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Le parole degli altri

Nel documento XXV LA SOCIETÀ FORMATIVA (pagine 76-81)

I concetti alla prova della lingua letteraria Cecilia Rofena

2. Le parole degli altri

La difficoltà nella comprensione può essere sottovalutata. È un limite della spie-gazione che Diamond richiama alla nostra attenzione, seguendo la richiesta di Ruth Klüger che domanda la partecipazione al suo stupore. La spiegazione di quel gesto – come abbiamo visto – priva la memoria di Ruth della sua assoluta

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18 Ibidem.

19 Discuto questo tema, con riferimento alla scrittura di P. Levi e P. Celan, in Errore e finzione. Logiche poetiche e poetiche filosofiche, Moretti & Vitali, Bergamo 2015.

20 M. Halbwachs, Les cadres sociaux de la mémoire, Félix Alcan, Paris 1925; seconda edizione Pres-ses Universitaires de France, Paris 1952.

specificità, neutralizzandone l’effetto: il limite, cognitivo ed etico, consiste nel prendere atto della natura dell’azione, cercando una definizione ostensiva, pren-dendo distanza dalla storia. Una premessa riduzionistica, “questo in realtà è que-sto”, porta a definire l’episodio soltanto come un gesto altruistico. Quando si trat-ta di autentica comunicazione e comprensione, spiegare non è abbastrat-tanza: tradur-re un linguaggio nei nostri concetti è un limite rispetto alla tradur-restituzione della descrizione con cui è espressa la terribilità e grandezza di quel ricordo, il suo va-lore.21

Di fronte alla reazione che risponde con una definizione etica, dobbiamo por-re la stessa domanda con cui Ruth provoca il suo lettopor-re: «perché non ppor-referite stupirvi con me?» (Warum wollt ihr nicht liber mit mir staunen?). Si deve fare at-tenzione alla letteralità del suo racconto. Tutti gli elementi di quella descrizione ci permettono di leggere il documento di un gesto e della sua importanza, fino a farne un nostro ricordo, fino a poterne condividere il significato. È l’esortazione dell’autrice che chiede di ascoltare, assorbire la sua storia, di ricordarla «und merkt es euch».22 «Merken» ossia «fare attenzione». Nella versione inglese, Ruth Klüger scirve: «Listen to me, don’t take it apart, absorb it as I’m telling it and remember it».23

La memoria di Ruth, che attraversa la prova della scrittura per diventare te-stimonianza in due tempi e due lingue diverse, ci dimostra che l’autentica com-prensione non dipende da una spiegazione che si basi sulle nostre conoscenze, an-che se opportunamente richiamate alla mente per cercare di comprendere il si-gnificato dell’azione. Non si tratta, infatti, del legame giuridico che lega la

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21 Nella comprensione critica dell’opera letteraria, in quanto opera di finzione, si verifica un ul-teriore differimento. Nel primo saggio della raccolta L’elusione dell’amore. Una lettura di «Re Lear», Stanley Cavell ha segnalato una paradossale contrapposizione fra personaggi e parole: «A mio avviso una delle ragioni per le quali un critico è spinto a distogliere il suo sguardo dai personaggi è dovuta al fatto che la filosofia (l’una o l’altra, non importa quale) lo ha con-vinto che i personaggi non sono persone vere e proprie, che tutto quanto possiamo venire a sapere delle persone in carne e ossa non lo possiamo venire a sapere dei personaggi, sia perché la psicologia è inadatta allo studio di personaggi fittizi, sia perché ai professori di letteratura non è consentito avventurarsi in un campo, quello degli studi psicologici, che non è il loro». S. Cavell, Disowning Knowledge in Seven Plays of Shakespeare, Cambridge University Press, Cambridge 1987, edizione rivista 2003; trad. it. di D. Tarizzo, Il ripudio del sapere. Lo scetti-cismo nelle tragedie di Shakespeare, Einaudi, Torino 2004, L’elusione dell’amore. Una lettura di «Re Lear», pp. 49-50.

22 R. Klüger, weiter leben. Eine Jugend, cit., p. 134.

23 R. Klüger, Landscapes of Memory. A Holocaust Girlhood Remembered, Bloomsbury, Sidney 2004, p. 127.

tispecie alla legge. Queste conoscenze, al contrario, possono annullare il carattere individuale della memoria, uniformandola agli aspetti di molte altre azioni: clas-sificandola. Qual è la differenza, che separa la risposta di chi ascolta il racconto di Ruth e la versione del suo ricordo? Dobbiamo essere consapevoli della distan-za che si può creare nel linguaggio della classificazione: il ricordo privato del sentimento che lo accompagna perde il suo significato e può essere difficile pre-stare attenzione a questa differenza. Si tratta di una mancanza nell’emozione? È il risultato di una disattenzione? È un limite della comunicazione di un’espe-rienza privata? È il linguaggio privato delle emozioni che non possiamo mai af-ferrare completamente? Nessuna di queste interrogazioni descrive il caso di que-sto racconto, la sua mancata ricezione.

