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Il condaghe di Santa Maria di Bonarcado raccoglie complessivamente 221207 schede

relative al territorio di competenza del monastero omonimo fondato nel 1110, quindi registrando operazioni di varia natura a partire da questa data, dai primi decenni del XII secolo, fino alla metà del XIII secolo.

L’edizione qui considerata è a cura di Maurizio Virdis, pubblicata nel 2003208, e l’area

geografica di riferimento è quella del Giudicato di Arborea, Sardegna centro-occidentale, attualmente identificabile con la provincia di Oristano. L’edizione presenta il testo originale e la relativa traduzione a fronte, valutata anche in questo caso in modo critico soprattutto quando allo stesso termine in lingua originale sia resa una traduzione sensibilmente diversa per quanto concerne l’aspetto di specifico interesse della presente ricerca.

Dal punto di vista quantitativo, le schede poste in evidenza a seguito della analisi condotta sono complessivamente 111, sostanzialmente il 50% del totale, dato considerevole in particolare se rapportato ai precedenti condaghi.

L’elenco fornito in Tabella n. 4, CSMB – Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, è ordinato cronologicamente secondo la datazione offerta dallo stesso curatore. La distribuzione cronologica delle schede è riportata nel grafico sotto riportato e presenta una 205 CSPS, schede n. 340 (1065-1080), pp. 282-283, n. 28 (ca. 1065), pp. 106-107 e altre.

206 CSPS, pp. 300-303, analoga a scheda n. 374 (1180-1191), pp. 306-307.

207 Anche in questo caso alcune schede sono considerabili analoghe o sono riferite allo stesso argomento,

come per esempio le n. 21 e n. 219 (1200-1207).

208 M.VIRDIS (a cura di), Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, Nuoro 2003. Il riferimento è a questa

edizione e alle pagine citate anche in Tabella n. 4, CSMB – Condaghe di Santa Maria di Bonarcado. La prima edizione, del 2002, senza traduzione a fronte, è M.VIRDIS (a cura di), Il Condaghe di Santa Maria di

certa omogeneità, a parte una più evidente concentrazione in particolare nel periodo compreso tra il 1131 e il 1185, considerando anche il contorno, rappresentando infatti quasi la metà di tutti le schede evidenziate.

I termini servos/serbos, ankillas/anchillas e livertardos/livertatos compaiono anche in questa fonte con frequenza, a partire dalla prima scheda evidenziata, la n. 66 (s. XI)209, dove

si legge di una lite conseguente a un furto operato da un servu. Questi lemmi sono attestati poi contestualmente nella scheda n. 207 (s. XII-XIII)210, ma anche separatamente e associati

al termine più generico homines, come nella n. 1 (s. XII-XIII)211. Da notare che le schede

n. 1, n. 36 e n. 207 sono analoghe e la n. 1 è raccolta anche in una altra opera monumentale che in questa ricerca viene citata trasversalmente nei vari paragrafi in virtù della sua grande estensione temporale e geografica, registrando documenti prodotti tra XI e XVII secolo e riguardanti l’intera Sardegna; si tratta del fondamentale Codice Diplomatico della

209 CSMB, scheda n. 66, pp. 121-127. 210 CSMB, scheda n. 207, pp. 254-257. 211 CSMB, scheda n. 1, pp. 58-67. 1 2 3 1 5 1 13 10 8 3 5 1 6 1 2 1 1 4 3 1 1 5 1 4 1 1 1 4 2 1 4 2 1 1 6 1 2 1 0 2 4 6 8 10 12 14 XI X II- X II I s ec . 111 0- 1130 112 0- 1130 c a. 113 1- 1146 114 6 114 6- 1184 115 6- 1186 116 4- 1172 116 4- 1185 118 2- 1185 118 2- 1195 118 5- ini zi o XI II 119 2- 1195 119 2- 1198 119 2- 1211 119 6- 1200 119 8- 1200 120 0 c a. 120 0 ( 25 o tt o br e ) 120 5 120 0- 1207 120 0- 1220 120 6- 1211 121 7- 1238 122 3 122 9 121 8- 1232 122 0- 1242 122 4- 1232 122 8- 1232 123 2- 1238 124 2 c a. 124 2 124 2- 1251 125 1 125 2- 1265 126 1 (11 fe b b rai o )

CSMB - Distribuzione cronologica schede evidenziate

(tot. 111 su 221 - 50%)

Sardegna di Pasquale Tola212 e, in particolare per quanto appena rilevato, del documento

n. XXVI213 in questa edizione datato tra 1199 e 1211. La stessa scheda riporta inoltre la

particolare e originale locuzione «anchillas de iuvale», nella versione maschile «servos de iuvale» invece attestata nella n. 133 (1131-1146)214, riferita, per usare le parole dell’editore,

a «un servizio, o dei servi in stato di semilibertà, costretti, per iuga, a determinati lavori»215.

