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3. Le forme di concettualizzazione dello spazio

3.2.2 L'analogia in Erodoto

3.2.2.1 L'analogia come spiegazione

La prima funzione dell'analogia è quella di dare spiegazioni sul mondo e su ciò che avviene in esso. Nelle Storie avviene con una certa frequenza che vengano descritti fenomeni naturali apparentemente inspiegabili per il mondo greco di V sec. a.C.112 e l'analogia permette allo storico di

utilizzare degli esempi noti a lui e ai suoi lettori per cercare di chiarire al massimo la natura di questi eventi. Lo storico può quindi rendere chiara la causa di un fenomeno paragonando questo ad altri fenomeni simili su cui è più facile indagare.

A questo proposito è particolarmente interessante esaminare il cosiddetto logos nilotico che si estende dal capitolo 5 al 35 del secondo libro. Il fiume egizio costituisce per Erodoto un θα μα,ῦ

meraviglia: in particolare ha caratteristiche e comportamenti che egli non ritiene ravvisabili in

nessun altro fiume dell' ο κουμένη, come il fatto che il suo corso esondi nel periodo estivo oppureἰ la presenza dei coccodrilli. Lo storico si propone quindi di studiarne le caratteristiche geomorfologiche e, soprattutto, il corso.

All'inizio del logos Erodoto riporta varie prove (τεκμήρια) del fatto che il delta del Nilo abbia un'origine alluvionale e si sia quindi creato grazie ai sedimenti accumulati alla foce del fiume. Per questo motivo, poco prima, definisce l'intero Egitto come δ ρον το ποταμοῶ ῦ ῦ113. Una di queste

prove consiste nel paragone κατ' ναλογίαν frἀ a la pianura originata dal Nilo e varie piane dell'Asia

110 LLOYD 1966. 111 LLOYD 1966, 178.

112 Cfr. Le mappe e le conoscenze geografiche. 113 Hdt., II, 5.

Minore: la zona intorno ad Ilio114, la Teutrania115, le piane di Efeso116 e del Meandro117. Hdt. II, 10: Ταύτης ν τ ς χώρης τ ς ε ρημένης πολλή, κατά περ ο ρέες λεγον,ὦ ῆ ῆ ἰ ἡ ἱ ἱ ἔ δόκεε κα α τ μοι ε ναι πίκτητος Α γυπτίοισι. Τ ν γ ρ ρέων τ ν ε ρημένων ἐ ὶ ὐ ῷ ἶ ἐ ἰ ῶ ὰ ὀ ῶ ἰ τ ν π ρ Μέμφιν πόλιν κειμένων τ μεταξ φαίνετό μοι ε ναί κοτε κόλποςῶ ὑ ὲ ὸ ὺ ἐ ἶ θαλάσσης, σπερ τ περ λιον κα Τευθρανίην κα ὥ ὰ ὶ Ἴ ὶ ὶ Ἔφεσόν τε κα Μαιάνδρουὶ πεδίον, ς γε ε ναι σμικρ τα τα μεγάλοισι συμβαλε ν· τ ν γ ρ τα τα τ χωρίαὥ ἶ ὰ ῦ ῖ ῶ ὰ ῦ ὰ προσχωσάντων ποταμ ν ν τ ν στομάτων το Νείλου, όντος πενταστόμου, ο δε ςῶ ἑ ὶ ῶ ῦ ἐ ὐ ὶ α τ ν πλήθεος πέρι ξιος συμβληθ ναί στι. Ε σ δ κα λλοι ποταμοί, ο κατὐ ῶ ἄ ῆ ἐ ἰ ὶ ὲ ὶ ἄ ὐ ὰ τ ν Νε λον όντες μεγάθεα, ο τινες ργα ποδεξάμενοι μεγάλα ε σί· τ ν γ φράσαιὸ ῖ ἐ ἵ ἔ ἀ ἰ ῶ ἐ ὼ χω ο νόματα κα λλων κα ο κ κιστα χελ ου, ς έων δι' καρνανίης κα ἔ ὐ ὶ ἄ ὶ ὐ ἥ Ἀ ῴ ὃ ῥ Ἀ ὶ ξιε ς ς θάλασσαν τ ν χινάδων νήσων τ ς μισέας δη πειρον πεποίηκε. ἐ ὶ ἐ ῶ Ἐ ὰ ἡ ἤ ἤ

