• Non ci sono risultati.

L’Italia si inserisce lentamente nel “sistema migratorio europeo” tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta del secolo scorso: fino a quel momento la presenza straniera era definita in prevalenza, ma non in modo esclusivo, dagli europei e dalle loro relazioni commerciali; gli anni Settanta segnano, invece, una sorta di svolta rispetto al ruolo giocato dal Paese nel panorama delle migrazioni internazionali. Le crisi petrolifere, che solo indirettamente incentivano i flussi migratori verso versi i Paesi dell’Europa meridionale81, arricchiscono gli “insiemi” già esistenti delle immigrazioni postcoloniali, delle migrazioni di ritorno e delle già ricordate migrazioni intraeuropee. Così, già da quegli anni, si delineano una serie di caratteristiche che sono ancora visibili e in qualche misura “tipiche” della realtà dell’immigrazione nel paese, per il quale è corretto parlare dell’esistenza di più

80 Hondagneu-Sotelo P., Cranford C., (2006) Gender and Migration pp 105 e seguneti in Chafetz J., (2006), Handbook of the Sociology of Gender, Houston, Springer

81

Tognetti Bordogna M., (2012), Donne e percorsi migratori. Per una sociologia delle migrazioni, Franco Angeli, Milano

immigrazioni molto diverse tra loro.82 Negli anni Settanta inizia il reclutamento dei lavoratori stranieri dovuto, in buona parte, a quei cambiamenti che analogamente avevano interessato altri paesi europei come la crescita economica, i cambiamenti demografici e l’aumento del tasso di attività femminile. A ciò si sono aggiunti alcuni tratti specifici come l’importanza della piccola e media impresa, la forte frammentazione territoriale, il peso del settore informale dell’economia. Le opportunità di lavoro e di insediamento, che guidavano le migrazioni interne, assumono una certa importanza nella creazione di diversi sottosistemi migratori autonomi83.

Un primo sottosistema era costituito da flussi di manodopera come i braccianti tunisini in Sicilia e gli operai dell’Europa orientale in Friuli. Il secondo era definito dai flussi derivanti dai vecchi legami coloniali, in primis si pensi all’Eritrea, che interessavano le grandi città del centro-nord: questo gruppo era costituito da quanti avevano mantenuto legami con le famiglie di professionisti e imprenditori per i quali continuavano a lavorare. Infine il terzo sottosistema individuato riguardava quei paesi che avevano in qualche modo relazioni privilegiate con l’Italia per la forte presenza di missionari e organizzazioni religiose: Capo Verde e le Filippine costituivano il principale bacino delle giovani donne che, a partire da quegli anni, trovavano lavoro presso le famiglie come personale di servizio.

Questa geografia in parte è visibile ancora oggi anche se sottoposta a una serie di trasformazioni nel corso degli anni Ottanta e Novanta.

Negli anni ’80 si verificano alcuni cambiamenti nella composizione per nazionalità: ad esempio, ai tunisini si aggiungono egiziani e marocchini. Ognuno di questi gruppi si caratterizza per delle specifiche “abitudini” in quanto a mobilità territoriale interna e nella composizione per genere. Gli anni Novanta segnano un cambiamento nelle provenienze dai paesi asiatici, accanto alle Filippine, Cina e Sri Lanka si collocano tra le prime dieci nazionalità per dimensioni della presenza cui, nel decennio successivo, si uniranno Pakistan e Bangladesh. Infine, sempre nello stesso decennio,

82

Colombo A., Sciortino G., (2004), Gli immigrati in Italia, Il Mulino, Bologna 83 Ivi

inseguito ai cambiamenti intervenuti nel contesto internazionale, si consolidano nuovi sistemi migratori con l’Europa dell’Est e i Balcani.84

A partire da questa mappa, parziale e sintetica, emerge la grande varietà delle provenienze che, nel corso del tempo, subirà significative trasformazioni. Si assiste, infatti, a una progressiva concentrazione nazionale e alla tendenza al consolidamento di alcuni flussi a sfavore di altri che arriveranno a scomparire85. Un approccio diffuso per seguire parte di queste dinamiche, sebbene non esente da critiche, è l’analisi delle tipologie dei permessi di soggiorno che porta con sé la conoscenza del fenomeno a partire innanzitutto dai dati statistici. Il panorama italiano, forse di più altri, ha generato difficoltà e perplessità dal momento che “almeno sino alla pubblicazione nel 1996 dei primi dati rivisti dall’Istat sui permessi di soggiorno, si è anche avuta una conoscenza limitata ed erratica della stessa componente regolare del fenomeno, che ha reso, pure per l’inevitabile discordanza di risultati tra le diverse rilevazioni, ancora più difficile stimare la presenza straniera.”86

Tuttavia i permessi di soggiorno hanno consentito di ricostruire le principali motivazioni della presenza straniera sul territorio italiano. A tal proposito è possibile isolare delle ampie tipologie di progetti migratori, ovvero del perché si è compiuta l’esperienza della migrazione e per quali obiettivi. Per l’Italia, come per altre mete delle migrazioni internazionali, un chiaro peso è dato dalle migrazioni da lavoro e da reclutamento attivo. Quest’ultimo aspetto da un lato è stato considerato inesistente per l’assenza di programmi formali ed espliciti, dall’altro emerge nei “modi” e nei “tempi” dell’immigrazione in Italia: si pensi alla struttura dell’offerta e della domanda di lavoro che, legata alle famiglie e alle piccole imprese, ha favorito l’emergere dei cosiddetti lavoratori stagionali.87 Altri gruppi di progetti migratori prevedono: motivi di studio e periodi di formazione e conoscenza del mondo occidentale da parte dei giovani appartenenti alle elite dei paesi di provenienza che,

84

Parte dei paesi di provenienza ricordati costituiscono ancora oggi le principali nazionalità presenti nel paese. Secondo l’Istat, al 2011, tra le prime dieci cittadinanze si collocano: Albania, Romania, Marocco, Cina, Ucraina, Filippine, Moldova, India, Polonia e Tunisia.

