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Questo paragrafo è dedicato alla analisi critica dei documenti papali editi da Dionigi Scano nel 1941423 e, per Innocenzo III (1198-1216) e Onorio III (1216-1227), con riferimento

anche alle più recenti edizioni a cura di Mauro G. Sanna, la prima del 2003 e la seconda del 2013, con una nota a parte dedicata a quanto riportato relativamente al Concilio di Santa Giusta del 1226424. Queste ultime sono costituite rispettivamente da 77 documenti e 70

notizie per Innocenzo III e 89 documenti e 46 notizie per Onorio III; di questi 282 significativi documenti, complessivamente, 3 tra 1198 e 1216 e 2 tra 1216 e 1227 (1,7% del totale) risultano particolarmente rilevanti per questa ricerca. La raccolta di Scano si estende invece dal papato di Innocenzo III fino a Clemente XIII (XVIII secolo) con una mole voluminosa di documenti relativi anche al Basso Medioevo, qui considerati fino a papa Alessandro VI (1492-1503), per un totale di 1.048 documenti dei quali una ventina qui evidenziati e commentati (circa il 2 % del totale).

422 C.TASCA, Le pergamene relative alla Sardegna nel Diplomatico dell’Archivio di Stato di Pisa cit., doc.

XV, pp. 261-270. Si legge a p. 265 «Ea propter cum presenti carta nostra perpetuo valitra, in favorem et gratiam dicti Communis et vestri gratis et ex certa scientia damus, restituimus atque concedimus in feudum perpetuum secundum morem Ytalie vobis dicto Bonifacio pro medietate et vobis Thome, Gerardo ac Barnabe comitibus de Donoratico pro alia medietate et heredibus ac successoribus vestris, et cuicumque vestrum, et vobis dictis Bartholomeo atque Bonnomini procuratoribus atque nunciis vestri Bonifacii supradicti ac Vanni quondam filii Marsupini curatori vestri Thome, Gerardi ac Barnabe predictorum, recipientibus et paciscentibus nomine vestro et cuiuslibet vestrum omnes villas, loca atque casalia, saltus, silvas, nemora et omnia alia et singula preter supra retenta, que dictus quondam comes Raynerius et vos dictus Bonifacius habebatis et possidebatis ante adventum dicti infantis in insula Sardinie supradicta, quando Commune Pisarum dominabatur ibidem, cum hominibus, feminis, servis et anchillis in dictis villis, locis atque casalibus habitantibus, atque habitaturis et cum redditibus, proventibus, exitibus, terris, iuribus et iurisdiccionibus ad vos et ad dictum quondam comitem Raynerium pertinentibus, et que habere consuevistis in eis, ante adventum dicti infantis in insula memorata».

423 D.SCANO, Codice diplomatico delle relazioni fra la Santa Sede e la Sardegna, I-II, Cagliari 1941. 424 M.G.SANNA (a cura di), Innocenzo III e la Sardegna, Cagliari 2003 e M.G.SANNA (a cura di), Onorio III

Il primo documento, il n. 3 datato 11 agosto 1198 e redatto a Rieti425, registra la vendita in

territorio arborense di quello che nel regesto viene definito da Sanna come “servo” e che nel testo originale è indicato come «mancipium christianum» (un vero e proprio schiavo, come anche indicato nel regesto di Scano), attestazione che risulta piuttosto originale nel contesto sardo non trovando ancora riscontro nei documenti e nelle raccolte finora analizzate e riferibile a un lessico più classico e alquanto inusuale per la fine del XII secolo426.

Il secondo documento, il n. 58, è redatto in Laterano il 3 luglio 1204427 e pone una questione

relativa al giudizio riservato agli ecclesiastici e a quello previsto per un servus. Il riconoscimento della condizione «sicut servus stat suo domino» e della possibilità che «in servitutem alterius transeat post delictum», a prescindere da altre valutazioni circa l’effettiva applicabilità di quanto in oggetto, certamente offre l’evidenza della esistenza dell’alternativa di essere posti alle dipendenze di terzi a seguito di una azione causante un danno o originante da una mancanza, suggerendo anche la valenza giuridica della servitus come possibile sanzione comminabile.

