l’animazione e i linguaggi del corpo Tiziano Battaggia
3. L’animazione e le sfide della società complessa
I vari elementi dell’animazione si combinano, modificano e integrano nel tempo. Operando nelle emergenze sociali, l’animazione accoglie i contributi di ricerca delle scienze umane e si presta a leggere in modi non scontati le dinamiche che caratterizzano la società contemporanea. Così che ancora oggi essa è chiamata a ricercare strategie ed elaborare prassi d’intervento rivolte a sviluppare risorse uti-li a persone, gruppi, comunità per affrontare le sfide della complessità sociale, intrecciate a quelle della cosiddetta “surmodernità”. La sintesi elaborata da Mario Pollo (2001) ci aiuta a comprendere la qualità dei fenomeni.
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Tiziano Battaggia
LE SFIDE DELLA COMPLESSITÀ
Fine del centro e crisi della dialettica deside-rio/limite
La difficoltà di scegliere ed operare ge-rarchie di valori, di bisogni e opportu-nità a causa dell’incessante proliferazio-ne di centri di potere, posizioni cultura-li e pocultura-litiche, spesso segnate dall’uticultura-lità immediata piuttosto che da motivi etici o progettuali. Il consumismo e il plura-lismo estremizzato. Generati entrambi dalla crisi della dialettica tra il desiderio ed il limite.
Crisi dell’identità storico-culturale
L’affermazione della sociotemporalità, che si esprime nella sincronizzazione e nella pianificazione delle azioni colletti-ve, sulla nootemporalità, la concezione tipica della condizione umana, che ci permette di comprendere il mondo in senso storico, sviluppa stili di vita, valo-ri e condotte sempre più omogenei e stereotipati, minando l’unicità, l’iden-tità personale e storico culturale delle persone, costringendole ad occuparsi quasi esclusivamente del loro presente, lasciando agli specialisti il compito di fare progetti a lunga scadenza e di im-parare dal passato.
Crisi della parola
La logica della comunicazione visiva, caratterizzata da simultaneità e sintesi percettiva, sta sostituendo quella della comunicazione orale, riducendo la capa-cità delle persone di strutturare gli eventi in senso storico e, quindi, di at-tribuire ad essi un significato che tra-scenda quello contingente.
LE SFIDE DELLA SURMODERNITÀ
La scomparsa dei luoghi e la nascita dei non luoghi
I media elettronici hanno rotto il lega-me che univa determinati comporta-menti e stili di vita a determinati spazi fisici e simbolici, producendo un’omo-geneizzazione dei luoghi ed un’irrever-sibile espansione dei non luoghi. Que-sti ultimi non forniscono alcuna iden-tità alle persone che li abitano, limitan-dosi semplicemente a svolgere una fun-zione.
La scomparsa delle età
I media elettronici, consentendo l’ac-cesso immediato di tutti alle stesse informazioni, ha accelerato quel pro-gressivo accesso ai sistemi simbolici, che garantiva un’adeguata socializza-zione delle persone. I bambini, che ri-cevono informazioni sociali riguardanti tutte le età, sono costretti a compiere un’evoluzione cognitiva, affettiva e so-ciale in modo individuale e solitaria, di cui la scuola e le agenzie socio educati-ve in genere non tengono conto. Crisi della relazione intergenerazionale La scomparsa della segregazione delle età, fa sì che i bambini appaiono meno infantili degli adulti, che si comporta-no e si vestocomporta-no come bambini comporta-non cre-sciuti. Trattato sempre più come un piccolo adulto, il bambino rischia di costruire identità false per compiacere i grandi.
La società ipermoderna, come la descrive Marc Augé (2005), caratterizzata da una sovrabbondanza di eventi reali e virtuali, ci induce a consumare i molteplici segni, messaggi e oggetti che circolano ogni giorno nel mondo. Questa stessa so-vrabbondanza potrebbe ispirare, proprio attraverso l’animazione, nuovi signifi-cati, suggerirci associazioni differenti da quelle imposte dal mercato, dalle mode, dai media. Da questo punto di vista l’iper può essere letto come un dato che se-gnala un eccesso, ma anche come una prospettiva che va al di là di norme e qua-dri di riferimento definiti. L’animazione può allora favorire la sperimentazione di nuovi ipotetici sfondi sociali più partecipativi e inclusivi.