Certamente l’attestazione contestuale riportata nella precedentemente citata scheda n. 1 (s. XII-XIII), «issa parzone de Sobro e de Çeçerni, cun issa vinia de Rezençario cun servos, cun anchillas suas de iuvale et cun omnia livertatos suos: poniollos et afirmolos in manu de su priore», riferita a servos, anchillas e livertatos coinvolti tutti a vario titolo nella donazione registrata, offre un esempio della coesistenza di diverse condizioni personali per le quali anche chi è definito con il termine livertatos risulta comunque almeno parzialmente dipendente da un soggetto di riferimento (i termini sono infatti elencati contestualmente e apparentemente con valore simile essendo parte della stessa donazione, tuttavia non sono evidenziabili ulteriori dettagli in merito al grado di dipendenza dei soggetti coinvolti, sebbene sia evidente il riferimento a una certa forma di libertà). Il termine homines compare anche in occasione di una donazione di due individui, Vera Piana e il figlio Giovanni, in una scheda che registra, a cura di Gregorio, priore di Bonarcado, la memoria relativa alla condizione di dipendenza dei due216. Altro spunto derivante dall’attenta lettura ancora della

scheda n. 1 (XII-XIII), già citata, riguarda la sezione in cui si definiscono i dettagli della donazione della «domo de Sanctu Petru de Miili picinnu cun onnia cantu aviat donna Tocoele, ki fuit donna de logu, muiere de iudige Comida de Salanis ce fegit issa sa clesia illa a nou ponendove tota sa villa de Miili picinnu ki fuit sua peguiare, sene avere parte nen liveru nen servu aienu, cun terras et binias et servos et anchillas et livertados». In questo estratto si specifica che la proprietà della «villa de Miili picinnu» non è condivisa con alcun

liveru né «servu aienu» e che le pertinenze della stessa villa includono anche «terras et

binias et servos et ancihllas et livertados». Si apprende quindi che soggetti qui definiti dal termine liveru o servu avrebbero potuto partecipare alla proprietà di un bene quale la villa 212 P. TOLA, Codice Diplomatico della Sardegna con altri documenti storici, Torino 1861 (ristampa a cura

di Carlo Delfino editore, Sassari 1984). All’opera si è fatto già riferimento precedentemente nel paragrafo relativo a CSNT e si continuerà a citarla con l’abbreviazione CDS.

213 CDS, Tomo I, Vol. 1, pp. 320-321.

214 CSMB, scheda n. 133, pp. 182-185. Si veda anche la scheda n. 131 (1110-1130), CSMB, pp. 176-179

citata nel suo complesso più avanti.

215 CSMB, p. 301. Iugum, iugi: giogo, vincolo, legame, soggezione. 216 Si tratta della scheda n. 20 (1200 ca.), CSMB, pp. 84-87.

in oggetto, sebbene in questo caso non si verifichi questa circostanza, e che il termine

livertados sia distinto dal termine liveru in quanto facente parte della consistenza delle

pertinenze della villa. I due termini servu e servos sono attestati invece in entrambe le sezioni con valore tuttavia diverso, sebbene non ulteriormente specificato. Si fa riferimento anche a «terrales de fictu» in modo generico nelle schede n. 70 (1156-1186)217 e n. 146

(1164-1185)218, ma la n. 100 (1192-1211)219 vi fa riferimento in modo esplicito in

associazione al termine ladus, quindi in relazione a una quota di proprietà.

