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Violenza del partner e affidamento dei/delle figli: quadro normativo

3.2 Affidamento dei/delle figli: il dogma della bigenitorialità

3.2.1 Mediazione familiare

Ritengo importante dedicare uno spazio specifico alla Mediazione familiare, data la sua centralità nei percorsi di affidamento dei figli.

La storia della mediazione familiare in Italia

La mediazione familiare fa ingresso nel nostro ordinamento con la legge n. 285 del 1997 contenente «Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza» nel cui ambito è stato previsto all'articolo 3 e 4 che la «realizzazione di servizi di preparazione e di sostegno alla relazione genitori-figli, di contrasto della povertà e della violenza, nonché di misure alternative al ricovero dei minori in istituti educativo-assistenziali» possono essere perseguite, in particolare attraverso «servizi di mediazione familiare». Questa legge quindi riconosce i servizi di mediazione familiare e di consulenza per le famiglie e per i minori come servizi di sostegno e superamento delle difficoltà relazionali.

Nella raccomandazione R(98)1 del gennaio 1998 del Comitato dei ministri degli Stati membri, il Consiglio d'Europa raccomandava agli Stati membri di introdurre e promuovere la mediazione

64 familiare e di potenziare la pratica della mediazione familiare esistente, adottando o rafforzando le misure necessarie per la promozione e l'utilizzazione di uno strumento appropriato per la risoluzione delle dispute familiari.

A «centri di mediazione familiare» fa riferimento anche la Legge n. 154 del 2001 in materia di ordini di protezione contro gli abusi familiari, che ha inserito nel codice civile gli articoli 342-bis e 342-ter, ed ha introdotto gli articoli 736-bis del codice di procedura civile e 282-bis del codice di procedura penale, con lo scopo di fornire una tutela celere e adeguata ad interrompere il ciclo delle violenze intrafamiliari, lasciando aperta comunque la possibilità e la prospettiva di un recupero di positivo, laddove possibile, della relazione familiare vulnerata, prevedendo l'intervento di un centro di mediazione familiare. Va precisato tuttavia che, mentre l'ordine di protezione può essere imposto in via coercitiva, tramite l'ausilio della forza pubblica, la partecipazione al percorso di mediazione familiare non solo non può essere imposta in via coercitiva, ma è produttiva di effetti solo se fondata su volontarietà e libero consenso.

Dunque, nell'ambito degli ordini di protezione il ricorso alla mediazione familiare è previsto come eventuale, rimesso all'apprezzamento del giudice e con finalità riparativa e compositiva di uno status turbato.

Alla mediazione familiare rinvia anche la legge n. 54 del 2006 in materia di rapporti genitori-figli nell'ambito delle cause di separazione e divorzio, che ha introdotto il cosiddetto «affido condiviso» unitamente all'esercizio condiviso della responsabilità genitoriale.

Nulla è disposto in merito a chi siano tali esperti ed in ordine alle modalità con le quali si possa accedere alle prestazioni dei medesimi nel corso del procedimento giudiziario nell'ambito del processo di separazione e di divorzio.

In ultimo, la legge n. 162 del 2014, «misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile», e che introduce la così detta

65 «negoziazione assistita», pur facendo espresso richiamo alla mediazione familiare, non disciplina la materia, né illustra chi siano i professionisti mediatori familiari.

L’8 febbraio 2017 viene presentato alla Presidenza un Comunicato, ancora da approvare in Senato (poi dovrà essere approvato alla Camera e poi appena potrà diventare legge), proponente un disegno di legge che parte dalla volontà di regolamentare e definire la figura del mediatore familiare e la sua cornice operativa. In particolare, questo Disegno Di Legge n. 2686, «Istituzione della figura del mediatore familiare e disposizioni in materia di mediazione familiare» (8 febbraio 2017) si prefigge di:

- Istituire, regolamentare e definire la figura del mediatore familiare e la sua cornice operativa

- Abilitazione all’esercizio della professione di mediatore familiare

- Istituzione albo di mediazione familiare

- Obbligo di incontro informativo sulla mediazione familiare nei procedimenti finalizzati ad ottenere l'annullamento o nullità del matrimonio.

La mediazione familiare viene in questo contesto definita come un percorso responsabilizzante in grado di offrire concreti strumenti e risorse, professionali, organizzativi e strutturali, funzionali ad aiutare genitori e figli ad affrontare situazioni di conflittualità, attraverso la gestione del conflitto stesso e la riorganizzazione delle relazioni familiari.

All’interno di questo DDL, la Convenzione di Istanbul (che all’Art.48 vieta la mediazione in presenza di violenza del partner) non viene citata.