85 Ibidem pag Nel 1970 le prime dieci nazionalità costituivano il 13% del totale degli stranieri presenti, una quota che saliva al 19% dieci anni dopo, al 40% nel 1990 e al 51% nel 2002.

86

Bonifazi C., (2007), L'immigrazione straniera in Italia, Il Mulino, Bologna, pp. 106-107 87 Colombo A., Sciortino G., (2004),

come spesso capita, cambiano le loro prospettive in base alle circostanze che trovano in Italia.

L’altra importante categoria è quella dei ricongiungimenti familiari che, a partire dagli anni Novanta, è cresciuta fortemente con il progressivo consolidamento delle collettività straniere. A testimoniare l’evolversi verso la cosiddetta età matura del processo di inserimento nel nuovo contesto le riunificazioni familiari sono sinonimo della presenza femminile e, pertanto, considerate un indicatore di stabilità del flusso migratorio.

Almeno negli ultimi venticinque, trent’anni si è assistito a un rafforzamento dei rapporti macro in senso economico e politico che, insieme al consolidarsi delle relazioni a livello micro tra gruppi, reti familiari e individuali, ha modellato l’attuale volto dell’immigrazioni nella Penisola. La riflessione di Bonifazi sulle aree di provenienza, anche se non più recentissima, offre un quadro complessivo certamente valido nell’isolare due macro insiemi di flussi: quello dell’area degli stati occidentali e quello dell’immigrazione dall’Europa orientale e dall’area del “Sud del Mondo”. E’ facile immaginare le differenze tra questi ampi gruppi: quanti provengono dagli stati occidentali occupano, tendenzialmente, posizioni di prestigio medio-alto, non hanno difficoltà né di carattere legale né di inserimento nella società di arrivo. Diverso è lo scenario per chi, invece, appartiene all’altro gruppo: difficoltà di ingresso, di inserimento e collocazione nei lavori a bassa qualificazione sono i segni principali della loro presenza nel paese88. In ogni caso la geografia dell’immigrazione ha visto il consolidamento di tre nazionalità appartenenti a tale gruppo: albanesi, rumeni e marocchini sono oggi le comunità più rappresentate. La progressiva concentrazione nazionale, che non cancella la varietà di provenienze, si accompagna inoltre a un maggiore equilibrio tra i sessi.

Infatti un’altra caratteristica dell’immigrazione italiana è la presenza di uno squilibrio nella distribuzione di genere: alcuni gruppi vedono una presenza prevalentemente maschile altri una femminile.

Tabella 1 Popolazione residente per sesso e cittadinanza al 31 dicembre 2013 - primi 16 paesi-

Fonte: Demo Istat

La partecipazione delle donne al processo migratorio può essere analizzato in base a tre modelli89: la dinamica dei ricongiungimenti familiari in quei flussi caratterizzati dalla prevalenza maschile; le nazionalità rappresentate da una maggioranza femminile fin dalla fase iniziale della migrazione, come per le filippine; flussi nazionali con una maggiore presenza maschile che vedono l’emergere di un sistema migratorio femminile autonomo. In merito a queste distinzioni è opportuno fare alcune considerazioni. In particolare per quanto riguarda il secondo gruppo si tratta di donne con un livello d’istruzione medio alto che tendono a servirsi del sistema delle rimesse per sostenere la famiglia di origine. Sono donne che solo in parte si muovono con una certa autonomia dal momento che il loro agire, per quanto causa di importanti trasformazioni nelle loro vite, risponde a quelle dinamiche di strategia familiare proprie della cosiddetta “nuova economia delle migrazioni”. Il terzo gruppo è costituito da donne sposate che si inseriscono in strategie di tipo commerciale e che danno vita a piccole imprese di import-export.

Anche se la visibilità delle donne nelle migrazioni è emersa con chiarezza solo in tempi recenti, l’immigrazione italiana è stata segnata, già dagli anni Settanta, da una massiccia e attiva presenza femminile. Il forte aumento della domanda di lavoro nei servizi, soprattutto in quelli rivolti alla persona, e in generale della partecipazione al mercato del lavoro ha favorito una rinnovata attenzione da parte degli studiosi e delle politiche pubbliche: una donna non più invisibile rende visibile una realtà che può essere molto diversa da quella tipica dell’immigrazione maschile.

Ricordare la “sequenza storica” dell’immigrazione straniera in Italia, con la nascita di sottosistemi tra loro autonomi nelle prospettive di mobilità territoriale e sociale, permette certamente di offrire una prima ricostruzione del contesto entro il quale si sviluppa il fenomeno in esame. Si ritiene, tuttavia, opportuno e utile, ricordare anche le tendenze del mondo degli “addetti ai lavori”, il modo in cui quest’ultimo si è accostato al tema contribuendo, da un lato, alla stessa definizione di stereotipi e, dall’altro, alla selezione di particolari e specifici interessi legati alla presenza degli immigrati, compresa la prospettiva di genere.