La sopra citata opera di Tola risulta anche di interesse per alcuni altri documenti riguardanti l’Arborea tra inizio XII e prima metà del XIII secolo. Il n. XXII220 per esempio, senza data

e incluso da Tola come ultimo documento del secolo XI ma verosimilmente collocabile negli anni 1102-1120 circa (è indicato Torbeno de Lacon come giudice di Arborea), racconta di Torbeno de Lacon e la consorte Anna de Zori che acquistano da Costantino Dorrubu un cavallo offrendo in cambio alcuni individui su cui evidentemente vantano diritti di proprietà: Basilio Folle e il genero Giovanni Pica con la moglie Vittoria Folle e relativi figli; la compravendita riguarda il cavallo e un certo Mariano Barbaricino, verosimilmente il custode dell’animale. Servi, anchille e quote di proprietà sono attestati anche tra 1131 e 1192221.

Tornando ora all’analisi del condaghe, la scheda n. 131 (1110-1130)222 riveste una

importanza particolare nel suo complesso. Si tratta di un testo redatto per volere del giudice Costantino nei primi anni della fondazione del monastero, a seguito della constatazione che gli «homines de Bonarcatu» non prestano alcun servizio e quindi, non sembrando al giudice stesso una circostanza condivisibile e giusta, viene imposto a tutti di «iurare a servire a iuale ·IIII· dies in setimana». Si specifica inoltre che «issos apiaresos et issos agasones et canarios cantu aent fagere in cita de domo serviant a clesia omnia lunis in omnia opus

217 CSMB, scheda n. 70, pp. 128-131. 218 CSMB, scheda n. 146, pp. 194-195. 219 CSMB, scheda n. 100, pp. 150-155. 220 CDS, Tomo I, Vol. 1, p. 165.

221 Si tratta dei seguenti documenti: n. XLI (1131, dicembre), CDS, Tomo I, Vol. 1, p. 207; n. LXIV (1157,

31 ottobre), CDS, Tomo I, Vol. 1, p. 220; n. CCXXV (1188, 29 maggio), CDS, Tomo I, Vol. 1, p. 261; n. CCXXVIII (1189, 7 febbraio), CDS, Tomo I, Vol. 1, p. 265. Datato 20 febbraio 1192 un documento attestante «liveros, servos» in una concessione di beni da parte di Pietro, re e giudice di Arborea, ai genovesi: D. PUNCUH (a cura di), Libri iurium della Repubblica di Genova, I/2, Genova-Roma 1996, doc. 403, pp. 366-

370. Cfr. anche B.FADDA, C.TASCA, La Sardegna giudicale nell’Archivio del Capitolo di San Lorenzo di Genova e un ‘nuovo’ documento di Barisone I d’Arborea, in “Quaderni della Società Ligure di Storia Patria”,

7 (2019), pp. 523-548, qui in particolare p. 530.

quantu aent fagere sos ateros colivertos» (e gli apicultori e i guardiani di cavalli e i custodi dei cani avrebbero dovuto prestare alla chiesa il medesimo servizio che doveva prestare il personale di servizio della casa giudicale ogni lunedì, in ogni necessità di prestazione lavorativa e nella stessa misura degli altri colliberti)223. Emerge quindi anche l’attestazione

del termine colivertos parallelamente e contestualmente a quanti vengono invitati dal giudice a prestare giuramento, evidentemente anche in relazione alla condizione personale e all’entità dei servizi richiesti. Viene successivamente documentato il caso specifico di un tale Costantino Stapu, giunto a Santa Maria di Bonarcado dove costruisce una casa e si prende cura di una vigna, a seguito di un omicidio commesso nel luogo di origine, San Vero, e conseguente allontanamento volontario. Alla precisa domanda «voles torrare a sancte Eru?», Costantino Stapu risponde con una autodedizione al monastero che ha scelto come nuova dimora, dichiarando «servu volo essere a sancta Maria de Bonarcatu, et ego et fiios meos» e invitato dal giudice a giurare «de servire a iuale et ipse et fiios suos», Orzoco, Comita e Giovanni, al pari degli «ateros servos». Vengono poi date disposizioni relative alle prestazioni specifiche richieste alle donne. Il documento riporta inoltre l’assenza di rivendicazioni degli homines da parte di altri soggetti, confermando il riconoscimento degli stessi come «de regnum». I termini del giuramento sono inoltre definiti inequivocabilmente nella sezione dove si legge «Et ego, ca iskivi bene ca furunt meos, poniollos ut serviant a sancta Maria de Bonarcatu et ipsos et fiios suos et nepotes nepotorum suorum usque in sempiternum», quindi rendendo esplicito il vincolo perpetuo per i presenti e per i futuri figli e nipoti. I passaggi seguenti riportano una generale diffida dal voler sottrarre questi