La maggior parte del paese che ho appena descritto è parsa anche a me, proprio come 114 La città di Ilio venne localizzata nel 1872 dall'archeologo dilettante Heinrich Schliemann sulla collina di Hissarlik,

a quattro chilometri dalla costa asiatica dello stretto dei Dardanelli: il tedesco si basò sulle informazioni ricavabili dall' Iliade (cfr. FINLEY 1974): da queste sappiamo che la piana davanti alla città era posizionata fra i fiumi Scamandro e Simoenta (Hom., Il. Ζ, 1-4), identificati oggi rispettivamente con il Karamenderes e il Dumrek Su. I due fiumi, infatti, si trovano a sud e a nord della collina di Hissarlik. Sono entrambi piuttosto brevi, 224 km il primo e appena 32 km il secondo: hanno però un carattere fortemente torrentizio ed impetuoso, elemento che consente loro di scaricare alla foce molti detriti e di accentuare fortemente l'avanzamento di quest'ultima. Questo particolare è già attestato in Strabone (Strab., XII.1.31), che riporta come i due fiumi della piana di Troia portino alla foce molti detriti, i quali a loro volta estendono la pianura stessa. Questo primo esempio portato da Erodoto è probabilmente il più calzante rispetto al Nilo, benché i fiumi nominati siano due e non uno. Ognuno di questi riporta però una caratteristica pregnante del corrispettivo egizio: infatti lo Scamandro ha una foce a delta che ricorda quella nilotica, mentre il Simoenta forma una palude acquitrinosa prima di gettarsi nello Scamandro, fenomeno paragonabile all'esondazione periodica del fiume Nilo.

115 La Teutrania è una regione posta a sud della Troade, sempre in Asia Minore. È nota alla letteratura sin dal cosiddetto Ciclo Epico: infatti in uno dei poemi, i Cipria, viene raccontato un antefatto alla grande spedizione achea contro Troia. Gli eroi greci avrebbero già una volta tentato lo sbarco in Troade, ma sarebbero giunti per errore proprio in Teutrania: qui avrebbero cominciato a devastare la regione e sarebbero stati contrastati dal re locale, Telefo. Questi avrebbe ucciso Tersandro, figlio di Polinice, e sarebbe stato ferito gravemente da Achille. A seguito di un oracolo che profetizzò la guarigione del re solo per mano dello stesso Achille, Telefo si recò ad Argo e, una volta guarito dall'eroe Acheo, avrebbe guidato la seconda e definitiva spedizione contro Troia, essendo l'unico in grado di farlo secondo un'altra profezia (cfr. LLOYD, vol. 2, 61). Teutrania indica sia questa regione che una città posta al suo interno, interrata nei secoli dai detriti portati dal fiume Caico (oggi Bakır Cay).

116 Sulla piana di Efeso, formata dai detriti del fiume Caistro, i testi antichi ci danno parecchie testimonianze riguardo il suo interramento e l'avanzamento della linea costiera. Oggi i resti di questa città sono circa ad otto chilometri dalla foce del fiume.

117 Il Meandro è invece il fiume tortuoso per antonomasia: basti pensare al termine italiano meandro che deriva proprio da questo fiume: questa particolarità era ben nota agli autori greci sin dai tempi di Omero (Hom., Il., Β, 867-869): in particolare Strabone (Strab. XII, 8, 15) riporta che il fiume aveva un corso particolarmente intricato, tanto da essere preso come archetipo dei fiumi tortuosi.Il τόπος prosegue anche nella letteratura latina: sicuramente l'esempio più pregnante si trova nell'ottavo libro delle Metamorfosi di Ovidio, dove il fiume viene paragonato al labirinto costruito da Dedalo sull'isola di Creta (Ov. Met., VIII, 162-168).

