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Il condaghe di San Pietro di Silki raccoglie complessivamente 443 schede relative al territorio di competenza del monastero omonimo fondato nella seconda metà del XI secolo (alcune indicazioni indirette lo farebbero addirittura risalire al X secolo), quindi registrando operazioni di varia natura a partire da questo periodo e fino agli anni cinquanta del XIII secolo.

L’edizione qui considerata, con testo originale e relativa traduzione a fronte, è a cura di Alessandro Soddu e Giovanni Strinna, pubblicata nel 2013109, e l’area geografica di

riferimento è quella del Giudicato di Torres, nella Sardegna nord-occidentale presso Sassari.

Dal punto di vista quantitativo, ed è questo il condaghe più significativo tra quelli analizzati ma anche da un punto di vista generale, le schede poste in evidenza a seguito della analisi lessicale condotta sono complessivamente 186, quindi circa il 42% del totale, a conferma nuovamente e come già detto a proposito del condaghe di San Nicola di Trullas della rilevanza del tema e dell’importanza di registrare formalmente dati relativi alla condizione individuale in relazione a operazioni e liti di vario genere.

L’elenco fornito in Tabella n. 3, CSPS – Condaghe di San Pietro di Silki, è ordinato cronologicamente secondo la datazione precisa e puntuale fornita dagli stessi autori. La distribuzione cronologica delle schede è rappresentata nel grafico sotto riportato e presenta una più evidente concentrazione di schede rilevanti nell’ambito di questa ricerca in particolare nel periodo 1082-1127, con tuttavia dati quantitativamente notevoli anche in altri periodi. Come rilevato da Soddu e Strinna, «rispetto agli omologhi registri del medioevo sardo, quello di San Pietro di Silki rappresenta l’esempio più considerevole sul piano quantitativo, ma la sua rilevanza è data anche dall’antichità delle schede che vi sono trasmesse (alcune risalenti alla seconda metà dell’XI secolo) e dall’ampiezza dell’arco temporale che ricoprono (le registrazioni giungono fino alla metà del XIII)»110. La

ricchezza quantitativa e la distribuzione cronologicamente ampia consentono quindi in questo caso di individuare, oltre al picco massimo di registrazioni, anche dei sottogruppi 109 A. SODDU e G.STRINNA (a cura di), Il Condaghe di San Pietro di Silki, Nuoro 2013. Il riferimento è a

questa edizione e alle pagine citate anche in Tabella n. 3, CSPS – Condaghe di San Pietro di Silki.

comunque numericamente analoghi. Fino al 1082 infatti il numero complessivo di schede risulta essere 51. Poi, come detto, 46 tra 1082 e 1127. Successivamente 63 tra 1127 e fine del XII secolo. Infine 25 tra inizio e metà del XIII secolo.Alcune schede risultano anche registrate più volte, sebbene solo con modifiche o integrazioni ma trattanti analogo tema.

Anche in questo condaghe il termine homines (o omines e, per entrambi, sia al singolare, più raramente, che al plurale e con riferimento indifferentemente a genere maschile o femminile) ricorre frequentemente e con significati diversi, comunque non necessariamente indicativi di una particolare condizione, libera o non-libera, sebbene sia spesso relativo a quest’ultima. Le attestazioni di questo termine in un contesto di definizione di presunta condizione non-libera sono molte, alcune più vaghe e soggette a interpretazioni contrastanti, altre decisamente più nette. Per la casistica completa si rimanda alla Tabella n. 3, CSPS – Condaghe di San Pietro di Silki, limitando l’analisi in questa sezione solo alle occorrenze ritenute più significative. Partendo da una delle prime schede registrate, la

2 15 8 3 12 11 19 1 18 46 13 1 2 12 4 19 0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 da 1237 1218-1229 1198(-1210?) 1191-1198 1180-1191 1154-1191 1147-1153 1144-1146 1130-1147 1082-1127 1073-1082 1065-1080 1065-1073 (contenuto: fine X-metà XI) 1065-1073 1065 ca. 1065 ante

