Con Le prime “Ordinanze” di Castello di Cagliari (1347), edite nel 2007 a cura di Joan Armangué i Herrero, si torna alla fine della prima metà del XIV secolo (1346-1347), con il testo in lingua originale «Ordinacions fetes per los honrats consellers e prohòmens del Castell de Càller en la Cort de la vegueria del dit Castell» e traduzione in italiano «Ordinanze fatte dagli onorati consiglieri e probiuomini di Castello di Cagliari nella Corte della vicarìa del suddetto Castello»596. Dei 147 documenti editi, 14 (9,5%) risultano
interessanti per questa ricerca.
594 Ibidem, p. 314. «Pietro Sagarra, procuratore regio in Sardegna, informa il re sulla situazione dell’isola.
Nell’isola si mormora fra i vassalli che il re ha dato in pegno al marchese di Oristano le incontrade di Marmilla e di Parte Valenza e che il marchese deve prenderne possesso. Dice che il marchese non è molto ligio agli ufficiali regi e che possiede 400 uomini a cavallo mentre la Corona ne possiede solo 100. Perciò, e tanto più che Valore de Ligia e suo figlio sono stati uccisi, egli teme che possa verificarsi qualche torbido. Il conte di Quirra e i consiglieri di Cagliari contrasteranno il marchese, se vorrà prendere possesso dei territori predetti, e ciò sarà causa di guerra. Comunica inoltre che i sardi della baronia di Galtellì si sono ribellati contro Ferrando de Castillo e stringono d’assedio il suo castello. Il Sagarra chiede che il re provveda a sanare la situazione».
595 Ibidem, p. 317. «I consiglieri di Alghero, unitamente a Raimondo Zatrilla, governatore del Logudoro, e a
Fernando Pardo, vicario della città, considerando lo spopolamento della villa, dovuto alla guerra, chiedono al re che permetta agli ebrei desiderosi di mantenere la loro fede religiosa, di trasferirsi ad Alghero. Essi fuggono dalla Catalogna, Aragona e Valenza e vanno in Provenza o altrove, in quanto non vogliono convertirsi. Potrebbero essere accolti ad Alghero, dove altri già dimorano, buoni vassalli della Corona, distintisi nella lotta contro i Sardi, e dove potrebbero godere immunità nei confronti del volere di Benedetto XIII».
596 J.ARMANGUÉ I HERRERO, Le prime “Ordinanze” di Castello di Cagliari (1347), in “Quaderno di cultura
sarda”, 2 (dicembre 2007), pp. 19-80. Si veda anche una prima edizione dello stesso codice a cura di Michele Pinna: M.PINNA, Le ordinanze dei Consiglieri del Castello di Cagliari del Secolo XIV, in “Archivio Storico Sardo”, XVII (1929), pp. I-XXV e 1-272. Cfr. anche F.MANCONI (a cura di), Libro delle ordinanze dei
L’occorrenza più significativa è quella relativa al termine condició, attestato in 9 documenti, a seguire quella del lemma esclau (e declinazioni varie) in 4 carte e, per concludere in termini di analisi quantitativa, quella di sarahin in 1 documento attestato senza altri riferimenti e in 1 carta contestualmente al termine esclau precedentemente introdotto.
Partendo da quest’ultimo lemma, sarahin, esso risulta attestato nel documento n. 61 (1347) che recita «Dels sarrahins. Ítem, que alcun sclau sarrahín qui pach setmana no gos anar menys de ferres en les cames qui pesen VI libres, ne anar per lo dit Castell pus que la campana cascun vespre aurà tocat menys de guàrdia. E si contra les dites coses o alcuna d’aquelles fet serà, pagarà lo senyor da qui lo dit esclau serà per pena cada vegada XX sous»597. Si nota in questo caso la locuzione «esclau sarrahín» legata all’origine specifica
dell’individuo, saraceno, e a precise disposizioni circa le modalità, alquanto gravose, di circolazione all’interno del Castello di Cagliari, con evidente riferimento a una condizione personale di schiavitù – giuridicamente comprovata sia dal lemma esclau cui si fa ricorso sia dalla contestuale indicazione di eventuali responsabilità di un padrone che non sembra quindi lasciare dubbi – la quale impone l’utilizzo pubblico di pesanti catene e dell’accompagnamento da parte di un guardiano, pena una sanzione da comminare al
senyor dello stesso esclau, responsabile delle azioni del soggetto alle sue dipendenze.
