrati). Svolge una fondamentale azione di nomofilachia, cioè attraverso le sue decisioni garantisce l’uniforme applicazione dei principi giuridici da parte di tutti i giudici. Tutte le sentenze sono impugnabili di fronte a essa, quando la parte sostenga che vi è stata violazione della legge;

- i Tribunali dei minorenni: sono istituiti presso ogni sede di Corte d’appello e hanno competenza distrettuale. Giudicano in composizione collegiale (quattro giudici, di cui due magistrati ordinari e due, necessariamente un uomo e una donna, non magistrati ma esperti in particolari discipline: psichiatria, psicologia, pedagogia, antropologia criminale, ecc.). Hanno competenza in materia civile su tutti i soggetti di età compresa tra 0 e 18 anni (in casi eccezionali fino a 21 anni) e, in materia penale, quando i reati vengono commessi da minori di età compresa tra i 14 e 18 anni, poiché al di sotto dei 14 anni i minori non sono imputabili, anche se i reati sono commessi in concorso con soggetti maggiorenni. Nei casi di concorso nel reato di soggetti maggiorenni e minorenni il procedimento viene gestito in stretta collaborazione tra le due Procure competenti.

Presso ogni organo giudicante (escluso il giudice di pace) è presente il corrispondente ufficio del PM (Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario, Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni, Procura generale presso la Corte d’appello e Procura generale presso la Corte di cassazione). Compito della Procura è quello di curare l’osservanza delle leggi, la pronta e regolare amministrazione della giustizia, promuovere la repressione dei reati (ha il potere esclusivo di promuovere l’azione penale) e l’applicazione delle misure di sicurezza; rappresenta gli interessi punitivi dello Stato e pertanto correttamente è indicata quale pubblica accusa. Nei gradi successivi la relativa Procura svolge il medesimo ruolo innanzi all’organo giudicante corrispondente. Ha anche competenze civili nei casi stabiliti dalla legge (artt. 69 e 70 c.p.c.) quali: inabilitazione, interdizione, separazioni, divorzi ecc. È l’unico ufficio giudiziario organizzato in forma gerarchica, e diretto dal

129 procuratore della Repubblica che può svolgere l’attività direttamente o per il tramite di sostituti procuratori, magistrati addetti all’ufficio. La responsabilità dell’ufficio è sempre del procuratore (p.31-33, Grohmann, 2017).

Emerge una struttura complessa del sistema giustizia in Italia, con luoghi e attori diversi, che possono entrare in scena in momenti diversi, con mandati differenti.

Per quanto attiene l’oggetto della mia tesi, va notato come, nei casi di affidamento dei figli in presenza di violenza del partner/padre, una famiglia possa essere coinvolta allo stesso tempo in diversi procedimenti, davanti a diversi giudici:

• per la separazione/divorzio in caso di coppia sposata → Tribunale ordinario civile, e se si pone una questione di responsabilità (ex-potestà) genitoriale → anche Tribunale per i minorenni;

• per la separazione in caso di coppia di fatto in conflitto sui figli → Tribunale per i minorenni; • per la denuncia/querela → Tribunale penale, e se si tratta di reati con vittime minorenni → anche Tribunale per i minorenni (p.34, Pirrone, 2017).

Questa frammentazione e differenziazione porta a un rischio di “frantumazione” dei diversi giudizi, che rende spesso vano ogni accesso alla giustizia. Questa esperienza è particolarmente vissuta dalle donne in situazione di violenza con figli che si devono districare tra diverse procedure alla ricerca delle necessarie – e spesso urgenti – risposte giudiziali che garantiscano sicurezza e interventi di protezione efficaci (p.223, Romito, Folla, Melato, 2017).

Va notato anche che, a complicare queste situazioni difficili, sono i tempi della giustizia, che si caratterizzano per lunghezza e non corrispondenza fra civile e penale, ossia, tipicamente, il civile

130 finisce quando il penale inizia. Inoltre, l’area civile e l’area penale, sembrano procedere su binari distinti, che non comunicano fra loro.

Un tentativo di dialogo fra questi due ambiti si ha grazie alla Convenzione di Istanbul: all’Articolo 31 viene stabilito che nei provvedimenti afferenti ai minori devono essere oggetto di necessaria valutazione le eventuali pregresse azioni violente ad opera del soggetto maltrattante sia nei casi di violenza diretta o assistita dai minori sia nel caso di violenza esclusiva sull’altro genitore (Roia, 2017).

Qualora la donna vittima di violenza dal partner e in separazione, sia assistita da un avvocato penalista e da un civilista, occorre che i due professionisti collaborino assiduamente al fine di costruire una visione articolata e coerente della vicenda25. Nel contatto con le vittime di violenza, è molto importante il ruolo dell'avvocato/a, che deve avere un approccio di ascolto e non di giudizio. L’avvocato che difende una donna vittima di violenza deve informarla dell’esistenza dei centri antiviolenza e dei servizi attivi sul territorio, sollecitando una narrazione completa al fine di individuare la rete relazionale personale della donna: si tratta di informazioni essenziali da utilizzare in Tribunale per la costruzione della difesa della donna ma anche di strumenti utili che possono essere forniti al giudice per pronunciarsi rispetto a situazioni quali l’affido dei figli minori, i tempi di visita parentale, l’assegno di mantenimento.