CSPS - Distribuzione cronologica schede evidenziate

(tot. 186 su 443 - 42%)

n. 317 (1065 ante)111, è evidenziata una donazione riguardante complessivamente trentadue

soggetti, definiti inizialmente in modo generico con il termine homines ma rimandando all’elenco dettagliato subito successivo dove risultano essere oggetto di donazione genitori e figli, facendo quindi emergere una probabile condizione ereditaria caratterizzante il rapporto di dipendenza servile. La scheda n. 49 (1065-1073)112 offre invece dettagli relativi

all’omicidio di un omine che nel corpo del testo della registrazione è esplicitamente indicato come servu. Spartizioni di homines sono attestate in molte schede, per esempio la n. 320 (1065-1073)113 dove si legge «parthivi homines cun Petru de Kerki, a Margherita et a

Bonita», o la n. 84 (1082-1127)114 in cui Dericcor de Gitil dona a San Pietro di Silki

«homines e terras e binias». La formula più esplicita e completa «homine intregu» è attestata per esempio nella scheda n. 93 (1082-1127)115, mentre la n. 97 (1082-1127)116

riporta l’indicazione latus. La n. 110 (1082-1127)117 offre i dettagli di un kertu relativo al

reclamo di un risarcimento per l’uccisione di un servu presumibilmente da parte di Pietro Manata, quest’ultimo inizialmente indicato come homine e successivamente come servu, al pari della vittima. Una spartizione con cessione di pede e giornate di homines è poi documentata nella scheda n. 181 (1082-1127)118. Le varie quote di proprietà (intregu, latus

e pede) sono contestualmente attestate con riferimento a homines nella n. 376 (1180- 1191)119. Una particolare indicazione di spartizione è dettagliata nella scheda n. 405 (1218-

1229)120 dove si legge che Elena, figlia di Susanna, rimane «ad cumone» tra San Pietro di

Silki e San Nicola di Guthules. Per concludere con questo tema, l’attestazione specifica di

servu e anchilla, con riferimento al più generico homines, è poi riportata nella scheda n.

407 (1218-1229)121.

Altro tema da trattare per quanto concerne questa preziosa fonte ricca di dettagli significativi per la presente ricerca è l’attestazione di varie tipologie di homines e servos in

111 CSPS, scheda n. 317, pp. 272-273. 112 CSPS, scheda n. 49, pp. 120-121.

113 CSPS, scheda n. 320, pp. 274-275, in questo homines è riferito a due donne, Margherita e Bonita. 114 CSPS, scheda n. 84, pp. 140-141. 115 CSPS, scheda n. 93, pp. 144-145. 116 CSPS, scheda n. 97, pp. 148-149. 117 CSPS, scheda n. 110, pp. 158-159. 118 CSPS, scheda n. 181, pp. 188-189. 119 CSPS, scheda n. 376, pp. 308-309. 120 CSPS, scheda n. 405, pp. 326-327.

121 CSPS, scheda n, 407, pp. 328-329. Si noti anche il ricorso a termine anquilla nella scheda n. 427 (1218-

1229), CSPS, pp. 342-343, o ansilla nelle schede n. 90 e n. 91 (1082-1127), CSPS, pp. 144-145, n. 98 (1082- 1127), CSPS, pp. 148-149 e n. 3 (1191-1198), CSPS, pp. 88-89.

molte schede. La n. 205 (1130-1147)122 riporta l’attestazione di «liveros ispesoniarios» in

un contesto più generale, e particolarmente rilevante, di «kertu de servos et de anchillas» che, in quanto «furun andatos pro livertatos, e non bolean faker servithu ki fakean parentes issoro in famiia», si vedono citati nella corona del giudice Gonnario de Lacon affinché si presentino «cum cartas avunde bolean esser liveros ispesoniarios» (“liberi affittuari”). Viene chiamato a testimoniare Costantino de Monte, «servu de clesia» di San Pietro di Silki, il quale conferma sotto giuramento che «custu homines uve kertat donnu Mariane de Maroniu, de fiios de servos de famiia de Sanctu Petru de Silki sun, ki non furun livertatos» e che di conseguenza ricevono dal giudice la conferma di dipendenza da San Pietro di Silki, come l’intera famiia, in quanto «non iusserun cartas a corona». Il giudice si spinge anche oltre nelle sue valutazioni, disponendo che costoro «ki non battusserun sas cartas ca, si vattun avestara cartas, de no las creder, o mal esserent, o bonas», evitando quindi che in una possibile futura lite si possa ricorrere a documenti contraffatti o predisposti all’occorrenza al fine di compiere un tentativo di capovolgere il giudizio pronunciato. Segue l’elenco dettagliato dei soggetti coinvolti e che vengono ora formalmente indicati come «homines ki se me levavan pro livertatos», includendo genitori, fratelli, sorelle, figli e nipoti. Ulteriori riferimenti alla discendenza e alla verosimile ereditarietà della condizione sono evidenziati dalla formula «depus isse», quando riferito a legame con condizione dell’uomo, o «depus issa», quando riferito a legame con condizione della donna. Una simile rivendicazione di modifica della condizione in direzione della libertà è offerta anche nelle schede n. 338 (1130-1147)123 dove si ricorre alla formula «fekit livera» relativamente a una

