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3. Le forme di concettualizzazione dello spazio

4.3 Altri fium

Dopo aver analizzato il resoconto erodoteo sui due fiumi più importanti delle Storie, il Nilo e l'Istro, esamineremo a titolo esemplificativo altri tre corsi d'acqua. Come ricordato all'inizio di questo capitolo, i fiumi svolgono tre funzioni secondo Erodoto: rappresentano un confine, una via d'acqua per l'esplorazione dell'interno oppure possono costituire essi stessi l'oggetto di studio. Ognuno dei tre fiumi scelti come esempio, l'Arasse, il Boristene e l'Aces, svolge chiaramente una di queste tre funzioni.

4.3.1 L'Arasse

Il primo dei tre fiumi che analizzeremo è l'Arasse poiché rappresenta un confine molto importante nel racconto erodoteo. Esso infatti rappresenta il confine fra l'Impero Persiano di Ciro il Grande e il paese dei Massageti, retto dalla regina Tomyris: alla fine del primo libro delle Storie, fra i capitoli

261 Cfr. 4.2 Il Nilo. 262 Hdt., II, 25.

263 CORCELLA 1993, 272.

264 Abbiamo già trattato questi fiumi nel paragrafo 3.1 L'Analogia poiché Erodoto li utilizza come termine di paragone per dimostrare l'origine alluvionale della Valle del Nilo: come già ricordato, i fiumi dell'Asia Minore sono più impetuosi e portano molti più detriti alla foce, rendendo il processo di interramento di bracci di mare più veloce rispetto al fiume egizio.

201 e 214, viene narrata la spedizione. Particolarmente interessanti ai fini della nostra trattazione sono i capitoli 205 e 206, in cui Tomyris sfida Ciro ad attaccare battaglia:

Hdt., I, 205-206: ν δέ, το νδρ ς ποθανόντος, γυν τ ν Μασσαγετέων Ἦ ῦ ἀ ὸ ἀ ὴ ῶ βασίλεια· Τόμυρίς ο ν ο νομα. Ταύτην πέμπων Κ ρος μν το, τ λόγ θέλων γυνα κά μινἱ ἦ ὔ ὁ ῦ ἐ ᾶ ῷ ῳ ῖ χειν. δ Τόμυρις, συνιε σα ο κ α τήν μιν μνώμενον λλ τ ν Μασσαγετέων ἔ Ἡ ὲ ῖ ὐ ὐ ἀ ὰ ὴ βασιληίην, πείπατο τ ν πρόσοδον. Κ ρος δ μετ το το, ς ο δόλ ο προεχώρεε,ἀ ὴ ῦ ὲ ὰ ῦ ὥ ἱ ῳ ὐ λάσας π τ ν ράξην ποιέετο κ το μφανέος π το ς Μασσαγέτας στρατηίην, ἐ ἐ ὶ ὸ Ἀ ἐ ἐ ῦ ἐ ἐ ὶ ὺ γεφύρας τε ζευγν ς π το ποταμο διάβασιν τ στρατ κα πύργους π πλοίωνὺ ἐ ὶ ῦ ῦ ῷ ῷ ὶ ἐ ὶ τ ν διαπορθμευόντων τ ν ποταμ ν ο κοδομεόμενος. ῶ ὸ ὸ ἰ Ἔχοντι δέ ο το τον τ ν πόνονἱ ῦ ὸ πέμψασα Τόμυρις ἡ κήρυκα λεγε τάδε· « βασιλε Μήδων, πα σαι σπεύδων τἔ Ὦ ῦ ῦ ὰ σπεύδεις· ο γ ρ ν ε δείης ε τοι ς καιρ ν σται τα τα τελεόμενα· παυσάμενος δὐ ὰ ἂ ἰ ἴ ἐ ὸ ἔ ῦ ὲ βασίλευε τ ν σεωυτο κα μέας νέχεο ρέων ρχοντας τ ν περ ρχομεν. Ο κ νῶ ῦ ὶ ἡ ἀ ὁ ἄ ῶ ἄ ὐ ὦ θελήσεις ποθήκ σι τ σίδε χρ σθαι, λλ πάντως μ λλον δι' συχίης ε ναι· σ ἐ ὑ ῃ ῃ ᾶ ἀ ὰ ᾶ ἢ ἡ ἶ ὺ δ ε μεγάλως προθυμέαι Μασσαγετέων πειρηθ ναι, φέρε, μόχθον μ ν τ ν χειςὲ ἰ ῆ ὲ ὸ ἔ ζευγν ς τ ν ποταμ ν φες, σ δ μέων ναχωρησάντων π το ποταμο τρι νὺ ὸ ὸ ἄ ὺ ὲ ἡ ἀ ἀ ὸ ῦ ῦ ῶ μερέων δ ν διάβαινε ς τ ν μετέρην. Ε δ' μέας βούλεαι σδέξασθαι μ λλον ς ἡ ὁ ὸ ἐ ὴ ἡ ἰ ἡ ἐ ᾶ ἐ τ ν μετέρην, σ τ υτ το το ποίεε.» Τα τα δ κούσας Κ ρος συνεκάλεσεὴ ὑ ὺ ὠ ὸ ῦ ῦ ὲ ἀ ὁ ῦ Περσέων το ς πρώτους, συναγείρας δ τούτους ς μέσον σφι προετίθεε τ πρ γμα,ὺ ὲ ἐ ὸ ῆ συμβουλευόμενος κότερα ποι . Τ ν δ κατ τ υτ α γν μαι συνεξέπιπτονὁ ῇ ῶ ὲ ὰ ὠ ὸ ἱ ῶ κελευόντων σδέκεσθαι Τόμυρίν τε κα τ ν στρατ ν α τ ς ς τ ν χώρην.ἐ ὶ ὸ ὸ ὐ ῆ ἐ ὴ