Il Meandro è di particolare interesse, in quanto colpisce da vicino l'attenzione degli studiosi ionici: infatti essi videro da vicino l'interramento delle due città costiere di Priene e Myos ad opera del fiume, che arrivò a minacciare la stessa Mileto. La città, che sorgeva all'estrema propaggine del golfo di Latmo, di fronte all'isola di Lade, cominciò a soffrire questa situazione che comportò una progressiva riduzione del suo potere marittimo già dal V sec. a.C., ma soprattutto in età ellenistica (cfr. THONEMANN 2011, 28).

dicevano i sacerdoti, una terra che si è aggiunta in un secondo momento all'Egitto. In effetti il territorio situato fra i monti sopra citati, che si trovano oltre la città di Menfi, mi è sembrato che un tempo debba essere stato un'insenatura marina, al pari dei dintorni di Ilio, di Teutrania, di Efeso e della pianura del Meandro, se è lecito paragonare il piccolo al grande: infatti dei fiumi che con le loro alluvioni hanno formato questi luoghi nessuno è degno di essere messo a confronto per volume d'acqua a una sola delle bocche del Nilo, che ne ha ben cinque. Esistono anche altri fiumi che, pur non avendo una portata pari a quella del Nilo, hanno prodotto risultati di grande rilievo: io posso fare i nomi e in particolare voglio ricordare l'Acheloo, che scorre verso l'Acarnania e là dove sfocia in mare ha già unito al continente metà delle isole Echinadi.

Alan B. Lloyd, nel suo esaustivo commento al secondo libro delle Storie, suggerisce che Erodoto dovesse avere sotto gli occhi una mappa della regione per poter svolgere quest'analogia visto che in questo passo ordina i fiumi da nord a sud118. Sicuramente lo storico si avvalse di carte, peripli e

mappe per descrivere i luoghi delle sue narrazioni ma, a mio avviso, in questo preciso caso non è necessario presupporre l'uso di una mappa: infatti non dobbiamo dimenticare come la costa ionica fosse da lungo tempo sotto influenza delle πόλεις greche e la zona fosse quindi molto conosciuta. In sostanza, allo storico non servivano mappe o liste per collocare da nord a sud i fiumi di una regione che doveva conoscere molto bene. In altri luoghi delle Storie è invece lecito e doveroso congetturare la presenza di mappe sul suo tavolo di lavoro, come ad esempio in IV, 36 e seguenti, dove viene descritta la forma del mondo conosciuto, oppure in V, 49 e seguenti, dove viene descritta la Strada del Re che portava da Sardi a Susa.

Dal passo in questione si coglie bene il valore dell'analogia in quanto fonte di spiegazione: Erodoto infatti difende la tesi sul fatto che la Valle del Nilo sia di origine alluvionale paragonandola a fiumi che hanno chiaramente questa origine ed essendo più impetuosi permettono di osservare più chiaramente il fenomeno poiché portano più detriti. Il processo di sedimentazione che dà origine alla pianura è di conseguenza più veloce. In sostanza, la Valle del Nilo è di origine alluvionale poiché il fiume ha un comportamento simile a quello dei fiumi Scamandro, Simoenta, Caistro e Meandro, i quali a loro volta danno origine a pianure alluvionali.

L'analogia usata come spiegazione di fenomeni naturali non viene impiegata solo per confermare le proprie tesi come nel passo sopracitato, ma anche allo scopo contrario. Un esempio particolare di

quest'uso è dato dal capitolo 20 del secondo libro, in cui Erodoto offre una panoramica delle spiegazioni per le periodiche esondazioni del fiume Nilo: infatti il fiume ha un comportamento opposto rispetto agli altri corsi d'acqua. Partendo dal solstizio d'estate entra in piena, per essere invece in magra durante l'inverno. Per questo motivo costituisce uno di quei θωμάσια che tanto affascinano Erodoto e a cui cerca di dare una spiegazione.

L'autore, nei capitoli successivi al ventesimo, riporta che alcuni studiosi attribuivano le piene del Nilo ai venti etesii i quali, spirando da nord ovest agirebbero agito da ostacolo per le correnti del fiume, che quindi esonderebbe inondando i terreni circostanti119. Altri, invece, farebbero nascere il

Nilo dall'Oceano che circonderebbe tutta la Terra120. La terza ed ultima ipotesi verterebbe sullo

scioglimento dei ghiacci delle montagne da cui proviene il fiume121. Tutte e tre le teorie vengono

confutate da Erodoto, prima che egli riporti la sua.

Per lo storico è il sole il responsabile del comportamento anomalo delle acque del Nilo. Infatti durante l'inverno esso viene deviato dalle tempeste verso sud122; qui fa evaporare l'acqua dei fiumi

della zona, Nilo compreso. L'acqua evaporata viene portata a nord dai venti, soprattutto il νότος e il λίψ che, come ricorda lo stesso Erodoto sono i più piovosi di tutti123. Per questo motivo i fiumi

hanno un volume d'acqua maggiore durante l'inverno. Nella stagione estiva, il sole ritorna alla sua sede ed assorbe l'acqua indistintamente da tutti i fiumi: per questo motivo il Nilo ha un maggior volume d'acqua durante l'estate. In inverno è l'unico la cui acqua viene fatta evaporare dal sole, mentre in estate questo fenomeno avviene per tutti i corsi d'acqua124.

