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VERO/FALSO

Nel documento Il reliquiario di San Simeone in Zara (pagine 69-75)

L’assillo relativo all’autenticità pervade di fatto tutto il fenomeno del culto delle reliquie, a partire da un’ epoca prossima alle origini del culto stesso: si pronunceranno a proposito papi, imperatori, re, padri della chiesa, scrittori, religiosi e, vogliamo credere, fin i semplici fedeli: alcuni di loro, semplici fedeli, religiosi, padri della chiesa, re, imperatori e papi a loro volta divennero santi ad eccezione degli scrittori.

False reliquie, creazioni fantastiche, mirabilia. Sembra di poter attribuire un ruolo, una sofisticata e pressoché inafferrabile valenza, a quella famiglia di reliquie che si presentano palesemente come creazioni offerte all’uso degli ingenui o all’ironia degli “scettici”: le tavole della legge che Dio dette a Mosè, il prepuzio di Gesù Bambino, l’asta numerata sulla quale fu segnata l’altezza di Gesù ragazzo, la coda dell’asino con cui fece il suo ingresso Gesù in Gerusalemme, uno dei pani moltiplicati da Cristo, i denari con cui fu pagato il tradimento di Giuda, la sega con cui fu tagliato il legno della vera croce... La questione merita un’attenzione particolare, senza per questo negare l’opinione corrente riguardo questi “falsi”, ovvero, che siano dei falsi.

La categoria di falso “in sé” non esaurisce infatti il portato di queste realtà. Il falso ha un valore storico che conviene esplorare.

L’ipotesi relativa a questa deriva dell’oggetto “sacro” in un senso più prossimo al fantastico che al religioso, aspetto destinato a impreziosire camere di meraviglie reali e immaginarie, è quella per cui l’angoscia del rischio di venerare una falsa reliquia viene in qualche modo esorcizzata con vere invenzioni: “veri falsi”. Questo accadde a partire dal tempo in cui l’inquietudine intorno all’autenticità (allontanandosi l’epoca aurea dei santi

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martiri che furono i più cospicui dispensatori di reliquie) si rivelò inevitabilmente connaturata alla pratica stessa di venerazione: pratica riferita a uomini, seppur santi, vissuti in epoca remota, di cui fu sempre più arduo seguire le vestigia, scoprire le tombe. Da un certo momento in poi, non si trattò più di venerare le sacre reliquie, ma venerare sacre reliquie, purché autentiche.

Non poté più esserci vera reliquia senza il suo lato oscuro, l’incombenza del falso. Adorare le spoglie di un uomo qualunque, venerare un oggetto come un altro, solo perché posti in un luogo sbagliato (nel nobile reliquiario dentro la santa chiesa): è un pensiero che provoca inevitabile inquietudine.

Questo genere di falsi, di cui sopra abbiamo fatto una breve rassegna, dà forma a un dubbio reale. Abbondano i falsari, non si è più totalmente sicuri di ciò che è vera reliquia, o solo in certi casi, ma ci sono degli oggetti a loro modo rassicuranti che “dicono” a chiare lettere che sono dei falsi, e questa, è la loro verità, suggerita dietro mentite spoglie.

Il dibattito sull’autenticità50, come abbiamo visto, è antico e riguarda dapprima le reliquie corporali, le prime ad entrare nella nobile scena del culto. In caso di dubbia natura, celeste o terrena, la reliquia stessa veniva sottoposta a esami come la prova del fuoco51, abolita nell’IX secolo da Ludovico il Pio52: si gettava la presunta reliquia sui carboni ardenti (questa sorte toccò anche a una spina della corona attribuita a Cristo crocifisso); se si consumava, significava che non era autentica, se non si consumava, non si trattava di un falso53. Un’ordalia cui le leggi del sacro dovevano rispondere con il loro linguaggio miracoloso.

