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I ruoli dei professionisti nei casi di affidamento dei figli

6.2 Consulenti Tecnici e Periti

L 'articolo 61 del Codice di Procedura Civile cita che “quando è necessario, il giudice può farsi assistere, per il compimento di singoli atti o per tutto il processo, da uno o più consulenti di particolare competenza scientifica”. Il giudice possiede quindi il potere discrezionale di ricorrere a consulenze tecniche: a lui/lei è demandata la facoltà di valutarne la necessità o l’opportunità, essendo la consulenza utilizzabile per la soluzione di questioni relative a fatti accertabili mediante ricorso a cognizioni specifiche (Consegnati, Macrì, Zoli, 2018).

In materia civile, l’esperto nominato dal giudice è detto “Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU)” e in ambito penale “perito”; quando l’esperto è nominato dalla parte è chiamato “Consulente Tecnico di Parte (CTP)” (Crisma, 2017). Tutte le comunicazioni tra i consulenti devono avvenire rispettando “il principio del contraddittorio” disciplinato dall’art 111 della Costituzione Italiana che dice che “Ogni

134 processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale”28.

Circa la nomina del Consulente29, l’art. 13 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile cita che “Presso ogni tribunale è istituito un albo dei consulenti tecnici. L'albo è diviso in categorie. Debbono essere sempre comprese nell'albo le categorie: 1) medico-chirurgica; 2) industriale; 3) commerciale; 4) agricola; 5) bancaria; 6) assicurativa”30.

La domanda di iscrizione dev’essere presentata all’ufficio CTU del tribunale presso cui lo specialista intende svolgere la sua attività; è possibile essere contemporaneamente iscritti in più albi (civile, penale), ma non in più città. La domanda viene valutata in camera di consiglio dal Presidente, dal Procuratore della Repubblica presso quel tribunale, dal cancelliere e dal Presidente dell’Ordine professionale.

Va notato che con “albo” non s’intende altro che una semplice lista: nulla ha a che fare con gli albi professionali, per cui è previsto un esame, si pagano quote d’iscrizione ed è obbligatoria una formazione specialistica e continua.

Il giudice sceglie il CTU dall’apposito albo, sebbene in casi particolari possa anche avvalersi di uno specialista non iscritto purché possieda delle competenze adeguate al caso in esame. La nomina di tale ausiliario non è sindacabile in sede di legittimità31 e quello che normalmente accade è che il giudice sceglie il consulente sulla base di un rapporto fiduciario, attingendo alle proprie conoscenze personali.

28 www.senato.it.

29 Santonocito M. (2019). Tesi di laurea “La consulenza tecnica nei casi di violenza post-separazione e coinvolgimento dei figli e delle figlie”

30 www.brocardi.it.

31 Cass civ., sez III, 12 marzo 2010, n. 6050 “nel filone di una giurisprudenza ormai consolidata. In questa materia, la

discrezionalità è tale che, anche per quanto riguarda la categoria professionale di appartenenza del consulente e la competenza del medesimo a svolgere le indagini richieste, la scelta resta riservata all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito. Ad esempio, si è stabilito che la decisione di affidare l'incarico ad un professionista (nella specie, geometra) iscritto ad un altro diverso da quello competente per la materia al quale si riferisce la consulenza (nella specie, ingegneri), ovvero non iscritto in alcun albo professionale, non è censurabile in sede di legittimità e non richiede specifica motivazione”, in www.dejure.it.

135 Il fatto che il giudice possa scegliere il consulente che preferisce, senza dover motivare la sua scelta, rappresenta un problema: può accadere così che venga scelto sempre lo stesso consulente perché “in linea” con il pensiero e modus operandi del giudice e non per competenza.