Il passo sottocitato riporta la prima delle tre ipotesi confutate dallo storico, quella dei venti etesii:

Hdt. II, 20: λλ λλήνων μέν τινες πίσημοι βουλόμενοι γενέσθαι σοφίην λεξανἈ ὰ Ἑ ἐ ἔ περ το δατος τούτου τριφασίας δούς, τ ν τ ς μ ν δύο [τ ν δ ν] ο κ ξιὶ ῦ ὕ ὁ ῶ ὰ ὲ ῶ ὁ ῶ ὐ ἀ ῶ μνησθ ναι ε μ σον σημ ναι βουλόμενος μο νον. Τ ν τέρη μ ν λέγει το ςῆ ἰ ὴ ὅ ῆ ῦ ῶ ἡ ἑ ὲ ὺ 119 La teoria dei venti etesii venne formulata per prima volta da Talete (Thal., DK 11 A 16; Diod. I 38) e costituì una

sorta di baluardo nel pensiero geografico greco. Fu ripresa infatti dal navigatore Eutimene di Massalia, che a cavallo fra V e IV sec. a.C. superò le famigerate Colonne d'Ercole, navigò lungo la costa dell'Africa occidentale fino alla foce di un fiume; lui lo identificò con la sorgente del Nilo, probabilmente corrispondeva al fiume Senegal (cfr. PERETTI 1979, 42 sgg.; JACOBY, RE 6,1 1907 Euthimenes). Anche Seneca, nelle sue Naturales Quaestiones, riporta il viaggio di Eutimene e suffraga la paternità di Talete su questa teoria.

120 Questa ipotesi di un fiume circolare che scorrerebbe in circolo ai bordi estremi del mondo si può già ravvisare nell'Iliade (Hom., Il., Σ. 606-607). Viene successivamente ripresa da Ecateo che, come ricorda lo stesso Erodoto, la porrà a fondamento della propria mappa (Hdt., IV, 36.3).

121 Ciò è impossibile per Erodoto: infatti come si possono trovare ghiacci così a meridione, dove il clima è così caldo da essere inabitabile e costituire una ρεμίη, ἐ un deserto?

122 Hdt., II, 24.

123 Il Noto e il Libeccio, che spirano rispettivamente da sud e da sud ovest. In particolare il nome greco del libeccio, λίψ, λιβός, contiene al suo interno la radice *λίβ che indica umidità (è la stessa di λείβω, versare).

τησίας νέμους ε ναι α τίους πληθύειν τ ν ποταμόν, κωλύοντας ς θάλασσαν κρέειν ἐ ἀ ἶ ἰ ὸ ἐ ἐ τ ν Νε λον. Πολλάκις δ τησίαι μ ν ο κ ν πνευσαν, δ Νε λος τ υτὸ ῖ ὲ ἐ ὲ ὐ ὦ ἔ ὁ ὲ ῖ ὠ ὸ ργάζεται. Πρ ς δέ, ε τησίαι α τιοι σαν, χρ ν κα το ς λλους ποταμούς, σοι ἐ ὸ ἰ ἐ ἴ ἦ ῆ ὶ ὺ ἄ ὅ το σι τησί σι ντίοι έουσι, μοίως πάσχειν κα κατ τ α τ τ Νείλ , καῖ ἐ ῃ ἀ ῥ ὁ ὶ ὰ ὰ ὐ ὰ ῷ ῳ ὶ μ λλον τι τοσούτ σ λάσσονες όντες σθενέστερα τ εύματα παρέχονται·ᾶ ἔ ῳ ὅ ῳ ἐ ἐ ἀ ὰ ῥ ε σ δ πολλο μ ν ν τ Συρί ποταμοί, πολλο δ ν τ Λιβύ , ο ο δ ν τοιο τοἰ ὶ ὲ ὶ ὲ ἐ ῇ ῃ ὶ ὲ ἐ ῇ ῃ ἳ ὐ ὲ ῦ πάσχουσι ο όν τι κα Νε λος.ἷ ὶ ὁ ῖ