Il termine sarahins è attestato anche nel documento n. 89 (1347), che prevede «Ítem, que alcun barquer ne altra no gos jaquir de nits rems ne veles en alcuna barcha en alcuna part de la ribera del port del dit Castell fora la paliçada ne en l’estany, sots pena de XX sous per cascuna vegada. E ultra açò pagarà lo dan qui axí per fuyta de sarahins com per altra rahon se seguirà»598. È prevista quindi una sanzione anche per il danno procurato dalla possibile
fuga di sarahins dal Castello di Cagliari, evidentemente con la precisa volontà e legittimità di limitarne la mobilità in quanto legati da rapporti di dipendenza che prevedono vincoli alla residenza per questi soggetti, saraceni, non più precisamente identificati a differenza
597 J.ARMANGUÉ I HERRERO, Le prime “Ordinanze” di Castello di Cagliari cit., p. 40 (traduzione italiana a
p. 65: «Dei saraceni. Inoltre, che nessuno schiavo saraceno durante i lavori settimanali osi aggirarsi senza catene che pesino 6 libbre nelle gambe, né aggirarsi senza guardiano per il suddetto Castello dopo che la campana avrà suonato di sera. E se si contravverrà alle suddette cose o ad alcuna di quelle, il padrone del suddetto schiavo per ogni volta pagherà per pena 20 soldi»).
598 Ibidem, p. 44 (traduzione italiana a p. 65: «Inoltre, che nessun barcaiolo o altra persona osi lasciare di notte
remi o vele in qualche barca in alcuna parte del bacino del porto del suddetto Castello fuori della palizzata o nello stagno, sotto pena di 20 soldi per ogni volta. E oltre a ciò pagherà il danno che tanto per la fuga di saraceni quanto per altra ragione ne deriverà»).
del documento precedentemente citato, tuttavia con un esplicito riferimento a uno degli aspetti tipici dei rapporti servili che verosimilmente definisce le caratteristiche della condizione personale di questi individui.
Di esclau, in termini più generici e non legati a precisa origine etnico-geografica, si tratta anche nei documenti n. 62, 63 e 107.
Il n. 62 (1347) riporta il seguente testo «Dels sclaus qui fogiran. Ítem, que alcuna persona no gos tractar ne donar obra que alcun sclau sarrahí, o grech o batiat, ne esclava fuge per mar ne per terra. E qui contrafarà, si és cristià serà penjat en guisa que muyra. E si serà sarahí, batiat o grech, serà rocegat en guisa que muyra. E ço que·l dit esclau aurà costat, serà esmanat e pagat al senyor daqui serà entre tots los altres sclaus del dit Castell o per lurs senyors»599. Si tratta in questo caso nuovamente delle sanzioni applicabili alle fughe
di schiavi, non solo saraceni ma anche di altra origine e senza distinzione di genere. La pena prevista è addirittura la morte per impiccagione, qualora il responsabile sia un cristiano, o a seguito di duri maltrattamenti negli altri casi, a indicare la estrema gravità dell’azione e prevedendo inoltre sanzioni a compensazione del danno procurato al padrone del fuggitivo.
Il documento successivo, il n. 63 (1347), tratta invece aspetti economico-commerciali legati alla condizione di esclau. Si legge infatti «De no comprar roba d’esclau. Ítem, que alcuna persona no gos ne presomesque comprar alcuna roba d’alcun sclau o esclava ne aquell esclau o esclava fer préstech sobre roba alcuna. E qui contrafarà pagarà per cada vegada C sous. E no res menys perdrà ço que prestat hi aurà e la roba la qual comprada aurà»600. Vige
dunque il divieto di acquisto di beni di proprietà di uno esclau o esclava, riconoscendo loro implicitamente una generica possibilità di possederne, ma escludendoli drasticamente dagli scambi commerciali con altri individui, a conferma quindi della limitazione della loro libertà. Il divieto sembrerebbe altresì esteso alla intera popolazione, quindi non solo ai soggetti liberi, ma anche all’interno della stessa comunità di schiavi e schiave.
599 Ibidem, p. 40 (traduzione italiana a p. 65: «Degli schiavi che fuggiranno. Inoltre, che nessuna persona osi
tramare o prodigarsi in modo che alcuno schiavo saraceno, greco o battezzato oppure schiava, fugga per mare o per terra. E chi contravverrà, se è cristiano verrà impiccato in modo che muoia. E se sarà saraceno, battezzato o greco, verrà strascicato in modo che muoia. E ciò che quello schiavo sarà costato al suo padrone, sarà indennizzato e pagato da tutti gli altri schiavi del suddetto Castello o dai loro padroni»).