lite in merito alla assegnazione dei figli di Pietro Manuta da parte di madre, Giorgia de Nurechi, rivendicata come soggetta a condizione di dipendenza, e n. 243 (1154-1191)124

dove si fa riferimento a documenti validati in precedenti liti in cui il giudice aveva riconosciuto la condizione di livera di Maria Porkella, con relative conseguenze sulla 122 CSPS, scheda n. 205, pp. 208-213.

123 CSPS, scheda n. 338, pp. 280-283. Si veda anche CSMS, scheda n. 230 (1120-1140) precedentemente

analizzata e citata in relazione alla locuzione «livres hechas». Da rilevare anche in CDS un documento prodotto in Logudoro il 20 maggio 1136 e attestante una formula analoga in questo caso però rivolta alla chiesa di San Michele di Terricello da parte del giudice Gonnario di Lacon affinchè possa disporre delle prestazioni dei servi disponibili in completa autonomia ed esclusività. Si legge infatti «Et cando la petti sa ecclesia non vi abiat fora de unu pede de homine, et una terra de fune; et osca pettinde voluntate assu donnu meu judice Gonnari de Laccon, et isse ca donnu bonu fecitilia livera sa ecclesia, et vocatillos sos servos kincian esser de omni opera, ki non vaian, nen opera de rennu, nen de regulu, nen de curatore, nen maiore, nen de nullomine natu, sine voluntate de Priore ki laet tenner sa ecclesia». CDS, Tomo I, Vol. 1, doc. XLV, p. 210.

spartizione dei figli avuti con Viventi, «servu de Sanctu Petru». In questo caso la lite si conclude con la definizione della condizione di servos per tutti i figli.

Gruppi di soggetti indicati come servos sono definiti con il termine isclatta/isclata (cioè “stirpe”, “famiglia”, “razza”, “parentela”, “nascita”, “progenie”125) in due schede, la n. 345

(1130-1147)126 e la n. 284 (1191-1198)127, in quest’ultima con anche riferimento ai diffusi

termini latus e intregu, in ambito di lite su servos in entrambi i casi appartenenti alla «domo de Teclata».

Anche in questa fonte l’attestazione dei termini intregu, pede, latus e giornate previste per la prestazione di servizi è ampiamente diffusa128. Una caratteristica particolare è offerta

dalla scheda n. 18 (1218-1229)129, nella quale il termine pede è associato alla definizione

più specifica di «III dies de custu pede». Ammettendo il riferimento alle quote mensili, sembra questa essere una indicazione di proprietà sostanzialmente del pede del soggetto, il fratello di donna Giusta de Cleu, con tre delle complessive quattro giornate previste dalla quota attestata. Nella scheda n. 85 (1082-1127)130 si nota anche il riferimento ai tre quarti,

III pedes, di alcuni individui e di alcune giornate, II dies, di altri. La donazione registrata

alla scheda n. 181 (1082-1127)131 riporta la formula «dies d’omine» con, successivamente,

definizioni più dettagliate delle varie quote di proprietà o giornate. La scheda n. 155 (1147- 1153)132 rende esplicito il riferimento a «II dies in mese» per Giorgia Prias, con diritti futuri

rivendicabili anche sui suoi figli.