Ma alcuni Greci, volendo distinguersi per sapienza, hanno formulato tre spiegazioni diverse riguardo alle variazioni di portata di questo fiume [il Nilo]: di esse due non le ritengo degne di essere illustrate, ma mi limito a segnalarle. Una afferma che i venti etesii sono la causa delle piene del fiume, in quanto impedirebbero al Nilo di riversarsi nel mare. Ma spesso i venti etesii non spirano affatto, eppure il Nilo si comporta nello stesso modo. Inoltre, se la causa fosse costituita dai venti etesii, anche gli altri fiumi che scorrono in direzione opposta a quella di questi venti, dovrebbero essere soggetti allo stesso fenomeno del Nilo e in misura ancora più rilevante dal momento che, essendo più piccoli, hanno una corrente più debole: invece ci sono molti fiumi in Siria e molti in Libia per i quali non si verifica nulla di simile a ciò che accade con il Nilo.

L'analogia viene qui utilizzata per confutare questa ipotesi: anche in questo caso serve a spiegare un qualcosa di sconosciuto, ma con una differenza sostanziale con il caso precedente visto nel capitolo 10 del secondo libro. Infatti, prima l'analogia costituiva la fine del ragionamento e questo era impostato in un rapporto di uguaglianza: il Nilo dà origine a pianure alluvionali perché i fiumi

dell'Asia Minore danno origine a pianure alluvionali.

Nel capitolo 20, invece, l'analogia è usata per confutare ipotesi di altri: le esondazioni del Nilo non

sono originate dai venti etesii perché questi soffiano anche in altre regioni, ma i fiumi di quelle zone non si comportano come il Nilo.

Il procedimento logico è quindi opposto, ma il risultato, spiegare un fenomeno naturale, è lo stesso. Ci troviamo di fronte ad un caso di analogia unita con la cosiddetta reductio ad absurdum. Questo strumento retorico consiste nel considerare a priori come vera una certa affermazione e poi esaminare tutte le implicazioni logiche a riguardo. A questo punto l'affermazione di partenza diventa sempre più difficile da difendere poiché le sue implicazioni sono sempre più insostenibili: ad esempio, si potrebbe affermare che i sassi non hanno peso. Prendendo per vera questa affermazione saremmo costretti a supporre che questi dovrebbero fluttuare nell'aria in quanto la gravità non avrebbe effetto su di loro: poiché però è impossibile vedere un sasso fluttuare da solo nell'aria senza

interventi esterni, dovremmo ammettere che l'affermazione di partenza è falsa e quindi i sassi hanno un peso.

Nel passo sopracitato Erodoto confuta l'ipotesi dei venti etesii: infatti questi venti che iniziano a soffiare da nord ovest intorno al solstizio d'estate, quindi in corrispondenza con l'inizio delle piene, sono stati considerati i responsabili del fenomeno proprio per via della loro contemporaneità. Come ricorda lo storico, però, non sempre questi venti soffiano ma le piene si verificano comunque: è interessante in questo passo il termine πνευσαν, ἔ aoristo del verbo πνέω, soffiare. Questo tempo verbale è infatti utilizzato per indicare fenomeni che hanno cadenza regolare come quelli naturali125.

Un altro passo che può costituire un ottimo esempio per la descrizione del metodo analogico è il capitolo 36 del quarto libro, che costituisce una sorta di ponte fra il racconto degli Iperborei (capp. 32-35), e la grande digressione geografica sulla forma del mondo (capp 37-45).