homines dal loro «servitiu de sancta Maria de Bonarcatu», vincolandoli affinché «serviant

usque in sempiternum et siant in manu de Deus et de iudice de logu et de monagos ki ant servire ad sancta Maria de Bonarcatu», garantendo le prestazioni concordate disponendo che «N’a ateru serviçu de logu non si levent non per curadore et non per maiore de scolca pro nulla presse d’opus de logu» e rendendo esplicito che «Semper siant a voluntate dessos monagos, a ki los delegai et serviantillis in fide bona». La scheda si conclude con benedizioni rivolte a coloro i quali osservino e facciano osservare le disposizioni fornite e con formule minacciose rivolte a chiunque vi si opponga.

223 È qui citata, con qualche correzione opportuna, la traduzione di Virdis, CSMB, scheda n. 131, pp. 176-

Anche in questo condaghe sono attestate le diverse quote di proprietà già evidenziate nei precedenti registri. La scheda n. 148 (1110-1130)224 riporta tutte le casistiche (intregos,

latus e pedes) in riferimento a homines per cui si specifica contestualmente trattarsi di

«barones et mulieres» (uomini e donne), «maiores et zaracos» (adulti e ragazzi).

L’indicazione esplicita della validità perpetua della condizione definita con il termine

servos (riferito indifferentemente a uomini e donne) e del coinvolgimento dei discendenti

(figli, nipoti, nipoti dei nipoti, successive generazioni, etc…) trova spazio con una certa frequenza in questo condaghe. Si trova nella già citata scheda n. 131 (1110-1130)225 ma

anche nelle seguenti: n. 115 (1120-1130 ca.)226, n. 133 (1131-1146)227, n. 147 (1131-

1146)228, n. 146 (1164-1185)229, n. 21 (1200-1207)230 e n. 98 (1200-1220)231. Espressioni

di analogo significato sono attestate anche in altre schede: la n. 1 (XII-XIII)232 riporta

«usque in fine seculi», alla n. 132 (1131-1146)233 si legge «esser servos de sancta Maria de

Bonarcadu et ipsos et fiios issoro et nepotes nepotorum suorum quant’aet esser ipsa generatione», la n. 36 (1200, 25 ottobre)234, infine prevede le due formule «E de omni apat

fine a su fine in seculum e ad perpetuam firmitatem privilegii».

Anche la scheda n. 132 (1131-1146)235 offre molti spunti di riflessione nel suo complesso.

Narra di sette figli di una coppia di servos che, morti i genitori, provano a rivendicare una condizione di libertà producendo documenti falsi. Una volta scoperta in giudizio l’origine fraudolenta della carta presentata, viene disposta l’uccisione dei sette falsari. Appena prima dell’esecuzione, Anna, madre del giudice Comita, scongiura il giudice affinché non si proceda e viene quindi imposto ai condannati di «iurare d’esser servos de sancta Maria de Bonarcadu et ipsos et fiios issoro et nepotes nepotorum suorum quant’aet esser ipsa generatione». Si conclude quindi con una conferma formale della condizione di servos – sottoposti, gli stessi e i loro discendenti, a dipendenza perpetua, confermata tuttavia da un espresso giuramento (come se fossero liberi) – una disputa che altrimenti avrebbe avuto 224 CSMB, scheda n. 148, pp. 196-199. 225 CSMB, scheda n. 131, pp. 176-179. 226 CSMB, scheda n. 115, pp. 164-165. 227 CSMB, scheda n. 133, pp. 182-185. 228 CSMB, scheda n. 147, pp. 194-197. 229 CSMB, scheda n. 146, pp. 194-195.

230 CSMB, scheda n. 21, pp. 86-89. Scheda analoga alla n. 219 (1200-1207), CSMB, pp. 266-269. 231 CSMB, scheda n. 98, pp. 148-149.

