L’Aiuto Psicomotorio Lorella Moratto1
10. L’Aiuto Psicomotorio Terapeutico e le domande dell’utenza
Il bambino inviato per un Aiuto Psicomotorio Terapeutico porta con sé una do-manda a diverse voci.
La domanda dell’inviante: colui che invia per l’aiuto psicomotorio ha già re-stituito ai genitori un’attribuzione di senso e di significato al comportamento e alle manifestazioni sintomatiche del bambino. A questo si aggiunge spesso una diagnosi clinica non sempre compresa dai genitori nei termini reali, ma sentita in termini affettivi come una minaccia.
La domanda dei genitori: essi portano sempre una certa preoccupazione per il loro bambino. Fondamentalmente tengono una semplice domanda: che cos’ha il
nostro bambino e come possiamo aiutarlo? Perché comportamenti e atteggiamenti
che sono per noi nella normalità, per gli altri sono indice di un problema? La domanda del bambino: inizialmente i bambini non comprendono chi sia lo psicomotricista. Varie sono le fantasie e i correlati timori che il bambino porta con sé. In realtà, nella sala psicomotoria ben presto egli scopre il piacere dell’u-tilizzo di materiali duttili, favorevoli a giochi spesso interdetti (l’abbattimento, la caduta, il frastuono sonoro, l’eccitazione motoria), a giochi che lo animano e che può ripetere, sostenuto da uno sguardo e da un accompagnamento positivo dello psicomotricista. Scopre ben presto che questo adulto è diverso da tutti gli altri.
Spesso la domanda del bambino alla fine della prima seduta è: torno ancora? È quindi una domanda che porta in sé numerose questioni che interpellano lo psi-comotricista e i genitori stessi. La valutazione psicomotoria, nell’ottica di una motricità psicodinamica, pone delle questioni di carattere metodologico. Come lo psicomotricista conduce le sedute iniziali, quale metodologia utilizza nel de-scrivere le note che affiorano a partire dalle interazioni? Come attribuisce senso a quanto emerge dall’incontro con il bambino?
Possiamo definire molto in sintesi alcuni principi metodologici. La pratica clinica diretta con il bambino ci suggerisce di non implicarsi nella scrittura di note durante la seduta psicomotoria.
È necessario che il bambino ci trovi a sua disposizione, seppur a differenti li-135
velli e con diverse intensità, considerando che una prima attribuzione di senso avviene già nel corso dell’interazione.
Prendendo spunto dalla metodologia utilizzata da Ester Bick nell’Infant Ob-servation, i tre tempi del pensiero sono un itinerario necessario alla psicomotri-cista per comporre la ricerca di senso e di avanzamento del progetto terapeutico: il tempo dell’attenzione, paragonabile a quello della seduta vera e propria; il tempo della scrittura, ovvero quello delle annotazioni scritte; il tempo del giu-dizio, quindi di un’elaborazione dei contenuti scritti. Il rispetto dei tempi com-porta una graduale teorizzazione, che via via si scosta dal sentito, per approdare a significazioni e ipotesi di senso più distanziate.7
Il professionista che si occupa dell’Aiuto Psicomotorio terapeutico, sia nella sua accezione di piccolo gruppo che individuale, necessita di una formazione per-manente che lo accompagna e, a lungo andare, lo forgia ad un ascolto, ad una ri-sonanza empatica e ad una conoscenza capace di cogliere dove il bambino si situa a livello fantasmatico. Quali sono i fantasmi in cui il bambino è fissato, incista-to? Come li esprime? Solo così il suo progetto potrà favorire un itinerario virtuo-so di evoluzione e di trasformazione.8
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7 La non conoscenza, comunque la non familiarità tra bambino e psicomotricista deve essere considerata come un fattore importante della valutazione iniziale. È in tale possibilità che si delinea l’opportunità di un fenomeno interattivo con minori contaminazioni pregiudiziali o presunzioni di senso a partire da una conoscenza pregressa. In una prima conoscenza è meno strutturato un certo ‘accomodamento’ dell’uno sull’altro e viceversa.
8 Si consiglia la lettura del capitolo L’osservazione: dalla teoria alla pratica, dalla pratica alla teoria di B. Golse B. in Appell G., Tardos A. (1998). Prendersi cura di un bambino piccolo. Dall’empatia alle cure terapeutiche, Trento: Centro Studi Erickson.
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“Nell’uomo autentico si nasconde un bambino: che vuole giocare” (Nietzsche, 1885) “L’uomo è pienamente tale solo quando gioca”
(Schiller, 1795)