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Il condaghe di San Michele di Salvennor raccoglie complessivamente 321 schede relative al territorio di Ploaghe (Sassari) e altre località del Logudoro (Ilvensa, Ostule, Murusas, Billikennor, Urieke, Gesti, Consedin, Puthumajore, Usune, Seuin, Othigeri, Gortinke, Tulka, Terkillo, Gortiocor, Isporlatu, Nurguso Genor, Oruspe), nella parte nord-occidentale dell’isola, registrando operazioni di varia natura dal 1070 al 1250.

L’edizione critica qui considerata è a cura di Paolo Maninchedda e Antonello Murtas, pubblicata nel 200371, e presenta un testo tradotto dal sardo in castigliano nel 1599, quindi

dotato di caratteristiche molto particolari rispetto a quanto finora analizzato, soprattutto per quanto concerne il lessico di riferimento. Risulta inoltre evidente una scarsa confidenza nel trattare di argomenti quali schiavitù o servaggio a causa della diversa estrazione politico- culturale del traduttore che si trova ad affrontare la descrizione di un mondo e di una realtà radicalmente diversi e distanti e che cerca di rendere più comprensibile e coerente. Le stesse parole degli editori usate nell’introduzione sono indicative in merito in quanto rilevano quanto sia «[…] ben nota la differenza di significato tra criado, che qui equivale all’italiano

famiglio, domestico e esclavo che significa, per l’appunto, schiavo. Entrambi i termini

vengono usati per tradurre il sardo servu. L’incertezza del traduttore nasce dalla complessità giuridica della condizione servile in età giudicale. Egli infatti, da una parte poteva notare che anche la prole dei servi veniva spartita tra i padroni, esattamente come se i servi fossero schiavi, dall’altra parte poteva leggere che anche i servi potevano disporre di proprietà (invero, piccole) e che, soprattutto, l’esercizio della proprietà nei loro confronti era indirizzato prevalentemente alla capacità di lavoro»72. E ancora, da un punto di vista

più prettamente lessicale, «quale che sia la ragione dell’utilizzo della coppia sinonimica, resta comunque il sintomo di una difficoltà generale di lettura del condaghe, oppure, e più probabilmente, di una certa trascuratezza e approssimazione per tutto ciò che non riguardava i confini delle proprietà dell’abbazia»73.

71 P. MANINCHEDDA e A.MURTAS (a cura di), Il Condaghe di San Michele di Salvennor, Cagliari 2003. Il

riferimento è a questa edizione e alle pagine citate anche in Tabella n. 2, CSMS – Condaghe di San Michele di Salvennor.

72 Ibidem, p. XXVIII. 73 Ibidem.

Certamente, sebbene l’aspetto linguistico sia parzialmente (o «quasi totalmente»74)

compromesso dalla traduzione in castigliano, l’analisi critica delle schede consente comunque di trarre significative conclusioni relativamente alla realtà rappresentata, soprattutto in ottica comparativa e in parallelo all’analisi di altre fonti da questo punto di vista più affidabili.

Dal punto di vista quantitativo, le schede poste in evidenza a seguito della analisi lessicale condotta con riferimento alla ricerca di dettagli e indicazioni relativi alla condizione personale e allo status dei soggetti coinvolti negli atti registrati, riportate anche sinteticamente in ordine cronologico in Tabella n. 2, CSMS – Condaghe di San Michele di Salvennor, sono complessivamente 91, quindi circa il 28% del totale, percentuale più bassa rispetto al condaghe di San Nicola di Trullas, ma comunque indicativa della rilevanza del tema preso in considerazione anche in questo documento.

Il grafico sotto riportato evidenzia la distribuzione cronologica delle schede riportanti indicazioni rilevanti per questa ricerca e presenta una chiara concentrazione nel periodo 1120-1140, considerando anche il contorno, rappresentando più della metà delle schede evidenziate, prodotte dunque prevalentemente durante i regni dei giudici Costantino I e Gonnario.

74 È quanto rilevato dagli stessi Manichedda e Murtas, cfr. Ibidem, p. XXXIII.

