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Metodologia e fasi della ricerca

Immigrati e mercato del lavoro: costrizioni, scelte e strategie

Capitolo 3 La ricerca empirica

3.3 Metodologia e fasi della ricerca

Ripercorrendo il lavoro svolto è possibile osservarne lo sviluppo naturale in diverse fasi non rigidamente prestabilite. Anche se “il percorso della ricerca qualitativa è difficilmente schematizzabile in fasi separate e distinte (e) gli stessi due momenti fondamentali della raccolta dei dati e della loro analisi […] non sono più in questo rigido ordine, e spesso si intersecano e si sovrappongono”259, per una maggiore chiarezza nell’esposizione si isolano le fasi che hanno permesso, di volta in volta, di organizzare il lavoro: dal momento di riflessione teorica a quello dell’azione sul campo e di successiva interpretazione. Senza forzature si possono dunque rintracciare i “tipici” momenti di una ricerca che riguardano: l’impostazione, la rilevazione, l’analisi dei dati e i risultati.260 Ciascuna fase vede al suo interno degli elementi che la guidano e al tempo stesso la caratterizzano.

L’impostazione della ricerca ha visto una fase di analisi della letteratura che ha portato alla definizione dello scenario teorico di riferimento e guidato il lavoro di raccolta delle informazioni.

Come accade nel quadro di una ricerca di tipo qualitativo il momento teorico e concettuale si incontra costantemente con quello empirico realizzando un’interazione dinamica. Ciò ha fatto sì che si ponessero le basi per la fase successiva di ricerca sul campo che è consistita nella rilevazione dei dati. In questo caso è opportuno distinguere due momenti: uno preliminare, in parte precedente all’organizzazione delle interviste e uno rappresentato dai colloqui stessi.

La fase preliminare ha interessato una prima definizione dei soggetti da studiare con l’idea che la rappresentatività degli stessi potesse essere non di tipo statistico ma tipo tematico che “riprende gli aspetti cruciali di un fenomeno attraverso il vissuto peculiare di alcuni soggetti i quali esprimono in proprio

259 Corbetta P., (2003) La ricerca sociale: metodologia e tecniche. III. Le tecniche qualitative, Il Mulino, Bologna p. 10

260

Corbetta P., (2003) La ricerca sociale: metodologia e tecniche. I. I paradigmi di riferimento, Il Mulino, Bologna

orientamenti e comportamenti che appartengono anche a più vaste categorie di persone”261.

In particolare l’esperienza della migrazione al femminile sembrerebbe prestarsi fortemente a un approccio di tipo qualitativo poichè permette di entrare nelle numerose dimensioni del fenomeno esplorandone la molteplicità delle cause e delle strategie262. La volontà di indagare l’esperienza di donne di diversa provenienza e con diversi percorsi lavorativi è stata veicolata dal desiderio di far emergere, pur nell’oggettiva diversità, alcune dimensioni orizzontali (donna-straniera- imprenditrice) e cercare di comprenderne il funzionamento e il peso nella definizione di un loro percorso di soggettivazione e nella percezione dell’esperienza vissuta. Si è pertanto seguito un principio di rappresentatività sostantiva sulla base dell’interesse specifico della ricerca lungo la quale i casi sono stati approfonditi per la potenziale ricchezza e densità di significati.263

Questo orientamento è stato poi confermato in seguito a un ulteriore momento di definizione preliminare che ha visto il suo sviluppo tramite un primo contatto stabilito con la realtà della Cna World di Roma, gruppo di interesse della Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa. Il gruppo si occupa in particolar modo dell’imprenditoria straniera offrendo un punto di riferimento sia nella fase iniziale, sia lungo il percorso di successivo consolidamento dell’attività, con particolare riguardo agli aspetti burocratici. Assistere a una riunione presso le loro sedi si è rivelato un momento di osservazione molto importante: in primo luogo perché sono nati nuovi spunti di riflessione sollecitati dal dibattito tra i diretti interessati; in secondo luogo perché è stato possibile definire con maggior sicurezza, e contestualmente all’impianto metodologico, le dimensioni da far emergere nel corso dei colloqui insieme ad alcuni suggerimenti su come avviare la catena dei contatti. Rispetto alle sollecitazioni emerse nel corso del dibattito è risultata lampante la tendenza a legare, insieme e irrimediabilmente, il tema del

261

Cipriani R., (a cura di), (1995), La metodologia delle storie di vita. Dall’autobiografia alla life history EUROMA, Roma pag 321

