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Violenza contro le donne e i minori: leggi di riferimento per il contrasto e strumenti legali di protezione7

Violenza del partner e affidamento dei/delle figli: quadro normativo

3.1 Violenza contro le donne e i minori: leggi di riferimento per il contrasto e strumenti legali di protezione7

Leggi di riferimento

La violenza di genere contro le donne tende a manifestarsi attraverso delitti che si identificano nelle fattispecie tipiche di maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.), violenza sessuale (art. 609 bis s.s. c.p.) e atti persecutori (c.d. stalking, art. 612 bis c.p.) (Roia, 2017).

Il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi è previsto dall’art. 572 del codice penale, norma che punisce chi “maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona

sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte”. Il reato di Maltrattamenti contro familiari

e conviventi (art. 572 c.p.) offre la possibilità di perseguire i comportamenti di violenza psicologica, oltre che di violenza fisica, reiterati nel tempo, sia su persone adulte sia su minori. Questo reato coglie molto bene le diverse forme di maltrattamento domestico. (Romito, Folla e Melato, 2017).

La giurisprudenza precisa che “integrano il reato di maltrattamenti in danno nei figli minori condotte di reiterata violenza fisica o psicologica nei confronti dell’altro genitore, quando i discendenti siano resi sistematici spettatori obbligati di tali comportamenti, in quanto tale atteggiamento integra anche

52 una omissione connotata da deliberata e inconsapevole indifferenza e trascuratezza verso gli elementari bisogni affettivi ed essenziali della prole” (p.61, Roia, 2017).

Nel 2013 il legislatore, sulla scia dell’art. 46 della Convenzione di Istanbul, prevede all’art. 61 n.11

quinquies c.p. circostanza aggravante la condotta di chi “commette un reato contro la vita, l’incolumità individuale e la libertà personale in presenza o in danno di un minore di anni 18 o di

una persona in stato di gravidanza”.

Il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi è procedibile d’ufficio.

Il delitto di violenza sessuale è disciplinato dall’art. 609 bis del codice penale: “chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da 5 a 10 anni. Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali”. La procedibilità è a querela irrevocabile di parte e il termine per la proposizione della istanza punitiva è di sei mesi dalla consumazione del reato. L’art. 609 septies c.p. prevede numerosi casi in cui il delitto diventa procedibile d’ufficio (Roia, 2017).

Il delitto di atti persecutori (stalking) previsto dall’art. 612 bis del codice penale, convertito nella legge 23 aprile 2009 n.38 recante “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica in contrasto della violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori”, stabilisce che “salvo che il fatto costituisca più

grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate,

minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura

ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di

persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le

proprie abitudini di vita. La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o

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fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici. La pena è aumentata fino alla metà

se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona

con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona

travisata. Il delitto è punito a querela della persona offesa (…)”.

Di fondamentale importanza nello sviluppo degli interventi internazionali in tema di contrasto alla violenza di genere, risulta essere la “Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica”, nota come Convenzione di Istanbul, ratificata con legge 27 gennaio 2013 n.77. Fin dal Preambolo, la Convenzione sottolinea l’importanza di considerare il genere quale categoria fondamentale nell’analizzare la questione della violenza. Con il termine “genere” ci si riferisce «a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini»; l’espressione “violenza contro le donne basata sul genere” viene quindi a designare «qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato». La Convenzione di Istanbul si pone degli obiettivi ambiziosi, che sono chiaramente

dichiarati all’Art. 1:

Articolo 1 – Obiettivi della Convenzione 1 La presente Convenzione ha l’obiettivo di:

a) proteggere le donne da ogni forma di violenza e prevenire, perseguire ed eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica;

b) contribuire ad eliminare ogni forma di discriminazione contro le donne e promuovere la concreta parità tra i sessi, rafforzando l’autonomia e l’autodeterminazione delle donne;

c) predisporre un quadro globale, politiche e misure di protezione e di assistenza a favore di tutte le vittime di violenza contro le donne e di violenza domestica;

54 d) promuovere la cooperazione internazionale al fine di eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica;

e) sostenere e assistere le organizzazioni e autorità incaricate dell’applicazione della legge in modo che possano collaborare efficacemente, al fine di adottare un approccio integrato per l’eliminazione della violenza contro le donne e la violenza domestica.