Anche il terzo documento fornisce un unico dettaglio che indirettamente testimonia della esistenza, o permanenza, di una condizione di servitù contrapposta a quella libera. Si tratta del documento n. 103, redatto a Ferentino in data 17 agosto 1206428, dove si legge

«statuimus quod qui noluerunt gustare dulcedinem livertatis sentiant amaritudinem servitutis» con una distinzione netta tra la positività della condizione di livertas e la

425 M.G.SANNA (a cura di), Innocenzo III e la Sardegna cit., pp. 7-12. CDS, Tomo I, Vol. 1, doc. CXLVII,

pp. 280-281. D.SCANO, Codice diplomatico delle relazioni fra la Santa Sede e la Sardegna cit., I, doc. II

(Rieti, 11 agosto 1198), pp. 4-5.

426 Cfr. tra gli altri F.PANERO, Il nuovo servaggio dei secoli XII-XIV in Italia cit., in particolare pp. 115-116

e la nota n. 121 a p. 128.

427 M.G.SANNA (a cura di), Innocenzo III e la Sardegna cit., pp. 67-70. La sezione cui si fa riferimento è la

seguente: «Licet enim aliqui clericorum clericalem non sapiant honestatem, sed militie clericalis insignia infami turpis vite titulo dehonestent, eorum tamen infamia divine ipsos auctoritati non subtrahit, quominus ecclesiastico subsint iudicio, quod est eius, et sicut servus stat suo domino, sic et cadat, sicut in familiaribus tuis et servis tuis familiare tibi iugiter demonstrat exemplum, ut magnis minima comparemus. Si enim deliquerit servus tuus et merito super commisso crimine fuerit infamatus, numquid ideo iurisdictio tua devolvetur ad alium, ut, qui subditus tuus fuerat ante culpam, in servitutem alterius transeat post delictum, et excessum eius non valeas vindicare nec animadvertere in eundem, quamtumque graviter te offendat?» (p. 68). D.SCANO, Codice diplomatico delle relazioni fra la Santa Sede e la Sardegna cit., I, doc. XXVIII

(Laterano, 3 luglio 1204), p. 19.

428 M.G.SANNA (a cura di), Innocenzo III e la Sardegna cit., pp. 113-116 (per la citazione si veda p. 116). D.

SCANO, Codice diplomatico delle relazioni fra la Santa Sede e la Sardegna cit., I, doc. XXXVIII (Ferentino, 17 agosto 1206), pp. 24-25.

negatività della servitus, evidenziando l’antinomia tra la dolcezza della prima e l’amarezza della seconda.

Relativi al papato di Onorio III sono poi i documenti n. 42 del 5 ottobre 1218429 e n. 129

datato 11 giugno 1224430, entrambi redatti in Laterano, che presentano l’attestazione

rispettivamente dei termini servus e anchilla, colonus e mancipium, nel primo, e servus e

anchilla, nel secondo, nell’elenco delle pertinenze di alcune chiese. Il primo documento è

relativo a chiese del Giudicato di Cagliari, diocesi di Sulci, mentre l’unica indicata nel secondo documento è ubicata nel Giudicato e diocesi di Arborea. Desta particolare interesse – nuovamente a distanza di un paio di decenni dal documento precedentemente citato del 1198 – la attestazione nel documento n. 42 di mancipia relativi alla chiesa di S. Maria di Palma (nell’attuale comune di San Giovanni Suergiu, poco a sud di Carbonia), contestualmente, sebbene distinti, a servi, anchille e coloni della chiesa di S. Maria di Tratalias presente nella stessa sezione, come anche di alcune altre località elencate poco dopo («Sancte Marie de Sepezzo […] domum de Suergio et domum de Tacasile […] domum de Simbilia et domum de Conesi») dove compaiono solo più servi e anchille. Il termine mancipium sembra essere quindi espressamente utilizzato esclusivamente in questi pochi e limitati casi – il documento n. 3 del 1198 e il n. 42 del 1218, qui contestualmente a

colonus – e non altrove dove risultano tuttavia comunque presenti soggetti di condizione

servile per descrivere i quali si ricorre a un lessico più comune per il territorio sardo. Si passa ora alla analisi dei documenti relativi al Concilio di Santa Giusta del 1226, per il quale nelle edizioni di Sanna sono raccolte 27 costituzioni delle quali ben 7 (poco meno del 26%) presentano indicazioni precise e originali in merito alla condizione libera o servile431.

