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Andreuola e Gabriotto: dell’amore, dei sogni, e della fedeltà

Nel documento RAGIONI D'AMORE. LE DONNE NEL DECAMERON (pagine 126-131)

(IV 6 –Panfilo–)

Il sogno di Lisabetta sembra evocare nella mente di Panfilo, il narratore successivo, il ricordo di altri sogni, che costituiscono l’argomento della dram- matica novella dell’amore fra Andreuola, -“figlia di un gentile uomo <…>, giovane e bella assai e senza marito”- e Gabriotto –“uomo di bassa condizione ma di laudevoli costumi pieno e della persona bello e piacevole”, che con la puntualizzazione del diverso stato sociale già preannuncia complicati sviluppi. In effetti non si tratterà di un amore contrastato, anche perché resterà segreto: ma l’Autore fa precisare a Panfilo alcuni particolari interessanti:

E con l’opera e aiuto della fante della casa operò tanto la giovane, che Gabriotto non solamente seppe sé essere dalla Andreuola amato, ma ancora in un bel giardino del padre di lei più e più volte a diletto dell’una parte e dell’altra fu menato. E acciò che niuna cagione mai, se non morte, potesse questo

lor dilettevole amor separare, marito e moglie segretamente divennero (IV 6, 536).

Non si tratta qui di un fugace innamoramento per una convenzionale storia

cortese, ma di amore scambiato fino alla morte con il suggello del matrimonio se- greto, che conferisce al canone medievale dell’amore di fanciulla nobile per nascita

e giovane nobile per costumi (II 3; IV 1) una connotazione più realistica: la dif- ferenza di ceto non avrebbe consentito un matrimonio celebrato con il consenso dei genitori. E del resto il caso proposto dall’altro matrimonio segreto, dell’Abate

bianco (II 3) e d’Alessandro, aveva sottolineato fortemente il carattere precauzio- nale di quell’atto: “Lui ho adunque preso e lui voglio, né mai alcun altro n’avrò, che che se ne debba parere al padre mio o a altrui” (II 3, 163). Per questo Panfilo ha

precisato che l’Andreuola era senza marito: condizione necessaria per la “consacra- zione formale del vincolo, che pone fin dal principio tutta la storia in una situa- zione di limpida onestà, anzi di castità: cui ben si addice la conclusione pia”71.

La novella prosegue con la narrazione dei sogni dei due giovani, che rende ragione della teoria dell’interpretazione esposta da Panfilo nella premessa:

General passione è di ciascuno che vive il vedere varie cose nel sonno, le quali quantunque a colui che dorme, dormendo, tutte paian verissime, e desto lui, alcune vere, alcune verisimili e parte fuori da ogni verità giudichi, nondimeno molte esserne avvenute si trovano. Per la qual cosa molti a ciascun sogno tanta fede prestano quanta presterieno a quelle cose le quali vegghian- do vedessero, e per li lor sogni stessi s’attristano e s’allegrano secondo che per quegli o temono o sperano; e in contrasto son di quegli che niuno ne credono se non poi che nel premostrato pericolo caduti si veggono; de quali né l’uno né l’altro commen- do, perciò che né sempre son veri né ogni volta son falsi. Che essi non sien tutti veri assai volte può ciascun di noi aver cono- sciuto: e che essi tutti non sien falsi, già di sopra nella novella di Filomena s’è dimostrato e nella mia, come davanti dissi, intendo di dimostrarlo. Perché giudico che nel virtuosamente vivere e operare di niuno contrario sogno a ciò si dee temere né per quel- lo lasciare i buoni proponimenti: nelle cose perverse e malvage, quantunque i sogni a quelle paiano favorevoli e con seconde dimostrazioni chi gli vede confortano, niuno se ne vuol credere; e così nel contrario a tutti dar piena fede” (IV 6, 535).

Andreuola sogna che, mentre in giardino abbraccia l’amato, dal corpo di lui esce

“una cosa oscura e terribile, la forma della quale essa non poteva conoscere, e parevale che questa cosa prendesse Gabriotto e mal- grado di lei con meravigliosa forza gliele strappasse di braccio e con esso ricoverasse sotterra, né mai più riveder potesse né l’un né l’altro” (IV 6, 537).

Terrorizzata si sveglia e, per quanto si renda conto che si è trattato solo di un sogno, rimane turbata, tanto che fa in modo di non ricevere Gabriotto per quel giorno, come per allontanare quella terribile sorte. Ma “il suo voler veden- do, acciò che egli d’altro non sospecciasse, la seguente notte nel suo giardino il ricevette”. Gli racconta il sogno, spiegando il motivo per il quale si era negata. Gabriotto ne ride

e disse che grande sciocchezza era porre ne’ sogni alcuna fede, per ciò che o per soperchio di cibo o per mancamento di quel- lo avvenieno, e esser tutti vani si vedeano ogni giorno (IV 6, 337-338).