Per quanto riguarda l’attività del consulente, questa deve integrare l’attività del Giudice come organo decidente, offrendo sia elementi indiretti al giudizio utili per valutare le risultanze di determinate prove, la cui conoscenza può essere acquisita solo da chi possiede una determinata preparazione tecnica, sia elementi diretti di giudizio dei quali tuttavia è comunque responsabile sempre e soltanto il Giudice (Consegnati et al., 2018).

L’attività del consulente non può essere considerata un mezzo di prova in senso stretto, poiché ha il solo obiettivo di valutare in maniera tecnica degli elementi acquisiti fornendo una possibile soluzione a situazioni che necessitano di competenze specifiche, quindi si esclude che la consulenza possa essere sostitutiva dell’onere della prova, disciplinato dall’art 2697 del Codice Civile32, che incombe sulle parti. In linea di massima può rappresentare una fonte oggettiva di prova solo quando si risolve nell’accertamento di fatti rilevabili unicamente con l’ausilio di specifiche cognizioni e strumentazioni33.

In ambito civile, nei casi di separazioni e/o divorzi conflittuali la funzione della CTU è quella di fornire al Giudice notizie supplementari oltre a quelle già in suo possesso. In particolare, il consulente psicologo o psichiatra approfondisce tematiche legate alla qualità dei legami familiari tra il minore e gli adulti di riferimento, alle caratteristiche personologiche dei

32 “Chi vuol far valere un diritto in giudizio [99 c.p.c., 100 c.p.c.] deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento

[115 c.p.c.]. Chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda.”, in www.brocardi.it

136 genitori, alla loro capacità genitoriale, alle migliori condizioni di affidamento per garantire i diritti e la tutela del minore.

Per quanto riguarda invece l’attività del Consulente Tecnico di Parte o CTP, questo (Bencinvenga, Di Benedetto, Leone, 2014): ha diritto di assistere alle operazioni peritali con il fine di vigilare l’operato del CTU; può presentare istanze o osservazioni a supporto e/o critica di cui il CTU deve tenere conto; può stilare una relazione a conclusione del proprio operato; partecipa alle udienze del giudice ogni volta che vi interviene il CTU.

La perizia, a differenza della consulenza, “è considerato sì un mezzo di prova, ma neutro, ovvero non classificabile né “a carico” né “a discarico” dell’imputato, sottratto al potere dispositivo delle parti e rimesso essenzialmente al potere discrezionale del giudice”34.

Il giudice, così come per il Consulente Tecnico, può nominare un perito scegliendolo tra gli iscritti agli appositi albi35 presso il Tribunale. Emerge anche qui il problema della nomina del perito, che avviene sulla base dell’apprezzamento personale e discrezionale del giudice.

La formulazione del quesito peritale è fondamentale poiché viene identificato il campo d’indagine e vengono delineate le possibili operazioni peritali da compiere. Il perito deve pertanto svolgere le indagini utili per ottenere elementi probatori, selezionare solo i dati che sono rilevanti per il processo penale e infine fornire una valutazione chiara e motivata per ogni dato acquisito.

Fin dal momento del conferimento dell’incarico, dev’essere sempre assicurato il principio del contraddittorio, pilastro dell’ordinamento giuridico, che garantisce la posizione di parità di tutti i soggetti durante lo svolgimento di tutte le fasi processuali. Il codice prevede che il perito risponda immediatamente al quesito a lui sottoposto, ma nel momento in cui si trova di fronte a casi che

34 Cass. pen., sez III, 25 marzo 2014, n.13966, in www.dejure.it.

35 L’unico requisito per l’iscrizione all’albo dei periti è la “speciale competenza” nella materia come disciplina l’art. 69 disp. att. c.p.p.

137 riguardano minori vittime di abusi, violenze o maltrattamenti, diviene difficile rispettare questa precisazione; nella prassi infatti all’art 227 c.p.p è previsto un termine di 90 giorni e “quando risultano

necessari accertamenti di particolare complessità, il termine può essere prorogato dal giudice, su

richiesta motivata del perito, anche più volte per periodi non superiori a trenta giorni. In ogni caso,

il termine per la risposta ai quesiti, anche se prorogato, non può superare i sei mesi”36.

