Esperienze attraverso suono, ritmo, movimento
1. Ambiti e modelli
La realtà musicoterapica è molto eterogenea e variamente diffusa nei diversi pae-si, proprio per le sue caratteristiche intrinseche di coniugazione tra due grandi aree (la musica e la terapia) molto diversificate tra loro. Risulta, quindi, difficile dare una sistematizzazione completa ed esaustiva dei suoi modelli teorici e ap-plicativi.
K. E. Bruscia (Bruscia, 1993) ha proposto un insieme coerente e organizzato di definizioni teoriche e pratico-cliniche riferentesi ad approcci eterogenei di musicoterapia e ha raccolto tutto ciò che esiste in letteratura sui numerosissimi e diversi modelli, sintetizzandone alcuni secondo le origini, le caratteristiche sa-lienti, gli usi clinici, i requisiti del paziente, gli orientamenti teorici e le proce-dure. Segnalando l’importante contributo di Bruscia, non si intende addentrarsi nell’intricata e complessa materia della musicoterapia ma solo fornire un neces-sario panorama di modelli riconosciuti per la comprensione del contributo che essa può offrire al trattamento dei soggetti affetti da diverse patologie.
All’interno del panorama scientifico letterario mondiale relativo alla musico-terapia e ai vari Congressi Internazionali sul tema sono stati legittimati, per l’ef-ficacia e la validità, alcuni modelli di riferimento: la Musicoterapia Analitica (MTA) fondata da Mary Priestley; la Musicoterapia Creativa di Nordoff-Robbins (MTNR) fondata da Paul Nordoff e Clive Robbins; la Musicoterapia della Ju-liette Alvin; la Musicoterapia Benenzon (MTB) fondata da Rolando Benenzon; la Musicoterapia di Immaginazione Guidata e Musica (GIM) fondata da Helen Bonny.
I modelli si distinguono in diverse macro-categorie: una di queste li classifica in base alla distinzione fra musicoterapia attiva e musicoterapia recettiva, una se-conda ne distingue diverse metodologie per l’uso o l’esclusione della comunica-zione verbale.
Un’ulteriore specificazione è relativa ad altre due modalità di intervento, quella direttiva, che limita la possibilità di scelta del paziente e che prevede un ruolo più deciso del musicoterapista, un’altra non direttiva, che lascia molto spa-zio all’iniziativa del paziente.
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Al di là, comunque, di queste diverse suddivisioni e raggruppamenti secondo macro-categorie, ogni modello si rifà a un orientamento teorico specifico, pre-senta caratteristiche e obiettivi particolari, si avvale di tecniche e procedure ap-positamente studiate, è indirizzato a una particolare popolazione di pazienti, uti-lizza setting particolari e presenta controindicazioni per alcuni tipi di pazienti.
Oggi la musicoterapia è utilizzata in tanti settori diversi e nel trattamento di quasi tutti i quadri patologici: disturbi del linguaggio, disturbi pervasivi di svi-luppo (DPS), coma e post-coma, deficit di attenzione e iperattività (ADHD), de-menze e Alzheimer, malati terminali (negli hospices), ecc.
Negli ultimi anni, grazie anche al contributo proveniente da ricerche e sco-perte nell’ambito della fisiologia e delle neuroscienze, sono state ideate e impie-gate metodologie musicoterapiche in ambito neurologico.
Numerosi studiosi e ricercatori, infatti, ritengono unanimemente che l’espe-rienza musicale venga accolta dal sistema nervoso centrale, mettendo in gioco varie strutture corticali (Gilardone, 1999).
Nel caso particolare dell’Alzheimer, i risultati della ricerca depongono per una prestazionalità mnestica migliore del materiale cantato rispetto a quello par-lato, suggerendo un approccio musicoterapico di supporto ai pazienti con tale diagnosi.
Per accennare solamente al deficit cognitivo, si può affermare che la ripetizio-ne di frasi ritmiche e melodiche è sicuramente utile all’ampliamento delle capa-cità attentive e costituisce un valido stimolo al potenziamento della memoria.
Numerose sono poi le esperienze di musicoterapia nel trattamento di pazienti psichiatrici e psicotici in particolare.
Ovviamente, in questo caso è necessario un intervento integrato in un pro-getto globale che investa il paziente nella totalità delle sue relazioni.
Analizzando i risultati ricavati da una serie di trattamenti di musicoterapia, come l’uso articolato di parametri sonori (intensità, altezza, timbro, durata) e musicali (intervalli, sequenze tonali ascendenti e discendenti, ritmo, tempo), esperiti nell’area vocale-strumentale, si è potuto osservare come la musicoterapia abbia promosso e potenziato nei pazienti l’attenzione e l’ascolto reciproco nelle sedute di gruppo.