1 3 51 1 3 1 2 10 1 3 14 1 0 10 20 30 40 50 60

CSMS - Distribuzione cronologica schede evidenziate

(tot. 91 su 321 - 28%)

Anche in questo documento sono attestate cessioni di hombres e, talvolta, di relativa prole, in quote di proprietà variabili dal 100% a qualche giorno, analogamente a quanto riportato per San Nicola di Trullas e per gli altri condaghi i cui dati sono presentati in seguito. I termini specifici entero, un quarto, mitat, tres quartos (evidenti traduzioni dei termini sardi di cui all’analisi del condaghe di San Nicola di Trullas e altre fonti a seguire) come anche le giornate particolari, sono riferiti a soggetti che nel testo vengono indicati indifferentemente come hombres, siervos o esclavos75 a dimostrazione della difficoltà

incontrata dal traduttore nel definire la condizione degli stessi, ma senza per questo far sorgere necessariamente dubbi irrisolvibili relativi al fatto che si tratti di “servi” e non di “schiavi”, in quanto la comparazione con fonti coeve e le modalità di attestazione dei termini nel contesto consentono di affermare con una certa sicurezza che non si tratti di condizione schiavile, bensì servile (o presunta tale). La scheda n. 159 (1120-1140)76 attesta

«la mitat y un quarto», verosimilmente corrispondente alla dicitura iii. pedes riscontrata nei testi in sardo77, notando tuttavia l’attestazione anche del termine tres quartos in un’altra

scheda78. La distinzione di genere è invece confermata dal ricorso ai termini esclavo o

esclava79, oppure all’indicazione di hombres e relative mogli80, oppure all’attestazione di

entero o entera81.

Ancora con riferimento alle quote di proprietà specificate, la scheda n. 316 (1191-1198)82

parla in modo esplicito di «un día en un año y dos días en el otro año», anche in relazione a figli e nipote, mentre la n. 155 (1120-1140)83 rende evidente il riferimento a giornate

mensili («un día cada mes»), come anche la n. 239 (1140-1191)84. In questi casi è legittimo

pensare che non ci sia una reale distinzione tra le quote di proprietà attestate nei documenti ma che si tratti invece di diverse modalità di traduzione a cui si è fatto ricorso. Purtroppo, per quanto riguarda la scheda n.155 e i soggetti in essa attestati, Amanta e Elena Susana, 75 Di hombres si tratta per esempio in CSMS scheda n. 156 (1070-1080), pp. 75-77, a «siervo entero» si fa

riferimento nella scheda n. 187 (1120-1140), p. 91 – scheda in cui peraltro risulta la contestuale attestazione di siervo e esclava – e a «esclavo entero» ci si riferisce nella scheda n. 158 (1110-1127), p. 77. Gli esempi potrebbero essere estesi ad altre schede.

76 CSMS, scheda n. 159, p. 78.

77 Si veda per esempio la scheda coeva in CSNT n. 67 (1113-1127), pp. 78-79. 78 CSMS, scheda n. 164 (1120-1140), p. 80.

79 Il termine esclavo/esclavos risulta attestato 37 volte contro le 28 volte del termine esclava/esclavas. Si veda

a titolo esemplificativo per l’attestazione di entrambi CSMS, scheda n. 225 (1110-1127), p. 103.

80 CSMS, scheda n. 152 (1120-1140), pp. 67-68.

81 Per l’attestazione di entera si veda per esempio CSMS, scheda n. 189 (1130-1140), p. 92. 82 CSMS, scheda n. 316, p. 147.

83 CSMS, scheda n. 155, pp. 74-75. 84 CSMS, scheda n. 239, pp. 114-115.

non sono riscontrabili termini di paragone altrove, quindi l’indicazione fornita dal traduttore non può avere ulteriore riscontro se non con la valutazione di carattere generale che una prestazione di servizi così limitata e ridotta non corrisponda alla effettiva realtà e che sia quindi più verosimile una interpretazione a favore della frequenza mensile come nella maggioranza delle altre casistiche attestate, con altrettanti riferimenti espliciti. È inoltre documentata in almeno altre due schede la prestazione relativa a mezza giornata, sebbene nella formula «un día y medio»85. La datazione più tarda di queste ultime, 1218-

1229, farebbe pensare a una maggiore frammentazione delle prestazioni.

