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Il lavoro indipendente come strategia di empowerment

Quali forme d’integrazione?

4.2 Il lavoro indipendente come strategia di empowerment

Le ricordate teorie sull’imprenditorialità immigrata, pur mettendo “sul piatto” un’ampia varietà di spiegazioni, hanno certamente messo in evidenza l’impossibilità di individuare un’unica ragione alla base del percorso autonomo; nel caso delle donne protagoniste di questa ricerca, si conferma sia l’agire di più fattori sia una progettualità che si è perfezionata solo dopo una lunga fase di “assestamento” della vita nel nuovo paese. Quasi tutte hanno trovato nel lavoro di assistenza e nel lavoro domestico la prima occupazione, confermando in qualche modo un passaggio “obbligato” nell’inserimento nel mercato del lavoro, specialmente quando non è

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Per informazioni sul concorso “MoneyGram Award” è possibile visitare il sito web

completamente trasparente la regolarità della presenza.303 Questo primo momento è caratterizzato inoltre dall’agire delle conoscenze all’interno della comunità di appartenenza o dall’operato degli ordini religiosi che, nel caso di alcune intervistate, hanno rappresentano un riferimento particolarmente importante nella prima fase di inserimento. Tuttavia un dato che si ritiene di non poter trascurare sta nella generale mancanza del sostegno tradizionalmente offerto dalla rete del gruppo di riferimento. L’azione di questi circuiti, ampiamente ricordata dalla letteratura, sembrerebbe essere estranea all’esperienza delle donne incontrate o almeno non così determinante: solo in alcuni casi, un’amicizia con un connazionale ha stimolato non tanto il percorso lavorativo quanto la scelta dell’Italia come meta. La stessa esperienza della migrazione permette loro di presentarsi come donne forti e coraggiose, capaci di affrontare le sfide in modo completamente indipendente.

In questa fase si sottolinea la tendenza delle imprenditrici a voler ricordare come, una volta in Italia, sia stato necessario, per la stessa sopravvivenza, fare qualsiasi tipo di lavoro con la consapevolezza che sarebbe stato solo un momento in vista di qualcosa di più “importante”. Questa certezza è testimoniata da alcune espressioni usate riguardo, ad esempio, al: “mettere da parte un mini capitale”, “cercare un proprio spazio”, “volere la propria autonomia” e, spesso, al desiderio di non dipendere in nessun modo dalla famiglia di origine ed essere responsabili delle proprie scelte. Questa determinazione è molto forte, anche se il progetto in effetti è stato definito solo nel corso del tempo: tranne nei casi delle due più giovani (I.9; I. 8), le intervistate hanno maturato solo in una seconda fase l’idea di “mettersi in proprio” e di far diventare un hobby la loro principale attività che diventa un modo per restituire spazio e importanza alle proprie passioni e alle proprie inclinazioni.

Leggendo i racconti sembrerebbe trovare conferma l’idea del lavoro indipendente come spazio nel quale creatività e gratificazione personale trovano la massima realizzazione.

La “buona volontà” da sola non basta ed ecco che la capacità di sapersi muovere nei labirinti burocratici diventa essenziale e necessaria. In questo caso il percorso sembra essere stato facilitato e supportato in diversi modi: partecipare a

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Ambrosini M., (2013), Immigrazione irregolare e welfare invisibile. Il lavoro di cura attraverso le frontiere, Il Mulino, Bologna

progetti e concorsi ha attivato il sostegno di enti, come la Provincia e organizzazioni sindacali, direttamente coinvolti in programmi rivolti al sostegno dell’imprenditorialità straniera; questa dinamica testimonia un forte grado di inserimento delle intervistate dal punto di vista non solo della lingua ma anche dell’utilizzo degli strumenti a disposizione come corsi di formazione e specializzazione. Si nota, sia nella fase progettuale sia in quella di concreta realizzazione, l’assenza del sostegno materiale dei network etnici e, nei casi specifici, degli stessi mariti. Questi ultimi, connazionali o italiani, sono rivestiti di un’importanza essenzialmente affettiva nel percorso di realizzazione dell’attività ma non sono menzionati come artefici o principali sostenitori del progetto imprenditoriale che rimane, di fatto, un obiettivo personale delle donne ascoltate. Da questo punto di vista si sottolinea l’esistenza di alcuni tratti comuni rispetto alla consapevolezza delle proprie competenze e abilità e all’idea di potersi muovere in modo autonomo anche al di fuori dei meccanismi solitamente operanti come, appunto, l’azione dei network etnici. Si tratta, si potrebbe dire, di una grande fiducia nel proprio capitale umano che si acuisce ulteriormente per tutta l’esperienza in esame: la “gavetta” e la maggiore conoscenza dell’ambiente circostante rafforzano la fiducia nelle proprie capacità e competenze facilitando, nella loro percezione, il presentarsi di opportunità favorevoli ai loro progetti. D’altra parte il costante desiderio di apprendere e di ampliare le proprie conoscenze, anche a settori nuovi, sembra rispondere pienamente al desiderio di non restare immobili e farsi strada verso la costruzione di una propria nicchia, da non intendersi in questo caso come “nicchia etnica”, bensì come proprio spazio nel mondo: vediamo così che l’ingegnere chimico si iscrive a un corso di gestione d’impresa e la studiosa di lingue fa un corso in infermieristica. L’arricchimento delle competenze passa anche attraverso il contatto diretto con la loro futura professione: rendersi conto di “saper fare” e avere un riscontro positivo con l’altro offre una spinta forse decisiva verso l’imprenditorialità.

