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Gli studi in ambito italiano

Immigrati e mercato del lavoro: costrizioni, scelte e strategie

2.4 Gli studi in ambito italiano

Le elaborazioni teoriche sulle dinamiche del lavoro autonomo e imprenditoriale degli immigrati trovano applicazione nel caso italiano che presenta una serie di specificità e opportunità di analisi. La diffusione delle piccole imprese e delle attività autonome nel sistema economico italiano ha probabilmente rappresentato, nel corso del tempo, un ambiente favorevole al rapido incremento dell’imprenditoria straniera.197 Quest’ultima è stata ampiamente analizzata come conseguenza di un “felice” percorso d’inserimento e integrazione: intraprendere questa specifica strada significa sapersi muovere nei labirinti burocratici e amministrativi e avere una certa conoscenza del contesto in cui si andrà a operare oltre che conoscere la lingua. Accanto a questa lettura, che mette in evidenza percorsi di realizzazione e crescita professionale, valgono le interpretazioni che inquadrano il lavoro autonomo degli immigrati come una vera e propria fuga, o via di uscita, dall’insieme delle occupazioni marginalizzanti e con poche prospettive di mobilità. Spostarsi su questo versante del mercato del lavoro significa spesso rispondere al modello della successione ecologica, proprio perché risulta più facile inserirsi nei

notato che alcune di queste transazioni, classificate come transnazionali, si situano interamente al polo settentrionale dello schema (transazioni Nord-Nord).” Ambrosini M., (2008), Un’altra globalizzazione: il transnazionalismo economico dei migranti, working paper, Dipartimento di Studi Sociali e Politici, Università degli Studi di Milano, p 18

197 Una delle maggiori spinte alla crescita del fenomeno può essere rintracciata nel quadro legislativo. Gli interventi attuati nel corso degli anni Novanta (in particolare la legge “Turco-Napolitano”) hanno garantito la possibilità di avviare ditte individuali e imprese cooperative a tutti i cittadini stranieri regolarmente soggiornanti.

settori in buona parte abbandonati dagli autoctoni.198 Al tempo stesso si discute ampiamente sulla nascita dei cosiddetti mercati etnici, cioè di quei mercati interni al gruppo etnico di riferimento, che assicurano servizi e prodotti non erogati dagli imprenditori locali. Nel caso italiano non si può ancora parlare di intere aree, nelle grandi città, fortemente connotate in senso etnico, anche se è possibile identificare alcuni quartieri per così dire più favorevoli a tali formazioni. Un altro fattore di “spinta” verso il lavoro indipendente è da rintracciare nella tendenza ad ostacolare le skilled migrations non riconoscendo titoli di studio e qualifiche professionali. La teoria della mobilità bloccata si fa dunque strada, insieme all’ipotesi che in futuro il lavoro indipendente degli immigrati continuerà a crescere.

Il caso italiano presenta dei tratti particolari rispetto al contesto internazionale non solo dal punto di vista quantitativo dei lavoratori indipendenti, ma anche per la percezione di questa scelta come canale fondamentale di mobilità ascendente in contesti di scarsa istruzione199. Se nel quadro internazionale trova una certa applicazione la teoria dello svantaggio, questa ipotesi non si adatta al panorama italiano dove la forte domanda di lavoro a bassa qualificazione, pur in presenza di titoli di studio elevati, e la segregazione occupazionale rendono il lavoro autonomo una particolare risorsa per contrastare la marginalizzazione. La teoria della mobilità bloccata sembra in questo senso rispondere maggiormente ai tentativi di inquadramento e comprensione del caso italiano. Infine si può osservare un ulteriore particolarità data dalle difficoltà, per gli immigrati, di accedere al lavoro autonomo ambito in cui per certi versi è privilegiata la componente autoctona. Al tempo stesso però si assiste a un duplice processo: da un lato in diversi settori immigrati e autoctoni si trovano a competere, dall’altro, soprattutto nei casi di lavori scarsamente prestigiosi e mal retribuiti, si assiste al compiersi della vacancy chain e dunque di sostituzione della forza lavoro locale200.