125 CSPS, p. 392. Cfr. anche tra gli altri G.PAULIS (a cura di), Pietro Casu. Vocabolario sardo logudorese-

italiano, Nuoro 2002, p. 480 (voce “èssere”), p. 577 (voce “grèze”), 739 (voce “iscètta”), 834 (voce “istìrpe”),

976 (voce “nadìa”), p. 979 (voce “nassiòne”), p. 1025 (voce “paràdu”), p. 1028 (voce “parèda”), p. 1032 (voce “pàru”), p. 1136 (voce “pulzénia”), p. 1159 (voce “ràzza”), p. 1161 (voce “rébbula”), p. 1184 (voce “répula”), p. 1220 (voce “sàmbene”); A.SOLMI, Le carte volgari dell’Archivio Arcivescovile di Cagliari. Testi Campidanesi dei secoli XI-XIII, in “Archivio Storico Italiano”, vol. 35 (1905), pp. 273-330, in

particolare p. 322; G.PAULIS, Studi sul sardo medioevale, in “Officina Linguistica”, Anno I, n. 1, settembre 1997, p. 41; M.L.WAGNER (a cura di G.PAULIS), La vita rustica, Nuoro 1996, p. 331, nota 504; M.VIRDIS

(a cura di), Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, Nuoro 2003, p. 304 (voce “natias”).

126 CSPS, scheda n. 345, pp. 286-287. 127 CSPS, scheda n. 284, pp. 248-249.

128 A titolo esemplificativo, anche con contestuale indicazione di una, alcune o tutte le possibili quote di

proprietà e giornate specifiche, si vedano le schede n. 67 (1073-1082), CSPS, pp. 128-129, n. 56 (1082-1127), CSPS, pp. 122-125, n. 85 (1082-1127), CSPS, pp. 140-141, n. 109 (1082-1127), CSPS, pp. 156-159, n. 154 (1147-1153), CSPS, pp. 176-179, n. 353 (1180-1191), CSPS, pp. 294-295, n. 14 (1218-1229), CSPS, pp. 98- 99. 129 CSPS, scheda n. 18, pp. 100-101. 130 CSPS, scheda n. 85, pp. 140-141. 131 CSPS, scheda n. 181, pp. 188-189. 132 CSPS, scheda n. 155, pp. 178-179.

La scheda n. 441 (da 1237)133 registra la condizione specifica di «servum de ginithu

bonum»134 di Costantino d’Etim, indicato anche come mastru. Si tratta di un servizio di

carattere più dignitoso rispetto agli altri servizi comuni, normalmente prestato a favore di un ente particolare, nel caso specifico a San Gavino di Torres. È l’unica attestazione di questo tipo di servizio nell’intero condaghe. Si noti anche la qualifica di mastru attribuita a Costantino d’Etim, a ulteriore supporto della specializzazione del tipo di prestazione dovuta, per quanto comunque relativa a un servo. Altri riferimenti a specifici ambiti professionali sono contenuti anche nella scheda n. 101 (1082-1127)135 dove uno dei quattro

figli di Furatu Trampas «morivit servindeli ad isse in capras», quindi svolgendo attività di capraro, e nella n. 244 (1147-1153)136 in cui Dorgotori Mugra, oggetto di una permuta di

«latus et I die», è definito come mastru, verosimilmente un artigiano.

La scheda n. 101 sopra citata fornisce inoltre una utile indicazione relativa al fatto che Furatu Trampas sia morto prima di raggiungere l’età prevista per potere prestare servizio, sebbene questo dato non sia ulteriormente precisato. Analogo riferimento anagrafico è offerto anche nella scheda n. 45 (ante 1065)137 in merito al figlio di Dericcor de Martis e

della anchilla Maria de Fontana, Giusto Lassu, che viene sottratto per soddisfare la prestazione dei servizi dovuti solo al compimento della età necessaria per servire. Raggiungono una età «de tenner opus» i figli di Urgekitana e Giorgio Carta, «servu de paperos», come descritto nella scheda n. 38 (1065-1073)138. Ancora, la n. 68 (1073-1082)139

riporta i dettagli di una spartizione di servos i cui «fiios aveat de servire», avendo quindi evidentemente raggiunto l’età stabilita per poter prestare servizi.