La costituzione n. 4432 recita: «Preterea quia super clericis alterius episcopi et aliorum servis

non ordinandis hactenus statuta canonica processerunt presenti concilio firmiter inhibemus

429 M.G. SANNA (a cura di), Onorio III e la Sardegna (1216-1227) cit., pp. 74-77. D. SCANO, Codice

diplomatico delle relazioni fra la Santa Sede e la Sardegna cit., I, doc. LXVII (Laterano, 5 ottobre 1218), pp.

46-47.

430 M.G.SANNA (a cura di), Onorio III e la Sardegna (1216-1227) cit., pp. 163-168. D.SCANO, Codice

diplomatico delle relazioni fra la Santa Sede e la Sardegna cit., I, doc. XC (Laterano, 11 giugno 1224), pp.

58-60.

431 M.G.SANNA (a cura di), Onorio III e la Sardegna (1216-1227) cit., pp. 177-191. Si veda anche quanto

riportato in R.TURTAS, La «cura animarum» in Sardegna cit., in particolare pp. 376-379.

ne aliquis episcopus clericum alterius sine commendaticiis litteris ipsius et nec alicuius servum, nisi domino sciente et non contradicente vel saltim eumdem livertati donante presumat aliquatenus ordinare, que si fecerit, penam canonicam non evadat. Clericum autem servum ecclesie sine episcopi sui licentia faciat ordinari nullus». Si dispone quindi che nessun servus possa essere ordinato da un vescovo senza il consenso e la liberazione da parte del signore, confermandone quindi l’effettiva possibilità ed eventualità al momento della stesura del testo che ne vieta l’occorrenza futura.

Alla n. 7433 si legge «ut si quis prelatus alicuius ecclesie ausu nephario in concubinam

publice retinere presumpserit liveram mulierem, medietas prolis ex hiis nate diocisiano episcopo competat et alia medietas domino terre. Si vero ipsa amonita ab eo discedere noluerit infra mensem predictorum efficiatur anchilla quod concubina sacerdotum et eorum filii rediantur in servitutem» con un interessante riferimento alla ipotetica situazione di un ecclesiastico che abbia figli da una donna libera con la conseguenza per gli stessi di essere spartiti in quote uguali della metà tra il vescovo della diocesi di competenza e il «dominus terre», il giudice. Emerge quindi l’esistenza di una condizione libera che tuttavia prevede figure di riferimento ecclesiastiche e pubbliche le quali vantano entrambe diritti sulla prole di una donna, sostanzialmente al pari di casi analoghi in cui la madre viene invece identificata come anchilla. A ulteriore conferma di questa particolare realtà, viene anche precisato nell’ultima frase di questa importante costituzione che qualora la donna ammonita non si separi dall’ecclesiastico entro un mese, allora lei e tutti i figli saranno costretti «in servitutem», condizione evidentemente contrapposta alla precedente, quella livera, che caratterizza la donna coinvolta, senza apparente differenza per i figli sebbene in tal caso verosimilmente non più spartiti tra due soggetti diversi nonostante non vi sia indicazione più precisa su chi, tra il vescovo e il «dominus terre», sia il beneficiario finale delle prestazioni di servizi a quel punto dovute. Questa costituzione, la n. 7, affronta dunque ancora una volta l'annoso problema del concubinato dei chierici liberi (in questo caso) con donne libere, come già accaduto in occasione del concilio di Pavia del 1022 dove già si stabilisce che la prole nata dall'unione di chierici-servi con donne libere sia ridotta in servitù434.

