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La Carta di Luogo i nel giudicato di Kallari in su l’isula di Sardignia per lo re d’Aragona,

Le cosiddette Cartas de Logu sono importanti documenti peculiari del territorio sardo e costituiscono una sorta di codici pre-statutari, insieme ai Brevi, sia per forma che per contenuto, offrendo fondamentali capitoli relativi al diritto locale e alle norme applicabili nell’area di competenza in modo sintetico, strutturato e giuridicamente organizzato. Nel contesto di questa ricerca si compie l’analisi di due di queste fondamentali fonti trecentesche sarde, di cui la prima, oggetto di questo paragrafo, è la Carta di Luogo i nel

giudicato di Kallari in su l’isula di Sardignia per lo re d’Aragona relativa al cagliaritano e

databile nei primi decenni del XIV secolo, verosimilmente nel 1325 circa, rinnovando una normativa precedentemente emanata dal comune di Pisa per l’ex Giudicato di Cagliari498.

Sebbene i capitoli conservati siano solo sedici compresi tra I e LXXXXVIIII, alcuni di essi risultano particolarmente significativi in quanto trattano direttamente di tematiche delle quali in parte si è già avuto riscontro in altri documenti precedentemente considerati e 497 «Villa di Muro et homines ipsius ville qui omnes sunt servi propri pisani Comunis, exceptis infrascriptis

quatuor hominibus, dare et solvere tenentur et debent annuatim pro eorum data infrascripto termino mensis mai ut supra dicitur de aliis villis, libras tres suprascripte monete. Et nicchilominus tenentur et debent pro singulo anno proxime venturo facere Comuni pisano, seu officialibus pisani Comunis, omnia servitia que ibi sunt soliti et consueti facere pro temporibus retroactis. Et que eis a Comuni pisano seu a dictis suis officialibus pro Comuni pisano imponentur vel mandantur; et laborare terras pisani Comunis more solito. – Homines ipsius ville – Ponsus de Serra, Guantinus Pala, Furatus Martìs, Guantìnus Pissale, isti quatuor sunt franchi et non sunt servi», Ibidem, p. 295.

498 Cfr. M.TANGHERONI, La “Carta de Logu” del Giudicato di Cagliari. Studio ed edizione di alcuni suoi

capitoli, in I.BIROCCHI e A.MATTONE (a cura di), La Carta de Logu d’Arborea nella storia del diritto medievale e moderno, Roma-Bari (2004), pp. 204-236 e nello specifico pp. 211-212 per le ipotesi di

datazione. A questa Carta de logu fanno riferimento alcune scritture giudiziarie e diversi documenti regi relativi a vicende interne ai feudi del Cagliaritano. Cfr. ID., È utile studiare i documenti di cancelleria? Un interessante esempio sardo, in L.D’ARIENZO (a cura di), Sardegna, Mediterraneo e Atlantico tra Medioevo ed Età Moderna. Studi storici in memoria di Alberto Boscolo, I-III, Roma 1993, I, pp. 267-282 e R.DI TUCCI,

“Cicero pro Scauro”. Elementi giuridici romani e consuetudini locali nella società medievale sarda, in

descritti, aggiungendo dettagli importanti relativamente alla specifica e variegata situazione socio-giuridica dei soggetti coinvolti e delle conseguenze delle azioni da essi compiute come da dettagli che seguono499.

Il primo capitolo, «De li tradimenti e conspiratione», si rivolge a «qualunque persona, livero u vero servo» le cui colpe possono prevedere condanne variabili a seconda dell’entità e gravità del tradimento o della cospirazione ai danni del re d’Aragona o dei suoi funzionari e arrivano anche a includere la generica uccisione o la più specifica impiccagione500.

Nonostante il riferimento esplicito alle diverse condizioni del soggetto colpevole, in questo capitolo iniziale non viene fornito ulteriore dettaglio in merito alla possibile, e verosimile, differenziazione delle condanne, ma tali specifiche non tardano a essere rese note nel codice in oggetto, trovando infatti riscontro a partire da qualche capitolo successivo, iniziando dal VIII, intitolato «Di chi ardesse prato di cavallo». In questo caso si legge «Ordiniamo che se alcuna persona a cui fusse provato ch’elli ardesse alcuno prato di cavallo, s’elli è livero paghi libre XXX a lo re d’Aragona, e se lo suo non vallesse tanto siali tolto ciò che se li trovasse del suo, e stia in bando fuore de la terra uno anno. Et s’elli è servo et abbia unde possa pagare, paghi libre XX a lo re d’Aragona. E s’elli non avesse unde pagare, sia ciottato e acercellato». Risulta quindi evidente il ridimensionamento della pena pecuniaria nel caso in cui il colpevole sia un servo, certamente non per l’entità minore della colpa ma per le ridotte disponibilità rispetto al livero. La differenza sostanziale emerge tuttavia nel caso in cui le risorse economiche dei colpevoli non siano sufficienti, quindi mentre il livero rischia il sequestro di tutti i beni di sua proprietà e l’allontanamento forzato per un anno, il servo dovrà invece subire pene corporali tra cui anche la fustigazione501.