Morto il marito, era regina dei Massageti una donna; si chiamava Tomyris. Mandando ambasciatori, Ciro aspirava alle nozze, volendo a parole prenderla in moglie. Tomyris, comprendendo che egli non aspirava alla sua persona, ma al regno dei Massageti, gli intimò di non presentarsi. Allora Ciro, poiché non gli riusciva l'inganno, marciando verso l'Arasse, mosse apertamente in guerra contro i Massageti; costruì ponti sul fiume per il passaggio dell'esercito e innalzò torri sulle barche che dovevano attraversare il fiume. Mentre era occupato in queste imprese, Tomyris, avendogli mandato un araldo, diceva così: «O re dei Medi, smetti di affannarti come ti affanni; infatti, non puoi sapere se tutto questo per te si compirà a buon fine; smetti e regna sulle tue terre e sopporta di vederci regnare su quelle su cui regniamo. Tu, certo, non vorrai seguire questi consigli, ma preferirai qualsiasi cosa anziché startene in pace; se dunque hai gran desiderio di saggiare i Massageti, orsù, abbandona questa fatica che hai, di aggiogare il fiume; essendoci noi ritirati a tre giorni di cammino dal fiume, passa nella nostra terra. Se

invece preferisci aspettarci nella tua, sii tu a fare altrettanto». Ciro, ascoltate queste parole, convocò i primi tra i Persiani e, avendoli radunati, pose in mezzo a loro il problema, prendendo consiglio su quali delle due cose fare. I loro pareri furono concordi, esortando a far venire nel paese Tomyris e il suo esercito.

La regina dei Massageti rifiuta la proposta di matrimonio da parte di Ciro, capendo che essa costituisce un inganno dell'achemenide per impossessarsi del suo regno. Inoltre sfida il sovrano ad attaccare battaglia da un lato o dall'altro dell'Arasse: i consiglieri del Gran Re, sicuri della vittoria, ritengono sia più opportuno far entrare Tomiri e i suoi uomini in territorio persiano.

Prima che la decisione venga presa, però, interviene Creso, il quale suggerisce a Ciro di passare all'attacco oltrepassando l'Arasse: in questo modo, in caso di vittoria, i Persiani avrebbero avuto il paese dei Massageti alla propria mercè, mentre in caso di sconfitta avrebbero potuto ritirarsi nei propri domini per riorganizzarsi ed impedire a Tomiri di giungere nel cuore dell'Impero. Infatti, continua Creso, permettendo alla regina di oltrepassare il fiume ed in caso di sconfitta nessuno avrebbe più potuto fermarla nella sua marcia verso Susa e le ricchezze Persiane265. Il Gran Re, dopo

aver attraversato il fiume ed ottenuto un'iniziale vittoria, viene sconfitto dal grosso dell'esercito Massageta, Tomiri gli mozza la testa e la immerge in un otre pieno di sangue.

Il fiume Arasse, in questo passo, svolge una funzione molto importante. Esso, infatti, è il confine che separa i domini di Ciro da ciò che non è suo: oltrepassarlo significa morte certa. È possibile trovare un parallelismo con un celeberrimo passo della storiografia latina. Tito Livio, nel primo libro della sua opera Ab Urbe Condita, descrive con queste parole la fondazione di Roma da parte di Romolo e Remo e la scelta del primo re.