600 Ibidem (traduzione italiana a p. 65: «Di non comprare cosa da uno schiavo. Inoltre, che nessuna persona
osi o ardisca comprare alcuna cosa da qualche schiavo o schiava, né fare prestito con qualcosa in pegno a quello schiavo o schiava. E chi contravverrà, per ogni volta pagherà 100 soldi. E inoltre perderà ciò che avrà prestato e la cosa che avrà comprato»).
Analogo divieto quello registrato nel documento n. 107 (19 settembre 1346), dove si legge che «Qui prestarà a esclaus. Ítem, que alguna persona cristiana, ço és a·ssaber ne jueu ne d’altre ley, no gos ne presumesque prestar sobre penyora algun sclau o esclava o catiu d’altre, ne encara a·lcun macip o servicial o macipa qui estia ab altre. E qui contrafarà perdrà ço que prestat aurà e la penyora que reebuda n’aurà; e no res menys pagarà per pena cada vegada XX sous, sens tota remissió e mercè»601. Non è considerato quindi legittimo il
prestito di denaro da parte di alcuno a favore di «esclau o esclava o catiu», ma anche di «macip o servicial o macipa» fornendo quindi allo stesso tempo dettagli aggiuntivi circa le categorie interessate da tale disposizione, le quali includono alcuni dei termini classici per indicare gli schiavi – adottati anche per rimarcare le differenze rispetto al nuovo servaggio bassomedievale602 –, quali catiu (captivus) e macip/macipa (mancipia).
Di condició, e in particolare di «persona de qualque/qualsevol condició» si parla invece nei documenti n. 109, 110, 118, 121, 123, 124, 130, 137 e 145.
La carta n. 109 (16 novembre 1346) recita «Ara ojats què mana el veguer del senyor rey ab voluntat dels conssellés, que neguna persona de qualque condició sia no gos entrar ni fer camí en la terra qui és entre lo monestir dels fraremenors e lo mur de la Lapola, la qual terra ara novelament an voleiada. E qui contrafarà pagarà per pena III sous. Del qual ban aurà les dues parts de la cort del senyor rey e la terça part l’acusador»603.
Al documento n. 110 (31 maggio 1346) si legge «Ara ojats què mana lo vaguer del senyor rey ab voluntat dels conssellés de Castell de Càler, que tothom e tota persona de qualque condició sia qui d’assí avant metrà forment ho ordi dins Castell de Càller ho en los appendicis d’aquell per mar o per terra, que encontinent ho dejen denunciar als compradors 601 Ibidem, p. 48 (traduzione italiana a p. 73: «Chi farà un prestito a schiavi. Inoltre, che nessuna persona
cristiana, s’intende cioè né ebreo né d’altra Legge, osi o ardisca fare un prestito con pegno in cambio ad alcuno schiavo o schiava o prigioniero altrui, né ancora ad alcun servo o famiglio o serva che si trovi con altri. E chi contravverrà, perderà ciò che avrà prestato e il pegno che ne avrà ricevuto; e inoltre, per ogni volta pagherà per pena 20 soldi, senza alcuna remissione e indulgenza»).
602 Cfr. in merito tra gli altri F.PANERO, Il nuovo servaggio dei secoli XII-XIV in Italia cit., pp. 115-116: «Per
quanto riguarda il vocabolario utilizzato dai giuristi bassomedievali, si può osservare che questo trova riscontro negli atti pubblici e privati e fa riferimento ai termini classici (servitus, manumissio, liver homo,
livertus, servus, anchilla, mancipia ecc.) solo per indicare la contrapposizione fra le condizioni generali di
liberi, liberti e servi, mentre a partire dalla prima metà del secolo XII si diffondevano i nuovi vocaboli del servaggio sia nella contrattualistica agraria delle regioni del centroitalia sia nelle dichiarazioni di asservimento e negli atti di liberazione».