La voglia di imparare e fare meglio le spinge a reinventarsi e a trovare una realizzazione anche in settori lontani dalla precedente formazione e qualificanti in modo diverso. Ciò, tuttavia, non sembrerebbe essere percepito e presentato come un problema. L’uscire, o l’evitare, le tipiche attività marginalizzanti, rappresenta in

modo autonomo un traguardo fondamentale. Rispetto a questo punto è necessario sottolineare che si tratta di percorsi fortemente individuali: nel caso delle madri si possono certamente rintracciare delle strategie familiari nella scelta di intraprendere questo particolare percorso, tuttavia, la “ricerca” della propria autonomia e della realizzazione professionale e personale mantengono un connotato particolarmente forte.

L’investimento, non solo economico ma soprattutto emotivo, porta a una sorta di fusione tra imprenditrice e attività i cui successi determinano l’immagine esemplare che è restituita. Inoltre la costatazione circa la profonda identificazione con il proprio mestiere è interessante se inserita in una più ampia riflessione sui significati che il lavoro assume per queste donne proprio in un momento in cui la sua centralità è messa in discussione o meglio trasformata. In questa sede si sottolinea come il lavoro pur nel suo essere “lavoro flessibile” diventa in questo caso fonte di certezza e di identità, permettendo a queste donne di esprimere molto del loro potenziale attraverso l’abilità di reinventarsi e, si potrebbe dire, di coniugare creatività e una certa dose di spirito manageriale304

4.2.1 L’impegno di fronte alla crisi

Sembra interessante dedicare qualche riga a un tema ampiamente affrontato dalla letteratura specializzata: gli effetti della crisi sul lavoro degli immigrati. Le caratteristiche del mercato del lavoro segmentato hanno prodotto una serie di effetti contrastanti: da un lato sono diventati ancora più forti svantaggi e disuguaglianze, dall’altro si è assistito alla tenuta di quei settori dove la manodopera immigrata è sovra rappresentata, si pensi alle donne occupate nel settore domestico e di cura.305 Nel caso dell’imprenditoria a livello nazionale e locale si possono fare analoghe osservazioni: nel primo caso si è registrata una forte crescita degli imprenditori

304 Federici M.C., Battisti F.M., (2006), Creatività e sviluppo locale, Lulu Press, New York 305

Ambrosini M., Coletto D., Guglielmi S., (2014), (a cura di), Perdere e trovare lavoro. L’esperienza della disoccupazione al tempo della crisi, Il Mulino, Bologna

stranieri che nel corso di cinque anni (2010-2015) sono aumentati del 21,3%;306 in riferimento alla dimensione locale “nel 2013 l’incidenza dell’imprenditoria straniera sul totale delle attività registrate, è pari nella provincia di Roma al 10,9%. Tale valore che supera ampiamente la media nazionale (8,2%) e regionale (9,7%), conferma come le imprese straniere rappresentino una componente ormai strutturale e sempre più consolidata del tessuto economico romano”307. Le attività imprenditoriali degli stranieri hanno mostrato una certa capacità di resistenza alle scosse della crisi, al tempo stesso non ne sono rimaste completamente immuni: nel caso delle intervistate emerge con forza la veste imprenditoriale fondata sui valori del rispetto, della serietà e della precisione nel lavoro. Accanto al disagio provocato dalle “troppe tasse” e dalla burocrazia, aspetto che si ritiene condiviso con qualsiasi collega italiano, si fa largo però l’idea che a distinguere il loro percorso sia una forza di volontà che manca agli autoctoni, così come l’impossibilità di poter rinunciare al proprio progetto perché troppo grande è stato l’investimento di energie. Il messaggio che trasmesso è quello di una vittoria attraverso e nonostante le difficoltà di ogni giorno. Le trasformazioni del lavoro, con la precarietà e le conseguenze connesse, sono vissute con un particolare spirito e una forza che caratterizza soprattutto quante sono impegnate in attività di tipo artigianale.308 E’ anche da questo punto di vista che si rintraccia l’orgoglio nei risultati conseguiti e un senso di responsabilità di fronte agli altri imprenditori: emerge quasi la necessità di far conoscere le proprie capacità, il proprio impegno e la propria serietà come elementi caratteristici di una realtà che esse stesse sentono di rappresentare. Le diversità, pur esistenti, sembrano passare in secondo piano: la caratteristica condivisa da tutte le intervistate è quella di avere un progetto migratorio che, pur non essendo definito fin dal principio nel dettaglio, non è mirato al solo motivo economico o di accumulazione per eventuali rimesse. Alla

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Dati messi a disposizione dalla Fondazione Leone Moressa e consultabili al sito http://www.fondazioneleonemoressa.org/

307 Eures, Ricerche Economiche e Sociali (2013), Percorsi e storie d’impresa a Roma. Esperienze, valutazioni e prospettive degli imprenditori stranieri

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Per una riflessione sulle tensioni e le trasformazioni del lavoro si rimanda in modo particolare al testo curato da Bortoletto N., Federici M.C., (2013) Lo sviluppo endogeno e i saperi tradizionali come risposte alla crisi Franco Angeli Milano; nel testo è affrontata un’approfondita riflessione sul lavoro artigiano nel quale ancora si colgono gli aspetti spaziali e relazionali alla base dell’identità della persona; la figura dell’artigiano, che sia un lavoratore del digitale, l’artigiano dei servizi o un artista, svela un universo complesso dove il lavoro si trasforma e diventa espressione della capacità e dell’intelletto.

base si scorgono i tratti di un progetto fortemente orientato a un percorso di empowerment e di soggettività come quel processo di crescita “basato sull’incremento della stima di sé, dell’autoefficacia e dell’autodeterminazione per far emergere risorse latenti e portarla (la donna) ad appropriarsi consapevolmente del suo potenziale”.309