433 Ibidem, p. 183.

434 L.WEILAND (a cura di), Constitutiones et acta publica imperatorum et regum (911-1197), Hannoverae

La costituzione n. 8435 offre qualche dettaglio aggiuntivo in merito a situazioni simili a

quella di cui sopra ma relative non più a una donna libera, bensì a una anchilla, precisando che «nel caso di un laico che ha come concubina una sua serva e non receda dallo stato concubinario entro un mese dall’ammonizione episcopale, si riduca l’eventuale prole in servitù, divisa tra vescovo e signore del regno; nel caso di un presbitero o prelato, la prole sia serva della sua Chiesa e la donna del suo vescovo; nel caso di un chierico senza Chiesa, la donna vada al vescovo, la prole al signore del regno e il trasgressore sia privato dell’ufficio»436. Il vantaggio per il vescovo e la Chiesa risulta comprensibilmente massimo

nel caso in cui la prole sia generata da un ecclesiastico e da una anchilla. È attestata inoltre la specifica indicazione di «servili vinculo» come condizione di obbligo, legame, restrizione, sottomissione (astringatur).

Nella costituzione n. 13437 si proibisce invece sostanzialmente in qualsiasi occasione ai

soggetti identificabili come servi di circolare con «virgas aut cultellos» in presenza dei propri domini, fatto salvo il caso in cui siano a cavallo. Il timore di delitti originanti da rivolte individuali pare quindi essere concreto e da normare in modo formale, unitamente tuttavia al mantenimento del servizio di guardia personale.

435 M.G.SANNA (a cura di), Onorio III e la Sardegna (1216-1227) cit., p. 184. Il testo originale recita: «Si

autem anchillam alicuius private perssone incestuose tenuerit manifeste, verus anchille dominus a diocesianom episcopo coram viris ydoneis moneatur ut in mensem anchillam suam a tanta nequitia debeat revocare; quod si neglexerit ut supra anchille dominus puniatur, medietas prolis eorum episcopo capellano competat et alia medietas domino regni. Quod si contigerit presbiterum vel prelatum aliquem ex anchilla propria filios generare, partus ecclesie sue, anchilla vero episcopo in cuius diocesi presbiter vel prelatus administrat, servili vinculo astringatur. Si vero sit clericus in sacris ordinibus constitutus et ecclesiam non habeat, episcopi sui efficiatur anchilla et partus regni dominon subiugetur et nichilominus transgressores huiusmodi offitio et beneficio spolientur. Si autem alicuius ecclesie anchilla extiterit et per prelatum ipsius admonitum revocata non fuerit, ex tunc prelati illius efficiatur anchilla in cuius diocesi tale facinus perpetratur. Ceterum, quod de episcopis dicimus idem in abbatibus, prioribus, aliisque prelatis sub se capellanis habentibus, predicto modo delinquentibus volumus intelligi et ut pena, que de anchillis et liveris mulieribus earumque prole statuitur, in earum sive ipsorum bonis omnibus observetur. Si vero aliquis in sacro ordine constitutus in adulterio vel fornicatione publice perstiterit et comonitus nullatenus destiterit cessare, officio et beneficio spolietur».

436 M.G.SANNA (a cura di), Onorio III e la Sardegna (1216-1227) cit., pp. 177-178.

437 Ibidem, p. 186. «Prohibemus insuper ne servi alicuius ecclesie coram dominis suis, nisi comitando cum

eis equitaverint, virgas aut cultellos gerant. Et si, diaboli faciente malitia, gladio vel alio modo in dominum suum mortem vel casum honoris ipsius intulerint, si ad manus domini terre prius devenerint, eius voluntate reliquantur puniendi. Sed si verus dominus ceperit eos, prius bonis omnibus spoliatos, ferreis vinculis colligatos, diro carceri per semptennium in pane et aqua statuat puniendos postmodum quoad vixerit, duris et magnis compedibus astricti in vilioribus et turpioribus offitiis domus cuius servi esse noscuntur deserviant; itaque pena eorum sit timor et metus multorum».

La costituzione n. 15438 contiene al suo interno riferimenti a «servis et anchillis

ecclesiarum» in termini di entità dei proventi delle tasse e delle collette che vengono in buona parte, la metà, sottratte alla Chiesa stessa dai «domini terrarum Sardinee et curatores ac alii eorum offitiales». Si tratta degli stessi «domini terrarum» precedentemente citati nella costituzione n. 7 e beneficiari di una quota (metà) della prole generata da ecclesiastici e donne libere.

