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Teorie sul versante dell’offerta

Immigrati e mercato del lavoro: costrizioni, scelte e strategie

2.2 L’Italia nel modello mediterraneo

2.3.1 Teorie sul versante dell’offerta

Un primo approccio è quello del supply side, che osserva il fenomeno dal lato dell’offerta. Al suo interno è possibile distinguere, in primo luogo, una spiegazione di tipo culturalista che ritiene centrale il peso della predisposizione culturale di alcuni gruppi etnici all’attività imprenditoriale162. In questo tipo di approccio il cuore della riflessione è costituito dal riferimento all’economia etnica e alle qualità e capacità, appartenenti a specifici gruppi, di accedere al lavoro indipendente, sfruttando risorse e conoscenze eventualmente acquisite in patria. Queste abilità e attitudini andrebbero dunque a riflettersi sulle capacità imprenditoriali, sulla grande ambizione, sulla capacità negli affari e sull’apertura al rischio. Tutto ciò, nella logica di questa spiegazione, porta interi gruppi a muoversi in quei settori dove la loro predisposizione trova la migliore realizzazione. Nel corso del tempo, all’interno di questo filone, sono emerse anche posizioni che puntano sui legami esistenti tra il

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Boyd M., Grieco E., (2003), Women and Migration: Incorporating Gender into International Migration Theory, disponibile sul sito www.migrationpolicy.org, (consultato il 15 gennaio 2014) 161 Anthias F., Metha N., (2003) The Intersection between Gender, the Family and Self-employment: the

Family as a Resource, in International Review of Sopciology - Revue Internationale de Sociologie,

vol 13, n. 10 pp. 5-116

concetto di capitale sociale e di embeddedness per spiegare l’esperienza dell’imprenditore immigrato: in particolare si fa riferimento a due fonti del capitale sociale, la solidarietà vincolata e la fiducia applicabile. Entrambe regolano i meccanismi di accesso alla distribuzione delle opportunità economiche all’interno del gruppo. In quest’ampio approccio si possono collocare gli scritti di autori quali Light, Bonacich e Portes.

Light mette in evidenza il peso assunto dal capitale sociale e dalle forme di solidarietà che si creano all’interno del gruppo di appartenenza. È molto forte l’idea per cui l’avvio stesso dell’attività dipenda dalle risorse interne che è possibile mobilitare.163 L’autore, come si vedrà, si muove a metà strada tra l’approccio propriamente culturalista e la teoria dello svantaggio. Quest’ultima si rivolge alla marginalità sociale come primaria spinta all’autonomia lavorativa. Lo svantaggio e il timore della disoccupazione che l’immigrato si trova a dover affrontare nella società di accoglienza rende il mettersi in proprio una scelta quasi obbligata di fronte alla chiusura e alla precarietà permanente del lavoro dipendente. Tuttavia, questa interpretazione nega ogni prospettiva di benessere nel lungo periodo: in questo caso l’imprenditoria diventa una semplice soluzione di ripiego. “Le attività di questi <<rifugiati del mercato del lavoro>> sarebbero quasi sempre strutturalmente deboli, instabili, poco redditizie […]”164. Da un lato Light evidenzia la forza delle risorse etniche come fonte principale dell’imprenditorialità immigrata distinguendo una serie di caratteristiche vantaggiose: dotazioni di tipo culturale, un certo grado di soddisfazione per l’esperienza migratoria, la solidarietà interna che bilancia le “incursioni” nella società ospitante, l’idea della temporaneità del progetto migratorio.165 Dall’altro, riconosce alcuni aspetti della teoria dello svantaggio: spesso si tratta di posizioni lavorative molto deboli, i gruppi sono discriminati e il

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Interessante è il meccanismo del credito a rotazione che permette di superare gli inevitabili ostacoli relativi all’ottenimento dei capitali. Nel quadro di vere e proprie associazioni, a ogni riunione uno dei membri riceve a turno il capitale che viene raccolto. Questa dinamica non solo fa si che il denaro sia sempre in circolazione e che tutti a turno abbiano accesso ai fondi, ma contribuisce alla creazione di legami personali e di solidarietà rafforzando il coinvolgimento dei partecipanti. Cfr Zanfrini L., (2007) op. cit. p 168

