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Amor materno e ragion di mercatura (IV 8 –Neifile–)

Nel documento RAGIONI D'AMORE. LE DONNE NEL DECAMERON (pagine 134-137)

Neifile enuncia subito la morale della sua novella, fedele alle convenzioni correnti riguardo alle donne, al senno e all’amore:

Alcuni, a mio giudicio, valorose donne, sono li quali più che l’altre genti si credon sapere e sanno meno; e per questo non solamente a’ consigli degli uomini ma ancora contra la natura delle cose presumono d’opporre il senno loro; della quale pre- sunzione già grandissimi mali sono avvenuti e alcun bene non se ne vide giammai. E per ciò che tra l’altre naturali cose quella che meno riceve consiglio o operazione in contrario è amore, la cui natura è tale che più tosto per se medesimo consumar si può che per avvedimento alcun torre via, m’è venuto nell’animo di narrarvi una novella d’una donna la quale, mentre che ella cercò d’esser più savia che a lei non s’apparteneva e che non era e ancor che non sostenea la cosa in che studiava mostrare il senno suo, credendo dello innamorato cuor trarre amore, il quale forse v’avevano messo le stelle, pervenne a cacciare a un’ora amore e l’anima del corpo al filgliuolo (IV 8, 554-555).

Dunque per avventatezza questa donna presuntuosa finisce per far morire il figlio. Ma vediamo in cosa consiste questa avventatezza.

Leonardo Sighieri, ricco mercatante, poco dopo la nascita del figlio Girolamo, “acconci i fatti suoi ordinatamente” se ne morì. I beni del figlio furono ammini- strati lealmente dai tutori insieme con la madre. Intanto il fanciullo cresce con i coetanei, e più che gli altri si dimesticò con una fanciulla figliuola d’un sarto, natu- ralmente con trascorrere del tempo trasformando l’amicizia in ricambiato amore.

La madre del fanciullo, di ciò avvedutasi, molte volte ne gli disse male e nel gastigò; e appresso co’ tutori di lui, non potendosene Girolamo rimanere, se ne dolfe, e come colei che si credeva per la gran ricchezza del figliuolo fare del pruno un melrancio disse loro: “Questo nostro fanciullo, il quale appena ancora non ha quattor- dici anni, è si innamorato d’una figliuola d’un sarto nostra vicina, che ha nome la Salvestra, che, se noi dinanzi non gliele leviamo, per avventura egli la si prenderà un giorno, senza che alcuno il sappia, per moglie, e io non sarò mai poscia lieta, o egli si consu- merà per lei se a altrui la vedrà maritare; e per ciò mi parrebbe che, per fuggir questo, voi il doveste in alcuna parte mandare lontano di qui ne’ servigi del fondaco, per ciò che, dilungandosi da veder

costei, ella gli uscirà dell’animo e potrengli poscia dare alcuna giovane ben nata per moglie”. I tutori dissero che la donna parlava bene, e che essi ciò farebbero, a lor potere (IV 8, 556).

Dunque la presunzione della donna è intanto condivisa dai leali tutori: per il bene del giovinetto, naturalmente; ma se egli prendesse la figlia del sarto la ma- dre non sarebbe “mai poscia lieta” –poiché “si credeva per la gran ricchezza del figliuolo fare del pruno un melrancio”, cioè lo considerava come un nobile del quale la figlia di un artigiano non poteva esser degna-. E infatti, che vada per un po’ lontano da lei –“ne’ servigi del fondaco”, a Parigi, tanto per non perder tempo-, “per ciò che, dilungandosi da veder costei, ella gli uscirà dall’animo e potrengli poscia dare alcuna giovane ben nata per moglie”. Ma Neifile pone sulle labbra della premurosa madre una preoccupazione –“o egli si consumerà per lei se a altrui la vedrà maritare”- che è ad un tempo indice di consapevo- lezza e oscura profezia.

Intanto i tutori si dedicano alla loro missione:

“Figliuol mio, tu sei oggimai grandicello: egli è ben fatto che tu incominci tu medesimo a vedere de’ fatti tuoi; per che noi ci contenteremmo molto che tu andassi a stare a Parigi alquanto, dove gran parte della tua ricchezza vedrai come si traffica, senza che tu diventerai molto migliore e più costumato e più da bene che qui non faresti, veggendo quei signori e quei baroni e quei gentili uomini che vi sono assai e de’ lor costumi apprendendo; poi te ne potrai qui venire” (IV 8, 556-557).