Questi obiettivi sono stati sintetizzati nelle cosiddette “4 P”, che distinguono le quattro aree di intervento:

1. Prevenzione: eliminare i pregiudizi sulla violenza, sensibilizzare, educare, formare le figure professionali;

2. Protezione e sostegno delle vittime: informare le donne, offrire strutture e servizi, proteggere i/le bambini testimoni di violenza;

3. Perseguimento dei colpevoli: adottare misure legislative contro tutte le forme di violenza;

4. Politiche integrate: cooperazione tra governi, Centri antiviolenza, ONG e autorità a tutti i livelli.

Strumenti legali di protezione

La protezione fisica delle donne vittime di violenza può essere riassunta nell’applicazione di diversi strumenti, i cui principali sono: gli ordini di protezione in sede civile, l’allontanamento dalla casa familiare (art. 282 bis c.p.p.) e il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282 ter c.p.p.) in ambito penale.

La legge 4 aprile 2001 n.154 ha introdotto nel codice civile, con l’art.2, il titolo IX bis dedicato agli

55 protezione contro gli abusi familiari) e 342 ter c.c. (Contenuto degli ordini di protezione), intervenendo anche, con l’art.3, sul piano processuale inserendo nel codice di procedura civile il capo V bis (“Degli ordini di protezione contro gli abusi familiari”) contrassegnato dall’art. 736 bis c.p.c. relativo ai “Provvedimenti di adozione degli ordini di protezione contro gli abusi familiari” (p.134, Roia, 2017).

Gli ordini di protezione, quali strumenti di tutela sul piano civile, si dividono in due categorie (Roia, 2017):

1) l’ordine di cessazione della condotta pregiudizievole;

2) l’ordine di allontanamento dalla casa familiare qualificato dal divieto di avvicinarsi ai luoghi di lavoro della vittima e dei congiunti o di altre persone o in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli nonché dall’ordine di pagamento periodico di un assegno prescrivendo il versamento diretto da parte del datore di lavoro.

La durata massima dell’ordine di protezione è 1 anno.

Malgrado la ritenuta idoneità di questo strumento a fronteggiare i casi di violenza domestica non connotati da particolare gravità si deve registrare nell’esperienza giudiziaria, uno scarso ricorso da parte degli avvocati all’attivazione delle relative richieste e una difficoltà dei giudici civili ad adottare i provvedimenti cautelari (p. 136, Roia, 2017).

L’Allontanamento dalla casa familiare (art. 282 bis c.p.p) consiste nell’obbligo per l’imputato di abusi domestici di «lasciare immediatamente la casa familiare» o di non farvi più rientro e di non accedervi senza l’autorizzazione del giudice. Quest’ultimo, poi, se vi sono dei seri rischi per l’incolumità della vittima o dei congiunti, può ordinare all’imputato di «non avvicinarsi» ai luoghi (come il luogo di lavoro o il domicilio della famiglia d’origine) abitualmente frequentati dalla persona

56 offesa o dai suoi prossimi congiunti, salvo che la frequentazione sia necessaria per motivi professionali (Romito, Folla, Melato, 2017).

Degna di nota è anche la misura “pre-cautelare” dell’Allontanamento d’urgenza dalla casa familiare (art. 384 bis c.p.p.), nata dalla legge 119/2013. La previsione consente agli ufficiali e agli agenti di polizia giudiziaria di disporre, previa autorizzazione del pubblico ministero, l’allontanamento urgente dalla casa familiare, con divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, nei confronti di coloro che si sono resi responsabili dei delitti elencati all’art. 282 bis, comma 6o, c.p.p.3 (delitti in materia di violazione degli obblighi di assistenza familiare, di abuso dei mezzi di correzione, di riduzione in schiavitù, di tratta, di pedopornografia, di violenza sessuale) (Romito, Folla, Melato, 2017).