Per quanto riguarda le ricerche condotte è particolarmente interessante l’emergere della dimensione locale che, con le sue sfaccettature, ha permesso di far

198 Ambrosini M., (2005), Sociologia delle migrazioni, Il Mulino, Bologna

199 Reyneri E., (2005), Sociologia del mercato del lavoro. Vol 2: le forme dell’occupazione, Il Mulino, Bologna

200 Fullin G., (2014), Quanto diversi? E in che cosa? Lavoratori autonomi immigrati e autoctoni a confronto, in Colombo A., (a cura di), Stranieri in Italia. Figli, lavoro, vita quotidiana, Il Mulino Bologna

luce su aspetti poco indagati e sulle caratteristiche assunte dall’iniziativa degli immigrati nel tessuto socio-economico.201 In primo luogo queste indagini hanno permesso di suggerire diversi percorsi e tipologie di attività condotte dagli immigrati presenti sul territorio. La principale classificazione riguarda il peso del dato etnico che permette di distinguere almeno sei tipi d’impresa in base al mercato di riferimento (etnico, misto o generalistico) e ai prodotti offerti (etnici e non). Certamente bisogna ricordare che “i confini non sono sempre ben definiti: anzi, in alcuni casi, questi diversi tipi di imprese convivono e costituiscono, in realtà, un’articolazione interna alle attività della medesima impresa”202. Sulla base di alcune rielaborazioni e studi di caso è possibile rintracciare: l’impresa propriamente etnica, l’impresa intermediaria, l’impresa etnica allargata, l’impresa prossima, l’impresa esotica e l’impresa aperta. Un ulteriore caso è quello dell’impresa rifugio.

Le imprese etniche in quanto tali si caratterizzano per offrire servizi e prodotti tipici delle terre d’origine rivolgendosi al mercato interno dei connazionali; l’impresa intermediaria può essere vista come una sua variante in quanto si rivolge a un mercato etnico offrendo servizi di vario genere, come consulenze legali, “ da parte di e per” i connazionali.

Quando il mercato di riferimento diventa misto si possono avere due tipi di attività: quella etnica allargata e quella prossima. Nel primo caso è messo sul mercato un prodotto etnico offerto a una clientela mista: si tratta, ad esempio, di piccoli negozi nel settore alimentare. La caratteristica e la diffusione di queste imprese possono essere spiegata con il fatto che in Italia non è ancora possibile rivolgersi a una clientela esclusivamente “etnica”, pertanto il sostegno offerto dalla clientela autoctona diventa fondamentale alla sopravvivenza stessa dell’attività.203 Invece l’impresa prossima, pur rivolgendosi alla clientela immigrata, può suscitare l’attenzione di quella locale e viceversa.

Infine quando servizi e prodotti etnici e non sono offerti sul mercato generalistico, si distinguono l’impresa esotica e quella aperta. Quella esotica fornisce

201 Riva E., (2011), Sul radicamento degli imprenditori e dei lavoratori autonomi stranieri: evidenze dal contesto lombardo, in La Rosa M., (a cura di), La ricerca sociologica e i temi del lavoro. Giovani ricercatori italiani a confronto

202 Martinelli M., (2002), Immigrati imprenditori: la fotografia di una realtà dinamica, in Impresa & Stato n. 59

prodotti del paese di origine ma attira un pubblico sempre più ampio e incuriosito dalla diversità della merce: abbigliamento, arredamento, ristorazione e alimentazione in generale sono gli esempi più significativi. L’ultima tipologia di impresa è quella aperta. Ed è propria di quei settori di attività dove si verifica con più facilità l’effetto di sostituzione della manodopera locale. Il riferimento all’etnicità è molto lontano e si può dire che vada a riflettersi essenzialmente sulla nazionalità del titolare anche se, talvolta, rimanda alle caratteristiche dell’organizzazione interna. Quest’ultima si identifica con le risorse che l’imprenditore può sfruttare: fondamentali sono le relazioni con i fornitori, i lavoratori subordinati e la clientela.204

Una categoria di impresa “etnica” da considerare separatamente a quelle ricordate è l’impresa rifugio. Sotto questa etichetta ricadono imprese marginali che è difficile collocare con certezza sia rispetto al prodotto, sia rispetto al mercato. Un tipo di attività che ricade in questa definizione è quella del commercio ambulante.