Nel condaghe è poi presente anche un altro particolare riferimento temporale ricorrente nella storiografia relativa alla servitù e al servaggio, quello dei trent’anni. Questa

133 CSPS, scheda n. 441, pp. 350-351.

134 Cfr. anche in merito P.F.SIMBULA,A.SODDU, Forme di servitù e mobilità dei servi in Sardegna cit., p.

367.

135 CSPS, scheda n. 101, pp. 150-151. 136 CSPS, scheda n. 244, pp. 226-227. 137 CSPS, scheda n. 45, pp. 118-119.

138 CSPS, scheda n. 38, pp. 112-113. Si noti anche la particolare indicazione «anchilla de paperos» e «servu

de paperos» nello stesso documento. Analoghe attestazioni (paperos o pauperos) riferite a uomini e donne sono riscontrabili anche nelle schede n. 25 (ca. 1065), CSPS, pp. 104-105, n. 37 (1065-1073), CSPS, pp. 112- 113, n. 38 (1065-1073), CSPS, pp. 112-113, n. 339 (1065-1073), CSPS, pp. 282-283, n. 342 (1065-1073), CSPS, pp. 284-285, n. 34 (1073-1082), CSPS, pp. 110-111, e in questa scheda il termine paperos è associato a donnos ovverosia proprietari, n. 297 (1073-1082), CSPS, pp. 256-258, n. 300 (1073-1082), CSPS, pp. 258- 259, n. 303 (1073-1082), CSPS, pp. 260-261, n. 304 (1073-1082), CSPS, pp. 260-261) e n. 65 (1082-1127), CSPS, pp. 128-129.

indicazione viene fornita nella scheda n. 273 (1130-1147)140 in occasione di un «kertu de

servis» dove si contesta una sottrazione dei «fiios de Gosantine Mancu e de Susanna de Castra» per i quali non si è usufruito delle prestazioni di servizi proprio per un periodo di trent’anni e che vengono restituiti a seguito di ricorso al giudizio della corona con giuramento e conferma da parte di testimoni. A differenza di quanto detto precedentemente in merito a indicazioni di carattere anagrafico relative a dettagli su possibili età significative in tema di dipendenza non-libera, in questo caso il preciso arco temporale specificato definisce invece in alcuni contesti quel periodo di tempo che, se trascorso al servizio di un signore fondiario anche in assenza di vincolo costituito contrattualmente, porta legittimamente a considerare il soggetto un servo; viceversa, come nel caso del qui citato condaghe sebbene la sentenza deponga poi a sfavore dei ricorrenti, qualora non sia possibile dimostrare la fruizione di prestazioni servili per una durata di almeno trent’anni, allora non si può formalmente considerare di condizione non-libera i soggetti coinvolti. Francesco Panero, trattando del tema della manenza in alcune aree della Toscana, chiarisce l’origine della «dipendenza ereditaria» che risulta infatti «accesa da un contratto o determinata dalla permanenza sul fondo per più di trent’anni da parte dei figli degli ascrittizi, dopo la morte dei genitori»141. In questo caso specifico non vi è evidenza formale che i genitori possano

essere definiti come ascrittizi, ma il riferimento ai trent’anni potrebbe essere considerato da un lato come indicativo di tale condizione oppure, dall’altro, come disposizione valida a prescindere dallo status ascrittizio e riferibile indistintamente a tutti i soggetti di condizione non-libera.

140 CSPS, scheda n. 273, pp. 240-241.

141 F.PANERO, Signori e servi. Una conflittualità permanente cit., p. 312. A supporto di questa tesi viene

citato P.VIGNOLI (a cura di), I Costituti della legge e dell’uso di Pisa (sec. XII), Roma 2003. Il tema è anche

trattato organicamente in F.PANERO, Schiavi, servi e “homines alterius” nelle città e nelle campagne

dell’Italia centro-settentrionale (secoli IX-XII), in AA.VV., Città e campagna nei secoli altomedievali.

Settimane di studio della Fondazione Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, LVI, Spoleto 2008, pp.

897-973; ID., Libera contrattazione e patti di manenza ascrittizia fra Piemonte sud-orientale, Liguria di Levante e Lunigiana (secoli XII e XIII), in R.LLUCH BRAMON,P.ORTI GOST,F.PANERO,L.TO FIGUERAS (a cura di), Migrazioni interne e forme di dipendenza libera e servile cit., pp. 279-306. Cfr. anche E.CONTE,

Altra categoria specifica di cui si offre dettaglio è quella del previteru indicato per esempio come «servu intregu de Sanctu Petru de Silki» nel caso di Stefano Solina142, di «previteru

Pantaleo cun V fiios suos»143 o di Basilio144.