Mediazione familiare e Violenza del partner

La mediazione familiare è un intervento professionale rivolto alle coppie e finalizzato a riorganizzare le relazioni familiari in presenza di una volontà di separazione e/o di divorzio e viene utilizzata soprattutto in presenza di figli (Council of Europe, Regulation (EC) No 2201/2003). Quindi, quando

66 i genitori non riescono a risolvere autonomamente le controversie legate all’affidamento, il Tribunale potrebbe richiedere la mediazione familiare per aiutare i genitori a risolvere i conflitti e a raggiungere accordi di cooperazione volti a garantire i diritti ed il benessere dei figli. Alla mediazione le parti possono accedere in modo volontario (mediazione indipendente), ma può anche essere imposta dal giudice in una procedura civile o penale, con o senza l’accordo delle parti (mediazione intragiudiziaria) (Casas Vila, 2017). Quest’ultima modalità pone seri problemi rispetto al principio della volontà delle parti di partecipare o meno a una mediazione. Infatti, l’utilizzo della mediazione familiare è possibile nelle situazioni in cui sia rispettato il principio di uguaglianza tra le parti. Il rispetto di tale principio implica che la mediazione familiare non possa essere utilizzata nelle situazioni di violenza del partner. Obbligare le vittime a stare in presenza del loro abusante e discutere con lui può essere non sicuro ed i pattern di potere e controllo messi in atto dal perpetratore potrebbero continuare durante gli incontri di mediazione, portando le donne vittime di violenza ad essere meno capaci di prendere decisioni volte alla protezione ed alla sicurezza loro e dei figli, di negoziare accordi sicuri sull’affidamento ed economici (Johnson, Saccuzzo, Koen, 2005; Rivera, Zeoli, Sullivan, 2012). Inoltre, nei casi di violenza del partner, la mediazione familiare può penalizzare le donne in quanto:

- il processo di mediazione esige l’interruzione dei contenziosi a livello giudiziario, cosa che potrebbe impedire alla vittima di sporgere denuncia;

- la mediazione si concentra più sul presente e sul futuro che su quanto è avvenuto in passato, una lettura della realtà molto più vantaggiosa per chi ha compiuto le violenze che per chi le ha subite;

- il modello di responsabilità condivisa che sottende la mediazione rischia di colpevolizzare le donne: «sembra che la mediazione sia proposta o imposta proprio quando ci sono stati gravi conflitti accompagnati da violenze, dato che negli altri casi di solito i genitori si accordano tra di loro sulla gestione dei figli» (Romito, 2005).

67 “la legislazione vieti esplicitamente ogni mediazione nei casi di violenza contro le donne, prima o

durante la procedura giudiziaria”.

Inoltre, la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul, 2011, ratificata dall’Italia con la legge del 27 giugno 2013, n. 77, ed entrata in vigore nell’agosto 2014), nell’Articolo 48, ha dichiarato che: «Le parti devono adottare le necessarie misure legislative o di altro tipo per vietare il ricorso

obbligatorio a procedimenti di soluzione alternativa delle controversie, incluse la mediazione e la

conciliazione, in relazione a tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della

presente Convenzione».

Ciononostante, in Italia, la mediazione familiare, derivante dal Modello Sistemico, è resa, in pratica, obbligatoria nei casi di affidamento condiviso, come passo preliminare da svolgere nel processo di separazione presso il Consultorio Familiare. Gli esiti della mediazione vengono considerati preparatori alla “miglior” soluzione legale in relazione ai figli. L’obiettivo della mediazione familiare è concentrare i due ex-coniugi sul loro ruolo genitoriale, separandolo da quello di coppia. Questo è pericolosissimo in contesti di violenza del partner.

A questo proposito ricerche internazionali hanno evidenziato che nel contesto della mediazione familiare, il numero di casi in cui vi è o vi è stata violenza domestica si aggira tra il 40 e l’80% ( Saunders, Faller, Tolman, 2015) e che non ci sono differenze negli esiti dell’affidamento tra casi in cui c’è o no violenza domestica (Pranzo, 2013). I padri accusati di aver agito violenza domestica hanno la stessa probabilità dei padri non violenti di ottenere la custodia dei figli (Kernic, Monary-Ernsdorff, Koepsell, Holt, 2005) mentre in ambito giuridico, le madri che sollevano la questione della violenza subita ricevono meno decisioni favorevoli sull’affidamento dei figli e hanno meno probabilità di ottenere l’affido esclusivo (Silberg et al., 2013).

68 La mediazione, l’affido condiviso e la bigenitorialità “collaborativa” dopo il divorzio risultano essere irrealistici e non sicuri in presenza di una storia di violenza del partner (Hardesty, Hans, Haselschwerdt, Khaw, Crossman, 2015).

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CAPITOLO 4