232 CSMB, scheda n. 1, pp. 58-67. 233 CSMB, scheda n. 132, pp. 178-181. 234 CSMB, scheda n. 36, pp. 108-113. 235 CSMB, scheda n. 132, pp. 178-181.

come esito l’uccisione dei soggetti coinvolti in quanto colpevoli di aver prodotto documenti falsi a supporto della rivendicazione di condizione libera. La drammaticità e teatralità rappresentate in questa scheda sono esemplari anche di alcuni tratti tipici dei riti legati all’asservimento in epoca medievale e offrono inoltre la conferma dell’esistenza delle diverse condizioni e della circolazione di documenti, falsi o genuini, a riprova dello status degli interessati. Altrettanta drammaticità viene registrata anche nella scheda n. 133 (1131- 1146)236 dove viene documentato l’intento di fustigare i figli di Costantino Stapu237 i quali

«non mi servint bene et issu servizu ki lis poserat patre vostru pro fagere a clesia a lu lassant» e «ca lassavant s’opus de clesia ki lis poserat patre meu», per poi graziarli da tale punizione corporale una volta manifestata la volontà di giurare, dopo il rito del bacio, «d’essere servos de iuvale ad sancta Maria de Bonarcatu» vincolando anche mogli, figli e nipoti «usque in sempiternum». Ancora una volta si ribadisce quindi la necessità del giuramento, peraltro già formalizzato qualche anno prima dal padre. I due casi descritti, gli interventi di donna Anna e dei figli di Costantino Stapu, più che manifestazioni di clemenza nei confronti dei soggetti coinvolti sembrano essere espedienti cui fa ricorso il monastero per evitare l’evidentemente problematico rischio di perdere forza-lavoro necessaria e indispensabile per la continuità produttiva che altrimenti sarebbe impattata negativamente; piuttosto che considerare tali concessioni come una sorta di apertura a favore dei soggetti più deboli, si è inclini a interpretarle invece come interventi ritenuti necessari al fine di evitare o limitare danni economici nei confronti dei monaci.

I colivertos cui si è accennato nei paragrafi precedenti, compaiono complessivamente in tre schede del condaghe di Santa Maria di Bonarcado. La prima, la n. 131 (1110-1130)238, è

già lungamente analizzata e citata in precedenza anche per quanto concerne la comparazione con altri tipi di termini relativi a diverse condizioni personali. Le altre due sono la n. 134 (1131-1146)239 e n. 141 (1131-1146)240. Nella prima i colivertos sono

attestati come testimoni di una serie di compere e permute di beni terrieri, insieme a

Lussurgiu Pico, «mandatore de regnum», e Gervaso Vilidu. È tuttavia esplicitato un legame

con quest’ultimo, essendo indicati come suos. Nella seconda, molto breve, si legge invece

236 CSMB, scheda n. 133, pp. 182-185.

237 Il nome di Costantino Stapu ricorre più volte, a partire dalla prima scheda in cui è attestato, la n. 131

(1110-1130), CSMB, pp. 176-179, precedentemente citata.

238 CSMB, scheda n. 131, pp. 176-179. 239 CSMB, scheda n. 134, pp. 184-185. 240 CSMB, scheda n. 141, pp. 188-189.

a proposito del furto di un bovino «Ego Comida de Varca ki lu vinki a Dominige de Pane in corona de curadoria pro vacca ki mi furait; et isse dedimi vinia in Petronia et ego deilla a clesia pro anima de muliere mea. Cun testimonios tota passassione de clesia et cun colivertos quantos ie furunt». I colivertos, indicati in una certa quantità, compaiono anche in questo caso come testimonios, ma in parallelo ad altri testimoni cui si fa esplicitamente riferimento con la locuzione «tota passassione de clesia». Sembra quindi essere documentata una differenza di sostanza tra questi ultimi, verosimilmente tutti gli individui su cui il monastero rivendica diritti, e i colivertos di cui tuttavia non viene definita in dettaglio la condizione, anche se è ben evidente la loro facoltà di testimoniare, come se fossero liberti «pleno iure».

