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Gli strumenti per la costruzione del problema di ricerca: concetti e modelli teorici

2.3 L’occultamento della violenza

Quando si affrontano le questioni relative alla violenza si innescano spesso delle dinamiche contraddittorie: attribuzione di responsabilità e biasimo della vittima, tutela dell’aggressore, occultamento del fenomeno a livello sociale e individuale. Le persone possono ricorrere a numerosi meccanismi per occultare la violenza, minimizzando e giustificando un comportamento moralmente scorretto o illegale (Bandura, 1996; Romito, 2005). Diversi psicologi e sociologi hanno formulato diversi modelli teorici tentando di spiegare questi meccanismi di negazione e occultamento. Ai fini di questo lavoro di ricerca, andrò a presentare due:

1) il modello del disimpegno morale di Bandura (1996; 1999), primo studioso che ha analizzato sistematicamente i meccanismi psicosociali attraverso cui le persone giustificano i propri comportamenti immorali, colpevolizzando le vittime per gli atti subiti;

2) il modello delle strategie e tattiche di negazione della violenza di Romito (2005; 2018), che ha analizzato, denunciandoli, i meccanismi che la società mette in atto per non vedere, o meglio, occultare attivamente le violenze maschili su donne e minori.

2.3.1 I meccanismi di disimpegno morale: il modello di A. Bandura (1996, 1999)

Bandura (1996) ha teorizzato un modello sui meccanismi di disimpegno morale, grazie ai quali le persone, poste di fronte ad ingiustizie subite, agite o assistite, possono non riconoscerle come tali, modificando il significato dell’evento e quindi del loro stesso comportamento. Secondo Bandura, “Il disimpegno può focalizzarsi (a) sulla ricostruzione della condotta, così da non vederla come immorale; (b) sull’azione, cosicché gli autori possano minimizzare il loro ruolo nel provocare

46 sofferenza; (c) sulle conseguenze che derivano dalle azioni; (d) su come si guarda alle vittime di maltrattamento, svalutandole come esseri umani, disumanizzandole e biasimandole per quello che è stato fatto loro” (Bandura et al., 1996). Bandura (1996; 1999) enumera così le seguenti strategie cognitive di disimpegno morale:

- la giustificazione morale (“la guerra è un male necessario per garantire la democrazia”);

- l’etichettamento eufemistico (i giornali parlano di “conflitti coniugali” invece che di “mariti violenti nei confronti delle mogli”);

- i confronti vantaggiosi (alcuni padri incestuosi sostengono che per le figlie è più vantaggioso essere iniziate alla sessualità da loro);

- il dislocamento e la diffusione della responsabilità, favoriti dalle scelte burocratiche (chi è maggiormente responsabile – magistratura, servizi sociali, parenti- dell’uccisione di un bambino da parte del padre violento?);

- la noncuranza o distorsione delle conseguenze (la pornografia presenta le donne violentate che godono nella tortura);

- la disumanizzazione (le donne sono definite con le loro parti anatomiche o come animali);

- l’attribuzione di colpa (la vittima se l’è voluta).

2.3.2 Strategie e tattiche di negazione: il modello di P. Romito (2005, 2018)

Romito (2005) ha sviluppato un modello che descrive le “strategie e tattiche” di occultamento della violenza maschile: meccanismi attraverso i quali la società minimizza, nasconde e nega questa violenza. Le strategie sono “manovre articolate e complesse, metodi generali per occultare le violenze maschili e permettere il mantenimento dello status quo, dei privilegi e della dominazione maschile” (p.56, Romito, 2005). Esse sono:

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- La legittimazione: la violenza è visibile a chiunque ma, essendo considerata legittima, non viene riconosciuta come tale (si pensi, ad esempio, in ambito familiare, allo stupro commesso dal marito ai danni della moglie, che ancora oggi non è penalmente perseguibile in alcuni paesi occidentali).

- La negazione: si attua occultando la violenza e le sue conseguenze o attribuendo alla violenza un altro significato.

Legittimazione e negazione “possono anche coesistere e spesso si situano su un continuum: quando la legittimazione non è più possibile si attiva la negazione” (p. 109, Romito, 2005).

Le tattiche, invece, sono “strumenti che possono essere utilizzati in modo trasversale e in varie strategie” (p.56, Romito, 2005). Esse sono:

- Eufemizzazione: consiste nell’etichettare un fenomeno in modo impreciso e fuorviante, offuscando la gravità e la responsabilità di chi l’ha compiuto. Un esempio si ha quando si parla di conflitto invece che di violenza.

- Disumanizzazione: privare le vittime di umanità è un elemento essenziale per poter compiere atti crudeli senza rimorso e restare indifferenti alla sua sofferenza5.

- Colpevolizzazione: consiste nell’attribuire alla vittima (o a sua madre, nel caso di abusi sui minori) la responsabilità della sua condizione (ad esempio: povertà, malattia, stupro, violenza). Non meraviglia quindi che le donne stesse talvolta si attribuiscano la responsabilità delle violenze subite.