50 Cfr. ivi, pp. 227-239 (“Il problema dell’autenticità”, paragrafo 9). 51 Ivi, p. 232.

52 Ivi, p. 233. 53 Ibidem.

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In tempi avanzati rispetto all’origine del culto delle reliquie, e in special modo a partire dall’età carolingia, quando la chiesa romana adottò, definitivamente, il costume orientale di frammentare i corpi e moltiplicare i resti, i traffici di reliquie false si muoveranno parallelamente a quelli di reliquie degne di culto; il procacciatore di reliquie non era sempre un religioso animato da pie intenzioni. Chiese, abbazie, santuari e monasteri si affidavano all’operato di professionisti del settore, il più famoso dei quali fu certo Deusdona che fece fortuna nel IX secolo tramandando il suo nome alla posterità anche per essere un trafficante di false reliquie; le reliquie cambiavano identità, venivano rubate (sancta rapina o laudabile furtum), scambiate, comprate, vendute e ancora moltiplicate; venivano immesse sul “mercato”. Le traslationes erano dei documenti muniti dei consueti sigilli che indicavano la provenienza dei sacri resti, che ne certificavano l’autenticità, ma, come è facile intuire, potevano essere a loro volta falsificate54.

Alcune reliquie sono talmente fantasiose da promuovere l’incredulità e il riso. Questo interesse per la categoria dei “veri falsi” si fa forte dell’ironia (e simpatia manifesta per i protagonisti) con cui Boccaccio55 e Chaucer56 dipingono i loro personaggi portatori di assurde reliquie. Il nostro sguardo su un certo insieme di oggetti presentati come sacri non è viziato dai pregiudizi della modernità, dallo “scetticismo”, che in diversa forma si presume sia sempre esistito; Chaucer e Boccaccio son ben lontani da scrivere per denunciare un abuso, un sacrilegio, o l’avidità di certi religiosi; parlano invece di una percezione ormai comune riguardo al fenomeno, che non stupiva già all’epoca più di

54 Per un approfondimento del tema si veda J. Geary, Furta sacra, Vita e Pensiero, Milano 2000.

55 G. Boccaccio, Decameron, VI giornata, novella X: Frate Cipolla promette a certi contadini di mostrare

loro la penna dello agnolo Gabriello; in luogo della quale trovando carboni ardenti, quegli dice di essere di quegli che arrostirono S.Lorenzo.

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quanto non stupisca oggi; bisogna lasciare un certo grado di autonomia di giudizio ai contemporanei di Fra Cipolla e dell’Indulgenziere di Roncisvalle, a chi li precedette e a chi seguì.

La reliquia convive col dubbio: solo alcune sono certe, solo altre certamente false. Forse che le fantastiche reliquie che abbiamo chiamato in causa poc’anzi, o ancora quelle della “piuma dell’arcangelo Gabriele” o dei “carboni sui quali bruciò il corpo di San Lorenzo” o del “dito dello spirito santo” o di “un’ampolla del sudore di San Michele quando combatté col diavolo”, o del “ brandello della vela di San Pietro quando ancora andava per mare”, non ricoprirono un ruolo determinante nell’attribuzione di verità a altre reliquie davvero sante?

L’invenzione del falso ebbe un ruolo nella definizione del vero, e ne costituì in un certo modo un completamento.

Dato per certo, in una prospettiva cristiana, che esistono sacre reliquie autentiche e miracolose, individuato il locus della reliquia inverosimile all’altra estremità di un sistema di valori che deve necessariamente (storicamente) includere il vero e il falso, emergono nuove considerazioni proprio da quello spazio intermedio contrassegnato da un margine di maggiore o minore plausibilità del reperto. Le reliquie né vere né false, né certamente vere né platealmente false, non rappresentano l’eccezionalità di un caso ma la norma comune: l’ipotesi che le riguarda è che esse attingano valore anche dall’ombra di discredito che investe quelle che abbiamo definito reliquie inverosimili, reliquie asservite ad un ruolo di compensazione.

Nicole Hermann-Mansard, un’esperta degli aspetti legali nella storia delle reliquie, basandosi su antichi inventari di chiese di tutto il mondo, rilevò che se tutte le reliquie

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superstiti fossero autentiche, santa Maria Maddalena avrebbe dovuto avere sei corpi e San Gregorio Magno due corpi interi e quattro teste57.

Teoricamente bisogna pensare che i corpi in eccedenza (a parte le contraffazioni, non sempre frutto di pii inganni od oneste falsificazioni) siano reliquie di contatto alla stregua dei pezzi di stoffa che messi a contatto delle tombe dei martiri si caricavano della

virtus del santo ivi sepolto; allo stesso modo accadeva che le reliquie di un santo

infondessero, per semplice contatto, quella speciale forza ad altre, fino a quel momento comuni, spoglie. (Queste però non potevano assurgere al ruolo della reliquia originale, ovvero non potevano essere a loro volta dispensatrici del sacro, non potevano cioè moltiplicarsi). Tale è la giustificazione teologica al problema sollevato dalla studiosa francese.