L’avvocato che assiste una donna vittima di violenza ha inoltre diversi doveri che sono rinvenibili comunque nel Codice Deontologico, in particolare: dovere di competenza (Artt. 14 e 15); doveri di informazione (Art.27) e dovere di corretta informazione (Art.35)26. L’avvocato, oltre a fornire ogni ulteriore notizia in relazione a tutte le fasi del procedimento e del processo, dovrà informare la donna della possibilità di accedere al patrocinio a spese dello Stato. A questo proposito infatti, la

25

https://www.manzinilex.com/single-post/2017/03/16/La-rete-dei-centri-antiviolenza-e-i-doveri-dellavvocato-difensore-di-donne-vittime-di-violenza

26https://www.consiglionazionaleforense.it/documents/20182/451926/Nuovo+Codice+Deontologico+Forense/dde0c

131 Convenzione di Istanbul ha stabilito all’Articolo 57 che: “Le Parti garantiscono che le vittime abbiano diritto all'assistenza legale e al gratuito patrocinio alle condizioni previste dal diritto interno”. In Italia, con il d.P.R. 93/2013, il legislatore ha stabilito il riconoscimento del gratuito patrocinio alle donne vittime di violenze, senza limiti di reddito. Pertanto, a prescindere dalle possibilità economiche, tutte le donne vittime di violenza hanno diritto di accesso al gratuito patrocinio. Nel dettaglio la norma stabilisce che i reati di maltrattamento ai danni di familiari o conviventi e di stalking sono inseriti tra i delitti per i quali la vittima è ammessa al gratuito patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito. Inoltre, con la sentenza 52822/2018, la Corte di Cassazione ha stabilito che le legge in oggetto si applica non solo alle nuove ammissioni al beneficio ma anche a chi ha iniziato il giudizio già prima che la normativa fosse vigente. Quindi va applicata anche ai procedimenti penali che non siano esauriti.

Circa i processi di violenza di genere, lo stesso “Relatore Speciale” (Special Rapporteur) sull’indipendenza dei giudici e degli avvocati presso l’Alto commissariato ONU ha dichiarato che in tutto il mondo questi sono inquinati dal pregiudizio nei confronti delle donne: “Le procedure e le regole probatorie nel sistema della giustizia penale sono spesso infiltrate da forti stereotipi di genere che possono portare magistrati e avvocati ad adottare un comportamento fondato su pregiudizi di genere e che può portare a una discriminazione contro le donne nel sistema della giustizia” (Cusack, 2014).

Questo problema può essere attenuato attraverso la celebrazione di un processo penale intelligente27 caratterizzato dalla presenza di soggetti – polizia giudiziaria, pubblico ministero, giudice, avvocato/a – opportunamente formati e specializzati, che sappiano adeguare i tempi del procedimento alle esigenze di tutela fisica e psicologica della vittima (Roia, 2017).

27 Per approfondimento su “il processo penale intelligente”, si rimanda a Roia, F. (2017). Crimini contro le donne.

132 Anche a questo proposito, la Convenzione di Istanbul, legge in Italia, si pronuncia all’Articolo 15 “Formazione delle figure professionali” come segue:

1. Le Parti forniscono o rafforzano un'adeguata formazione delle figure professionali che si occupano delle vittime o degli autori di tutti gli atti di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione in materia di prevenzione e individuazione di tale violenza, uguaglianza tra le donne e gli uomini, bisogni e diritti delle vittime, e su come prevenire la vittimizzazione secondaria. 2 Le Parti incoraggiano a inserire nella formazione di cui al paragrafo 1 dei corsi di formazione in materia di cooperazione coordinata interistituzionale, al fine di consentire una gestione globale e adeguata degli orientamenti da seguire nei casi di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione.

Ciononostante, la specializzazione delle figure professionali sembra essere ancora un miraggio e le donne, e ancor più le donne-madri, sono sottoposte a logiche contraddittorie, vittimizzanti e colpevolizzanti.

La ricerca “Crisis in Family Court: Lessons From Turned Around Cases” di Joyanna Silberg, Stephanie Dallam ed Elizabeth Samson (2013), negli Stati Uniti, è esplicativa. Partendo dal presupposto che determinare quale genitore dovrebbe avere l’affidamento dei figli quando essi non sono d'accordo è difficile, i tribunali di famiglia, per valutare le accuse di abuso nel contesto delle valutazioni di affidamento dei minori, spesso si appoggiano all'esperienza dei professionisti della salute mentale. Sebbene non vi sia alcuna base empirica per trattare meno seriamente le accuse di abuso che si verificano durante un contenzioso rispetto alle accuse di abuso che si verificano in un qualsiasi altro momento, i “professionisti” - tra cui giudici e CTU – spesso sono stati istruiti a diffidare delle accuse di abuso che avvengono durante la separazione e il processo di affidamento. Così, molti “professionisti” quando vengono chiamati a valutare ed esprimere pareri in merito alla genitorialità e direzione dell’affidamento dei figli, invece che indagare adeguatamente le denunce di abuso, colpevolizzano le madri che le hanno sporte. Così, le madri protettive vengono spesso trattate con

133 aperta ostilità, ritenute patologiche, inadeguate e sanzionate per aver denunciato l'abuso. Il risultato è che i professionisti spesso non riescono a comprovare gli abusi anche quando è molto probabile che si siano verificati e i bambini vengono così affidati dai giudici al loro padre violento. Tuttavia, nello studio sopracitato questa prima decisione del giudice viene in seguito rovesciata, dando come esito l’affido esclusivo alla madre nella maggioranza dei casi. Le ragioni principali sono state individuate in: esperti più competenti; prove più forti; rifiuto della Sindrome di Alienazione Parentale; bambino più grande, quindi maggior capacità narrativa; deteriorazione salute mentale del bambino (depressione, ansia, pensieri/tentativi di suicidio, problemi scolastici, comportamenti regressivi, autolesionismo, rabbia, incubi, disturbi del sonno e alimentari, resistenza alle visite padre-figlio); padre arrestato; padre violento in tribunale (Silberg, Dallam, Samson, 2013).