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Monna Tessa e la fantasima (VII 1 –Emilia–)

Nel documento RAGIONI D'AMORE. LE DONNE NEL DECAMERON (pagine 197-200)

La conclusione della Sesta giornata, con l’incoronazione di Dioneo, sem- bra servire all’A. per richiamare alla memoria il duplice contesto nel quale ha ambientato l’opera sua: da un lato il tragico scenario della peste; dall’altro il dolcissimo paesaggio delle colline fiesolane. Il primo è evocato dal novello re dopo aver indicato il tema delle future novelle –le beffe fatte dalle mogli ai mariti–, per rispondere alla preghiera di alcune delle donne della brigata che l’invitavano a suggerire un altro argomento, considerando quello proposto po- co conveniente per loro. Dice Dioneo:

“Donne, io conosco ciò che io ho imposto non meno che fac- ciate voi; e da imporlo non mi poté istorre quello che voi mi volete mostrare, pensando che il tempo è tale che, guardandosi e gli uomini e le donne d’operar disonestamente, ogni ragionare è conceduto. Or non sapete voi che, per la perversità di questa stagione, gli giudici hanno lasciati i tribunali; le leggi, così le divine come le umane, tacciono; e ampia licenzia per conservar la vita è conceduta a ciascuno? Per che, se alquanto s’allarga la vostra onestà nel favellare, non per dovere con le opere mai alcu- na cosa sconcia seguire ma per dare diletto a voi e ad altrui, non veggo con che argomento da concedere vi possa nello avvenire riprendere alcuno. Oltre a questo la nostra brigata, dal primo dì infino a questa ora stata onestissima, per cosa che detta ci si sia non mi pare che in atto alcuno si sia maculata, né si maculerà collo aiuto di Dio. Appresso, chi è colui che non conosca la vostra onestà? La quale non che i ragionamenti sollazzevoli, ma il terrore della morte non credo che potesse smagare. E a dirvi il vero, chi sapesse che voi vi cessaste da queste ciance ragionare

101 Il tema della giornata, delle beffe le quali o per amore o per salvamento di loro le donne

hanno già fatte a’ lor mariti, senza essersene essi o avveduti o no, prevede che le novelle in essa

raccontate vedano la presenza con ruolo rilevante di donne: all’infuori dell’ultima che Dioneo, il re, pur volendo mantenere il suo privilegio della giornata, racconta fuori tema, e che vede la presenza di una figura femminile, ma solo di sfondo e come comparsa della trama principale.

alcuna volta, forse suspicherebbe che voi in ciò non foste colpe- voli, e per ciò ragionare non ne voleste. <…> Lasciate adunque questa suspizione più atta a’ cattivi animi che a’ vostri, e con la buona ventura pensi ciascuna di dirla bella (VI Conclusione, 776-777).

La peste, dunque, e la dissoluzione che ne è seguita –e che ne è stata cau- sa– sono sempre presenti ai narratori, persino allo scanzonato Dioneo che si dà carico di richiamarvi l’attenzione della brigata, ma anche di contrapporgli il clima e lo stile che la distingue e che giustifica lui e le donne nell’allargare

l’onestà nel favellare –e giustifica l’A. dalla possibile accusa di chi vedesse nelle

novelle narrate solo un divertissement consolatorio–.

E clima e stile trovano perfetta rappresentazione nel secondo scenario intro- dotto, ovvero quella Valle delle Donne dalla natura decorata di ogni armonia, di ogni piacevolezza, di ogni pace, che il re ha scelta per il novellare della gior-

nata, e nel descrivere la quale l’A. si diffonde compiacendosi.

Finalmente la giornata si apre con una novelletta di semplicità e d’inganni narrata da Emilia che, dopo una sbrigativa excusatio del proprio imbarazzo a dare inizio allo svolgimento del tema indicato, procede spigliata e assai disin- volta, inaugurando l’atmosfera di continue allusioni che caratterizzerà tutta la giornata. Protagonista è monna Tessa, la moglie di Gianni Lotteringhi sta-

maiuolo fiorentino,

uomo più avventurato nella sua arte che savio in altre cose, per ciò che, tenendo egli del semplice, era molto spesso fatto capitano de’ laudesi di Santa Maria Novella, e aveva a ritenere la scuola loro, e altri così fatti uficetti aveva assai sovente, di che egli da molto più si teneva; e ciò gli avvenia per ciò che egli molto spesso, sì come agiato uomo, dava di buone pietanze a’ frati (VII 1, 790).