Dobbiamo, invece, prestare attenzione ai segni linguistici che Ruth Klüger ci chiede di ricordare nel suo racconto e nella sua vita. La sua scrittura come una traccia, come un segno distintivo e definitivo, ha la stessa forza e realtà del segno che Ruth porta sul suo braccio sinistro. Nel suo racconto è descritto il momento di quella prima impressione, la prima sensazione per cui Ruth crede di poterlo ancora cancellare, quando tutto l’inchiostro defluisce via sotto l’acqua:

Dapprima sembrava che si potesse lavar via facilmente l’inchiostro nero, che infatti andò via subito, quasi tutto, al primo contatto con l’acqua; ma poi, chiaramente leggibile in fini caratteri puntiformi, leggibile fino a og-gi, rimase: A-3537. La A significava un numero alto. Ossia, era l’abbre-viazione di molti assassini passati. Non stava per “Auschwitz”, come fanno vedere a volte nei film o alla televisione. Queste imprecisioni mi fanno ar-rabbiare. Innanzitutto, sono fantasie che si fanno passare per fedeltà al rea-le, e quindi sminuiscono il ricordo. In secondo luogo, dietro la tendenza a inventare situazioni false si nasconde una fascinazione che facilmente si ca-povolge in ripugnanza. Strano, anche le ascelle delle SS venivano ornate di tatuaggi. La stessa procedura per l’onore e per la vergogna.24

Quel segno è l’inizio di una nuova coscienza e memoria. È la nuova consape-volezza che nulla potrà cancellare la verità di quella esperienza; che si distinguerà da tutto e per tutto il tempo a venire: «la natura straordinaria, anzi tremenda, della mia situazione affiorò con tanto impeto alla mia coscienza, che provai una sorta di gioia. Vivevo qualcosa di cui sarebbe valsa la pena rendere testimonianza […] Voler essere testimone significava: verrà un tempo in cui queste cose

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ranno, e questo numero sarà alla fine (nur noch) un indizio, una prova».25Ruth si aspetta che gli altri possano riconoscere, nel suo racconto, quel segno distin-tivo, reagendo nello stesso modo. Si aspetta che il suo stupore possa essere vissu-to, che la devastante verità della sua esperienza possa essere raccontata, che il no-stro linguaggio sarà in grado di esprimere e ricordare le stesse cose.

C’è un ordine dettato dalla ricerca linguistica, dall’autorizzazione a dire che il testo deve poter giustificare. La possibilità di un nuovo modo di dire, una nuo-va descrizione dei fatti, può costituire un accesso inaspettato alla verità. La lin-gua letteraria è sensibile alla prova dei fatti. Non è semplice assolvere questo compito, perché la memoria delle nostre esperienze è insufficiente e può diven-tare un ostacolo, come accade nell’insinuante azione del pregiudizio. Ogni in-contro con la verità può non avvenire o può essere allontanato in tutti i modi, anche dalla memoria che è conoscenza e archivio del passato.

Dobbiamo cercare di capire che cosa accade quando nulla cambia, quando tutto resta indifferente. Quando non cambia più nulla, infatti, che cosa è cam-biato al punto che nulla possa cambiare in noi? La possibilità che tutto rimanga immutato, senza memoria che possa insegnare, deve essere indagata. Si tratta dello stato in cui si è impassibili, indifferenti o disattenti. Si smette di fare at-tenzione a ciò che si deve cogliere nell’esperienza, ciò che è dato da capire. Al contrario, nella storia e attraverso la storia si cambia; ci trasformiamo quando le conoscenze sono effettivamente confrontate con verità che richiedono il nostro giudizio sui fatti. Il linguaggio ha una storia che può essere raccontata. A questa storia daremo il nome di linguaggio della memoria, intendendo quel processo di verifica degli usi della lingua per rendere il racconto una testimonianza affidabi-le e autorevoaffidabi-le.

Il bisogno e la richiesta di Ruth sono la misura della possibilità della distanza che si può creare fra il linguaggio delle persone. Quella di una reazione e azione mancate, nella realtà di una intatta incomprensione. Quel che è dato da pensare, nella sua gravità e serietà, è che Ruth debba ricordarci questa possibilità. La ne-cessità di questa richiesta è la prova del volto che non riusciamo a guardare, del racconto che non sappiamo affrontare, del linguaggio che uniforma in una clas-sificazione ciò che non può essere classificato, perché sono state infrante le regole della convivenza su cui il nostro linguaggio, invece, è costruito.

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I concetti alla prova della lingua letteraria

25 Ibidem. Ho modificato la traduzione che rende nur noch con il significato limitativo di “sol-tanto”: «e questo numero sarà soltanto un indizio, una prova»; credo sia importante, neces-sario in questo caso, utilizzare l’accezione della locuzione che rafforza il significato definitivo, storico, del documento: la prova che “alla fine” resta e non può più essere cancellata.

Ciò che non riusciamo a immaginare è importante, è ciò che è importante comprendere e spiegare. Dobbiamo imparare a fare attenzione a ciò che sempre può andare perduto, anche se la comunicazione sembra funzionare perfettamen-te, anzi proprio perché i concetti fanno funzionare così bene la nostra comunica-zione.

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Parte II

Psicomotricità, musicoterapia

Nel documento XXV LA SOCIETÀ FORMATIVA (pagine 76-81)