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I casi di Gino e Pino: l’espressività psicomotoria

Nel documento XXV LA SOCIETÀ FORMATIVA (pagine 162-167)

Educativa e Preventiva Chiara Giarracca

7. I casi di Gino e Pino: l’espressività psicomotoria

Riporto questi due esempi insieme perché rappresentano due facce di una stessa medaglia: un eccesso di controllo senso-motorio, espresso attraverso l’auto-con-trollo e la padronanza dell’azione.

Gino trascorre tutto il tempo della fase dell’espressività motoria facendo delle costruzioni con i cuscinoni (foto 16), mentre Pino preferisce osservare muoven-dosi sempre in maniera molto composta (foto 17), anche nel momento di abbat-tere il muro si avvicina a esso cautamente senza scomporlo più di tanto.

Entrambi preferiscono star fermi piuttosto che agire di impulso, apparendo molto equilibrati, ma sempre tesi e contratti, nascondendo in realtà il bisogno di scoprire il piacere del rilassamento e dell’azione libera ed appagante.

Foto 16. Gino impegnato nella sua costruzione

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Foto 17. Pino mentre osserva gli altri

Nel caso di Gino è stato necessario spronarlo perché provasse a fare i salti, of-frendogli così la possibilità di scoprire il piacere legato al movimento (foto 18). Anche Pino è stato invitato a sperimentarsi con il proprio corpo, utilizzando come strumento la costruzione di torri da buttar giù (foto 19). Lo scopo in entrambi i casi è stato quello di favorire l’espressione di emozioni trattenute, perché intrap-polate in un corpo che non ammetteva errori nelle proprie prestazioni. Per en-trambi il gioco si è rivelato un mezzo indispensabile per lasciarsi andare al piacere e scoprire le proprie potenzialità, concedendosi anche la possibilità di sbagliare e di rischiare per esplorare quelle parti di sé che non conoscevano.

Foto 18. Gino mentre salta

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Foto 19. Pino mentre butta giù la torre

Conclusioni

L’esperienza del tirocinio mi ha permesso di apprezzare il valore del gioco come importante strumento comunicativo nella relazione con i bambini. È attraverso il potere del gioco e la sperimentazione corporea che si scoprono le proprie po-tenzialità e si sviluppano nuove capacità di azione sul mondo.

Avere immaginazione è vedere il mondo nella sua totalità, giacché è potere e missione delle immagini mostrare tutto ciò che rimane refrattario al concetto. Ci si spiega allora la disgrazia e la rovina di chi è privo di im-maginazione: un tale individuo è tagliato fuori dalla realtà profonda della vita e della sua stessa anima (Eliade M., Immagini e simboli, 1981).

Quando il gioco simbolico si colloca a metà tra il piano fantasmatico e quello di realtà, diventa un valido strumento per riconoscere eventuali difficoltà del bambino e promuovere interventi mirati al loro superamento. L’osservazione, un’attenta lettura del gioco spontaneo favorisce e orienta l’elaborazione del vis-suto da parte del bambino, in modo indiretto e non intrusivo.

Ogni volta che iniziava una seduta di psicomotricità avevo come l’impressio-ne di entrare in un luogo altro, parallelo, ma allo stesso tempo conl’impressio-nesso al reale.

Quando ci si pone il problema della realtà, si è tentati di presupporre per ovvio che cosa si debba intendere per realtà, quasi si trattasse di un

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cetto tranquillamente posseduto dalla mente, al riparo da ogni aporia, e che il ricercatore debba applicare o meno come predicato al soggetto del giudizio da formulare (De Martino E., Il mondo magico, 2007).

Ogni persona è in grado di influenzare la propria realtà: è nella consapevolez-za di ciò, che è possibile considerare il gioco simbolico come forma di azione che ha presa sul reale. È il giusto equilibrio personale che ci permette di vivere tra i due mondi, quello reale e quello fantasmatico, e di muoverci dall’uno all’altro senza rimanere intrappolati in uno di essi.

La psicomotricità attraverso il gioco offre la possibilità di mettere in contatto questi due mondi, favorendo così uno sviluppo armonico del bambino, svilup-pandone la creatività e l’immaginazione, necessarie al mantenimento della no-stra energia vitale.

Il bambino anima le cose, attribuendogli un significato proprio. Questa mo-dalità ludica di dar vita alle cose può essere un’arma a doppio taglio. Da una par-te consenpar-te di dimostrare con forza la consapevolezza di sé e l’autonomia, dall’al-tra può rischiare di rendere oggetti e situazioni apparentemente innocui, terri-bili mostri.

Nel contatto con la realtà, il bambino s’imbatte in una serie di difficoltà e d’avversità che vive in modo drammatico, sperimentando l’asprezza e la violenza del mondo della concretezza.

Emergono, inevitabilmente, paure e frustrazioni che potrebbero condurlo a concepire il reale in modo ineluttabilmente pericoloso e ostile. Il gioco, altresì, gli permette di rendere flessibili ai propri desideri e alle proprie attese le mani-festazioni reali, attraverso la trasformazione fantastica degli oggetti e delle vicen-de concrete. In tal modo la durezza e l’aggressività vicen-del mondo sono attenuate. Con la fantasia, il reale pericoloso e avverso viene esorcizzato, rendendo in tal modo più gestibili i conflitti e tollerabili le frustrazioni. Giocando, il bambino può evocare situazioni felici e rassicuranti, appagare desideri nascosti difficil-mente realizzabili. L’inverosimile e l’incredibile diventano possibili, il mondo esterno e quello interno perdono i rispettivi confini, s’intersecano e si mescolano, aiutandolo nel tempo ad acquisire maggior fiducia di sé e rassicurandolo sulla propria consistenza. Ecco perché il gioco è una dimensione fondamentale e rap-presenta lo sfondo di ogni pratica psicomotoria.

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167 Il termine “musicoterapia” è una parola composta da “musica” nella sua accezio-ne più ampia di universo sonoro e da “terapia”, accezio-nel significato di supportare, aiu-tare o trataiu-tare.

Poiché non esiste un tipo di musicoterapia ma varie e possibili realtà musi-coterapeutiche, ognuna con una propria struttura teorica di riferimento, una tec-nica, un metodo, darne una definizione univoca e universale risulta una sfida piuttosto ardua e complessa.

Una definizione degli anni ’70 di Juliette Alvin la identifica “nel trattamen-to, riabilitazione, educazione e formazione di bambini e adulti con problemi fi-sici, mentali o emozionali” (Alvin, 1986), l’Associazione Nazionale Statunitense per la Musicoterapia (NAMT), negli stessi anni, come “l’uso della musica per la realizzazione di fini terapeutici: il ristabilimento, il mantenimento e il miglio-ramento della salute fisica e mentale”. L’attuale Associazione americana (Ameri-can Music Therapy Association, AMTA) ha sviluppato una nuova descrizione

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