Quella che si presenta oggi come una opposizione bipolare vero/falso sembra essere dunque un complesso sistema dinamico di pesi e contrappesi che definisce un organismo, le reliquie tout court, percorso da vasi comunicanti, un insieme di categorie e sottocategorie del sacro, da considerare nella sua globalità se ne vogliamo subire il reale fascino. È da questa prospettiva che emerge il ruolo determinante della reliquia inverosimile: situata all’interno di un immaginario, di un ormai consolidato quadro di valori, con la iperbolicità che la caratterizza, alza, per così dire, la posta del livello di credenza/credulità richiesto al fedele; questi, esposto alla fantastica teatralità dell’impossibile reliquia, forse gratificato dal suo “senso critico”, ripara affidandosi ad altre certezze, cioè ad altre reliquie, se non totalmente vere, non totalmente false.

I ventinove chiodi della croce di Cristo attualmente presenti in chiese di tutta

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Europa, di cui alcuni presumibilmente si riprodussero a seguito del contatto con quelli realmente usati per la crocefissione del Salvatore, inducono non a respingere in toto il fenomeno delle reliquie, o di quelle attinenti alla vita di Cristo, o di quelle relative alla sua passione, ma a domandarsi quali siano i chiodi autentici, o meglio, più autentici, se siano tre ovvero quattro.

I falsi sono altri.

Questa propensione a mediare con l’assoluto (mercanteggiare, le reliquie ora sono fonte di prestigio e ricchezza)58 dà vita a un universo complesso in cui il sacro risulta essere una sostanza mobile, fluttuante che teoricamente può informare di sé ogni cosa, riprodursi ad infinitum.

La reliquia autentica, autentica ma di contatto, non autentica, non autentica ma più autentica di un’altra, è tale anche in base a un elaboratissimo sistema di relazioni e proporzioni, dove vero e falso altro non sono che gli estremi logici necessari ad un sistema di credenze che contiene al suo interno infinite sfumature. Il culto delle reliquie, nella sua globalità assolutamente autentico (tanto da contemplare al suo interno il ruolo determinante del falso), è un fenomeno centrale del Cristianesimo, originale, e indice di una disposizione al sacro che in età medievale doveva essere presente in ogni piega della società.

L’importanza del culto riverbera nel già citato rapporto dei sacri resti con l’altare, cuore della vita religiosa, nella struttura particolare delle chiese edificate per contenerle, nel calendario liturgico, nei pellegrinaggi con la conseguente rinascita di vie di

58 Per acquistare la corona di spine, il re di Francia Luigi IX il Santo pagò al re di Gerusalemme Baldovino,

nel 1238, l’enorme cifra di centotrentacinquemila livres, non contando le spese per la grande chasse destinata a contenere la reliquia e per la costruzione della Saint-Chapelle a Parigi che ne costituiva l’involucro architettonico (cfr. ivi, pp. 127-128).

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comunicazione, mercati e scambi in senso lato.

In un’omelia di Leone IV (847-855), pressoché contemporanea all’altare d’oro di Sant’Ambrogio, e dunque al più celebre altare reliquiario del Medioevo, compare una delle prime esplicite allusioni ai reliquiari mobili, elencati tra i pochissimi oggetti liturgici da posare sopra l’altare: “Super altare nihil ponatur nisi capsae et reliquiae et quatuor

evangelia et pixis cum corpore domini ad viaticum infirmis”59.

La collocazione dei sacri resti riguarderà ambiti sia sacri che profani: l’elsa di una spada poteva contenere reliquie, e così il trono di un imperatore, le torri di un castello, i capitelli di una chiesa, i crocifissi monumentali, i sarcofagi, i pastorali, gli ostensori, gli anelli, gli encolpi o le borse da portare al collo fino all’utilizzo di oggetti di lusso, appartenenti anche ad altre tradizioni, reimpiegati in funzione di contenitori di reliquie.

In età contemporanea il culto delle reliquie è definito un culto popolare.

Nel documento Il reliquiario di San Simeone in Zara (pagine 69-75)