Il tema della autodedizione riveste particolare interesse in questo condaghe grazie ai dettagli molto specifici e originali contenuti in più schede. In particolare la n. 147 (1131- 1146)241 registra la formula «scribo et confirmo custa recordatione ad esser servu a sancto

Symeone et ego et fiios meos et nepotes nepotorum meorum usque in sempiternum»; la doppia scrittura «scribo et confirmo» ricorda molto la «promissio et confessio» dei coloni- ascrittizi sulla base del diritto giustinianeo242 e viene inoltre resa esplicita anche la

dipendenza ereditaria con vincolo per figli, nipoti dei nipoti «in sempiternum». Un diverso rito di autodedizione è registrato nella scheda n. 170 (1223)243 che racconta di Nicola de

Pane e suo nipote Costantino Loche i quali, a seguito di un omicidio compiuto nel luogo di origine e relativa fuga per evitare le conseguenze del gesto, su iniziativa dello stesso Nicola de Pane «promitiat de servireminde de s’arte sua per temporale in vita sua» e poi estendendo la promessa al nipote e a tutti i membri della famiglia («basandominde ipsos ambos et totu sos homines de sa domo de Nigola de Pane»). Ritorna anche in questa occasione il rito del bacio a conferma del sottoscritto impegno alla dipendenza. Interessante inoltre la registrazione esplicita dei benefici che Nicola de Pane e famiglia traggono dall’accettazione del vincolo di dipendenza, ovvero la fruizione di «sa terra et issa petra, k’est ive, pro fraigare et pro godiresilla in vita sua», sebbene si indichi anche che «ad morte sua omnia cantu ad aer factu remagnat ad sancta Maria in pake et in ketu».

241 CSMB, scheda n. 147, pp. 194-197.

242 Cfr. in particolare F.PANERO, Signori e servi. Una conflittualità permanente cit.. La questione specifica

viene affrontata a p. 312.

Le spartizioni di figli a seguito di unioni, anche matrimoniali, sono molto frequenti e percorrono trasversalmente l’intero condaghe. Un esempio di attestazione di unione tra

servu e anchilla è registrato nella scheda n. 124 (1146-1184)244. La n. 113 (1164-1185)245

registra invece il caso di Terico, figlio di un liveru e di Barbara Pisana, «anchilla de sancta Maria de Bonarcadu», generato al di fuori del matrimonio con Gavino Zabarruskis, «servum de sanctu Paraminu de Gilarce». Mentre i tre figli concepiti con quest’ultimo vengono spartiti equamente tra Santa Maria di Bonarcado e l’arcivescovo di Oristano (uno ciascuno e il terzo in comproprietà per metà), per Terico viene invece specificata l’assenza di diritti da parte dell’arcivescovo stesso, consentendo di ipotizzare che il beneficio dell’esigibilità di diritti spetti quindi interamente a Santa Maria di Bonarcado, di cui la madre è anchilla e quindi a prescindere dalla condizione del padre. Analoga situazione è anche registrata nella scheda n. 174 (1229)246 dove a fronte di «I carta come erat liveru su

patre» e di una dichiarazione che «da ke est liveru su patre et sa mama est anchilla, fiios k’anta fattos siant servos de sancta Maria da oe innanti et serviant a sancta Maria pro servos» si giunge alla imposizione di «daremi s’anchilla con sos fiios”. Esempio opposto di unione mista tra servu e livera è offerto invece nella scheda n. 116 (1185-inizio XIII)247

dove si legge sinteticamente ma in modo estremamente chiaro che «Petru Pianu fuit servu de sancta Maria de Bonarcadu. Coiuvedi cun Paulesa ki fuit livera. Fegerunt ·IIII· fiios. Giraruntsime ka si teniant liveros: non boliant servire a clesia. Kertei pro Elene Marras et pro Bera, sa sorre, in corona de iudice Petru et binki». Sebbene quindi i figli ritengano di essere liveros come conseguenza della condizione materna, in giudizio vengono smentiti e dichiarati dipendenti di Santa Maria di Bonarcado. Si noti tuttavia che per il momento i destinatari di questa disposizione, su quattro figli complessivi, sono solo due, Elena Marras e sua sorella Vera. La scheda n. 121 (1185-inizio XIII)248 sembra porre rimedio a questa

ambiguità, registrando «binkillos pro servos, ca parsit arresone ad iudice et a tota sa corona ca fuit livera sa mama Paulesa», riducendo quindi alla sola madre, Paulesa, la condizione

livera comunemente condivisa e riferendo invece a tutti i figli in generale la condizione di

244 CSMB, scheda n. 124, pp. 170-171. Gli esempi di questo tipo sono comunque molti. Un lungo elenco è

registrato per esempio nella scheda n. 167 (1252-1265), CSMB, pp. 218-221. Si rimanda alla Tabella n. 4,