In conclusione, va ricordato che il giudice può liberamente prendere in considerazione o meno le valutazioni del perito, che appunto rimane “solo” un suo ausiliario.

Consulenti Tecnici, Periti e violenza del partner in Italia

Secondo l’analisi di alcune studiose sull’operato dei consulenti tecnici chiamati ad esprimere un parere specialistico nei casi di affidamento, la violenza del partner contro le donne tende a non essere vista o, peggio, occultata (Reale, 2016; Santonocito, 2019). Infatti, molto spesso i fatti pregressi, e quindi anche gli episodi di violenza, non vengono presi in considerazione dai consulenti che dichiarano di non voler subire condizionamenti pregiudizievoli derivati dalla conoscenza degli eventi passati. Tutto è allora affidato al bagaglio tecnico tradizionale della psicologia. Il colloquio con lo psicologo o psichiatra, non consapevole delle dinamiche dispari tra vittima e maltrattante, finirà per creare inevitabili collusioni del tecnico con il violento, abile manipolatore della realtà, spesso considerato anche come migliore genitore affidatario. Una donna abusata è invece spesso una madre ansiosa e preoccupata, timorosa degli attacchi del partner su di lei e sui figli: tutto ciò si trasforma in un profilo di personalità negativo ed in un presuntivo ma fallace comportamento genitoriale avverso al migliore sviluppo del bambino; il migliore sviluppo infatti poggia acriticamente le basi sulla condivisione delle responsabilità parentali fino a concepire in maniera distorta che: ‘un padre

138 ancorché violento è sempre meglio di un non padre’ (p.254-255, Reale, 2016; si veda anche paragrafi 4.1 e 5.5).

Così, “i tecnici dell’ascolto” spesso non valutano la presenza della violenza perché non conoscono i meccanismi relazionali né gli effetti psichici che questa innesca sulle vittime. Si affidano quindi a strumenti inefficaci e pericolosi (come l’interpretazione sulla base di portati intrapsichici e relazionali primari e non sulla base di reazioni situazionali ed attuali ad eventi stressanti) che valutano la donna senza saper/poter discernere la personalità di base (il ‘chi è’ prima della violenza) da quanto è invece prodotto della violenza (gli effetti comportamentali della reazione ad essa).

“Bisognerebbe poi — in relazione agli strumenti psicologici — essere consapevoli dell’inefficienza dei test tradizionali come quelli appunto che valutano il profilo di personalità, come il caso dell’MMPI (Minnesota Multiphasic Personality Inventory), senza considerare che — ad esempio — i vissuti di tipo persecutorio, di diffidenza o di depressione, inevitabili reazioni ai maltrattamenti subìti, possono aumentare nel tecnico i rischi di fraintendimento, conducendo ad una errata visione patologica della donna. Anche i test proiettivi che già di per sé non sono tarati per illuminare una relazione con il mondo reale ed oggettivo ma sono considerati espressioni del mondo interno fantasmatico, hanno limitate possibilità di condurre ad una valutazione corretta di quelle che sono le più frequenti reazioni al trauma della violenza. Sarebbe quindi consigliabile procedere sempre con una prima valutazione della presenza di violenza del partner (con uno screening ad hoc come indicato da tutti gli organismi scientifici internazionali) e, una volta individuata la situazione di violenza, procedere con la esplorazione di sindromi reattive, collegate a fattori stressanti e traumatogeni”. (p.255, Reale, 2016).

In presenza di un contesto a dir poco sconfortante, va però menzionato il lavoro, seppur minoritario, di consulenti formati/e sul tema della violenza contro le donne e i minori, e attivi/e in programmi di formazione specifici sull’argomento (si veda a titolo esemplificativo: Crisma, M. (2017). I bambini

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