L’attestazione del termine terrale è presente in tre documenti in modo talvolta ambiguo e più difficilmente definibile in merito alla condizione dei soggetti così definiti145, ma in un

caso specifico con riferimento della discendenza dai genitori di esplicita condizione per quanto riguarda «terrale a Petru Carta, fiiu de servu suo e d’anchilla».

Con riferimento a quanto già rilevato precedentemente per il condaghe di San Nicola di Trullas, anche in questa fonte si evidenzia l’attestazione di culivertu, colivertos o colivertas ma con una maggiore frequenza. Si tratta per iniziare della scheda n. 27 (ante 1065)146

relativa a «levatura a larga de servos» (“rapimento, sottrazione”) e, in particolare, di Elena de Fontana che «non fekit pettita alicando nen a donnu, nen a colivertu» quindi attribuendo a quest’ultimo possibili diritti rivendicabili su Elena, al pari del donnu contestualmente citato. Nella n. 317 (ante 1065)147 si fa invece riferimento a colivertos invitati come

testimoni di una donazione riguardante homines e relativi fiios. La scheda De servos n. 34 (1073-1082)148 offre una interessante registrazione della restituzione di «tottu su fetu dessas

colivertas meas» su disposizione del giudice, a testimonianza del destino riservato alla prole di colivertas in un caso di matrimonio con servos senza l’autorizzazione da parte del donnu, del «mandatore de Sanctu Petru» o dei loro stessi fratelli. Un altro caso altrettanto esplicito è quello registrato nella scheda n. 66 (1073-1082)149 dove Susanna Tana, attestata

contestualmente come coliverta e anchilla, viene reclamata a seguito di sottrazione e, sebbene il recupero della stessa sia difficoltoso a causa di un matrimonio apparentemente non scioglibile, la cui prole futura sarà alle dipendenze di San Pietro di Silki. La n. 95 (1082-1127)150 registra invece un «kertu de servos» in cui è coinvolta una coliverta sottratta

142 CSPS, scheda n. 47 (ante 1065), pp. 120-121. Cfr. anche in questo caso quanto rilevato in merito ai “servi-

presbiteri” in R.TURTAS, La «cura animarum» in Sardegna cit..

143 CSPS, scheda n. 317 (ante 1065), pp. 272-273.

144 CSPS, scheda n. 70 (1073-1082), pp. 130-131. Cfr. anche in merito R.TURTAS, Storia della chiesa in

Sardegna: dalle origini al Duemila, Roma 1999. Il tema è trattato più approfonditamente nel capitolo dedicato

alle conclusioni (Capitolo IV).

145 CSPS, schede n. 229 (1130-1147), pp. 220-221 e n. 337 (1130-1147), pp. 280-281, sebbene in quest’ultimo

caso attestato contestualmente e in contrapposizione a un altro soggetto definito come servu.

146 CSPS, scheda n. 27, pp. 104-107.

147 CSPS, scheda n. 317, pp. 272-273. Colivertos sono indicati come testimoni anche nella scheda n. 224

(1130-1147), CSPS, pp. 218-219.

148 CSPS, scheda n.343, pp. 110-111. 149 CSPS, scheda n. 66, pp. 128-129. 150 CSPS, scheda n. 95, pp. 146-147.

da un servu e successivamente recuperata con tanto di percosse inflitte al servu responsabile dell’azione. Analoga situazione viene registrata anche nella scheda n. 98 (1082-1127)151,

dove inoltre il reclamante, «previteru Ithoccor de Fravile», è accompagnato da altri

colivertos. Analoghe anche le circostanze descritte nella n. 111 (1082-1127)152 con

l’indicazione della stessa donna come coliverta e anchilla. La scheda n. 110 (1082-1127)153

registra invece contestualmente e in apparente contrapposizione i termini colivertu, un tale Balsamu, servu e homine/omine.