164 Ambrosini M., (2005), Sociologia delle migrazioni, Il Mulino, Bologna p.104

165 Light I., Sabbagh G., Bozorgmehr M. e Der-Martirosian C., (1994), Beyond the ethnic enclave economy , in Social Problems vol. 41, n. 1

lavoro autonomo diventa una via di fuga. Ciononostante nella sua riflessione resta fermo il ruolo esercitato dalla presenza delle risorse collettive: solo alcuni gruppi le hanno e sono in grado di sfruttarle.166

Bonacich elabora una delle più interessanti teorie nel quadro delle spiegazioni supply side: la teoria delle middleman minorities.167 In questo caso l’attenzione è rivolta a quei gruppi etnici che si concentrano in attività commerciali e finanziarie, andando a occupare delle posizioni intermediarie nella società ospitante. La principale caratteristica risiede nel fatto che si tratta di gruppi etnici fortemente chiusi e non inseriti nel nuovo tessuto sociale: mantengono infatti dei legami molto forti con il paese di origine, ne celebrano le tradizioni e l’identità culturale, manifestano dei sentimenti in qualche modo ostili verso la società ospitante dalla quale quasi si auto segregano168. Inoltre, a partire da queste peculiarità, l’autrice mette in evidenza il carattere temporaneo della migrazione e il desiderio di dedicarsi a un’attività che permetta elevati risparmi. Pertanto il lavoro imprenditoriale, e autonomo in generale, rappresenta la soluzione alla necessità di voler tornare in patria e di guadagnare il più possibile. Ritorna, anche in questa particolare lettura del fenomeno, l’importanza della solidarietà interna al gruppo; se attività a conduzione famigliare tendono a essere le forme prevalenti, la solidarietà tende a estendersi ad altri membri della comunità allargata proprio in virtù del forte senso di appartenenza. Infine, la propensione al duro lavoro con forti tagli ai consumi, porta una serie di vantaggi in termini di competitività e, spesso, si riflette in un certo grado di ostilità da parte della società ospitante. La loro specifica posizione li porta a “catalizzare su di sé il conflitto sociale riducendone l’intensità nella comunità ospitante con un duplice effetto: alimentare l’efficienza della minoranza etnica nel promuovere il benessere economico dei propri membri; accrescere l’insofferenza nei propri confronti da parte della società ospitante”.169 Diversi anni dopo la pubblicazione del saggio sulle middleman minorities Bonacich e Light hanno rivisto alcune delle loro

166 Idem

167 Bonacich E. (1973), A theory of middleman minorities, in American Sociological Review, Vol.38,n.5, pp.583-594

168 Idem p. 586

169 Pilotti L., De Noni I., Ganzaroli A., Il cammino infinito. Imprenditorialità multiculturale tra varietà, innovazione e territori, Franco Angeli, Milano

posizioni aprendosi al concetto più ampio e generale d’imprenditoria immigrata. Quest’ultima è indicata come imprenditoria etnica quando si sviluppa una sorta di tradizione in termini di settore d’attività, la cui eredità è trasmessa alle seconde generazioni. In questa nuova ottica le middleman minorities diventano quindi un caso specifico di economia etnica.170

Estremamente vicina alla teoria dello svantaggio è la tesi della mobilità bloccata per la quale il problema non è, per così dire, la preoccupazione di essere disoccupati quanto piuttosto l’impossibilità di dare realizzazione alle proprie aspirazioni nel lavoro dipendente e di fare carriera. La scelta imprenditoriale diventa quindi una strategia di possibile mobilità sociale e di risposta alla discriminazione nelle carriere organizzative. In questo caso però non si fa riferimento esclusivamente ai casi d’imprese che finiscono per restare marginali; il lavoro autonomo diventa il principale mezzo per ottenere una promozione sociale per coloro che hanno un certo grado d’istruzione e preparazione professionale.171