Liv. I, 6-7: Quoniam gemini essent nec aetatis verecundia discrimen facere posset, ut di

quorum tutelae ea loca essent auguriis legerent qui nomen novae urbi daret, qui conditam imperio regeret, Palatium Romulus, Remus Aventinum ad inaugurandum templa capiunt. Priori Remo augurium venisse fertur, sex voltures; iamque nuntiato augurio cum duplex numerus Romulo se ostendisset, utrumque regem sua multitudo consalutaverat: tempore illi praecepto, at hi numero avium regnum trahebant. Inde cumaltercatione congressi certamine irarum ad caedem vertuntur; ibi in turba ictus Remus cecidit. volgatior fama est ludibrio fratris Remum novos transiluisse muros; inde ab irato Romulo, cum uerbis quoque increpitans adiecisset: «Sic deinde, quicumque alius transiliet moenia mea», interfectum. Ita solus potitus imperio Romulus; condita 265 Hdt., I, 207.

urbs conditoris nomine appellata.

Siccome erano gemelli e il rispetto per la primogenitura non poteva funzionare come criterio elettivo, toccava agli dei che proteggevano quei luoghi indicare, attraverso gli aruspici, chi avessero scelto per dare il nome alla nuova città e chi vi dovesse regnare dopo la fondazione. Così, per interpretare i segni augurali, Romolo scelse il Palatino e Remo l’Aventino. Il primo presagio, sei avvoltoi, si dice toccò a Remo. Dal momento che a Romolo ne erano apparsi il doppio quando ormai il presagio era stato annunciato, i rispettivi gruppi avevano proclamato re l’uno e l’altro contemporaneamente. Gli uni sostenevano di aver diritto al potere in base alla priorità nel tempo, gli altri in base al numero degli uccelli visti. Ne nacque una discussione e dal rabbioso scontro a parole si passò al sangue: Remo, colpito nella mischia, cadde a terra. È più nota la versione secondo la quale Remo, per prendere in giro il fratello, avrebbe scavalcato le mura appena erette e quindi Romolo, al colmo dell’ira, l’avrebbe ammazzato aggiungendo queste parole di sfida: «Così, d’ora in poi, possa morire chiunque osi scavalcare le mie mura». In questo modo Romolo s’impossessò da solo del potere e la città appena fondata prese il nome del suo fondatore.

Nell'ultima parte di questo passo si può ben vedere la valenza del confine: Remo, scavalcando l'abbozzo di mura eretto da Romolo, compie un atto sacrilego, violando il territorio della neonata Urbe. Per questo motivo Romolo, legittimo re sulla base dell'auspicium, uccide il fratello che ha scavalcato il pomerium e si è quindi configurato come il primo invasore della neonata città. A mio avviso, questo omicidio ha anche valore un apotropaico e sentenziale: infatti, subito dopo, Romolo pronuncia il seguente monito: «Sic deinde, quicumque alius transiliet moenia mea.», «Così, d’ora

in poi, possa morire chiunque osi scavalcare le mie mura». L'omicidio, quindi, si configura come

strumento di monito per tutti coloro che in futuro tenteranno di invadere Roma.

Torniamo, per concludere, ad Erodoto e alla sua descrizione dell'Arasse: esso è un valido esempio della funzione di confine che i fiumi hanno nelle Storie. Il Gran Re Ciro, avendolo superato in armi in un impeto di βρις, malgrado gli avvertimenti della regina Tomyris, è condannato ad una fineὔ repentina, cruenta e innaturale.

Nel prossimo paragrafo analizzeremo un fiume molto utile ad Erodoto, che lo utilizza per esplorare l'interno della Scizia: il Boristene.

Il Boristene è un fiume che, nella visione erodotea, scorre da nord a sud, dividendo il Quadrato

scitico esattamente a metà. Nell'excursus che Erodoto dedica agli otto fiumi scitici viene nominato

per quarto e, non a caso, viene descritto dallo storico come il più grande dopo l'Istro e il più utile per l'Uomo dopo il Nilo:

Hdt., IV, 53: Τέταρτος δεὲ Βορυσθένης ποταμός, ς στι μέγιστός τε ὅ ἐ μετ στρονὰ Ἴ τούτων κα πολυαρκέστατος κατ γνώμας τ ς μετέρας ο τι μο νον τ ν Σκυθικ νὶ ὰ ὰ ἡ ὔ ῦ ῶ ῶ ποταμ ν λλ κα τ ν λλων πάντων, πλ ν Νείλου το Α γυπτίου· τούτ γ ρῶ ἀ ὰ ὶ ῶ ἄ ἁ ὴ ῦ ἰ ῳ ὰ ο κ ο ά τέ στι συμβαλε ν λλον ποταμόν· τ ν δ λοιπ ν < > Βορυσθένης στὐ ἷ ἐ ῖ ἄ ῶ ὲ ῶ ὁ ἐ ὶ πολυαρκέστατος, ς νομάς τε καλλίστας κα ε κομιδεστάτας κτήνεσι παρέχεται χθ ςὃ ὶ ὐ ἰ ῦ τε ρίστους διακριδ ν κα πλείστους, πίνεσθαί τε διστός στι, έει τε καθαρ ς παρἀ ὸ ὶ ἥ ἐ ῥ ὸ ὰ θολερο σι, σπόρος τε παρ' α τ ν ριστος γίνεται, ποίη τε, τ ο σπείρεται χώρη,ῖ ὐ ὸ ἄ ῇ ὐ ἡ βαθυτάτη· λες τε π τ στόματι α το α τόματοι πήγνυνται πλετοι· κήτεά τεἅ ἐ ὶ ῷ ὐ ῦ ὐ ἄ μεγάλα νάκανθα, τ ντακαίους καλέουσι, παρέχεται ς ταρίχευσιν, λλα τε πολλἀ ὰ ἀ ἐ ἄ ὰ θωμάσαι ξια. Μέχρι μέν νυν Γέρρου χώρου, ς τ ν τεσσεράκοντα μερέων πλόοςἄ ἐ ὸ ἡ στί, γινώσκεται έων π βορέω νέμου, τ δ κατύπερθε δι' ν έει νθρώπων ἐ ῥ ἀ ὸ ἀ ὸ ὲ ὧ ῥ ἀ ο δε ς χει φράσαι· φαίνεται δ έων δι' ρήμου ς τ ν γεωργ ν Σκυθέων τ νὐ ὶ ἔ ὲ ῥ ἐ ἐ ῶ ῶ ὴ χώρην· ο τοι γ ρ ο Σκύθαι παρ' α τ ν π δέκα μερέων πλόον νέμονται. Μούνουὗ ὰ ἱ ὐ ὸ ἐ ὶ ἡ δ τούτου το ποταμο κα Νείλου ο κ χω φράσαι τ ς πηγάς, δοκέω δέ, ο δὲ ῦ ῦ ὶ ὐ ἔ ὰ ὐ ὲ ο δε ς λλήνων. γχο τε δ θαλάσσης Βορυσθένης έων γίνεται καί οὐ ὶ Ἑ Ἀ ῦ ὴ ὁ ῥ ἱ συμμίσγεται πανις ς τ υτ λος κδιδούς. Τ δ μεταξ τ ν ποταμ ν τούτωνὁ Ὕ ἐ ὠ ὸ ἕ ἐ ὸ ὲ ὺ ῶ ῶ ν μβολον τ ς χώρης ππόλεω κρη καλέεται, ν δ α τ ρ ν Δήμητρος ἐὸ ἔ ῆ Ἱ ἄ ἐ ὲ ὐ ῷ ἱ ὸ νίδρυται· πέρην δ το ρο π τ πάνι Βορυσθενε ται κατοίκηνται. ἐ ὲ ῦ ἱ ῦ ἐ ὶ ῷ Ὑ ῗ

Quarto fiume è il Boristene che, dopo l'Istro, è il più grande di questi fiumi e a nostro avviso offre i vantaggi maggiori, non solo tra i fiumi della Scizia ma anche tra tutti gli altri, tranne il Nilo in Egitto: al Nilo infatti non è possibile confrontarne nessun altro. Dei rimanenti però il Boristene è quello che offre i vantaggi maggiori: procura al bestiame pascoli molto belli e ubertosissimi; pesci speciali, i più buoni e i più numerosi; la sua acqua è molto dolce da bere e scorre pura vicino a fiumi limacciosi; le seminagioni nei suoi pressi crescono nel modo migliore e l'erba, là dove la terra non è seminata, altissima. Inoltre il sale alla sua foce si cristallizza spontaneamente in quantità immensa; per la salatura procura pesci grandi e senza spine che sono chiamati antacei, e molte altre cose degne di ammirazione. Fino al territorio di Gerro, per cui sono

necessari quaranta giorni di barca, si sa che scorre dalla direzione del vento Borea; al di là di Gerro tuttavia nessuno può più dire attraverso quali uomini fluisca, mentre è noto che percorre un deserto fino alle terre degli Sciti agricoltori; questi Sciti infatti vivono lungo il Boristene per dieci giorni di navigazione. Solo di questo fiume e del Nilo non sono in grado di indicare le sorgenti, ma non potrebbe farlo a mio avviso nessuno dei Greci. Quando il Boristene nel suo corso si avvicina al mare, gli si congiunge l'Ipani che sfocia nella stessa palude. Il territorio tra i due fiumi, che è un cuneo di terra della regione, si chiama capo di Ippolao e vi sorge un santuario di Demetra. Al di là del santuario, al di sotto dell'Ipani, sono stanziati i Boristeniti.