Si sono precedentemente descritti alcuni casi di sottrazione di servos o anchillas, spesso a causa di intenzioni matrimoniali anche in coppie miste. Le schede che testimoniano di questi eventi, «levatura a larga» o restituzione, sono decisamente numerose, 46 in tutto, quantitativamente così distribuite: 8 (ante 1065), 2 (1065 ca.), 4 (1065-1073), 4 (1073- 1082), 16 (1082-1127), 2 (1130-1147), 1 (1144-1146), 2 (1147-1153), 1 (1154-1191), 4 (1180-1191), 1 (1198-1210?) e 1 (1218-1229)154. Si nota un picco significativo tra 1082 e

1127, quasi un terzo del totale delle schede evidenziate, con una chiara diminuzione a partire dal secondo quarto del XII secolo a fronte di una più ampia concentrazione nel corso della seconda metà del secolo XI. Rimandando alle fonti citate per le varie casistiche, è quindi opportuno sottolineare la consistenza numerica delle schede che descrivono tali circostanze, in particolare in relazione alla documentata possibilità di recupero, con più o meno successo, di uomini e donne su cui evidentemente si vantano diritti derivanti da dipendenza ereditaria e riconosciuti dalla corona.

La scheda n. 28 riporta per esempio il caso della sottrazione di Giorgia Manca da parte di «Gosantine Tusu, servu de Nicola Regitanu», con conseguente restituzione anche dei

151 CSPS, scheda n. 98, pp. 148-149. 152 CSPS, scheda n. 111, pp. 158-159. 153 CSPS, scheda n. 110, pp. 158-159.

154 CSPS, raggruppate in ordine cronologico si tratta delle seguenti schede. Ante 1065: n. 27 (pp. 104-107),

n. 31 (pp. 108-109), n. 42 (pp. 114-117), n. 43 (pp. 116-117), n. 44 (pp. 116-119), n. 45 (pp. 118-119), n. 46 (pp. 118-121), n. 57 (pp. 124-125); circa 1065: n. 25 (pp. 104-105), n. 28 (pp. 106-107); 1065-1073: n. 33 (pp. 108-111), n. 48 (pp. 120-121); n. 319 (pp. 272-273), n. 342 (pp. 284-285); 1073-1082: n. 34 (pp. 110- 111), n. 66 (pp. 128-129), n. 68 (pp. 128-131), n. 298 (pp. 258-259); 1082-1127: n. 65 (pp. 128-129), n. 72 (pp. 132-133), n. 73 (pp. 132-133), n. 75 (pp. 134-135), n. 77 (pp. 134-137), n. 80 (pp. 136-139), n. 85 (pp. 140-141), n. 89 (pp. 142-145), n. 95 (pp. 146-147), n. 98 (pp. 148-149), n. 99 (pp. 148-151), n. 100 (pp. 150- 151), n. 105 (pp. 154-155), n. 106 (pp. 154-155), n. 111 (pp. 158-159), n. 112 (pp. 160-161); 1130-1147: n. 147 (pp. 174-175), n. 273 (pp. 240-241); 1144-1146: n. 372 (pp. 304-305); 1147-1153: n. 185bis (pp. 192- 193), n. 307 (pp. 262-263); 1154-1191: n. 204 (pp. 206-209); 1180-1191: n. 282 (pp. 246-247), n. 349 (pp. 290-291), n. 365 (pp. 300-303) analoga a n. 374 (pp. 306-307); 1198(-1210?) n. 391 (pp. 316-319); 1218- 1229: n. 409 (pp. 328-331).

quattro figli concepiti dalla coppia155. La n. 31 offre invece dettagli relativi alla gravità del

gesto di sottrazione, al punto da minacciare di morte il responsabile dell’azione avendo mancato di rispetto a colui a cui l’individuo è stato sottratto156. La n. 42 riporta poi un caso

di matrimonio tra anchillas e servos senza consenso del vescovo Giorgio con conseguente disposizione de parte del giudice Barisone di restituzione delle stesse anchillas e dei figli avuti157. Un’altra relazione illegittima con restituzione di Giusto Lassu, figlio della coppia

coinvolta, è documentata nella scheda n. 45158. Il «kertu de servis» registrato nella scheda

n. 46 indica la concessione della possibilità di recupero di una donna intrega a distanza di