Alla costituzione n. 18439 si legge «Ut quos divinus timor non revocat saltim temporalis

pena cohibeat a peccato, presenti approbante provinciali concilio duximus auctoritate qua fungimur statuendum ut si quis liver de cetero, sua exigente nequitia, canonica monitione premissa, excomunicationis fuerit vinculo innodatus ac per annum in sua pertinatia presumpserit permanere, digne non satisfaciens de comissis propter que in eum excomunicationis fuerit sentencia promulgata, ex tunc confiscentur omnia bona ipsius et regno cui subiacet acquirantur. Servi autem ecclesiarum, si huiusmodi delictum incurrerint, a metropolitanis sui diocesianis suis episcopis pena simili puniantur», quindi distinguendo tra liver e «servi ecclesiarum» che, qualora scomunicati da più di un anno, avranno tutti i beni confiscati e, nel caso dei «servi ecclesiarum», da parte del vescovo.

La costituzione n. 25440 dispone invece che qualsiasi clericus rinunci in virtù del proprio

incarico a qualsiasi tipo di proprietà o possessiones, tra cui anche possibili «servos vel anchillas» che sono elencati come beni al pari di «domum, vineam, animalia».

Infine, la costituzione n. 27441 prevede che «Illud etiam approbatione concilii duximus

statuendum ut omnes liveri tam maiores quam minores uxores suas diebus dominicis et sollemnibus adminus ecclesiam orationis causa vel penitentie visitare permitant», 438 Ibidem, p. 187. «Et quia novis morbis nove sunt adhibende medele pro eo quod domini terrarum Sardinee

et curatores ac alii eorum offitiales ecclesias et viros ecclesiasticos, servos, anchillas et bona ipsorum albergariis, datis, collectis, talliis, exactionibuss aliis aufferendo ab eis equos et equas et alia quando volunt multipliciter opprimunt, insuper extorquentes a servis et anchillis ecclesiarum medietatem vini, quod annuatim de terris dominorum suorum recolligunt, eosdem cum perssonis, bubus et curribus arando, metendo, ferendo etiam lapides, cementum, ligna et alia quecumque volunt, tam pro regno quam potius pro se ipsis faciendo, subire compellunt, ita quod id modicum quod habent non solum timore sed amore coacto et extorto, sic exauriunt ab eis et exiggunt, quod veris dominis servire nullatenus possunt propter quod anchillantur ecclesie ultra modum et in sua iustitia multiplex patiuntur detrimentum, auctoritate igitur prefacti concilii et presentis predictorum transgressores, presumptores et eorum fautores excomunicationi precipimus subiacere».

439 Ibidem, p. 188.

440Ibidem, p. 190. «Ne avaritia, que “idolorum servitus” ab apostolo iudicatur, electum genus clericorum et

“regale sacerdotium” dehonestet, sacro approbante concilio duximus statuendum nisi clericus, postquam ad regimen fuerit assumptus ecclesie, domum, vineam, predia, possessiones quaslibet, servos vel anchillas et animalia».

consentendo quindi alle mogli di liveri di vario grado, maiores o minores, di partecipare alle celebrazioni ecclesiastiche regolari o solenni. Da evidenziare in questo caso il riferimento non tanto a diversi gradi di libertà, quanto piuttosto a differenti livelli di benessere economico, che prevedono una condizione più o meno prestigiosa e privilegiata dei liveri. Sebbene tale documento sia riferito a soggetti di condizione libera, specificare la stessa implica necessariamente l’esistenza di una condizione diversa o opposta, quella non- libera, con riferimento a differenziazioni di carattere certamente economico piuttosto che eventualmente giuridico che si applicherebbero, con le dovute proporzioni e distinzioni, a tutti i soggetti costituenti la società del tempo.

Tornando ora all’analisi dei documenti papali raccolti da Scano, se ne evidenziano due emanati nel 1233 da Gregorio IX (1227-1241), il CIV e il CV, entrambi redatti in Laterano il 10 giugno e di contenuto analogo, attestanti i termini «servos et mercenarios» in un contesto di denuncia da parte del pontefice a carico di Barisone III giudice di Torres, figlio di Mariano II, che ha per oggetto l’imposizione di gravosi e ingiustificabili oneri a carico della Chiesa in Sardegna442. Non sono tuttavia in questo caso evidenti altri riferimenti a

soggetti caratterizzati da particolare condizione giuridica.