La conseguenza dell’abbandono delle grandi strutture della modernità si ma-nifesta nelle vesti di una marcata individualizzazione. L’ipermodernità ci presen-ta un nuovo tipo di individuo, che è sì più libero e autonomo, ma anche più solo, proprio perché libero da quei vincoli di appartenenza famigliare, comunitaria, di classe, tramite i quali declinava le sue scelte, ricavava e incrementava le proprie risorse, costruiva la sua storia e la sua identità. Una volta sciolto da tali legami, la sua vita dipende sempre più dalle proprie scelte e decisioni, in un contesto do-ve predo-vedere dido-venta sempre più difficile. Ma proprio la grande complessità delle interazioni sociali, della frammentazione delle responsabilità e delle situazioni, gli impedisce di essere realmente protagonista della scena sociale, di valutare l’efficacia, il valore e le conseguenze delle sue azioni.
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Far agire l’anima: l’animazione e i linguaggi del corpo
Crisi del Noi
La dimensione sociale della vita è in cri-si per la caduta delle relazioni interper-sonali, la rottura di quella fondamentale rete di solidarietà che permette a ciascu-no di ciascu-noi l’utilizzo nel proprio progetto di vita delle risorse rese disponibili da-gli altri.
Crisi delle grandi narrazioni
La crisi delle grandi narrazioni ha pro-dotto un insieme di varianti del prag-matismo e dell’utilitarismo, un ritorno al sacro, ma al tempo stesso nuove forme di transazione meno violente e nichiliste delle passate ideologie, segno di una possibile trasformazione della cultura sociale in senso evolutivo.
Crisi della relazione intergenerazionale L’egoismo generazionale è un grosso li-mite per la socializzazione. Gli adulti, tesi a difendere le loro condizioni di vita e poco disposti a rinunciare per offrire spazi di protagonismo ai giovani, risul-tano agli occhi di quest’ultimi poco si-gnificativi, con gravi conseguenze sui loro percorsi di vita.
Fusione del materno e del paterno
La crisi intergenerazionale si riverbera sulle funzioni genitoriali: assistiamo co-sì ad una sorta di regressione della figu-ra paterna verso quella materna e vice-versa, che appare alla base di una ridefi-nizione non ancora compiuta degli stes-si ruoli maschile e femminile nella vita sociale.
L’individualizzazione può essere, altresì, reinterpretata a livello della relazio-ne. Come ci suggeriscono Benasayag e Schmit (2004, p. 55):
La questione è sapere se, considerando l’insieme delle persone che com-pongono una società, la somma delle loro singole ‘risultanti’ determini, come pretende l’ideologia utilitarista, una serie di esseri isolati gli uni da-gli altri che intrecciano tra loro relazioni di tipo contrattuale e utilitaristi-co. O se invece tale insieme risulti costituito da individui che, come isole nel mare, sono sicuramente irrimediabilmente isolati, anche se a ben ve-dere queste ‘isole’ sono in effetti le pieghe del mare.
La separazione tra gli individui consente a ciascuno di avere un’identità e una storia unica e singolare, ma al tempo stesso si fonda su una base comune, che co-stituisce il fondamento di ogni differenza. Secondo gli autori, le strutture del-l’organizzazione sociale sono forme “sufficientemente buone” in senso winnicottiano, corrispondenti ad una visione del mondo, ad un insieme di determinanti cultu-rali, geografiche, storiche, biologiche, che ci portano a vivere e ad organizzarci secondo determinate forme e strutture. Nello stesso tempo tale ordine è vissuto da ciascun individuo come qualcosa di molto intimo e segreto. In questo senso, il mondo non comincia sulla soglia di casa, ma al suo interno; il privato e l’inti-mo hanno una corrispondenza con l’ordine storico sociale di quel determinato momento del divenire umano di una civiltà.
Di conseguenza, credere troppo alla ‘separatezza’ del privato significa confondere la griglia di lettura con ciò che consente di leggere o, ancora, la mappa con il territorio (Ivi, p. 56).
Per Benasayag e Schmit l’identità e l’autentica autonomia della persona si realizzano con la consapevolezza della propria molteplicità e si alimentano attra-verso la costruzione di legami significativi con gli altri, al di là di ogni utilita-rismo e lotta per il dominio.