Il capitolo XXX tratta «Del tocchare la muglie d’altrui» e introduce varie categorie socio- giuridiche di individui che possono essere identificabili come colpevoli, prevedendo per

499 I capitoli disponibili sono i seguenti: I, II, VII, VIII, XXX, XXXI, XXXII, XLVIII, LXXI, LXXII, LXXV,

LXXVI, LXXXV, LXXXXV, LXXXXVI e LXXXXVIIII.

500 Il capitolo recita testualmente «Ordiniamo che qualunque persona, livero u vero servo, fusse trovato in

alcuna conspiratione, tradimento u vero tractato fare con alcuno nemico del re d’Aragona, u vero altra persona per lo quale si perdesse u perdere si potesse alcuna terra, giurisdictione u onore del re d’Aragona u vita u membro d’alcuno che fusse signore u officiale in quello regno per lo re d’Aragona, faccianone li signori che fino in quello regno per lo re d’Aragona la loro voluntade d’uciderlo u d’apiccarlo u condannarlo secondo la qualità del peccato», M.TANGHERONI, La “Carta de Logu” del Giudicato di Cagliari cit., p. 227.

501 Il testo è riporato in Ibidem, p. 228 e l’interessante analisi lessicale anche relativa alla definizione delle

pene corporali riservate ai servi è fornita da Sara Ravani in S.RAVANI, Voci di Sardegna nel TLIO: schede lessicali dalla Carta de Logu cagliaritana in versione pisana, in P.LARSON, P.SQUILLACIOTI e G.VACCARO

(a cura di), “Diverse voci fanno dolci note” – L’Opera del Vocabolario Italiano per Pietro G. Beltrami, Alessandria 2013, pp. 189-196.

loro delle conseguenze non solo personali ma estese anche agli eventuali figli generati dalla relazione extraconiugale. Si legge infatti «Ordiniamo e stantiamo che si alcuno livero magiorale, o livero di paniglio, o livero di vestare, o livero mungiario, o livertato, al quale fusse provato per lo magiore et tre giurati di li miglior di la villa, cun loro iuramento, ch’elli fottesse alcuna moglie d’altrui, e facesseno figliuoli, li dicti figliuoli del dicto marito siano servi; e per la forsa la quale fae, abbia la signoria a fare quello che dice Carta di Luogo»502.

Il colpevole viene quindi definito come livero ma a vario titolo a seconda del grado di libertà specifico, con termini già attestati anche in documenti già analizzati e relativi a secoli precedenti. Del «livero magiorale» si è avuto riscontro nel precedente paragrafo dedicato al Liber Fondachi, alla estremità opposta dell’isola, con la attestazione di «liveri maiorales». Vi è poi il «livero di paniglio» cui si è fatto riferimento in occasione dell’analisi delle Carte volgari dell’Archivio Arcivescovile di Cagliari, quindi nel medesimo territorio di riferimento, dove sono attestati negli ultimi tre decenni del secolo XI individui definiti come «liverus de paniliu». Il termine livertato è più ricorrente e compare per esempio tra XII e XIII secolo nel condaghe di Santa Maria di Bonarcado e a metà XII secolo nel condaghe di San Pietro di Silki, evidenziando una diffusione cronologica più ampia e una trasversalità geografica che interessa sostanzialmente tutta la parte occidentale dell’isola. Anche il termine muniarius compare sempre nel condaghe di Santa Maria di Bonarcado in un registro a cavallo tra XII e XIII secolo503. A prescindere dalla condizione specifica della

donna, a cui non si fa riferimento e che non risulta quindi rilevante nel merito, la eventuale prole generata verserà in condizione servile come inasprimento della condizione di almeno uno dei genitori a seguito della azione sanzionabile. Qualora infatti si consumi una relazione non lecita tra un uomo, sebbene di condizione libera, e la «moglie d’altrui, e facesseno figliuoli, li dicti figliuoli del dicto marito siano servi»; questo è quanto risulta sancito esplicitamente in questa fonte cagliaritana, evidentemente a sanzionare una azione ritenuta di una certa gravità e avente importanti conseguenze anche sui discendenti, se non sui diretti responsabili.