Il trattamento musicoterapico, inoltre, rappresenta uno spazio sufficiente-mente sicuro dove esprimere e condividere, tramite il linguaggio musicale, aspetti del proprio mondo interiore, che sarebbe difficile e angosciante affrontare con un percorso elaborativo ed eccessivamente strutturato.
Un’ulteriore differenziazione del trattamento musicoterapeutico è quella che distingue un percorso individuale da uno gruppale ed è questione di estrema im-portanza la scelta di una strategia individuale o gruppale.
“Pazienti con problemi molto marcati nei confronti dell’autorità ad esempio, 171
possono riuscire in gruppo ad accettare relazioni che rifiuterebbero in un setting duale, così come tutte quelle persone che in rapporto terapeutico “troppo stret-to” sviluppassero un transfert negativo, potrebbero trarre giovamento dalla di-luizione transferale implicita in ogni terapia gruppale” (Postacchini, Ricciotti, Borghesi, 1997).
Pazienti con un problema specifico nelle interazioni sociali possono altresì sperimentare ed elaborare le loro modalità di relazione in maniera assai più spe-cifica che non in un rapporto individuale con un terapeuta, essendo comunque favoriti dall’uso del mediatore sonoro nei confronti della gradualità dell’esposi-zione al loro specifico problema.
Circa il trattamento del disturbo autistico, quasi tutti i modelli di musicote-rapia trattano questa casella nosografica, dal momento che è insita nel disturbo una compromissione dell’interazione sociale e della comunicazione che porta di-rettamente a pensare al possibile utilizzo del canale pre-verbale della musica, co-me già descritto.
Per disturbi generalizzati di tale tipo serve soprattutto un intervento di tipo educativo che sia specifico e adattato ai problemi particolari di quel soggetto.
Pur nei suoi diversi campi di applicazione e nelle sue varie impostazioni teo-riche e metodologiche, la musicoterapia trova una sua caratterizzazione univer-sale grazie all’utilizzo di potenzialità insite nella musica stessa che è “un campo di esperienze multiformi che interessano la mente, il corpo e le emozioni dell’uo-mo e può dell’uo-modificare il comportamento di chi ascolta o di chi suona. Penetra nel subconscio e può rivelare molto di quanto vi è celato; può anche sviluppare la consapevolezza dell’ambiente, sia nell’individuo cosiddetto normale, sia in quel-lo affetto da malattia o handicap. Nei suoi molti aspetti la musica è un mezzo notevolmente flessibile e adattabile, che può raggiungere l’individuo a qualsiasi livello di intelligenza o di istruzione” (Alvin, 1981).
Il presupposto di base è comunque costituito dall’appartenenza della musica al linguaggio non-verbale: “il linguaggio verbale richiede la comprensione, la codifica e la decodifica di simboli concettualizzati. Non è così per la musica, che è considerata come un mezzo universale di comunicazione, interpretata per lo più come un’esperienza individuale nonostante il condizionamento culturale ad essa legato”(Alvin, 1981).
Il suo essere non-verbale le conferisce immediatezza, spontaneità, libertà di espressione a qualsiasi livello sia cognitivo, sia motorio ed emotivo.
Un’ultima considerazione riguardante i modelli: qualunque sia l’ambito di intervento, qualunque sia la musicalità del musicoterapista e del paziente, sarà il modello di riferimento che dovrà essere adattato al paziente e alla sua “musica interna” e non certo il contrario.
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2. Il setting
Gli strumenti musicali, il gesto sonoro, il movimento sono tutti elementi a di-sposizione del musicoterapeuta per organizzare una relazione terapeutica; egli, inoltre, lavorerà in maniera tale da restituire al soggetto un’immagine di sé nella quale vengano messe in evidenza e valorizzate le risorse del soggetto. L’organiz-zazione del setting rappresenterà un presupposto all’azione, ma anche un’attitu-dine in continua evoluzione, in base alle caratteristiche del soggetto.
Non esiste un setting fisso e immodificabile, perché questo dovrà adattarsi ai processi del soggetto, alle sue preferenze e ai suoi rifiuti, oltre che alla compren-sione dell’evoluzione dei suoi desideri di comunicare, di creare e di rappresentar-si.
Alcuni punti chiave del setting saranno strutturati e strutturanti della terapia musicale:
– il luogo (sala di musicoterapia);
– i tempi: il/i giorno/i e l’ora degli incontri; il tempo minimo e il tempo mas-simo di permanenza nel setting;
– i materiali: strumentario sonoro-musicale, materiale sensoriale, altri stru-menti particolari aggiuntivi (strustru-menti costruiti con materiale di recupero, strumenti “ad acqua”, sacchetti sonori, carta, cellophane, ecc.).
Il setting va modificato in base alle modalità comportamentali del soggetto, anche alla sua età quindi, nel rispetto della sua individualità unica e irripetibile. Dovrà sicuramente avere le caratteristiche che permettano un’azione sia di acco-glienza sia di contenimento.