La contestuale attestazione di livres e servos è presente nella scheda n. 94 (1120-1140)86

che rende conto evidentemente di una realtà in cui la differenza di condizione o status è riconosciuta e formalmente documentabile.

Una delle difficoltà incontrate dal traduttore, precedentemente evidenziate, deve essere quella relativa alla possibilità dei servi di beneficiare della proprietà di beni e di partecipare agli scambi commerciali relativi ad appezzamenti di terre. Gli esempi sono molti e riguardano acquisti e cessioni. In entrambi i casi, la condizione dei soggetti coinvolti nella compravendita può essere dedotta dalla esplicita indicazione di «con voluntad de su amo»87

o anche «con voluntat de sus amos»88 a supporto della tesi relativa alla comproprietà di più

amos (padroni), assolutamente compatibile con le quote di proprietà (o, meglio, di

“possessi” fondiari) che danno prova di una più o meno ampia frammentazione delle prestazioni a favore evidentemente di più beneficiari. A seguito dei citati casi relativi ad acquisti, la scheda n. 87 (1120-1140)89 ci offre invece un esempio di cessione. La n. 126

(1120-1140)90 rende invece più esplicita l’indicazione della presunta condizione dei

soggetti coinvolti, associando alla precedentemente citata formula il termine siervos. Indicazioni di particolare interesse derivano dalle attestazioni relative a matrimoni, misti e non, e a conseguente spartizione della prole e dei diritti. La scheda n. 189 (1130-1140)91

per esempio registra il caso di Susanna Carta, entera, presa in sposa da Costantino d’Eti Guerra sulla cui condizione non sono resi dettagli. Il «mandador de la iglesia», Juan Farre, 85 CSMS, schede n. 19 (1218-1229), p. 25 e n. 294 (1218-1229), pp. 137-138.

86 CSMS, scheda n. 94, p. 49. Si vedano anche in CSMS, le schede n. 282 (1140-1191), pp. 128-129 e n. 285

(1130-1140?), pp. 131-133. 87 CSMS, scheda n. 67 (1120-1140), p. 41. 88 CSMS, scheda n. 77 (1120-1140), p. 44. 89 CSMS, scheda n. 87, p. 47. 90 CSMS, scheda n. 126, pp. 58-59. 91 CSMS, scheda n. 189, p. 92.

rivendica di non dover concedere al marito alcun diritto sui figli nel caso in cui il «padre si bolvía». Pare questo essere un esempio del diritto vantato dal padrone nei confronti, oltre che sulla madre, sui figli di una entera, verosimilmente a tutela dell’eventualità che un matrimonio misto risulti in una perdita di diritti. Le schede n. 228 (1120-1140)92 e n. 227

(1130-1140)93 rendono conto invece del caso di Juan de Tilergu, «esclavo de pauperos», il

cui padrone rivendica diritti sui figli della esclava Furada Pulla sposata con l’esclavo Costantino Pala che tuttavia, in virtù del matrimonio dei due soggetti dipendenti dallo stesso padrone, rimangono alle dipendenze dello stesso nonostante il tentativo di sottrazione e a prescindere dal fatto che Juan de Tilergu manifesti la sua presenza nell’abitazione dell’esclava contesa94.

Dettagli su matrimoni misti sono altresì registrati in varie schede. La n. 16 (1198-1218)95

illustra una situazione in cui una livre, Bera Congiu, sposata con un siervo, si vede sottratta il primogenito da parte del padrone del siervo mantenendo invece in condizione libera l’altro figlio, Furado, «de allí adelante» e concordando che gli eventuali successivi figli sarebbero stati esclavos. In un altro caso di matrimonio misto tra la livre Susanna Manata e il siervo Pietro Meloni, la lite si conclude con la spartizione a metà dei diritti sui figli96.

