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Altri documenti sardo-pisani tra seconda metà del XIII e inizio XIV secolo, tra cui le

II.7 Sardegna e Pisa (secoli XII-XIV)

II.7.2 Altri documenti sardo-pisani tra seconda metà del XIII e inizio XIV secolo, tra cui le

Breve portus Kallaretani

Conclusa l’analisi dei documenti relativi all’Opera di Santa Maria di Pisa in Sardegna, si rivolge ora l’attenzione verso carte di analoga rilevanza prodotte tra il XIII secolo e i primi decenni del XIV.

Particolarmente ricco di dettagli di rilievo per la presente ricerca il testamento di Gottifredo, figlio di Pietro I d’Arborea, datato 19 ottobre 1252391, che registra numerose attestazioni di

servi, anchille e disposizioni di liberazione per alcuni di essi e di cui si riportano i passi più

significativi. Si legge per esempio «Dorbino servitori meo» e, ancora più rilevante, «Item libero a vinculo servitutis Micheluccium famulum meum […]. Item libero a vinculo servitutis Susannam de Campitano famulam meam» a testimonianza dunque della presenza di soggetti definiti come servitore – la cui condizione non è esplicitamente riferibile a non- libertà – o famulus/famula evidentemente di condizione non-libera essendo posta in essere in questi casi una azione di liberazione dal vincolo personale. Anche l’inventario compilato l’anno successivo, il 19 giugno 1253392, contiene coerentemente l’indicazione della

presenza di «servos et anchillas» in località definite. È il caso di Urratoli393 dove sono

elencati ben 28 servi (di cui tre a metà) e 18 anchille (di cui due a metà), Guspini dove sono presenti 5 servi e 9 anchille (di cui due a metà), Cancella con 2 anchille, Genna con 1

anchilla e 1 figlio servus e, infine, Palma con ben 24 servi (di cui 4 a metà e un pede di uno

di essi) e 14 anchille (di cui 4 a metà).

391 B.FADDA, Le pergamene relative alla Sardegna nel Diplomatico della Primaziale dell’A.S.P. cit., doc.

XXII, pp. 100-104.

392Ibidem, pp. 104-108. Cfr. anche F.ARTIZZU, Nota su Gottifredo di Pietro d’Arborea, in “Archivio Storico

Sardo”, XXVII (1961), pp. 115-128.

Si passa ora all’analisi delle rendite pisane nel Giudicato di Cagliari, con riferimento a due lavori fondamentali di Francesco Artizzu editi rispettivamente nel 1957 e nel 1958394 dai

quali emergono dettagli di notevole interesse. L’autore opera una distinzione temporale tra XIII e XIV secolo per i due gruppi di fonti considerati, ma l’attenta analisi da parte di Livi ricolloca in effetti la prima serie di documenti a qualche decennio dopo, precisamente il 1323, documenti che risultano quindi essere sostanzialmente coevi rispetto al secondo gruppo, e anzi addirittura leggermente più tardi395.

Partendo quindi dal secondo contributo, quello del 1958, si rileva che i registri redatti a Cagliari all’inizio del XIV secolo, precisamente nel 1316, contengono documenti di una certa rilevanza con indicazioni significative soprattutto nel capitolo relativo ai tributi in denaro396. Per quanto riguarda infatti il tributo chiamato datium, riscosso a gennaio e agosto

con entità variabile a seconda della località e in proporzione al reddito personale, l’analisi di questo registro delle rendite consente di evidenziare dati di notevole interesse397.