Hdt, IV, 36: Κα τα τα μ ν περβορέων πέρι ε ρήσθω. Τ ν γ ρ περ βάριος λόγον·ὶ ῦ ὲ Ὑ ἰ ὸ ὰ ὶ Ἀ το λεγομένου ε ναι περβορέου ο λέγω, λέγοντα ς τ ν ϊστ ν περιέφερε κατῦ ἶ Ὑ ὐ ὡ ὸ ὀ ὸ ὰ π σαν γ ν ο δ ν σιτεόμενος. Ε δέ ε σι περβόρεοί τινες νθρωποι, ε σ καᾶ ῆ ὐ ὲ ἰ ἰ ὑ ἄ ἰ ὶ ὶ περνότιοι λλοι. Γελ δ ρέων γ ς περιόδους γράψαντας πολλο ς δη κα ο δένα ὑ ἄ ῶ ὲ ὁ ῆ ὺ ἤ ὶ ὐ νόον χόντως ξηγησάμενον, ο κεανόν τε έοντα γράφουσι πέριξ τ ν γ ν, ο σανἐ ἐ ἳ Ὠ ῥ ὴ ῆ ἐ ῦ κυκλοτερέα ς π τόρνου, κα τ ν σίην τ Ε ρώπ ποιε νται σην. ν λίγοισιὡ ἀ ὸ ὶ ὴ Ἀ ῇ ὐ ῃ ῦ ἴ Ἐ ὀ γ ρ γ δηλώσω μέγαθός τε κάστης α τέων κα ο η τίς στι ς γραφ ν κάστη. ὰ ἐ ὼ ἑ ὐ ὶ ἵ ἐ ἐ ὴ ἑ

Tanto basti sugli Iperborei: non riferirò la storia di Abari, il quale si dice che fosse un Iperboreo e che, a quanto si racconta, avrebbe toccato la sua freccia in giro per il mondo senza mai toccare cibo. Del resto se esistono degli uomini “iperborei”, devono esistere anche gli “ipernoti”. E mi viene da ridere quando vedo che già molti hanno disegnato una mappa della terra, ma che nessuno ne ha dato una spiegazione ragionevole: rappresentano l'Oceano che scorre tutto intorno alla terra, che sarebbe rotonda come se fosse stata tracciata con il compasso, e disegnano l'Asia grande quanto l'Europa. Ora io illustrerò in poche parole la grandezza e la forma di ciascuna di queste parti del mondo.

All'interno di questo passo colpisce particolarmente una frase: Ε δέ ε σι περβόρεοί τινεςἰ ἰ ὑ

νθρωποι,

ἄ εἰσὶ καὶ ὑπερνότιοι ἄλλοι126. James Romm traccia un esauriente quadro della storia

degli studi sulla Hypernotian condition127, così viene definita dallo studioso, che presenta alcune

difficoltà di carattere esegetico: infatti qui Erodoto adotta uno stretto principio di simmetria che, come vedremo128, è applicato anche in altre parti delle Storie. Risulta però difficile spiegare come

mai nella frase successiva lo storico afferma di “ridere di coloro che disegnano le mappe della terra come se fosse stata tracciata col compasso”.

Le posizioni degli studiosi moderni sono due: la prima è sostenuta in particolare da H. F. Tozer nel suo manuale History of Ancient Geography129: egli sosteneva che la frase non avesse nessuna forza

contrafattuale né fosse grammaticalmente connotata per essere ironica.

La seconda, oggi prevalente, è sostenuta in modo particolare da Sir John Myres nel suo Herodotus:

father of history130. Lo studioso britannico ritiene che la Hypernotian condition sia pensata con

ironia dall'autore, che quindi non la considera vera, e costituisca una sorta di preludio allo smantellamento del mondo simmetrico che viene effettuato già dalla frase seguente. Non ci sarebbero quindi contraddizioni con la frase successiva poiché la prima è semplicemente ironica. Lo studioso traduce la condizione degli ipernoti con “if there are Hyperboreans there should also be Hypernotians 'farthest south'; and there are not [corsivo di Myres].

Esistono indizi a sostegno di entrambe queste ipotesi, cercheremo qui di riportare i più importanti. A sostegno della posizione di Tozer pesa il fatto che la Hypernotian condition costituisca un periodo ipotetico della realtà; infatti nell'apodosi troviamo ε ἰ e l'indicativo presente ε σί, ἰ mentre nella protasi abbiamo sempre l'indicativo presente ε σί. ἰ Come sappiamo, questo tipo di periodo indica che se si verifica la condizione dell'apodosi (in questo caso l'esistenza degli Iperborei), deve per forza verificarsi quella dalla protasi (l'esistenza degli Ipernoti).

Abbiamo già visto131 come Erodoto tratti i cosiddetti πείρατα γαι ς:ῆ tramite l'uso della γνώμη

confuta tutti i luoghi che i poeti greci ponevano ai confini del mondo.

Per quanto riguarda l'Oceano, in tre punti diversi delle Storie132, afferma rispettivamente che questo

mare nasce dall'invenzione di qualche poeta, che chi lo teorizza, soprattutto Ecateo, non ha le prove per dimostrarne l'esistenza e che la rappresentazione circolare del mondo con l'Oceano intorno non può essere veritiera in quanto troppo geometrica.