262 Kofman E. et al., (2000), Gender and International Migration in Europe. Employment, welfare and politics, Routledge, London

263 Corbetta P., (2003) La ricerca sociale: metodologia e tecniche. I. I paradigmi di riferimento, Il Mulino, Bologna

lavoro a quello del diritto di cittadinanza e all’integrazione. Temi quest’ultimi che, in quell’occasione, hanno messo in ombra qualsiasi altro argomento e che sono entrati con forza nelle parole chiave di questa indagine. Riguardo al secondo punto, questo momento è stato di grande importanza per “toccare con mano” l’eterogeneità delle esperienze, ulteriormente sottolineata dalla ricchezza del panorama italiano dell’immigrazione in quanto ad aree di provenienza. Questa pluralità, spia di un universo vasto e complesso, ha portato a due successive scelte. La prima è consistita nella decisione di rivolgersi a canali differenziati, meno formali rispetto al gruppo sopra menzionato, per ragioni legate alla delicatezza dei temi trattati. La consapevolezza di potersi trovare di fronte a situazioni non completamente trasparenti, o di forte diffidenza, ha spinto a non escludere la possibilità di trovare contatti sia tra quante, pur conducendo la loro attività senza appoggiarsi a enti direttamente coinvolti nel mondo del lavoro, si muovono nell’universo delle associazioni264, sia tra quante pubblicizzano la loro attività in occasione di particolari eventi o su specifiche piattaforme. Proprio lungo questo percorso si sono manifestate le prime difficoltà dal momento che, nel corso dell’indagine, non è stata trovata la piena collaborazione dei soggetti contattati.265

Il secondo orientamento, sollecitato dall’incontro citato, si presenta in effetti come una conseguenza di questo primo ostacolo. A partire da un primo gruppo di contatti si è scelto di procedere secondo un campionamento a valanga266 risultato

264

Questo pensiero è stato veicolato dalla nota importanza dell’associazionismo dei migranti come ambito di studio ricco e denso proprio in relazione ai temi dell’inclusione e della stabilizzazione dei flussi. Al tempo stesso gli studi sull’associazionismo degli immigrati ne mettono in evidenza la fragilità e la poca strutturazione (in termini di presenza e di specificità). A pesare su questa realtà insistono diversi fattori che vanno dalle politiche migratorie a carattere locale alla dimensione dei luoghi di vita e di lavoro, dalla composizione socio-demografica del collettivo di appartenenza all’emergere di leadership. Nel caso delle donne va aggiunto il fattore della regolarizzazione. Cfr Tognetti Bordogna M., (2012), Donne e percorsi migratori. Per una sociologia delle migrazioni, Franco Angeli, Milano

265

Nel corso della ricerca sono state contattate circa dieci associazioni, aventi mission diverse tra loro ma accomunate dal fatto di occuparsi di donne immigrate. Nessun gruppo contattato ha mostrato interesse o curiosità nonostante la disponibilità a organizzare incontri preliminari e di primo contatto tra l’intervistatore e le intervistate. Una situazione del tutto analoga si è presentata anche nel caso di imprenditrici contattate senza il filtro di un’associazione o di un gruppo di riferimento. Solo in un caso è stato detto chiaramente di non avere tempo a causa dell’intenso lavoro.

266 “I campioni a valanga sono utilizzati quando le informazioni che abbiamo su un universo sono estremamente scarse: non è possibile costituire elenchi d’individui per l’estrazione casuale, né sono conosciute le dimensioni caratterizzanti l’universo per un’estrazione analogica. La procedura di campionamento si basa su una prima selezione d’individui, secondo un metodo riportabile a quello per

particolarmente adatto al tipo di indagine: l’impossibilità di conoscere in modo approfondito la popolazione di riferimento e l’eventualità di trovare forti resistenze hanno spinto a sfruttare una prima rete di conoscenze fornita dalla disponibilità di alcuni attori che hanno agito come gatekeepers.267 Questa fonte, a partire dal nucleo iniziale, si è poi rivelata vitale per la ricerca; anche se le difficoltà non sono state poche, questa procedura ha permesso di affrontare e superare, nella maggior parte dei casi, il problema della disponibilità a raccontarsi. Infatti l’essere introdotta, di volta in volta, a nuovi potenziali soggetti attraverso la mediazione di quante avevano già accettato di parlare della propria esperienza, ha permesso di accumulare un certo di grado di fiducia e credibilità da spendere per tutto il percorso della ricerca. Anche alcune di queste donne hanno poi assunto la funzione di gatekeepers diventando esclusivamente mediatrici verso le dirette interessate.268 In alcuni casi i “troppi impegni” sono diventati la principale causa della mancanza di tempo e in un unico caso l’incontro non ha prodotto lo scambio sperato in quanto l’intervistata ha risposto frettolosamente e con poco interesse alle mie domande rendendo impossibile lavorare sul materiale raccolto.