Partendo dalla «Curia seu Judicatus Sarabi», Villa Pupussi398, sono elencati numerosi

soggetti tenuti a versamenti «pro servitute», in alcuni casi contestualmente anche al datium. La compresenza di entrambi i tributi porta a ipotizzare che questa imposta sia applicata a soggetti di condizioni giuridiche varie, mentre l’attestazione dell’obbligo «pro servitute» indica certamente un rapporto di dipendenza non-libera, o non completamente. Nel dettaglio, Johannes Polla, «servus scripti Comunis, debet solvere ad scriptum terminum pro sua data et pro sua servitute» per un totale di 2 soldi. Invece Petrus Arritha e Rosa

Ularigius, servus e anchilla del comune pisano sono tenuti a un versamento rispettivamente

di 4 e 10 soldi solamente «pro sua servitute». I dettagli relativi a Rosa Ulargius sono particolarmente significativi in quanto il suo nome nell’elenco riportato dal registro è collegato al marito Arthochus Capra, presente in un elenco successivo in relazione «ad

394 F.ARTIZZU, Rendite pisane nel giudicato di Cagliari nella seconda metà del secolo XIII, in “Archivio

Storico Sardo”, XXV (1957), pp. 319-432 e ID., Rendite pisane nel giudicato di Cagliari agli inizi del secolo XIV, Padova 1958.

395 Cfr. C.LIVI, La popolazione della Sardegna nel periodo aragonese cit., in particolare pp. 126-129 per la

questione in oggetto.

396 Cfr. F.ARTIZZU, Rendite pisane nel giudicato di Cagliari agli inizi del secolo XIV cit., pp. 12-17. 397 Si rimanda nuovamente a C.LIVI, La popolazione della Sardegna nel periodo aragonese cit., pp. 37-59

per l’approfondimento del tema del datium.

398 F.ARTIZZU, Rendite pisane nel giudicato di Cagliari agli inizi del secolo XIV cit., pp. 29-32. Questo

insediamento, Villaputzu o Villa Pubuzzi nell’opera di Carlo Livi precedentemente citata, è collocato nell’angolo sud-orientale dell’isola, Curatoria di Sarrabus, e risulta documentato da prima del 1110 fino almeno al 1589, sebbene con alcuni vuoti documentari. C.LIVI, Villaggi e popolazione in Sardegna nei secoli

jugum unum» e al figlio Ventura che risulta essere condiviso in parti uguali tra il comune di Pisa e un certo Arthochus Pinno.

La stessa sezione del documento, al f. 2v., registra inoltre l’interessante attestazione di «liveri et terrales ab equo»399 che, sulla base delle interpretazioni fornite in alcuni

precedenti paragrafi relativamente al termine terrales e alla condizione a esso riferibile, offrirebbe l’evidenza di una contrapposizione – per quanto concerne la presente analisi ma di una analogia in termini di tributi dovuti – tra liveri e terrales che sono quindi definibili, questi ultimi, come individui di condizione diversa dai liveri. Conferma di tale ipotesi è contenuta nello stesso elenco successivo alla attestazione della locuzione, e a esso relativo. È infatti registrato il nominativo di «Johannes Inboy qui erat liver ab equo est extimatus cum villa quia pauperrimus et insufficiens». Esistono quindi entrambe le condizioni, «liver ab equo» e «terralis ab equo», e Johannes Inboy non risulta più essere definibile come «liver ab equo» in quanto pauperrimus e insufficiens, a indicare certamente una condizione complessivamente peggiorativa, sebbene non se ne conosca nel dettaglio la definizione e categorizzazione da un punto di vista lessicale e giuridico. Sempre nello stesso Giudicato di Cagliari, questa volta nella Villa di Sorrui400, «Sipparius de Massa» è indicato come

«servus Comunis» ed è tenuto al versamento del datium e di un altro tributo «pro sua servitute». Più avanti nella stessa sezione sono ancora attestati «liveri et terrales ab equo», senza ulteriori dettagli di rilievo. Ancora analoga attestazione anche nella cosiddetta Scolca di Orrea, in particolare nella Villa Cortinia401.