603 J.ARMANGUÉ I HERRERO, Le prime “Ordinanze” di Castello di Cagliari cit., p. 48 (traduzione italiana a
p. 73: «Ora udite che cosa ordina il veghiere del signor re con il volere dei consiglieri, che nessuna persona, di qualsiasi condizione sia, osi entrare né camminare nel terreno che si trova tra il monastero dei Frati Minori e il muro della Lapola, il quale terreno ora hanno nuovamente vangato. E chi contravverrà pagherà per pena 3 soldi. Della quale multa, due parti le avrà la corte del signor re e la terza parte l’accusatore»).
o levadós de la ajuda del dit forment he ordi. E qui contrafarà pagarà per cascuna vegada de ban XX sous, e no res menys pagarà la dita ajuda»604.
Il documento n. 118 (31 maggio 1346) dice «Ítem, que tota persona de qualque condició sia qui comprarà ho vendrà forment o ordi de noble o de cavaler, ho de persona generosa ho encara de alcun heretat, se dege retenir d’éls la ajuda, sinó aurà a pagar per aquels qui comprarà ho vendrà forment ho ordi»605.
Questo il contenuto della prima sezione della carta n. 121 (31 maggio 1346): «Ara ojats per manament del veguer. Ordonaren los conssellés els pròmens de Castell de Càler que alcuna persona de qualsevol condició o nació sia, salvant los carnicers e·ls altres habitadors del dit Castell e de sos appendicis, no gos ne presumesque metre o fer metre per péxer alcun linatge de bestiar dins les terres no laurades, ne encara terres vagans sitiades dins lo salt del dit Castell, les qual terres són ordonades e deputades per boalaris o per pardos del bestiar dels carnicers e dels altres habitadors del dit Castell e dels appendicis»606.
Ancora il documento n. 123 (11 settembre 1346) «Ara ojats quèus mana l’onrat Francesch des Corral, sotsveguer de Castell de Càler, que neguna persona de qualque condició sia no gos gitar ne fer sutzura entorn l’esgleya de Sent Jacme dins los térmens aquí posats o dins spay de X passes, sots pena de II sous, dels quals haga lo ters la cort e l’atre ters la obra de Sent Jacme e l’altre l’acusador»607.
Simili disposizioni sono contenute anche nella carta n. 124 (27 settembre 1346): «Ara ojats què mana l’onrat en Francesch des Corrall, sotsveguer de Castell de Càler, a tothom e a tota persona de qualque condició sia, que no gos gitar, metre ne fer algunes legures ho sutzures 604 Ibidem (traduzione italiana a p. 73: «Ora udite che cosa ordina il veghiere del signor re con il volere dei
consiglieri di Castello di Cagliari, che tutti quanti e ogni persona, di qualunque condizione sia, che da qui in avanti introdurrà grano od orzo per mare o per terra dentro Castello di Cagliari o nei suoi sobborghi, che subito lo debba denunciare agli appaltatori o esattori della suddetta imposta del suddetto grano ed orzo. E chi contravverrà, per ogni volta pagherà 20 soldi di multa e inoltre pagherà la suddetta imposta»).
605 Ibidem, p. 49 (traduzione italiana a pp. 74-75: «Inoltre, che ogni persona, di qualunque condizione sia, che
acquisterà o venderà grano od orzo di un nobile o di un cavaliere, o di una persona generosa o ancora di qualche titolare di feudo allodiale, debba trattenersi la loro imposta, altrimenti dovrà pagare al posto di coloro dai quali acquisterà o a cui venderà grano od orzo»).
606 Ibidem, p. 50 (traduzione italiana a p. 75: «Ora udite per ordine del veghiere. Ordinarono i consiglieri e i
probiuomini di Castello di Cagliari che nessuna persona di qualsiasi condizione o nazione sia, tranne i macellai e gli altri abitanti del suddetto Castello e dei suoi sobborghi, osi o ardisca portare o far portare alcun genere di bestiame a pascolare dentro i terreni non arati, né nei terreni incolti situati nel salto del suddetto Castello, i quali terreni sono assegnati e destinati ai pascoli dei buoi o del bestiame dei macellai e degli altri abitanti del suddetto Castello e dei sobborghi»).
607 Ibidem, pp. 50-51 (traduzione italiana a p. 76: «Ora udite che cosa ci ordina l’onorato Francesco des Corral,
sottoveghiere di Castello di Cagliari, che nessuna persona di qualunque condizione sia osi gettare né fare sozzura intorno alla chiesa di San Giacomo, entro i termini lì stabiliti o entro lo spazio di 10 passi, sotto pena di 2 soldi, dei quali abbia un terzo la corte, un altro terzo l’opera di San Giacomo e l’altro l’accusatore»).
en unes cases dels hereus d’en Bertran ça Vayll sa enrera, ne en la plaça d’aquells, les quals són en Castell de Càller en la jueria, sots pena de V sous alfonsins minuts a cascun per cascuna vegada, guayadós lo ters al acusador e lo romàs a la cort del senyor rey. E si pagar nols podia, estaria XX dies en la presó»608.