In questa fase può essere fatto rientrare un secondo momento di osservazione in occasione della presentazione della già citata indagine condotta dall’Eures sull’imprenditoria romana. In quel caso sono stata introdotta a nuovi potenziali contatti da alcune donne che avevo già intervistato, pertanto è stato un momento molto importante per arricchire il quadro della ricerca sul campo. Inoltre, ancora volta, nelle parole dei relatori e di alcuni protagonisti intervenuti a lasciare una testimonianza, è stata confermata l’enfasi posta sul nesso lavoro-integrazione.

obiettivi, e sul loro uso non solo come casi, ma anche come fonte d’informazione per giungere ad altri individui con le stesse caratteristiche.” Cfr Bruschi A., (1999) Metodologia delle scienze sociali, Mondadori, Milano p. 385

267

“Tanto più approfondita è l’osservazione, e soprattutto tanto più essa prevede interazioni con coloro che abitano un certo ambiente, tanto più necessario inoltre è il rapporto con gate-keepers che introducano il ricercatore nell’ambiente che vuole studiare, creando fiducia attorno al suo lavoro, ma anche fornendogli informazioni necessarie alla scelta del partner da intervistare.” Cfr Della Porta D., (2010), L’intervista qualitativa, Gius, Laterza & Figli spa, Bari p. 81

268

E’ il caso delle responsabili di enti che si sono rese disponibili a mettermi in contatto con persone ritenute adatte alla mia ricerca

Per quanto riguarda il secondo momento della ricerca, relativo alla raccolta delle testimonianze, è necessario fare alcune precisazioni. La scelta del metodo qualitativo è stata guidata dall’intenzione di “accedere alla prospettiva del soggetto studiato: cogliere le sue categorie mentali, le sue interpretazioni, le sue percezioni ed i suoi sentimenti, i motivi delle sue azioni”.269

La volontà di muoversi in un ambito qualitativo trova inoltre una sorta di fondamento nel riconoscimento e nella specificità riconosciuta alle tecniche qualitative proprio in riferimento al tema delle migrazioni femminili.270 Infatti si può ritenere che strumenti di questo tipo diano la possibilità di comprendere maggiormente il fenomeno indagato in quanto esperienza dalla forte connotazione soggettiva.271 Tuttavia, riguardo questo punto, è necessario ricordare l’esistenza di un filo che tiene insieme il soggetto (livello micro) e la società (livello macro): da una parte la comprensione del comportamento del singolo, della sua prospettiva e del suo “universo” resta centrale, dall’altra non si deve perdere di vista l’interesse per il fenomeno più ampio che si pone come risultato di azioni che non sono esclusivamente individuali.272 Il tema della ricerca ha, forse inevitabilmente, spinto in questa orbita data l’esperienza stessa del migrante e la complessità del suo percorso nella società di arrivo. Si hanno di fronte più dimensioni che intrecciandosi e “scontrandosi” danno luogo a scenari unici, speso contradditori e mai lineari. Un primo elemento da non trascurare, ad esempio, riguarda il linguaggio: colei che narra la sua storia lo fa in una lingua non sua, aprendo il campo a eventuali problemi di interpretazione. Fortunatamente non è stato necessario ricorrere all’ausilio di un’interprete trattandosi di persone presenti da anni nel paese e perfettamente in grado di utilizzare l’italiano per raccontarsi. Dunque il desiderio di arrivare a una comprensione, pur parziale, del

269 Corbetta P., (2003) La ricerca sociale: metodologia e tecniche. III. Le tecniche qualitative, Il Mulino, Bologna p. 70

270

Kofman et al. (2000), Gender and International Migration in Europe. Employment, welfare and politics, Routledge, London