«Gomita de Soestus servus Comunis» è invece registrato nella Villa Carruti402, oltre ad altri

«servi et anchille» dello stesso comune tra cui compare nuovamente Gomita de Soestus con riferimento in prima analisi al datium e ora anche «pro sua servitute» e «ad jugum unum grani». Anche Gomita Melone è soggetto a versamento di tributi sia per data che per

servitute, mentre Gresio Melone e Pasqua Melone solo «pro sua servitute». Bisuata Ullia

è invece condivisa, come Ventura precedentemente citato, tra il comune di Pisa e Arthochus

Pinno. Viene fornito inoltre un breve elenco di nominativi con indicate le relative quote di

399 F.ARTIZZU, Rendite pisane nel giudicato di Cagliari agli inizi del secolo XIV cit., p. 31.

400 Ibidem, pp. 36-41. La villa risulta scomparsa già verso la fine del XV secolo (cfr. C.LIVI, Villaggi e

popolazione in Sardegna nei secoli XI-XX cit., p. 197, 280).

401 F.ARTIZZU, Rendite pisane nel giudicato di Cagliari agli inizi del secolo XIV cit., pp. 42-44. La villa

risulta esistente ancora verso la fine del XV secolo e almeno fino al 1589 (cfr. C.LIVI, Villaggi e popolazione

in Sardegna nei secoli XI-XX cit., p. 197, 279).

proprietà a favore del comune: «Guantinus Melone “servus in totum”; Barsolus Melone e Sardigna Melone “anchilla, servus pro medietate”; Marguethus Melone “servus in totum”; Fogla Lay “anchilla scripti Comunis pro quarta parte»403.

Emerge anche in questo frangente un riferimento generico a una età, non definita, che consente di prestare la propria opera servile, espressa con la formula «sint habiles etatis ad serviendum»404.

L’analisi passa poi alla «Curia seu Judicatus Tholostra», che, oltre a presentare l’attestazione della stessa formula appena citata relativamente all’età per servire405, vede

registrati per la Villa Arceuescho «servi et anchille Pisani Comunis […] tam pro eorum servitute quam pro eorum consueto servitio». Si tratta nello specifico di «Maria Pagla pro sua servitute, Guantinus Pagla pro sua data et servitute e Vera Melone pro sua servitute». Questi individui sono quindi soggetti a una duplice tassazione, quella derivante dalla loro condizione personale («pro eorum servitute») e quella in sostituzione del servitium fornito al fisco in periodo giudicale, a dimostrazione della monetizzazione delle prestazioni cui si è precedentemente accennato. Anche le ville Archulenti e Mamussi, nella stessa curatorìa, registrano la presenza di «liveri et terrales ab equo» già evidenziati altrove406.

Il «Judicatus Chirre» registra invece nella Villa Chirre407 Johannes Polla, omonimo

dell’individuo già registrato a Villa Pupussi, tenuto a versare tributi «pro sua data e pro sua servitute». Nella Villa Urlo è citato invece un individuo, Gonnario Meli, che viene descritto contestualmente come «liver et terralis ab equo» e a cui pare riferibile anche la successiva disposizione che prevede «non teneantur ire ad Coronas neque ad Mostram sed ad omnia alia servitia que aliqui liveri facere teneantur»408.

403 Ibidem, p. 48.

404 Ibidem. Cfr. qui il paragrafo relativo all’analisi del Condaghe di San Pietro di Silki (Paragrafo II.3). 405 F.ARTIZZU, Rendite pisane nel giudicato di Cagliari agli inizi del secolo XIV cit., p. 52 sgg.. Livi identifica

questa villa con Archiebiscobu, un centro localizzabile sempre nell’angolo sud orientale dell’isola, già presente prima del 1110 e ancora attestato tra 1190 e 1230, per poi scomparire alla fine del XV secolo (cfr. C.LIVI, Villaggi e popolazione in Sardegna nei secoli XI-XX cit., p. 144, 197, 280).

406 F.ARTIZZU, Rendite pisane nel giudicato di Cagliari agli inizi del secolo XIV cit., pp. 55-57. Entrambe le

ville risultano scomparse già alla fine del XV secolo (cfr. C.LIVI, Villaggi e popolazione in Sardegna nei secoli XI-XX cit., p. 197, 280).

