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La scoperta del genere nello studio dell’immigrazione italiana

Se nel dibattito internazionale si è riscontrato un certo ritardo nel riconoscere la specificità della migrazione femminile e del genere come lente di analisi, in modo analogo e ancor più spiccato si può dire per l’Italia dove l’attenzione alle donne dell’immigrazione e al tema del genere sono un fatto relativamente recente.

Dagli anni Ottanta si assiste a un progressivo interessamento alla presenza femminile nella dinamica migratoria e in particolare in quella lavorativa pur non attraverso una prospettiva di genere. Fino all’inizio degli anni Novanta si ricordano studi dal carattere prevalentemente descrittivo in riferimento ad alcune grandi tematiche che, tuttora, occupano gran parte delle ricerche e dei dossier sul tema: le collaboratrici domestiche, la prostituzione e la tratta, le donne ricongiunte, le badanti, per finire con le madri delle famiglie transnazionali. D’altra parte una caratteristica che ha segnato il tema dell’immigrazione in Italia è stata la natura emergenziale del fenomeno: ben

presto, in un contesto in cui “il fallimento delle politiche degli ingressi e l’assenza di dispositivi volti a stabilizzare ed integrare la popolazione straniera residente – rappresentano le caratteristiche strutturali delle politiche migratorie italiane, e costituiscono a tutt’oggi i principali problemi riconducibili alla regolamentazione italiana dell’immigrazione”90, dirompe la necessità di ricorrere a forme di etichettamento e controllo. In connessione con le dinamiche politiche e legislative91 il fenomeno migratorio, nel suo insieme, assume progressivamente le vesti di un problema legato al tema della sicurezza, del lavoro, della salute.

È possibile considerare l’ultimo decennio del ventesimo secolo come momento cardine degli studi sulla presenza femminile nella popolazione immigrata e momento di passaggio verso l’apertura a una prospettiva di genere. Nel 1990 e nel 1991 si svolgono due convegni rispettivamente sulle condizioni lavorative e migratorie delle donne e sul tema dei consultori familiari. Entrambi gli eventi, anche se ancora è forte l’impostazione descrittiva, sono un’occasione di particolare importanza per dare visibilità alle tematiche affrontate: i relatori, prevalentemente donne, riflettono sulle dinamiche che interessano le grandi città, le criticità in tema di

90 Colombo A., Sciortino G., (2004), Gli immigrati in Italia, Il Mulino, Bologna. 91

Per quanto riguarda lo sviluppo delle politiche migratorie fino alla fine degli anni Novanta: la prima normativa in materia di immigrazione è la 943/86. La legge interviene in materia di inclusione nei servizi sociali, nelle procedure di ricongiungimento familiare, nella tutela del lavoro per gli stranieri prevedendo la possibilità di ingresso su richiesta di un datore di lavoro italiano. Questo intervento del legislatore, anche se è un primo importante passo, ben presto si rivelerà inadeguato e legato a una visione irrealistica del mercato del lavoro italiano per il quale, in realtà, si riteneva inesistente una concreta domanda di lavoro straniero. A complicare il quadro si affianca l’impianto attuativo della legge che assegna ai datori di lavoro (famiglie, piccole e medie imprese) tutta una serie di passaggi amministrativi e burocratici che, invece di facilitare, complicano il processo di regolarizzazione. Con gli anni Novanta si apre il corso della legge Martelli, n 39/90, che sposta l’attenzione dal tema del lavoro a una più generale tutela dei diritti alla persona anche in conformità alle preoccupazioni di altri paesi europei in merito a maggiori controlli: è introdotto il visto obbligatorio, sono rafforzati i controlli di frontiera e lo strumento delle espulsioni. Anche in questo caso la discrezionalità amministrativa, con una gestione interpretativa delle circolari ministeriali, rende in parte inefficace il provvedimento: nel giro di pochi anni si assiste all’aumento del numero degli irregolari e alla parallela inesistenza di una stabilizzazione degli immigrati già presenti nel territorio italiano. E’ in quegli anni che la presenza degli stranieri inizia a essere legata più all’immagine della fuga dal proprio paese che dall’esigenza di rispondere alla domanda di lavoro non qualificato presente nel mercato del lavoro italiano. Bisognerà attendere la fine del decennio per il tentativo più ambizioso di gestione sistematica delle leggi in materia di immigrazione: la legge 40/98 prevede la riforma dei sistemi di controllo e regolazione dei flussi oltre alla riforma del sistema di integrazione degli stranieri residenti. Il fallimento di questa norma risiede proprio nell’obiettivo di garantire una certa stabilizzazione della popolazione straniera tanto da far sì che gli “stranieri nati e cresciuti in Italia o stranieri che risiedono in Italia da decenni, continuano ad essere trattati dall’amministrazione italiana come se fossero giunti sul territorio nazionale la sera prima”. Cfr Colombo A., Sciortino G., (2004), Gli immigrati in Italia, Il Mulino, Bologna

salute, servizi e mercato del lavoro.92 Dagli studi presentati inizia ad emergere una nuova figura delle immigrate: le donne sono attive protagoniste in grado di mobilitare le risorse necessarie ad affrontare il contesto di arrivo, sviluppano strategie di emancipazione non solo in riferimento all’esperienza migratoria ma grazie a capacità personali. Quest’ultimo tema sarà spesso affiancato al rapporto tra le immigrate e le italiane anche se la tendenza a valorizzare gli scenari derivanti dall’incontro delle differenze si avrà solo grazie al mondo dell’associazionismo. Tognetti Bordogna, una delle pioniere dello studio dei processi migratori femminili in Italia, ricorda quindi i principali temi che hanno comportato uno specifico etichettamento delle donne immigrate in Italia: la prostituzione e la tratta; il lavoro domestico e il lavoro di cura come lavoro dipendente, il ruolo nelle famiglie93. La ricchezza degli studi rivolti al lavoro dipendente svela in qualche modo l’idea di ritenere questo ambito come l’unico per potersi inserire sul mercato del lavoro. Se questa tendenza in qualche modo richiama il principio di una discriminazione a più livelli, cioè sociale, economica e culturale, l’aumentare delle ricerche ha svelato un panorama ben più variegato e complesso: l’idea di una tripla marginalità non risulta centrale nello studio del contesto italiano. E’ piuttosto necessario considerare una molteplicità di situazioni che, ad esempio, vanno oltre la comune inclusione nel lavoro domestico e si definiscono in base al percorso che assume la migrazione e allo specifico contesto di inserimento.94

Una “prova” della eterogeneità presente nel paese è rappresentata allora dall’esperienza imprenditoriale o autonoma che, seppur studiata in minor misura, ha svelato una realtà vivace e certamente utile per scoprire nuove dimensioni riguardanti la migrazione femminile.

92

Tognetti Bordogna M., (2012), Donne e percorsi migratori. Per una sociologia delle migrazioni, Franco Angeli, Milano

93 Ivi 94

Campani G., (2007), Gender and Migration in Italy: State of the Art, Working Paper n. 6 – WP4, University of Florence, Firenze

Capitolo 2