Il Boristene, come si evince dal passo appena citato, rappresenta il vero e proprio asse della Scizia: oltre a dividerla esattamente a metà, infatti, rende fertili le terre circostanti: questo consente, come abbiamo già visto nel capitolo precedente266, lo stanziamento lungo le sue rive di due gruppi distinti

di Sciti agricoltori, gli ροτ ρες ad ovest e i γεωργοί ad est. Il fiume scitico si configura, come ilἀ ῆ Nilo nel secondo libro, come un datore di vita. La sua funzione più importante nelle Storie, però, è quella di via d'acqua utilizzata da Erodoto per portare il suo sguardo dalle coste del Ponto Eusino verso l'interno. Analizziamo nuovamente il capitolo 17 del quarto libro:

Hdt., IV, 17: ποὲ το Βορυσθενεϊτέων μπορίου (το το γαὲρ τ ν παραθαλασσίωνἈ ῦ ἐ ῦ ῶ μεσαίτατόν στι πάσης τ ς Σκυθικ ς), ποὲ τούτου πρ τοι Καλλιπίδαι νέμονται όντεςἐ ῆ ῆ ἀ ῶ ἐ λληνοσκύθαι, πεὲρ δεὲ τούτων λλο θνος ο λαζ νες καλέονται· ο τοι δεὲ καιὲ ο Ἑ ὑ ἄ ἔ ἳ Ἀ ῶ ὗ ἱ Καλλιπίδαι ταὲ μεὲν λλα καταὲ τα ταὲ Σκύθ σι πασκέουσι, σ τον δεὲ καιὲ σπείρουσι καιὲἄ ὐ ῃ ἐ ῖ σιτέονται, καιὲ κρόμμυα καιὲ σκόροδα καιὲ φακουὲς καιὲ κέγχρους. πεὲρ δεὲ λαζώνωνὙ Ἀ ο κέουσι Σκύθαι ροτ ρες, ο ο κ πιὲ σιτήσι σπείρουσι [τοὲν] σ τον λλ' πιὲ πρήσι.ἰ ἀ ῆ ἳ ὐ ἐ ῖ ἀ ἐ Τούτων δεὲ κατύπερθε ο κέουσι Νευροί· Νευρ ν δεὲ τοὲ προὲς βορέην νεμον ρημοςἰ ῶ ἄ ἔ νθρώπων, σον με ς δμεν. Τα τα μεὲν παραὲ τοὲν πανιν ποταμόν στι θνεα προὲς ἀ ὅ ἡ ῖ ἴ ῦ Ὕ ἐ ἔ σπέρης το Βορυσθένεος. ἑ ῦ

A partire dall'emporio dei Boristeniti, che è proprio al centro dei territori costieri di tutta la Scizia, a partire da questo emporio abitano per primi i Callippidi, che sono Sciti greci; al di sopra dei Callippidi c'è un altro popolo: si chiamano Alazoni. Quanto al resto gli Alazoni e i Callippidi vivono oltre gli Sciti; tuttavia seminano e mangiano grano, e inoltre cipolle, agli, lenticchie e miglio. Oltre gli Alazoni abitano gli Sciti aratori: essi 266 Cfr. 3.3 La Catalogia.

non seminano il grano per nutrirsene ma per venderlo. Al di sopra di costoro abitano i Neuri e , per quanto ne so, dopo i Neuri in direzione del vento Borea la terra è priva d'uomini. Questi sono i popoli lungo il fiume Ipani, a occidente del Boristene.

Possiamo notare come la descrizione erodotea proceda qui a volo d'uccello, dalla costa fino all' ρεμίη settentrionale. I Callippidi, gli Alazoni, gli Sciti aratori e i Neuri vengono nominati uno ἐ

dopo l'altro, da sud a nord, poiché tutti vivono lungo il fiume scitico.

In conclusione, il Boristene, oltre ad essere un importante datore di vita nelle Storie, funge da pretesto per l'esplorazione dell'interno del Quadrato scitico fino ai suoi confini settentrionali.

Nel paragrafo seguente analizzeremo un ultimo fiume, che consiste esso stesso oggetto di studio e di curiosità per Erodoto: l'Aces.