La donna, oltre a essere bellissima e vaga –come quasi sempre le donne del

Decameron–, era anche savia e avveduta molto, e conosceva la semplicità del

marito. Sembra quasi derivarne di necessità che monna Tessa fosse innamora-

ta d’un altro uomo, tal Federigo di Neri Pegolotti, il quale bello e fresco giovane era, che ne ricambiava l’amore. Il marito semplice, dunque, la donna sagace,

l’amante giovane: non manca una provvida fante a organizzare l’incontro in un podere di Gianni ai piedi del colle di Fiesole, dove la donna villeggiava, “e Gianni alcuna volta vi veniva la sera a cenare e ad albergo, e la mattina se ne tornava a bottega e talora a’ laudesi suoi”. Così, un giorno che il marito non c’era,

Federigo, che ciò senza modo disiderava, <…> in su ‘1 vespro se n’andò lassù, e <…> a grande agio e con molto piacere cenò e albergò con la donna; ed ella, standogli in braccio, la notte gl’insegnò da sei delle laude del suo marito (VII 1, 792).

Un ingegnoso –ma non troppo– sistema di segnalazione indicava al giovane quando, non essendovi Gianni, poteva fermarsi dalla sua donna. Ma una sera all’improvviso il marito si presentò da monna Tessa, che aspettava Federigo con la cena pronta. Disappunto e fretta nel celare gli inganni fecero dimentica- re alla donna di avvertire l’amante, così che egli, all’ora convenuta, si presentò alla porta e bussò secondo quanto era stato stabilito.

Gianni che dormiva sentì, e Tessa lo stesso, anche se finse di non sentire; nuova bussata, Gianni sveglia la moglie che è costretta a udire, e con rapidità eccezionale inventa la sua storia:

“Ohimè, Gianni mio, or non sai tu quello ch’egli è? Egli è la fan- tasima, della quale io ho avuta a queste notti la maggior paura che mai s’avesse, tale che, come io sentita l’ho, ho messo il capo sotto né mai ho avuto ardir di trarlo fuori sì è stato dì chiaro”. Disse allora Gianni: “Va, donna, non aver paura, se ciò è, ché io dissi dianzi il Te lucis e la ‘ntemerata e tante altre buone orazio- ni, quando al letto ci andammo, e anche segnai il letto di canto in canto al nome del Patre, del Filio e dello Spirito Sancto, che temere non ci bisogna, ché ella non ci può, per potere ch’ella abbia, nuocere”. La donna, acciò che Federigo per avventura altro sospetto non prendesse e con lei si turbasse, diliberò del tutto di doversi levare e di fargli sentire che Gianni v’era, e disse al marito: “Bene sta, tu di’ tue parole tu, io per me non mi terrò mai salva né sicura, se noi non la ‘ncantiamo, poscia che tu ci se’” (VII 1, 794).

Emilia insiste per tutta la novella sull’ingenua religiosità di Gianni, sul suo linguaggio devoto d’un formalismo senza sostanza, sulla frequentazione frate- sca ch’egli ha scelto come decoro e rappresentazione di sé –di che egli da molto

più si teneva–. Il resto svolge una trama esile e nota: attraverso l’incantagione

l’amato viene avvertito della presenza inopinata, e per quella sera se ne va, non senza ritrovarsi poi con la sua donna molte dell’altre volte, sempre ridendo della

fantasima.

Ma un’altra volta ancora dietro il matrimonio di Gianni e monna Tessa s’allunga l’ombra della ragion di mercatura.

Nel documento RAGIONI D'AMORE. LE DONNE NEL DECAMERON (pagine 197-200)

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