407 F.ARTIZZU, Rendite pisane nel giudicato di Cagliari agli inizi del secolo XIV cit., pp. 61-63. La villa,

collocata come le precedenti nell’angolo sud orientale dell’isola, risulta esistente tra 1190 e 1230 e fino alla fine del XV secolo circa (cfr. C.LIVI, Villaggi e popolazione in Sardegna nei secoli XI-XX cit., p. 76, 144,

197, 279).

408 F.ARTIZZU, Rendite pisane nel giudicato di Cagliari agli inizi del secolo XIV cit., pp. 73-74. La villa

risulta già scomparsa dalla fine del XV secolo (cfr. C.LIVI, Villaggi e popolazione in Sardegna nei secoli XI-

Quest’ultima precisazione riserverebbe qualche dubbio circa la precedentemente proposta contrapposizione tra i due distinti termini liver e terralis, risultando ora riferibili invece allo stesso soggetto. Il fatto tuttavia che venga esplicitamente riconosciuto che anche chi può essere definito liver sia tenuto in qualche modo alla prestazione di «omnia alia servitia» offre una conferma di quanto stabilito come una delle premesse di questa ricerca, ovvero i diversi gradi di libertà di cui possono godere i soggetti prestatori di manodopera in ambito rurale nel Basso Medioevo, e l’entità della dipendenza può di conseguenza avere un impatto più o meno sensibile e definitivo sulla condizione giuridica degli stessi. Nel caso specifico dei «liveri et terrales ad equo», fatta salva l’ipotesi di cui sopra, non è in questa fonte possibile sbilanciarsi oltre verso valutazioni più precise in quanto i dati a disposizione, sebbene rilevanti da un punto di vista lessicale, non consentono di esprimere valutazioni di carattere giuridico.

In conclusione quindi, tornando nel merito al datium e a coloro i quali ne subiscono l’imposizione, i due casi di Sipparius de Massa, nella Villa di Sorrui, e di Gomita de

Soestus, nella Villa Carruti, risultano emblematici in quanto costituiscono gli unici servi

registrati esplicitamente come tali nell’elenco della data, comparendo al tempo stesso nell’elenco dei contribuenti in quanto tassati «pro sua servitute», come sopra descritto. A supporto di questa considerazione di carattere quantitativo, lo stesso Livi evidenzia significative assenze in questi documenti in quanto «Vi manca larga parte – probabilmente la netta maggioranza – di quanti conservano l’antico “status” servile dell’epoca giudicale, che nei primi decenni del ‘300 rappresentavano ancora una percentuale abbastanza rilevante della popolazione complessiva, anche nei domini di Pisa dove era stato maggiore il loro declino»409.

L’altro contributo invece, quello del 1957 e relativo al registro collocabile nel 1323, non risulta altrettanto significativo in termini di indicazioni relative allo status dei soggetti attestati, se non per quanto concerne il gimiglione e la roatia, oneri che tuttavia non sono necessariamente indicatori in quanto tali di una particolare condizione giuridica pur essendo esercitati nei confronti della persona fisica410 e, durante la dominazione pisana

nell’isola, essendo progressivamente convertiti in denaro per una più efficace gestione. 409 C.LIVI, La popolazione della Sardegna nel periodo aragonese cit., pp. 39-40.

410 Si veda anche in merito la tesi dottorale di Lucia Maria Agnese Masala, Documenti inediti sui rapporti tra

Pisa e la Sardegna nel fondo comune, divisione A, dell’Archivio di Stato di Pisa, discussa nell’Anno

Accademico 2012-2013 presso l’Università di Cagliari, in particolare il capitolo ottavo e le osservazioni relative alla figura professionale dei compositori (p. 631 sgg.).