Si prosegue con la carta n. 130 (10 aprile 1347) «Ítem, que alcuna persona de qualsevol nació o condició sia no gos ne presumesque trer o fer trer de Castell de Càller forment en alcuna quantitat per altra porta sinó per lo Portal del Lehó, ne per aquell Portal sinó de licència e ab albarà d’aquells qui són deputats a la guàrdia del dit Portal. E qui contrafarà perdrà lo dit forment. E no res menys pagarà per pena cada vegada C sous. E si pagar nols porà estarà C dies en la presó»609.
Dello stesso mese il documento n. 135 (27 aprile 1347) «Ara ojats què mana lo veguer del senyor rey. Ordonaren los conssellés de Castell de Càller que tota persona de qual[que] condició sia qui d’assí avant metrà forment ho ordi dins Castell de Càller ho en los appendicis d’aquell per mar o per terra, que encontinent ho degen denunciar als compradors de la ajuda del forment he ordi, sots pena de XX sous per cascuna vegada. E no res menys pagarà la dita ajuda»610.
Lo stesso giorno viene promulgato anche l’ultimo atto qui citato, il n. 145 (27 aprile 1347) «Ítem, que tota presona de qualque condició sia qui compra ho vendrà forment o ordi de noble ho cavaller, ho generosa persona ho encara de heretat, se degen retenir del damunt dits la ajuda, sinó auran a pagar per aquells de qui compraran ho vendran forment ho ordi»611.
608 Ibidem, p. 51 (traduzione italiana a p. 76: «Ora udite che cosa ordina l’onorato Francesco des Corrall,
sottoveghiere di Castello di Cagliari, a ciascuno e ad ogni persona di qualunque condizione sia, che non osi gettare, mettere né fare brutture o sozzure nelle case che furono degli eredi di Bertran çaVayll, né nella loro piazza, le quali si trovano in Castello di Cagliari, nel ghetto ebraico, sotto pena di 5 soldi alfonsini minuti a ciascuno per ogni volta, beneficiari di un terzo l’accusatore e del rimanente la corte del signor re. E se non può pagarli, starà 30 giorni in prigione»).
609 Ibidem, p. 53 (traduzione italiana a p. 78: «Inoltre, che nessuna persona, di qualsiasi nazione o condizione
sia, osi o ardisca portare fuori o far portare fuori da Castello di Cagliari grano in qualsiasi quantità da alcuna porta se non dalla Porta del Leone, né da quella Porta se non su autorizzazione e con bolla di accompagnamento di coloro che sono incaricati della guardia della suddetta Porta. E chi contravverrà, perderà il suddetto grano. E inoltre per ogni volta pagherà per pena 100 soldi. E se non li potrà pagare, starà 100 giorni in prigione»).
610 Ibidem, p. 54 (traduzione italiana a p. 79: «Ora udite che cosa ordina il veghiere del signor re. Ordinarono
i consiglieri di Castello di Cagliari che ogni persona, di qualunque condizione sia, che da qui in avanti introdurrà grano od orzo per mare o per terra dentro Castello di Cagliari o nei suoi sobborghi, che subito lo debba denunciare agli appaltatori dell’imposta del grano ed orzo, sotto pena di 20 soldi per ogni volta. E inoltre pagherà la suddetta imposta»).
611 Ibidem, p. 55 (traduzione italiana a p. 80: «Inoltre, che ogni persona, di qualsiasi condizione sia, che
Come si può notare, a differenza dei capitoli citati precedentemente, più dettagliati e significativi, questi ultimi si riferiscono semplicemente a disposizioni di vario genere rivolte alla intera popolazione, ma risultano comunque rilevanti in merito alla attestazione della evidente esistenza di soggetti di status differenziato, lasciando quindi ipotizzare la presenza di condizioni sociali e giuridiche che, sebbene considerate in questi casi nel loro insieme, devono essere caratterizzate da differenze sostanziali non meglio precisate, se non per quanto detto nei capitoli precedentemente analizzati.