Il due capitoli successivi, il XXXI «Del servo che avesse affare co la moglie d’alcuno livero maiore» e il XXXII «Del servo che avesse affare co la moglie d’alcuno livero di vestare, o di mungiargio, o di paniglio, o di liverato, o d’alcuno servo», fanno emergere ancora 502 M.TANGHERONI, La “Carta de Logu” del Giudicato di Cagliari cit., p. 228.

503 Si vedano i riferimenti nei paragrafi relativi ai condaghi e altri documenti citati e, per la condizione di

maggiormente la contrapposizione tra servo e livero, operando inoltre una precisa e netta distinzione tra il «livero maiore» e gli altri liveri attestati anche precedentemente a evidenziare ulteriormente le diverse caratteristiche di questi soggetti cui vengono addirittura dedicati capitoli specifici, includendo peraltro nell’ultimo anche la possibilità che la donna coinvolta sia moglie di un altro servo, quindi di fatto uniformando la sanzione prevista per un servo a soggetti che servi non sono, o che perlomeno non lo sono pienamente.

In particolare nel primo caso è prevista una iniziale sanzione pecuniaria di «libre XXV» che, se non esigibile causa indisponibilità economiche, viene commutata in pene corporali sia per il colpevole che per la donna coinvolta504. Nel secondo caso invece «Ordiniamo e

statuimo che se alcuno servo fottesse alcuna moglie d’alcuno livero di vestare, o di mungiargio, o di paniglio, o di liverato, o d’alcuno servo suo pari, sia ciottato e acercellato, e li figliuoli che facesse si perda e rimagniano al dicto marito»505; la pena pecuniaria viene

quindi esclusa e rimangono le pene corporali per il colpevole, ma non più per la donna. Si specifica inoltre che gli eventuali figli verranno sottratti al servo e rimarranno al marito della donna. Risulta altresì interessante il dettaglio relativo alla indicazione di parità di status socio-giuridico del servo colpevole e del servo vittima, distintamente dalle altre condizioni attestate e non qualificabili come tali.

Alla luce dei tre capitoli sopra analizzati nel loro complesso quindi, risulta che il primo di essi sia riferibile a chi si macchi del reato descritto partendo da una condizione socio- giuridica libera o comunque non pienamente servile, fattispecie che viene invece prevista esplicitamente e dettagliatamente negli altri due capitoli. Qualora la condizione iniziale sia non completamente libera quindi, il fatto che gli eventuali figli del colpevole debbano essere considerati servi porta a esprimere una constatazione in merito alle conseguenze di una sanzione che formalmente va a modificare lo status di individui non in via economico- contrattuale ma puramente penale-giuridica su disposizione diretta di una corte che è legittimata quindi a disporre della quota più o meno ampia di libertà residua dei colpevoli la cui origine risulta dunque determinante all’interno del procedimento, non essendo infatti

504 Il testo del capitolo XXXI recita «Ordiniamo che se alcuno servo fottesse alcuna moglie d’alcuno livero

maiore e fusseli provato per lo magiore e tre iurati de li migliori de la villa cum loro iuramento, sia condempnato in ibre XXV infra uno mese, incominciando lo mese lo die che fi condempnato. E se non pagasse siali cavato uno occhio e sia ciottato e acercellato; e la femina sia afrustata», M.TANGHERONI, La

“Carta de Logu” del Giudicato di Cagliari cit., p. 228.

prevista in questo frangente la condizione individuale di libertà piena, evidentemente trattata diversamente e non modificabile in modo così significativo e per queste ragioni. Il capitolo XLVIII tratta invece degli abusi su donne coniugate, non coniugate o vedove per mano di qualunque persona, specificando però due particolari condizioni, «livero magiorale o servo di capudu» ovvero le fasce più alte in ambito libero e servile506,

sostanzialmente equiparandole in termini di sanzione comminabile e distinguendole da altri soggetti le cui condizioni non vengono meglio specificate507. Si notino inoltre le pene

diverse previste a seconda della condizione della donna, come già evidenziato nel precedente paragrafo dedicato agli Statuti sassaresi508. La pena capitale in questo caso

troverebbe tuttavia applicazione più estesa rispetto a quanto attestato per il sassarese, in quanto prevista non solo per abuso a danno di una donna libera coniugata, ma anche per donne non coniugate o vedove qualora il colpevole non possa fare fronte alla sanzione pecuniaria. È inoltre opportuno sottolineare la documentata presenza della categoria «servo di capudu», a riprova dell’esistenza di una sorta di gerarchia tra i soggetti non-liberi, la cui condizione sarebbe giuridicamente segnata ma caratterizzata da variegate sfumature non sempre di facile individuazione.