Anche l’indicazione evidenziabile in f. 61 v. relativa alla Villa Setauno411 rende conto di

una iniziativa di ripopolamento dell’insediamento, disabitato nella seconda metà del XII secolo, da parte di «donno Trouadori» che offre un affrancamento generale per quattro anni a tutti i soggetti che vi si insedino e condizioni ancora vantaggiose a partire dalla scadenza di tale termine. Considerando il soggetto promotore, la natura della esenzione e il lessico cui si fa riferimento, non si può tuttavia considerare questa iniziativa come volta a mutare la condizione individuale in termini di libertà o servitù, bensì quanto una delle comuni e significative offerte di migliori condizioni e opportunità economico-produttive orientate al popolamento o ripopolamento di insediamenti considerati di rilievo o strategici nelle dinamiche di potere politico locale412.

L’analisi muove ora verso una fonte composta a Cagliari nel 1318, sebbene riferibile a testi statutari pisani risalenti al XIII secolo e poi tradotti nel XIV, spogliata ancora da Francesco Artizzu e i cui dettagli sono editi in un saggio del 1979 per il Centro di Ricerca – Pergamene medievali e protocolli notarili.

Si tratta degli Ordinamenti pisani per il porto di Cagliari, anche denominati Breve Portus

Kallaretani413, che nel loro complesso forniscono dati rilevanti di natura economico-

contabile, tuttavia solo per una modestissima parte di interesse per la nostra analisi. Una lunga sezione del documento fornisce un dettagliato elenco di commissioni dovute sia da compratori che da venditori a fronte di transazione commerciale perfezionatasi nel contesto del porto di Cagliari, naturalmente a seconda del bene scambiato e proporzionalmente al suo valore. Al f. 22v si legge di uno dei tanti impegni assunti dal sensale – funzionario portuale con ruolo di grande responsabilità e prestigio – a garanzia del corretto svolgimento dei suoi compiti: «Anco juro alle Dio sancte vaela di non prendere né avere, u prendere u avere fare, per me o per altrui d’alcuna persona o luogo, per mio 411 F.ARTIZZU, Rendite pisane nel giudicato di Cagliari nella seconda metà del secolo XIII cit., p. 423, dove

si legge «la scripta villa fue desabitata et donno Trouadori acio che la dicta villa sabitasse la francho in questo modo cioè che tucti li homini che venissino a stare in de la scripta villa stiano franci anni IIII et a capo danni IIII pagino catuno homo lanno in denaro s. X». Carlo Livi in una delle sue opere fondamentali, Villaggi e

popolazione in Sardegna nei secoli XI-XX edita a Sassari nel 2014 identifica questa villa come Sedaunu,

collocandola nella Curatoria di Campidano (regione del Sinnai a nord-est di Cagliari) e tracciandone brevemente la storia indicando attestazioni tra 1190 e 1230, la condizione di “villanova” nel 1322 e la scomparsa almeno a partire dal 1420. Cfr. C.LIVI, Villaggi e popolazione in Sardegna nei secoli XI-XX cit.,

p. 58, 148, 192, 223.

412 Cfr. tra gli altri R.COMBA,F.PANERO,G.PINTO (a cura di), Borghi nuovi e borghi franchi nel processo

di costruzione dei distretti comunali nell’Italia centro-settentrionale (secoli XII-XIV), Cherasco-Cuneo 2002.

sensalatico se non secondo lo infrascripto modo. Cioè dal venditore e compratori da ciascuna parte e da ciascuna parte s’intenda la quantità che di socto è scripta, e denari aquilini minori»414. Segue l’elenco che vede, al f. 24, questo importante dettaglio: «E della

libra di pregio di servi ed anchille per parte – denari I»415. Compratori e venditori sono

quindi tenuti a versare una commissione nella misura di un «denaro aquilino minore» per ogni libra corrisposta nel pagamento, a seconda del valore del bene, nel caso specifico un servo o una anchilla. Si nota un contributo equivalente previsto anche per alcuni animali («E per pregio di cavalli per parte – denari I», «E per predicto di livra d’altra bestia di IIII piedi per parte»416), quindi di fatto assimilando a questi ultimi, da un punto di vista

commerciale-merceologico e in questo contesto, uomini o donne di condizione servile. Le ultime argomentazioni di questo paragrafo riguardano infine principalmente un saggio ancora di Francesco Artizzu, Documenti inediti relativi ai rapporti economici tra la

Sardegna e Pisa nel Medioevo, edito in due volumi tra 1961 e 1962417.