È facile immaginare l’entusiasmo del quattordicenne Girolamo innamorato all’idea di andarsene a vedere de’ fatti suoi a Parigi, a vedere come si traffica gran

parte della sua ricchezza lasciando a Firenze la sua Salvestra; e infatti si rifiuta

di partire. Allora interviene direttamente la madre –“fieramente di ciò adirata, non del non voler egli andare a Parigi, ma del suo innamoramento”-, prima

con le cattive –“gli disse gran villania”-, poi con le buone:

con dolci parole raumiliandolo, lo incominciò a lusingare e a pre- gar dolcemente che gli dovesse piacere di far quello che volevano i suoi tutori; e tanto gli seppe dire, che egli acconsentì di dovervi andare a stare uno anno e non più: e così fu fatto (IV 8, 557).

Naturalmente, “d’oggi in doman ne verrai”, vi rimase due anni: e partito innamorato, più innamorato tornò. Ma la Salvestra era già stata maritata “a

un buon giovane che faceva le trabacche”. Ed egli, come la madre già sapeva, cominciò a consumarsi. La cercava ed ella lo ignorava; decise allora di volergli parlare “se morir ne dovesse”; una sera che Salvestra ed il marito erano usciti, entrò nella loro casa e nella loro camera e si nascose dietro delle tende; poi, quando sentì che il marito s’era addormentato, si fece vedere dalla donna, che terrorizzata gli disse:

“Deh, per Dio, Girolamo, vattene: egli è passato quel tempo che alla nostra fanciullezza non si disdisse l’essere innamorati. Io sono, come tu vedi, maritata; per la qual cosa più non sta bene a me d’attendere a altro uomo che al mio marito. Per che io ti priego per solo Idio che tu te ne vada, ché se mio marito ti sentisse, pogniamo che altro male non ne seguisse, sì ne segui- rebbe che mai in pace né in riposo con lui viver potrei, dove ora amata da lui in bene e in tranquillità con lui mi dimoro” (IV 8, 558-559).

La Salvestra, sedicenne, parla con la saggezza di chi ha il senso del tempo che trascorre e sa che la vita vera non coincide con quella sognata: il suo futuro è ormai stabilito –“in bene e in tranquillità”, dice; di felicità non parla-. Sem- bra di dover intendere che non erano necessari laceranti esili, ma era sufficiente lasciare al tempo compiere il suo corso: se la madre di Girolamo non avesse avuto premura, se non si fosse fatta prendere dalla paura di un investimento sbagliato del figlio, tanto dolore sarebbe stato risparmiato.

Ma per il giovane le parole dell’amata sono causa di noioso dolore. Boccaccio dona al suo personaggio maschile un realismo tenerissimo, con quell’ultima preghiera che gli fa rivolgere alla Salvestra:

in merito di tanto amore ella soffrisse che egli allato a lei si coricasse tanto che alquanto riscaldar si potesse, ché era agghiacciato aspettandola, promettendole che né le direbbe alcuna cosa né la toccherebbe, e come un poco riscaldato fosse se n’andrebbe (IV 8, 559).

Salvestra accetta, e Girolamo le si stende accanto. Quindi,

raccolti in un pensiero il lungo amore portatole e la presente durezza di lei e la perduta speranza, diliberò di non più vivere; e ristretti in se gli spiriti, senza alcun motto fare, chiuse le pugna allato a lei si morì.

La novella racconta poi la ventura della scoperta della morte fatta dalla Salve- stra e svelata al marito, e del corpo trasportato davanti alla casa di Girolamo, e del- le dolorose esequie e della madre dolorosa. Quindi il dolore della Salvestra al veder il volto del giovane che l’amava, e “l’antiche fiamme” mutate “in tanta pietà”, e il suo “altissimo strido” e il gettarsi sul corpo di lui, e il “morirsi”. E infine il dolore del marito di lei, e la collocazione di entrambi “in una medesima sepoltura”:

E loro, li quali amor vivi non aveva potuti congiungere, la morte congiunse con inseparabile compagnia” (IV 8, 562).

Se si ripensa alla morale della favola annunciata da Neifile, la novella sembra averla dimenticata subito. Il racconto si diffonde nell’analisi introspettiva dei due adolescenti e del diverso percorso che ciascuno di loro intraprende. Sullo sfondo delle loro giovani morti l’ostinato volere far di pruno melrancio della madre, il suo voler bene per forza, il suo sacrificio di un figlio immolato sull’al- tare della ragion di mercatura.

Nel documento RAGIONI D'AMORE. LE DONNE NEL DECAMERON (pagine 134-137)

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