4.3.3 L'Aces

Il fiume Aces è al centro di un racconto al capitolo 117 del terzo libro, in cui vengono messe in luce la μ τις e il potere vessatorio dei sovrani Persiani. In esso viene riportata l'esistenza di una pianuraῆ circondata da una catena montuosa, il fiume Aces, entrando in essa si diramerebbe in cinque diverse direzioni e, attraverso cinque gole, irrigherebbe i territori di Corasmi, Ircani, Parti, Saranghei e Tamanei: Hdt., III, 117: στι δ πεδίον ν τ σί περικεκληιμένον ρεϊ πάντοἜ ὲ ἐ ῇ Ἀ ῃ ὄ θεν, διασφάγες δ το ρεός ε σι πέντε· το το τ πεδίον ν μέν κοτε Χορασμίων, ν ο ροισι ὲ ῦ ὄ ἰ ῦ ὸ ἦ ἐ ὔ ἐὸν Χορασμίων τε α τ ν κα ρκανίων κα Πάρθων κα Σαραγγέων κα Θαμαναίων·ὐ ῶ ὶ Ὑ ὶ ὶ ὶ πείτε δ Πέρσαι χουσι τ κράτος, στ το βασιλέος. κ δ ν το περικληίοντος ἐ ὲ ἔ ὸ ἐ ὶ ῦ Ἐ ὴ ὦ ῦ ρεος τούτου έει ποταμ ς μέγας, ο νομα δέ ο στι κης. Ο τος πρότερον μ ν ὄ ῥ ὸ ὔ ἵ ἐ Ἄ ὗ ὲ ρδεσκε διαλελαμμένος πενταχο τούτων τ ν ε ρημένων τ ς χώρας, δι διασφάγος ἄ ῦ ῶ ἰ ὰ ὰ γόμενος κάστης κάστοισι. πείτε δ π τ Πέρσ ε σί, πεπόνθασι τοιόνδε· τ ς ἀ ἑ ἑ Ἐ ὲ ὑ ὸ ῷ ῃ ἰ ὰ διασφάγας τ ν ρέων νδείμας βασιλε ς πύλας π' κάστ διασφάγι στησε,ῶ ὀ ἐ ὁ ὺ ἐ ἑ ῃ ἔ ποκεκληιμένου δ το δατος τ ς διεξόδου τ πεδίον τ ντ ς τ ν ρέων πέλαγος ἀ ὲ ῦ ὕ ῆ ὸ ὸ ἐ ὸ ῶ ὀ γίνεται, νδιδόντος μ ν το ποταμο , χοντος δ ο δαμ ξήλυσιν. Ο τοι ν ο περἐ ὲ ῦ ῦ ἔ ὲ ὐ ῇ ἐ ὗ ὦ ἵ μπροσθε ώθεσαν χρ σθαι τ δατι, ο κ χοντες α τ χρ σθαι, συμφορ μεγάλ ἔ ἐ ᾶ ῷ ὕ ὐ ἔ ὐ ῷ ᾶ ῇ ῃ διαχρέωνται· τ ν μ ν γ ρ χειμ να ει σφι θε ς σπερ κα το σι λλοισιὸ ὲ ὰ ῶ ὕ ὁ ὸ ὥ ὶ ῖ ἄ νθρώποισι, το δ θέρεος σπείροντες μελίνην κα σήσαμον χρηίσκονται τ δατι. ἀ ῦ ὲ ὶ ῷ ὕ πε ν ν μηδέν σφι παραδιδ ται το δατος, λθόντες ς το ς Πέρσας α τοί τε Ἐ ὰ ὦ ῶ ῦ ὕ ἐ ἐ ὺ ὐ

κα γυνα κες, στάντες κατ τ ς θύρας το βασιλέος βο σι ρυόμενοι, δὶ ῖ ὰ ὰ ῦ ῶ ὠ ὁ ὲ βασιλε ς το σι δεομένοισι α τ ν μάλιστα ντέλλεται νοίγειν τ ς πύλας τ ς ςὺ ῖ ὐ ῶ ἐ ἀ ὰ ὰ ἐ το το φερούσας· πε ν δ διάκορος γ σφεων γένηται πίνουσα τ δωρ, α ται μ νῦ ἐ ὰ ὲ ἡ ῆ ὸ ὕ ὗ ὲ α πύλαι ποκληίονται, λλας δ' ντέλλεται νοίγειν λλοισι το σι δεομένοισιἱ ἀ ἄ ἐ ἀ ἄ ῖ μάλιστα τ ν λοιπ ν. ς δ' γ ο δα κούσας, χρήματα μεγάλα πρησσόμενοςῶ ῶ Ὡ ἐ ὼ ἶ ἀ νοίγει πάρεξ το φόρου. Τα τα μ ν δ χει ο τω. ἀ ῦ ῦ ὲ ὴ ἔ ὕ