Qualche dato quantitativo prima di procedere all’approfondimento dei particolari rilevanti: l’analisi condotta sui 146 documenti conservati nell’Archivio di Stato di Pisa e raccolti nei due volumi porta a evidenziarne solo 5 pertinenti con la ricerca qui condotta, uno della metà del XIII secolo e gli altri quattro compresi tra il 1317 e il 1319.

Il primo documento, redatto a Cagliari il 19 giugno 1250, riporta i dettagli della vendita di un servo originario del Giudicato di Arborea, un certo Guantino, per un prezzo di 9 libbre di denari minuti di Genova. Si legge «Armaleus tabernarius […] per hoc publicum instrumentum vendit et per manum desteram tradidit domino Rainerio comiti de Casali Guantinum servum suum ipsius Armalei, filium Moscardi de villa Guspini judicatus Arboree […] cum omni iure proprietate et pertinentia sua»418. La vendita di Guantino viene

effettuata «per manum desteram» a evidenziare la ritualità dell’evento con notevole valore simbolico e riguarda non solo il soggetto ma anche i suoi beni e quanto di sua pertinenza. Il documento prosegue con un altrettanto interessante passo che recita «Insuper omnia iura omnesque actiones et rationes tam utiles quam directas, reales et personales et mixtas sibi in dicta et de dicta re vendita et tradida vel eius occasione quoque modo vel iure 414 Ibidem, pp. 67-68.

415 Ibidem, p. 70. 416 Ibidem.

417 F.ARTIZZU, Documenti inediti relativi ai rapporti economici tra la Sardegna e Pisa nel Medioevo cit.. 418 Ibidem, vol. 1, doc. 12, p. 16.

competentes et competentia eidem domino Rainerio vendidit, dedit, cessit, concessit atque mandavit». Il riferimento a «reales et personales (et mixtas)» è certamente indicativo della ampiezza dei diritti ceduti nella operazione commerciale, diritti che includono gli aspetti reali, materiali, ma anche, e soprattutto, quelli personali, individuali, legati alla condizione di essere umano strettamente vincolato ai voleri di un soggetto superiore che ne può disporre a piacimento, analogamente a quanto accade per un qualsiasi altro bene.

Per quanto concerne l’area di origine del sopra citato Guantino, il Giudicato di Arborea, è disponibile un documento di pochi anni precedente, 27 gennaio 1238, dove si legge della presenza di «liveri sive servi vel anchille» tra i quali è verosimile che egli sia incluso, prima della sua vendita419.

Degli altri quattro documenti databili ai primi due decenni del XIV secolo, i primi tre riportano il termine serviens e il verbo servivit con dettagli relativi al tipo di servizio prestato (per esempio «pro nutrendo et lactando») e al salario concordato; si tratta delle indicazioni di compensi relativi a prestazioni temporanee, per esempio la balia o nutrice, non riconducibili in questi casi a una modifica della condizione giuridico-personale420.

Il quarto, infine, è un documento redatto a Cagliari il 13 maggio 1319 – Fadda anticipa la data di un anno, 13 maggio 1318 –421 che risulta di particolare interesse: si tratta della

«manumissionem, liveractionem et absoluctionem» di un individuo attestato come sclavus che ha prestato servizio presso un cittadino pisano di nome Cecco Alliata. Nonostante la brevità dello scritto, vengono forniti dati chiari e precisi in merito alla operazione effettuata e alle conseguenze della stessa. Si legge infatti che lo sclavus sarà «liver et absolutus ab omni nessu, jugo et vinculo servitutis et ab omni servitute et condictione servili finitis dictis