Altre schede dello stesso periodo, 1218-1229, registrano inoltre una condizione particolare che vede il pericolo che l’abbazia di San Michele di Salvennor non possa esercitare diritti sui figli derivanti da matrimoni tra «esclavas de la yglesia con livres y los esclavos con livres»97, oppure l’allontanamento di una livre dalla casa di un esclavo con la minaccia che

in caso di ritorno nel domicilio dello stesso esclavo i diritti sui figli sarebbero stati ceduti alla abbazia98. Le circostanze relative a un matrimonio non preventivamente autorizzato

dai relativi padroni e conseguente lite per la spartizione della prole sono infine registrate nella scheda n. 20 (1218-1229)99.

92 CSMS, scheda n. 228, p. 105. 93 CSMS, scheda n. 227, p. 105.

94 Il caso qui citato è anche oggetto di analisi da parte di Alessandro Soddu nel contributo A.SODDU, I páperos

(“poveri”) nella Sardegna giudicale (XI-XII secolo). Eredità bizantine, echi carolingi, peculiarità locali, in

“Acta Historica Archaeologica Mediaevalia”, 29 (2008), pp. 205-255. Cfr. anche sul tema F.ARTIZZU, “Donnos paperos” – Ricerca su un gruppo sociale nella Sardegna medievale, in “Archivio Storico Sardo”,

XLVI-Tomo II, pp. 833-853.

95 CSMS, scheda n. 16, pp. 23-24.

96 CSMS, scheda n. 3 (1218-1229), p. 12 (e anche p. XXXVIII sgg.). 97 CSMS, scheda n. 21 (1218-1229), p. 26.

98 CSMS, scheda n. 22 (1218-1229), p. 27, n. 23 (1218-1229), pp. 27-28 e n. 24 (1218-1229), p. 28. 99 CSMS, scheda n. 20, pp. 25-26.

Una nota finale spetta certamente alla scheda n. 230 (1120-1140)100 nella quale è riportata

una formula di particolare interesse, «que eran livres hechas», che, ammessa la affidabilità della traduzione, farebbe ipotizzare una precedente modifica della condizione dei soggetti interessati in direzione della libertà, quindi presupponendo una precedente condizione non- libera. Questo passaggio appare tuttavia di complessa interpretazione proprio a causa delle diverse possibilità di collocazione della locuzione «livres hechas» nel contesto della relativa sezione di cui si riporta il testo: «En Cortinique. Dio a San Miguel donnu Francu Solina el clérigo su parte quanto tenìa en Cortinique, tanto de parientes come aquerida de él y de sus ermanos y la parte de sus ermanas que eran libres hechas». La formula può essere in prima analisi, come sopra accennato, riferita alla condizione delle sorelle del donatore le quali sarebbero state liberate da una precedente condizione non-libera; altrimenti, la formula potrebbe essere riferita alle porzioni di terre donate che potrebbero essere esse stesse connotate da intrinseche caratteristiche di non-libertà prima ancora che queste si riflettano sui soggetti che le lavorano, analogamente a quanto riscontrabile nello stesso periodo in Inghilterra101; ultima casistica possibile quella che vede la formula riferita

alla dichiarazione di donazione, effettuata quindi senza obblighi o costrizioni formali, ma originante da una iniziativa assolutamente libera da parte del donatore.

Una ulteriore riflessione si estende anche a uno dei soggetti attestati, Franco Solina, e a quanto indicato anche nella scheda n. 164 (1120-1140)102: in quest’ultima, Franco Solina

appare esplicitamente definito dal termine entero, al pari della moglie Elena Pani che viene ceduta per «tres quartos» all’abbazia di San Michele di Salvennor. In una scheda coeva tuttavia, la n.230, lo stesso Franco Solina è preceduto dal termine donno, normalmente riservato ad aristocratici (laici ed ecclesiastici – in questo caso Franco Solina è definito anche come clérigo, analogamente a quanto attestato per «donnu Furadu Muselis el sacerdote que le dava la penitencia») o anche a chi è investito di responsabilità di carattere gestionale o amministrativo103. La duplice attestazione, sebbene in questo caso