- Psicologizzazione: consiste nell’interpretare un problema in termini individualistici e psicologici piuttosto che politici, economici e sociali; agisce attribuendo la responsabilità di un accaduto alle caratteristiche personali della vittima o dell’aggressore. Un esempio si ha

5 Questo tema è stato sviluppato ampiamente da Chiara Volpato (2011). Deumanizzazione. Come si legittima la

48 quando si trattano gli uomini violenti come psicologicamente malati per i quali è necessaria una terapia e non una punizione.

- Naturalizzazione: consiste nell’attribuire la responsabilità della violenza a differenze naturali. Un esempio è interpretare una violenza sessuale come agita da un uomo in preda a impulsi incontrollabili.

- Separazione: consiste nel vedere le diverse forme di violenza come distinte fra loro, non vedendone invece la continuità. Un esempio è vedere la violenza contro le donne come diversa e distinta da quella contro i minori: così, un marito violento può esser comunque visto come un buon padre.

Ognuna di queste tattiche è utilizzata quotidianamente da individui e istituzioni, consapevolmente o non, per occultare la violenza maschile.

2.4 The Three Planets Model (Radford e Hester, 2006)6

La “teoria dei tre pianeti” (Radford and Hester, 2006; (Hester, 2011) parte dall’analisi delle difficoltà riscontrate dai professionisti e dalle esperienze di donne e bambini relative alla loro protezione e messa in sicurezza in situazioni di violenza domestica. Questa teoria cerca di spiegare alcuni dei problemi che potrebbero minare l’efficacia della gestione di queste situazioni, esplorando in particolare alcune contraddizioni evidenti nella prassi degli operatori dei servizi, attraverso 3 sistemi: il sistema dei servizi che si occupano di violenza domestica, quelli che si occupano di protezione dei bambini e quelli che si occupano dei contatti genitore-figli. Queste tre aree di lavoro non agiscono con un approccio coeso e coordinato, perché rappresentano dei pianeti diversi, con storia, cultura, obiettivi e professionisti diversi.

49 Il Pianeta A ('Domestic violence planet’) è abitato dai Servizi che si occupano di violenza domestica. Utilizzano un approccio “di genere”, che li porta a parlare di uomini violenti e di violenza assistita. Il focus è sulla protezione della donna. La conseguenza logica di questi casi vede ad esempio l’arresto dell’uomo violento e l’applicazione di misure quali l’ordine di protezione.

Nel Pianeta B ('Child protection planet’) troviamo locati i Servizi di protezione dei bambini, caratterizzati da neutralità di genere. Qui si parla di violenza e conflitti familiare come problemi non distinti e si ritiene responsabilità della madre proteggere i figli; quindi, ad esempio se la donna non decide di lasciare l’uomo violento, è giusto che i bambini vengano affidati ai servizi sociali.

Diversamente dal 'Domestic violence planet’ e dal 'Child protection planet’, il 'Child contact planet’ si basa sul principio della bigenitorialità necessaria, sempre. Concetto cardine di questo ‘pianeta’ è che, se i genitori hanno difficoltà a trovare un accordo circa la gestione e affidamento dei figli nel post separazione, un approccio di tipo conciliativo e di mediazione sia vantaggioso e benefico. Inoltre, mentre il 'domestic violence planet’ e il 'child protection planet’ sono focalizzati sul passato, il 'child contact planet’ è focalizzato sul futuro. Avere un approccio focalizzato sul futuro significa ritenere che la violenza domestica, che fa parte della storia relazionale dei genitori, in quanto situata nel passato, sia irrilevante per le decisioni sull’affidamento dei figli, in quanto collocate nel futuro. Così, il Pianeta C ('Child contact planet’) contiene i Servizi responsabili di garantire i rapporti padri-figli dopo la separazione. I cardini di questo pianeta sono l’affido condiviso e la bigenitorialità. Qui si ritiene quindi che è fondamentale continuare ad essere genitori anche dopo la separazione/divorzio e in particolare si richiama la teoria psicoanalitica del “padre sufficientemente buono”, secondo la quale è fondamentale per il benessere dei figli la presenza del padre, anche se violento. Non c’è contraddizione tra essere un marito violento e un padre “sufficientemente buono”. È responsabilità della madre promuovere il rapporto padri-figli anche se l’uomo è violento, altrimenti la madre risulta vendicativa e rancorosa, alienante e pericolosa. In questo contesto emergono pseudo-teorie quali la Sindrome di alienazione parentale (SAP) e l’Alienazione Parentale (AP).

50 Questi pianeti non comunicano tra loro e di conseguenza le donne sono sottoposte a esigenze contraddittorie e pagano, con i bambini, un prezzo (troppo) elevato.

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CAPITOLO 3