C'è una pianura in Asia chiusa tutt'intorno da una catena montuosa, e nella catena ci sono cinque gole. La pianura un tempo apparteneva ai Corasmi, trovandosi ai confini tra i Corasmi stessi, gli Ircani, i Parti, i Saranghei e i Tamanei: tuttavia, da quando i Persiani hanno il potere, essa appartiene al re. Dalla catena montuosa che la racchiude scorre un grande fiume: il suo nome è Aces. Il fiume in precedenza, dividendo il corso per ognuno dei popoli che ho detto, ne irrigava i territori, andando attraverso ogni gola in ciascuno di essi; tuttavia, da quando questi popoli sono sottomessi ai Persiani, è capitato loro quanto segue: il re ha ostruito le gole dei monti ed ha posto chiuse a ciascuna gola; una volta sbarrata la via d'uscita dell'acqua, la pianura all'interno dei monti diventa un mare: il fiume vi sbocca, ma non può uscire da nessuna parte. Coloro che in precedenza erano soliti servirsi dell'acqua, non potendo più servirsene subiscono un grave danno: poiché, se durante l'inverno il dio fa piovere per loro come per gli altri uomini, d'estate, quando seminano miglio e sesamo, hanno penuria d'acqua. Quando dunque non viene loro assolutamente concessa, essi e le loro mogli si recano in Persia, si mettono davanti alla porta del re e si lamentano con grandi grida; il re, per quanti soprattutto ne hanno bisogno, dà ordine allora di aprire le chiuse che immettono nella loro direzione. Quando la loro terra si è imbevuta d'acqua a sazietà, queste chiuse sono sbarrate, e il re dà disposizioni di aprirne altre per quanti restano e ne hanno soprattutto bisogno. Tuttavia, come so per averlo sentito dire, il re fa aprire le chiuse ricavando grandi ricchezze, a parte il tributo. Qui le cose stanno dunque così.

Questo capitolo sembra costituire una sorta di cuscinetto fra una sezione ed un'altra. Nei capitoli da 98 a 116, infatti, Erodoto dedica un lungo excursus alle zone ai confini dell'ο κουμένη. Vengonoἰ presentati gli usi e costumi degli Etiopi e dei vari gruppi di Indiani, mentre negli ultimi due capitoli di esso lo storico traccia una breve panoramica sulle poche conoscenze che possiede sui confini occidentali dell'Europa. Il racconto del capitolo 117 ha una natura fantastica: lo storico lo inserisce qui per riportare gradualmente la narrazione dai confini del mondo a quelli dell'Impero Persiano. La pianura del fiume Aces è infatti compresa all'interno dei domini achemenidi, come ci conferma lo

stesso Erodoto, pur essendo ai suoi margini settentrionali.

Nel passo sopracitato ci viene riferito che il Gran Re prese personalmente il controllo della regione dopo la sua conquista e la sua sottrazione all' θνος dei Corasmi. Inoltre viene qui confermataἔ l'abilità persiana con le opere di irrigazione e sbarramento delle acque: questa peculiarità non risalta mai in modo specifico nel testo erodoteo, ma è facilmente ravvisabile in molti passi dove gli achemenidi hanno a che fare con fiumi o bracci di mare. Molto famoso, a questo proposito, è il passo del primo libro267 in cui uno dei cavalli di Ciro affogò nel fiume Gyndes: il sovrano, adirato

con il fiume, fermò l'esercito in marcia verso Babilonia e fece costruire trecentosessanta canali che disperdessero le acque del fiume, affinché anche le donne potessero guadarlo senza bagnarsi le ginocchia.

Un altro elemento che si nota dal capitolo 117 del terzo libro e dall'umiliazione del fiume Gyndes è la βρις dei sovrani Persiani: essi si sentono in diritto di controllare tutto nel loro Impero, compresiὔ gli elementi naturali, considerati alla stregua di veri e propri sudditi: a questo proposito è emblematico l'episodio della flagellazione dell'Ellesponto268. Il Gran Re Serse aveva ordinato ai

suoi uomini di costruire un ponte sul braccio di mare per poter far passare le sue truppe in Europa ma una tempesta distrusse la parte già costruita e disperse uomini e attrezzature. Il sovrano, quindi, ordinò di fustigare l'acqua dell'Ellesponto e di insultarlo con queste parole:

Hdt., VII, 35.2: « πικρ ν δωρ, δεσπότης τοι δίκην πιτιθε Ὦ ὸ ὕ ἐ ῖ τήνδε, τι μιν δίκησαςὅ ἠ ο δ ν πρ ς κείνου δικον παθόν. Κα βασιλε ς μ ν Ξέρξης διαβήσεταί σε, ν τε σύὐ ὲ ὸ ἐ ἄ ὶ ὺ ὲ ἤ γε βούλ ν τε μή. Σο δ κατ δίκην ρα ο δε ς νθρώπων θύει, ς όντι καῃ ἤ ὶ ὲ ὰ ἄ ὐ ὶ ἀ ὡ ἐ ὶ θολερ κα λμυρ ποταμ .»ῷ ὶ ἁ ῷ ῷ

«Acqua amara, il tuo signore ti infligge questo castigo, perché lo hai offeso senza aver ricevuto alcuna offesa da lui. Il re Serse ti varcherà, che tu lo voglia o no. Giustamente nessuno tra gli uomini ti offre sacrifici, perché sei un fiume torbido e salmastro.»