Un altro contributo, particolarmente noto, è quello sviluppato da Portes e Wilson172, successivamente ripreso da Portes e altri collaboratori,173 sul concetto di enclaves etniche come portatrici di una specifica forma di economia fondata sulla cooperazione tra piccole imprese etniche. Gli imprenditori coinvolti hanno la possibilità di esprimere pienamente il loro potenziale, al pari delle imprese che si muovono nella “prima” economia. Infatti questo modello fa riferimento alla teoria del mercato duale del lavoro dove l’economia di enclave diventa una sorta di terzo segmento definito da: tratti specifici della comunità e mantenimento della propria identità di gruppo. La cooperazione avviene tra imprese che operano in una specifica porzione del territorio e che sono gestite dai membri di una stessa minoranza etnica. L’enclave offre lavoro, poco pagato, ai connazionali che ne costituiscono anche i principali, ma non esclusivi, clienti; stabilisce forti relazioni con fornitori, dello stesso gruppo etnico, e beneficia della fiducia interna al gruppo. Quando le imprese e le varie iniziative imprenditoriali crescono e si diversificano le attività, i membri

170 Light I., Sabbagh G., Bozorgmehr M., Der-Martirosian C., (1994), op. cit.

171 Raijman R., Tienda M., (2000), Immigrants' pathways to business ownership: A comparative ethnic perspective, in International Migration Review fasc. 3, vol 34, pp. 682 - 706

172 Wilson KL, Portes A., (1980), Immigrant Enclaves: An Analysis of the Labor Market Experiences of Cubans in Miami, American Journal of Sociology vol 86, 295-319

della comunità e i nuovi arrivati possono avvantaggiarsi di opportunità non reperibili sul mercato del lavoro esterno all’enclave.174 Portes sottolinea come questa fitta organizzazione possa portare a un certo progresso, sia in termini di reddito sia di collocazione sociale,175 a patto che vi siano, tra i gestori delle imprese, degli immigrati “esperti” e già pratici dell’attività avviata. Un altro punto critico è rappresentato da una sorta di auto segregazione da un punto di vista occupazionale: le imprese sono concentrate territorialmente e danno vita a un rete di solidarietà che consente ai lavoratori di guardare a eventuali avanzamenti di carriera o all’apertura di una loro attività. Quello dell’enclave sarebbe una sorta di mondo a parte e completamente separato dalla società ospite: “si tratterebbe insomma di una economia volontariamente e funzionalmente chiusa e autosufficiente che si reggerebbe sulle sole risorse endogene della comunità di riferimento, con scarsi contatti con l’esterno, in quanto le risorse in-group permetterebbero di abbattere i costi e le barriere di ingresso ai mercati, plasmando con risorse fiduciarie i rapporti socio-economici.”176

Infine sul versante dell’offerta si può collocare la teoria della successione ecologica elaborata da Aldrich e vicina agli studi di Park. Secondo questa posizione a spiegare il fenomeno dell’imprenditoria immigrata interviene un meccanismo di sostituzione: gli immigrati vanno a occupare le posizioni, per così dire, lasciate libere da quanti hanno potuto spostarsi verso professioni più prestigiose ed economicamente vantaggiose. Le osservazioni dell’autore sono fondate sulle trasformazioni di alcuni importanti centri urbani negli Stati Uniti come Boston, Chicago e Washington, dove era in atto una successione tra la popolazione autoctona e gli immigrati. Questo processo interessava sia il piano residenziale sia quello lavorativo. Alla base del ricambio si possono identificare diversi fattori: alcuni guardano al progressivo inserimento dei gruppi di più antica immigrazione che con il tempo possono spostarsi verso attività migliori e accedere a carriere più prestigiose. I nuovi arrivati, nelle zone più povere delle città, invece si fanno carico delle mansioni

174 Zanfrini L., (2007), Sociologia delle migrazioni, Laterza, Roma-Bari

175 L’autore si riferisce in modo particolare alle ricerche condotte sull’esperienza dei coreani a Los Angeles e di cubani a Miami.

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Barberis E., (2008), Imprenditori immigrati, tra inserimento sociale e partecipazione allo sviluppo, Ediesse, Roma p. 32

più faticose e rischiose; ciò accade anche perché i figli degli immigrati, nati e cresciuti nel nuovo contesto, non sono interessati a subentrare nell’attività di famiglia dal momento che, con molta probabilità, hanno avuto la possibilità di studiare e di accedere a più fortunate carriere.177 Altre cause di questo meccanismo si rivolgono principalmente al lavoro dipendente: gli immigrati, specialmente nei grandi contesti urbani, vanno a occupare i posti di lavoro oramai considerati di scarso prestigio sociale e per questo non più ambiti della popolazione autoctona.