100 CSMS, scheda n. 230, pp. 106-107.

101 Cfr. in merito tra gli altri J.HATCHER, English Serfdom and Villainage: Towards a Reassessment, in “Past

and Present”, n. 90 (Febbraio, 1981), pp. 3-39 e H.DE BRACTON, De legibus et consuetudinibus Angliae, a

cura di T.TWISS, Wiesbaden 1964, ristampa dell’edizione di Londra del 1878-1881 (Rerum Britannicarum

Medii Aevi Scriptores, 70).

102 CSMS, scheda n. 164, p. 80.

103 Raimondo Turtas afferma in merito ai chierici definiti contestualmente anche come donnu che «ciò che li

fa supporre deputati alla cura animarum consiste nel fatto che il loro nome è legato ad un determinato villaggio ed è spesso accompagnato dal titolo di donnu». R.TURTAS, La «cura animarum» in Sardegna tra

documentata in registri diversi, compare anche in fonti più tarde, in particolare un documento studiato da Rosalind Brown in un suo contributo relativo alla Sardegna del XIV secolo, pubblicato nel “Bollettino Storico Pisano”104. Il trecentesco Inventario delle

possessioni dell’Opera di S. Maria in Sardegna trova spazio nell’analisi più dettagliata

offerta in seguito105, tuttavia, per quanto ora evidenziato, possiamo sottolineare quanto

riportato nel 1310 a proposito di Mariano Forcilla che viene definito contestualmente come

donno e come servo106. In questo caso i dettagli forniti dall’autrice consentono di

disambiguare l’apparente contraddizione, specificando infatti che trattasi del «servo di Surrache procuratore nel 1310» e che, analogamente a quanto documentato per il Cagliaritano, anche in questa località della Gallura settentrionale «la responsabilità locale veniva delegata a servi residenti»107. Naturalmente la comparazione dei due documenti non

può essere decontestualizzata né da un punto di vista cronologico (due secoli di differenza tra le due fonti), né in riferimento alle possibili inesattezze dovute alla traduzione in castigliano del condaghe qui preso in considerazione. Tuttavia gli esempi offerti consentono di affermare che, nonostante la condizione certamente più disagiata dei soggetti attestati nei documenti come “servi”, a seconda delle specifiche circostanze e del contesto socio-politico-economico particolare gli stessi soggetti possono accedere ai benefici della proprietà di beni e degli scambi commerciali e, in alcuni casi, possono anche godere della fiducia dei potenti al punto di ricoprire ruoli di un certo rilievo e spessore in ambito di gestione e amministrazione dei beni terrieri.

Per concludere, come evidenziato nel precedente condaghe, anche questo documento vede l’attestazione della voce «mandator de livres» (al singolare o al plurale), riferibile a un procuratore che interviene nelle varie cause e liti e a titolo di esempio attestata nella scheda n. 149 (1120-1140)108, per quanto concerne i documenti riportati, ma anche in altre.

Visconti, marzo-giugno 1263, in “Theologica & Historica – Annali della Pontificia Facoltà Teologica della

Sardegna”, XV (2006), pp.359-404, qui citata p. 373.

104 R.BROWN, L’opera di S. Maria di Pisa e la Sardegna nel primo Trecento, in “Bollettino Storico Pisano”,

LVII (1988), pp. 157-209. Cfr. in particolare pp. 187-188 e p. 209. Cfr. anche B.FADDA, Nuovi documenti sulla presenza dell’Opera di Santa Maria di Pisa nella Gallura medievale (1112-1401), in R.MARTORELLI

(a cura di), Itinerando. Senza confini dalla preistoria ad oggi. Studi in ricordo di Roberto Coroneo, 1.2, Perugia 2015, pp. 645-660.

105 Cfr. paragrafo II.7.

106 R.BROWN, L’opera di S. Maria di Pisa e la Sardegna nel primo Trecento cit., p. 188. 107 Ibidem, p. 188 e p. 184.