In tutti e tre i casi riportati, la chiusura delle gole nella valle dell'Aces, l'umiliazione del Gyndes e la flagellazione dell'Ellesponto, è fortemente presente la megalomania Persiana e la convinzione da parte dei vari sovrani di poter controllare la natura.

Riguardo all'Aces è possibile porre un ultimo quesito: quale sovrano ordinò la chiusura delle gole? Negli altri due casi Erodoto fornisce il nome in modo esplicito; il Gyndes venne diviso in trecentosessanta canali per volere di Ciro, mentre l'Ellesponto venne fatto flagellare da Serse. 267 Hdt., I, 189.

Nel caso della valle dell'Aces, invece, il sovrano non viene menzionato con il proprio nome anche se è probabile che si tratti di Dario. Il capitolo 117, infatti, si colloca nel momento cronologico in cui egli ha appena spodestato il falso Smerdi ed è diventato re: il fatto che il nome del sovrano sia sottinteso deve farci supporre che sia stato lui ad ordinare questa impresa. Inoltre, alla fine del passo, Erodoto afferma di aver sentito che l'apertura delle dighe in favore dei vari popoli sarebbe ordinata dal re dietro pagamento di un congruo compenso: l'azione collima pienamente con la caratterizzazione di un sovrano che lo stesso storico al capitolo 89 del terzo libro definisce κάπηλος,

bottegaio269.

Passiamo ora alle conclusioni di questo lavoro.

5. Conclusioni

Nel presente lavoro abbiamo esaminato alcuni aspetti geografici peculiari nelle Storie di Erodoto. Nell'introduzione abbiamo esaminato soprattutto due questioni: se è possibile considerare l'autore come il “padre” della geografia greca e quale ruolo ha questa disciplina nell'opera dello storico. Per trovare una risposta alla prima questione occorre tenere conto che i Greci avevano già delle discrete conoscenze geografiche sin da Omero, passando poi per i peripli, i logografi ionici ed Ecateo. Nel caso del poeta epico, però, il focus delle sue opere è un altro. La geografia dei poemi omerici, infatti, non ha alcun fine utilitaristico né pretesa di scientificità.

Riguardo i peripli e i logografi ionici, invece, non disponiamo di materiale sufficiente per poter avere una buona conoscenza della loro visione in campo geografico. I loro testi ci sono giunti in modo mutilo e possiamo avere qualche informazione aggiuntiva grazie alle epitomi realizzate in epoca successiva.

Lo stesso discorso è valido anche per Ecateo, seppur con una differenza sostanziale. I peripli, infatti erano frutto di un'esigenza di tipo utilitaristico: i marinai Greci avevano bisogno di opere in cui fossero rappresentate le principali rotte commerciali del Mediterraneo e i luoghi che avrebbero incontrato percorrendole. Le opere dei logografi erano invece volte ad un'indagine globale della

269 Hdt., III, 89: Δι δ ταύτην τ ν πίταξιν το φόρου κα παραπλήσια ταύτ λλα λέγουσι Πέρσαι ς Δαρε ος μ νὰ ὲ ὴ ἐ ῦ ὶ ῃ ἄ ὡ ῖ ὲ ν κάπηλος, Καμβύσης δ δεσπότης, Κ ρος δ πατήρ, μ ν τι καπήλευε πάντα τ πρήγματα, δ τι

ἦ ὲ ῦ ὲ ὁ ὲ ὅ ἐ ὰ ὁ ὲ ὅ

χαλεπός τε ν κα λίγωρος, δ τι πιός τε κα γαθά σφι πάντα μηχανήσατο. ἦ ὶ ὀ ὁ ὲ ὅ ἤ ὶ ἀ ἐ

A causa dell'imposizione del tributo e di altre iniziative ad essa analoghe i Persiani dicono che Dario era un bottegaio, Cambise un despota, Ciro un padre: il primo perché mercanteggiava su tutto, il secondo perché era duro e sprezzante, il terzo perché era buono e per i beni che aveva loro procurato.

realtà, dalla geografia alla cosmologia, dalle ricerche sull' ρχή e l'origine di tutte le cose alleἀ questioni climatiche. Lo studioso di Mileto, invece, scrive una Περιήγησις una descrizione dell'intero mondo conosciuto: per la prima volta nella letteratura greca, l'autore di un'opera simile cerca di darle autenticità. I dati contenuti in essa, almeno in parte, sono infatti frutto dei molti viaggi