2.4.1 Classificazioni alternative

Esistono altre proposte di classificazione che svelano la necessità, se non la difficoltà, di inquadrare completamente il fenomeno che, in effetti, tende a sfuggire a una rappresentazione fissa e omogenea. Zanfrini, ad esempio, delinea tre figure idealtipiche dell’imprenditore immigrato205. Il primo risponde a un modello di tipo tradizionale di imprenditore che ha maturato una certa esperienza sul campo e svolge attività di tipo artigianale.206 Si tratta di un gruppo di lavoratori ben inseriti nella realtà italiana che sono giunti ad aprire la loro impresa come coronamento di un percorso di mobilità e che si avvantaggiano della reputazione costruita negli anni e, spesso, di una clientela fedele. La seconda figura rimanda a uno specifico settore di attività: l’edilizia. A riguardo è descritto il profilo di un giovane artigiano, spesso

204 Le imprese aperte possono ulteriormente distinte in due sottotipi in base al preciso settore di riferimento: il terziario di servizio e le attività industriali. Le prime operano nel commercio e nel settore delle pulizie e si rivolgono direttamente al consumatore. Le seconde, invece, sono ben rappresentate da laboratori di piccole dimensioni che operano per conto terzi, specialmente nel settore dell’abbigliamento. Cfr Ambrosini M., (2005), op. cit.

205 Zanfrini L., (2008), L’imprenditoria artigiana immigrata in Lombardia, in AA.VV., Guerini e Associati, Milano

poco istruito e appartenente a comunità di recente immigrazione, che diventa titolare di un’impresa rifugio. Questo tipo di imprenditore sembra rispondere più degli altri alle dinamiche di domanda di lavoro espressa dalle imprese subappaltatrici che reclutano manodopera e microimprenditori. Infine il terzo idealtipo ha dei tratti meno definiti rispetto agli altri due: abbraccia un universo piuttosto eterogeneo dal punto di vista dei prodotti e dei servizi offerti. Si tratta di un imprenditore e, in questo caso, spesso di un’imprenditrice, che può fare affidamento su un certo livello di istruzione e che opera in diversi settori: dalla preparazione artigianale di cibi, all’offerto di servizi di pulizie, dall’attività di sartoria alle attività di estetista. Questo gruppo si rivela particolarmente interessante in quanto rappresentante di una strategia, per così dire, creativa nella definizione di un’attività. Tale creatività è certamente spinta in questi casi dalla ricerca di autonomia e dal riconoscimento delle proprie competenze. Una particolare tendenza che emerge nella produzione italiana è quella di considerare anche il caso del lavoro autonomo immigrato come un universo parallelo a quello degli autoctoni. I pochi studi a livello nazionale tendono a non operare particolari confronti trascurando alcuni aspetti centrali come le differenze esistenti e le dinamiche di mobilità sociale. In questo panorama una fonte preziosa è il contributo di Fullin sui profili dei lavoratori autonomi immigrati e autoctoni a confronto.207 Nel saggio, tenendo conto della forte eterogeneità del lavoro autonomo,208 si propone uno studio dei percorsi e delle motivazioni per capire se sono all’opera gli stessi meccanismi e le stesse strategie oppure no, sottolineando e sollecitando la necessità di arrivare a uno studio del lavoro autonomo nel suo complesso.

207

Fullin G., (2014), Quanto diversi? E in che cosa? Lavoratori autonomi immigrati e autoctoni a confronto, in Colombo A., (2014), (a cura di), Stranieri in Italia. Figli, lavoro, vita quotidiana, Il Mulino Bologna pp. 187- 221

208

Di particolare importanza anche per la seguente ricerca è la necessità di ricordare come nella definizione di lavoro autonomo, così come specificato da Fullin, ricadano delle attività molto varie: liberi professionisti, artigiani senza dipendenti, imprenditori in senso stretto e tanti altri. Nell’indagine citata si propone la distinzione in quattro ampie categorie: la prima è costituita da imprenditori, liberi professionisti, collaboratori, prestatori d’opera e lavoratori in proprio, senza dipendenti di elevato livello professionale; la seconda comprende i lavoratori in proprio con dipendenti; la terza i lavoratori in proprio senza dipendenti, di basso livello professionale; nella quarta rientrano coadiuvanti, soci di cooperative, collaboratori e prestatori d’opera di basso livello professionale