271 Non è possibile in questa sede approfondire il vivace dibattito che ha scosso, e scuote, le scienze sociali in tema di contrapposizione tra analisi qualitativa e analisi quantitativa. Basti ricordare che, negli anni più recenti, si assiste da un lato alla tendenza ad utilizzare strumenti e approcci appartenenti all’una e a l’altra impostazione tanto da mettere in discussione la distinzione o la scelta netta tra qualitativo e quantitativo, dall’altro, si riconosce una progressiva rivalutazione, o meglio, “fortificazione” dall’approccio qualitativo

272 Cipriani R., (1995), La metodologia delle storie di vita. Dall’autobiografia alla life history, EUROMA, Roma

vissuto del singolo ha suggerito di non operare una riduzione in variabili, in vista di una possibile generalizzazione, ma di ricostruire i momenti più importanti, di mettere insieme i frammenti dell’esperienza dei soggetti studiati e la loro complessità termine usato da Bichi nel riferirsi a quegli “individui che sperimentano la compresenza nella loro vita di più “modi di fare il mondo”, di più culture o frammenti di culture, di più universi di significato, sperimentano la “complessità di vita”, intesa come l’insieme di molte parti interagenti in cui l’interconnessione tra le parti stesse sembra non consentire soluzioni definitive e lasciare aperto un certo numero di possibilità”.273 Inoltre tale scelta è sembrata particolarmente opportuna rispetto al desiderio di approfondire la conoscenza di alcune dimensioni lungo le quali si è ritenuto di poter seguire lo sviluppo della loro esperienza. Avere una maggiore comprensione dei significati attribuiti, ad esempio, all’essere una donna immigrata e imprenditrice, ha richiesto necessariamente un’opera di ascolto e di analisi del vissuto dei soggetti coinvolti. Si accoglie in questo senso quanto suggerito da Ricolfi circa il “presentare la ricerca empirica come risposta a domande (di conoscenza) piuttosto che come soluzione di problemi (di teoria)”274.

Nel caso delle immigrate si manifesta anche la necessità di attutire la distanza che non è solo di status, ma simbolica e sottolineata dall’appartenenza a mondi differenti. La pratica dell’ascolto e dello scambio è stata ricercata partendo dal fatto, come ricorda Decimo, che “di loro, in effetti, poco o nulla sappiamo. Le vediamo numerose occupare i vuoti del nostro mercato del lavoro […] ma ignoto è il significato da loro stesse conferito alle scelte migratorie intraprese. Nel vuoto conoscitivo, le suggestioni predominano sulle informazioni: seguiamo giovani donne di ogni colore, cultura e religione, provenienti dai più svariati paesi del mondo e sostenitrici di opposti progetti migratori, percorrere le nostre strade e abitare le nostre case. E al variare della cornice sociale in cui le collochiamo, ora ci appaiono esploratrici coraggiose, oneste lavoratrici, madri virtuose, ora incoscienti genitrici, donne a rischio, precarie sul filo che corre tra marginalità e devianza. Ora fertile fonte di umana ricchezza, ora pericolosa attrazione a promiscue mescolanze.”275

273 Bichi R., (2000), La società raccontata. Metodi biografici e vite complesse, Franco Angeli Milano 274

Ricolfi L., (1997), La ricerca qualitativa, La Nuova Italia Scientifica, Roma p. 21 275 Decimo F. (2005), Quando emigrano le donne, Il Mulino Bologna. p.8

La mancanza di conoscenza insieme al “rischio del rifiuto e della non comprensione”276 hanno reso fondamentale la riflessione, in un certo senso preliminare e di preparazione, sul rapporto tra ricercatore e soggetto osservato. Scegliendo di raccogliere le informazioni tramite interviste “faccia a faccia”, tale relazione è stata non solo inevitabile, ma necessaria. Le implicazioni dell’interazione intervistatore-intervistato spingono all’analisi di almeno due componenti di questo rapporto: la relazione d’intervista e le specifiche modalità che si dispiegano in questa relazione.277

Nel primo caso entrano in gioco le aspettative e il problema della condivisione dei significati, negoziati e rinegoziati anche in funzione delle ipotesi e degli schemi che nascono nell’atto stesso dell’intervista. Se questo è il luogo dove si forma la conoscenza, allora gli intervistati mettono in gioco le loro risorse culturali quando rispondono a una domanda, pertanto si possono sintetizzare tre aspetti fondamentali:

• l’atto di intervistare è considerato come un evento interattivo in cui partecipanti si rifanno alle loro conoscenze culturali, relative a come i membri di una certa categoria parlano d’abitudine;