Similmente per Serres (2013), la questione dell’identità non va confusa con le molteplici appartenenze dei soggetti. Le scienze logiche e razionali hanno per lun-go tempo identificato l’identità come stato in luolun-go, separando l’unità personale dalle particolarità funzionali dell’esistenza come la professione, il genere, la raz-za. La loro separatezza era funzionale al controllo e al dominio economico, sociale e istituzionale. L’identità personale è in realtà un processo evolutivo aperto, una
ominescenza, come la definisce il filosofo. Ciò che ci caratterizza è proprio la
plu-ralità e la complessità di appartenenze simultanee e successive, che possono es-sere più o meno integrate o dissonanti. Tale identità plurale, nutrendosi di di-56
verse confluenze e di diversi rapporti, ci permette di condividere esperienze, di partecipare a differenti gruppi e culture. Il rischio è di ripiegarsi su di un’unica appartenenza, di costringere la propria identità ad una sola dimensione persona-le, sociapersona-le, etnica.
Di fronte a quella che alcuni definiscono una mutazione antropologica, appa-re urgente compappa-rendeappa-re le diappa-rezioni di senso dell’individuo nella società contem-poranea, e riflettere sulla necessità di reinterpretare il rapporto tra microcosmo individuale e macrocosmo sociale.
Il ruolo dell’animazione, quindi, a partire dai processi di individuazione e analisi delle tensioni e dei bisogni, sta nell’attivazione di percorsi in cui le per-sone in relazione tra loro possano riconoscersi, valorizzare e sperimentare il pro-prio potere d’azione. Interventi raffinati e strategici di animazione sociale con-sentono di rinegoziare le relazioni, arricchendole di significati, ri-animandole al-l’interno dei contesti di vita in una prospettiva di cambiamento in senso evolu-tivo.
Non si tratta di incoraggiare una mera socializzazione che, mirando ad una condivisione di valori, di norme e comportamenti, produca ricerca del consenso e dell’omologazione; quanto piuttosto di incrementare la capacità di affermarsi co-me soggetti originali portatori di risorse uniche, di sviluppare una sempre più chiara consapevolezza dei problemi posti dai rapporti interpersonali, e di assumer-si responsabilità concrete in relazione ai propri percorassumer-si di vita. Confrontandoassumer-si con la biografia delle persone, l’animazione presuppone un metodo nel senso mo-riniano di cammino, di processo, un uso di tecniche da verificare continuamente in rapporto ad un progetto piuttosto che ad una mera programmazione d’inter-venti, ed implica un’intenzionalità capace di confrontarsi con l’altro, inteso come soggetto attivo e non fruitore passivo delle proposte messe in campo.
Le sfide rappresentate dall’ipermodernità hanno messo in crisi l’idea che la realizzazione di sé sia un fine che si possa raggiungere e nel quale sia possibile installarsi superando i condizionamenti propri e dell’ambiente. Si fa più diffusa l’idea che il mondo sia una costruzione derivata dalla nostra esperienza, un mo-vimento che origina dal più profondo dell’essere. L’uomo, infatti, quale sistema
‘autopoietico’, organizza le sue relazioni con l’ambiente all’interno del dominio
de-finito dai suoi sensi e dalle sue ‘sensibilità’, dal suo essere biologico e sociale, così da mantenere la propria individualità (Cfr. Varela, Maturana, 1992). Il cambia-mento di visione del mondo può avvenire solo se si riesce a rompere la staticità, l’equilibrio del sistema omeostatico, per indurci a cercare nuovi più soddisfacen-ti equilibri. Ciò che cambia la nostra maniera di concepire il mondo è sempre quindi il risultato di uno spiazzamento, di un disequilibrio. Le tecniche dell’a-nimazione aiutano a perdere le rigidità, a lasciarsi andare, ad accogliere gli im-previsti come spiazzamenti creativi. Il training animativo crea occasioni per 57
mettersi alla prova in situazioni di fiducia e di assenza di giudizi. Il contatto con l’altro favorisce la conoscenza reciproca e stimola la comunicazione empatica e corporea. Spesso nei giochi di simulazione e nei role playing le persone sono in-vitate a mettersi nei panni degli altri: nell’interpretare l’esperienza altrui si sco-prono analogie emotive, ma anche impressioni e punti di vista differenti dal pro-prio, che aprono nuove prospettive di senso.