L'Eridano, invece, è nominato insieme alle Isole Cassiteridi nel terzo libro, al capitolo 115. Lo

126 Del resto se esistono degli uomini “iperborei”, devono esistere anche gli “ipernoti”. 127 ROMM 1989, 104.

128 Cfr. 3.2 La geometria. 129 TOZER 1897. 130 MYRES 1953.

131 Cfr. 2.3 Le conoscenze geografiche ai tempi di Erodoto. 132 Hdt., II, 23; IV, 8; IV, 36.

storico rigetta l'esistenza del primo in quanto non crede che dei barbari avrebbero dato un nome greco ad un fiume, mentre afferma semplicemente di non sapere se esistono le Cassiteridi.

A questo punto notiamo come molte di queste prove adottate per gli altri casi di geografia mitica non vengano qui adottate: infatti anche περβορέὙ οι è un nome greco, ed anch'essi compaiono in molti poeti anteriori a Erodoto, che ci ricorda come compaiano negli Epigoni, poema epico perduto appartenente al Ciclo Tebano e tradizionalmente attribuito ad Omero. È interessante notare come gli Iperborei dello storico siano privi di quegli elementi mitici che, ad esempio, Pindaro attribuisce loro133.

Infine, come ultima prova a sostegno della tesi di Tozer, possiamo notare come Eratostene di Cirene ritenesse il ragionamento erodoteo fallace in quanto cercava di dimostrare la non esistenza di un popolo attraverso la non esistenza del suo speculare. Strabone riporta l'opinione del geografo nei suoi Γεωγραφικά: Strab., I, 3.22: πάνιμεν δ' π τ ξ ς φ' ν παρέβημεν. το Ἐ ἐ ὶ ὰ ἑ ῆ ἀ ὧ ῦ γ ρ ροδότουὰ Ἡ μηδένας περβορείους ε ναι φήσαντος, ὑ ἶ μηδ γ ρ περνοτίους, γελοίαν φησ ν ε ναιὲ ὰ ὑ ὶ ἶ τ ν πόδειξιν κα μοίαν ρατοσθένης τ σοφίσματι τούτ , ε τις λέγοι μηδέναςὴ ἀ ὶ ὁ ὁ Ἐ ῷ ῳ ἴ ε ναι πιχαιρεκάκους, μηδ γ ρ πιχαιραγάθους. κατ τύχην τε ε ναι καἶ ἐ ὲ ὰ ἐ ὰ ἶ ὶ περνοτίους· κατ γο ν τ ν Α θιοπίαν μ πνε ν νότον, λλ κατωτέρω. ὑ ὰ ῦ ὴ ἰ ὴ ῖ ἀ ὰ

Ricapitoliamo uno dopo l'altro i punti che abbiamo tralasciato. Che poiché non esistono gli Iperborei nominati da Erodoto non debbano esistere nemmeno gli Ipernoti, è un ragionamento ridicolo. Così Eratostene fece la stessa cosa con questo sofisma: se qualcuno dicesse che non esistono coloro che gioiscono delle disgrazie altrui non esisterebbero coloro che gioiscono delle gioie altrui. Guarda caso gli Ipernoti esistono: certamente dopo l'Etiopia dove non soffia il Noto, più in basso.

Strabone, però, nota correttamente come anche la riflessione di Eratostene contenga la stessa falla di quella di Erodoto, la dimostrazione dell'esistenza (o non esistenza) di una cosa tramite l'esistenza (o non esistenza) di un'altra; infatti il geografo di Cirene dell'esistenza di coloro che gioiscono delle disgrazie altrui, gli πιχαιρεκακοίἐ , poiché esistono coloro che gioiscono delle gioie altrui, gli

πιχαιραγαθοί.

ἐ Inoltre, per Strabone, gli Ipernoti esisterebbero eccome: corrisponderebbero agli Etiopi, che lo stesso Erodoto colloca in Libia, sulle coste del Mare Meridionale134.

Ricapitolando, a sostegno dell'ipotesi di Tozer, secondo cui la condizione degli Ipernoti 133 Pindar., Ol. III, 17-45; Pyth. X, 29-46.

sarebbe una frase senza alcuna ironia, pesano il fatto che la frase sia un periodo ipotetico della