• le domande sono una parte centrale dei dati e non possono essere viste come un invito neutrale a parlare;

• le risposte all’intervista sono trattate come resoconto narrativo piuttosto che come cronache – cioè, sono intese come l’attività di rendere conto, svolta da un appartenente a una data categoria, delle attività associate a quella stessa categoria.278

I partecipanti alla relazione sono entrambi attivi nell’influenzare il risultato del loro scambio nella misura in cui all’intervistato è lasciata una certa capacità di manovra

276 Ricolfi L., (1997), La ricerca qualitativa, La Nuova Italia Scientifica, Roma. p 21 277 Bichi R., (2007), La conduzione delle interviste nella ricerca sociale, Carocci, Roma

278 Baker C., (2004), Membership Categorization and Interview Accounts in Silverman D., (a cura di), Qualitative Research: Theory, Method and Pratice, Sage, London, Cfr Della Porta D, (2010) L’intervista qualitativa, Gius, Laterza & Figli spa, Bari. p. 84-85

fondata sull’ascolto attivo e sulla possibilità di attribuire i significati.279 Dal canto suo il ricercatore dovrà spostare il suo punto di vista, “convertire il suo sguardo”280 verso quello del suo interlocutore al fine di vedere con maggior chiarezza ciò che l’altro vede. Questo passaggio non è immediato e non è facile da compiersi dal momento che al ricercatore è richiesto di mettere da parte il proprio bagaglio cognitivo. Bichi presenta questo momento come un preciso compito dell’intervistatore: “situarsi nel punto dello spazio sociale a partire dal quale la visione del mondo dell’intervistato diviene evidente, necessaria, taken for granted. Il situarsi […]è piuttosto un viaggio da affrontare, una meta da raggiungere, un vero percorso di ricerca di un luogo altro dal quale guardare.”281

Pertanto, nelle interviste condotte in questa ricerca, è stata data una particolare importanza agli elementi della fiducia e dell’ascolto; il primo contatto, avvenuto telefonicamente, è servito per porre le basi della relazione: è stata l’occasione per presentarsi e spiegare, pur senza approfondirli in quella sede, i motivi dell’interesse e della ricerca condotta, trovando una certa disponibilità a cooperare anche in virtù dei legami di amicizia, o quantomeno di conoscenza, offerti dalla rete di contatti. La necessità di ottenere fiducia e creare un clima di reciproco ascolto ha spinto a mostrare un atteggiamento rispettoso, interessato, mai teso a dare un giudizio. Alcune delle persone contattate avevano già avuto esperienze in qualche modo simili, rilasciando interviste per riviste specializzate e non282, ciò le ha rese particolarmente ben disposte nei miei confronti così come, in ogni caso, l’atteggiamento nei confronti dell’università e, talvolta, la sorpresa per l’attenzione a questi a temi, hanno agito come un insieme di fattori favorevoli all’instaurazione di un clima disteso. Ciò ha permesso di toccare un’ampia gamma di argomenti, alcuni dei quali certamente delicati e molto personali.

279 Idem 280

Bourdieu P., (1993), (a cura di), La misère du monde, Éditions du Seuil, Paris, ed. it. cura di Petrillo A., Tarantino C., (2015), La miseria del mondo, Mimesis Edizioni (Milano – Udine)

281 Bichi R., (2007), La conduzione delle interviste nella ricerca sociale, Carocci, Roma

282 Inizialmente ciò ha portato al timore di non riuscire a sollecitare un discorso, per così dire, spontaneo e aperto agli orientamenti dell’intervista. Infatti si è temuto di ricevere delle risposte già confezionate in precedenti colloqui. Ritengo, tuttavia, che questo pericolo sia stato poi ampiamente eliminato in virtù della particolarità stessa del colloquio, non finalizzata a scopi “pubblicitari”.

Le strategie messe in atto durante la situazione d’intervista vera e propria, a partire da quanto precedentemente detto, sono state orientate alla creazione di un ambiente in cui l’intervistata potesse trovarsi a proprio agio. L’inizio di ogni incontro è stato segnato da un ulteriore momento di spiegazione delle mie motivazioni seguito da qualche minuto di “chiacchierata aperta”283. In questo modo è venuto a definirsi il patto biografico ovvero l’accordo che guida l’intervista dando informazioni più approfondite sull’oggetto della ricerca, sulle modalità e sull’utilizzo che verrà fatto del materiale raccolto.