Le stesse due condizioni sopra citate compaiono anche nel capitolo LXXVI dedicato ai furti, con l’aggiunta della apparentemente analoga qualifica di «servo sinischalco». Nello stesso testo si specifica inoltre che qualora il furto sia operato da un servo, il padrone dovrà provvedere in prima persona al risarcimento del danno e a infliggere una punizione corporale al colpevole, marchiandolo a fuoco509.

506 Cfr. S.RAVANI, Voci di Sardegna nel TLIO cit., pp. 193-195.

507 «Di coloro che isforsano la moglie d’altrui – Ordiniamo che qualunque persona isforsasse alcuna moglie

d’altrui o vero pulcella o vedova, se elli è livero magiorale o servo di capudu, sia condempnato per la moglie d’altrui libre C in denari aquilini minuti. Et per la pulcella o vedova paghi libre L di denari e torni la dicta condempnagione a lo re d’Aragona se li fusse loro provato per lo maggiore e per tre giurati di la villa là u l’ecesso fusse commesso, e per dicto de la femina per loro saramento. E quelli che isforsasse la pulcella e no la piglia per moglie e non paga a condempnagione, sia appichato per la gola. Questo medesmo sia facto di quelli che isforsasse la moglie d’altrui: se non à unde pagare, che s’appichi», M.TANGHERONI, La “Carta de Logu” del Giudicato di Cagliari cit., p. 229.

508 Cfr. quanto detto nel paragrafo II.9.

509 «De li furti – Ordiniamo che se alcuno famigliale lo quale facesse alcuno furto o alcuna forsa, se elli è

livero maiorale, o servo di capudu, cioè servo sinischalco, vada a corona sicuro dal signore. E se elli fi provato, paghi lo danno a chi l’arà facto. E si a corona non andasse, sia tenuto, colui con cui starà, di cacciarlo da sé; e se cacciare non lo volesse, paghi lo danno che averà facto. E se elli fusse suo servo, si lo debbia menare a corona a fidansa del signore. E se colui che ave avuto lo danno si richiamasse del signore del servo che elli lo facesse fugire, o appiactare malitiosamente, et provalo, sia tenuto lo signore del servo d’insegniarlo dicto servo in croce di chiesa cioè di ferro caldo. E nondimeno paghi o danno a chi l’à ricevuto. E possa la signoria per lo re d’Aragona ne faccia la ragione», M.TANGHERONI, La “Carta de Logu” del Giudicato di Cagliari cit., p. 229.

L’ultimo capitolo che riporta attestazioni riferibili alla condizione socio-giuridica è il LXXXXV, «Di coloro che uccidesseno l’uno l’altro», che nella sua parte iniziale recita «Ordiniamo e statuimo che si alcuno livero alcuno sardo uccidesse l’uno l’altro, o vero alcuno homo, e fusseli provato per lo magiore de la villa et tre iurati in de la quale villa o suo saltu lo maleficio fusse commesso, cum loro iuramento, si cului che fie ucciso fie servo, mendi dell’uno servo due servi a colui di cui fie lo servo. E se non à di che, torni ello servo di colui di cui era lo servo morto. E s’elli non vuole essere servo, paghi al signore del servo morto, per mendo, quello che tre buonomini de la villa del morto per loro saramento dirranno che paghi»510. Si nota l’entità del risarcimento previsto in caso di uccisione di un

servo, che ammonta al doppio del danno inferto, quindi a due servi da consegnare al padrone della vittima. Qualora il colpevole non vanti tali disponibilità, l’alternativa sarà quella di asservirsi personalmente, quindi mutando completamente o in parte la propria condizione giuridica a seconda di quella originaria in parte in linea con quanto evidenziato precedentemente nel caso di relazioni extraconiugali, oppure impegnandosi a risarcire il danno sulla base di quanto stabilito univocamente da alcuni membri di rilievo della comunità di provenienza della vittima. È quindi nuovamente prevista la possibile modifica più o meno sostanziale dello status di soggetti non per via contrattuale ma come sanzione comminabile in sede giudiziaria con conseguenze non solo più in termini economici, reali, derivanti dal danno procurato con l’uccisione, ma anche in termini personali, sebbene questa sia solo una delle alternative possibili, qualora non si disponga di beni sufficienti a saldare il debito (servi o altri beni materiali), richiamando in parte le coeve norme statutarie sassaresi e anche altre disposizioni previste nei condaghi e di cui si è trattato in precedenza, e in parte il tema del riscatto di una condizione a cui si sarebbe destinati e che diventerebbe concreta e formale nel caso in cui le proprie disponibilità non consentano di fare fronte alla sanzione prevista dalle norme applicabili.