Attribuibile poi al papato di Innocenzo IV (1243-1254) un documento, il CLIV (Civita Castellana, 11 giugno 1244), che registra i dettagli di una donazione effettuata da Adelasia di Torres a favore del priore della Chiesa e del Convento di Santa Maria di Budelli, relativo alla villa di Surache, in Gallura, nelle cui pertinenze sono inclusi anche servi e anchille443.

442 D.SCANO, Codice diplomatico delle relazioni fra la Santa Sede e la Sardegna cit., I, doc. CIV (Laterano,

10 giugno 1233)), pp. 69-70 («…Judex Turritanus, qui libertadem ecclesiasticam, tamquam princeps catholicus conservare deberet penitus illibatam, nescimus quorum seductuus consiliis, prefatos Episcopos ecclesias cathedrales ac alias, necnon et Abbatias tam exemptas, quam non exemptas, ac prelatos earum diocesum, et provincie Turritane, divina reverentia, sicut videtur penitus vilipensa, nove jugum servitutis iugum servitutis eis in anime sue periculum imponere non formidans exactionibus indebitis aggravare presumit, ab eisdem Episcopis, Abbatiis, et ecclesiis antedictis stipendia quorumdam militum, quos mercede dicitur conduxisse singulis ebdomadis exigens et extorquens, eorum servos et mercenarios sibi tamquam proprios servire compellens; alias dampna eis quam plurima, molestias ac iniurias irrogando») e doc. CV, pp. 71-72 («Ab eis stipendia quorumdam militum et peditum, quos mercede diceris conduxisse singulis ebdomatibus exigens et extorquens. Preterea ac si premissa tibi non sufficerent ad offensam; servos et mercenarios predictorum, tibi tamquam proprios servire compellens, equos, et alia bona ipsorum pro tua Curatorum ac maiorum tuorum occupare diceris voluntate in ipsorum preiudicium et gravamen. Alias dampna eis quamplurima, et graves iniurias ac molestias motu proprio irrogare presumens»). Cfr. anche ID., Castello

di Bonifacio e Logudoro nella prima metà del XIII secolo, in “Archivio Storico Sardo”, XX (1936), fascicoli

3-4, pp. 11-53.

443 ID., Codice diplomatico delle relazioni fra la Santa Sede e la Sardegna cit., I, doc. CLIV (Civita

Castellana, 11 giugno 1244), pp. 99-101. «Nos Adelasia Regina Turrium et Galluris mera, et pura, atque irrevocabili donatione inter vivos, que non possis per ingratitudinem revocari vel alio modo, et ad remedium

Di quindici anni successivo il documento CCXV (Anagni, 23 marzo 1259), redatto sotto il pontificato di Alessandro IV (1254-1261), dove è nuovamente attestata la presenza di servi e anchille riferiti alla chiesa di San Giorgio di Oleastreto, ubicata nel Giudicato di Torres a pochi chilometri da Sassari, riportando però l’atto di donazione risalente al 1175, quindi 84 anni prima, contenente le pertinenze della stessa chiesa concessa allo «hospitalis de Stangno»444.

Circa cinquanta anni dopo, il 28 maggio 1306, un lungo documento che registra le dichiarazioni relative alla investitura di re Giacomo di Aragona del regno di Sardegna e Corsica, trasmesse al neo-eletto papa Clemente V (1305-1314), vede il ricorso a i termini «cuiuscunque conditionis et status» riferiti in modo esteso e generico a tutti i sudditi del regno senza dettagli più precisi ma confermando di fatto una situazione eterogenea in

anime nostre, et parentum nostrorum, donamus tibi fratri Willelmo priori monasterii Sancte Marie inter Insulas de Buellis recipienti nomine et vice dicti Monasterii Curiam nostram, quem habemus in Regno Galluris, in villa que vocatur Surake cum domibus, et omnibus possessionibus, terris cultis et incultis, pascuis