Lo scettico giovane racconta allora un suo sogno, che davvero avrebbe do- vuto mettergli paura, e che invece egli considera vano e privo di significato: nel contesto di una scena di caccia, mentre egli teneva sul suo seno una bellissima capriola che aveva catturato,

“uscisse non so di che parte una veltra nera come carbone, affama- ta e spaventevole molto nell’apparenza, e verso me se ne venisse, alla quale niuna resistenza mi parea fare; per che egli mi pareva che ella mi mettesse il muso in seno nel sinistro lato e quello tanto rodesse, che al cuor pervenisse, il quale pareva che ella mi strap- passe, per portarsel via. Di che io sentiva sì fatto dolore che il mio sonno si ruppe, e desto con la mano subitamente corsi a cercarmi il lato se niente v’avessi; ma mal non trovandomivi, mi feci beffe di me stesso che cercato v’avea” (IV 6, 538-539).

Gabriotto ancora manifesta la sua incredulità, ma Andreuola è terrorizzata; e mentre si abbracciano, “suspicando e non sappiendo che”, continua a riguar- darlo, e cerca nel giardino se qualcosa di strano si avvicinasse. Ma la tragedia è orami incombente:

E in tal maniera dimorando, Gabriotto, gittato un gran sospiro, l’abbracciò e disse: “Oimè, anima mia, aiutami, ché io muoio”, e così detto ricadde in terra sopra l’erba del pratello. Il che veggendo la giovane e lui caduto ritirandosi in grembo, quasi piangendo disse: “O signor mio dolce, o che ti senti tu?”. Gabriotto non rispose, ma ansando forte e sudando tutto dopo non guari spazio passò della presente vita (IV 6, 539 - 540).

Dunque i sogni sembrano essersi dolorosamente avverati72.

La novella prosegue il suo corso drammatico, come aveva decretato il re Filostrato. L’Andreuola –rimosso o rinviato il primo pensiero di volersi morire anch’essa- pensa a spostare il corpo di Gabriotto, aiutata dalla fante e indiriz- zata dai suoi consigli: o seppellirlo lì in giardino “il che niuna persona saprà giammai, per ciò che niun sa che egli mai ci venisse”, o –come poi faranno- portarlo davanti alla sua casa affinché, ritrovato al mattino dai suoi parenti, potesse ricevere degna sepoltura.

Segue, commossa, la scena della separazione dell’Andreuola dall’amato, do- po una sorta di solenne veglia funebre e il rito del saluto:

La quale, molto dalla fante sollecitata, per ciò che il giorno se ne veniva, dirizzatasi, quello anello medesimo con quale Gabriotto l’aveva sposata del dito suo trattosi, il mise nel dito di lui, con pianto dicendo: “Caro mio signore, se la tua anima ora le mie lagrime vede e niuno conoscimento o sentimento dopo la parti- ta di quella rimane a’ corpi, ricevi benignamente l’ultimo dono di colei la qual tu vivendo cotanto amasti”; e questo detto, tra- mortita addosso gli ricadde (IV 6, 541-542).

Ancora notiamo l’insistenza sul matrimonio; e notiamo che tale insistenza non è essenziale all’economia del racconto, che funzionerebbe anche se i due

72 Il minuzioso racconto di Panfilo propone un’altra possibile interpretazione. La morte di

Gabriotto, letta attraverso i sintomi descritti, sembra dovuta alla rottura di un aneurisma aor- tico; o meglio, ad una rottura in due tempi, essendo la prima quella da lui descritta nel sogno della precedente notte; ed anzi si potrebbe anche supporre che qualche avvisaglia patologica si fosse già manifestata, generando l’inconsapevole allarme dell’Andreuola espresso poi dal sogno, e corroborato dal racconto del sogno del giovane e dalla di nuovo inconsapevole percezione di qualche strano segnale –“suspicando e non sappiendo che”-. In questo caso la lunga premessa affidata a Panfilo sulla teoria dei sogni si completerebbe di un’interessante appendice scientifi-

giovani si fossero amati –come in tanti altri casi- senza alcun vincolo forma- le. Il riferimento così frequente nel Decameron alla violenza che si accompagna all’istituto del matrimonio non può quindi essere confuso con un posizione antiistituzionale o comunque contraria al matrimonio: quando, come nel caso presente, ancorché clandestino sancisce un amore volentieri donato e ricevuto, manifesta quel carattere sacro che la Chiesa aveva voluto significare erigendolo in sacramento.

Mentre in mesto corteo trasportano il corpo di Gabriotto alla sua casa, le due donne sono sorprese dalla guardia del podestà. L’Andreuola “più di morte che di vita disiderosa”, subito disse:

“<…> io son presta di venir con voi davanti alla signoria e che ciò sia raccontarle; ma niuno di voi sia ardito di toccarmi, se io obediente vi sono, né da questo corpo alcuna cosa rimuovere se da me non vuole essere accusato”; per che, senza essere dal alcun tocca, con tutto il corpo di Gabriotto n’andò in palagio (IV 6, 542).

L’istruttoria processuale del podestà è presa dal Boccaccio a pretesto per un’altra incursione nell’amministrazione della giustizia. Trovata l’Andreuola “in piccola cosa esser nocente”, il podestà

“s’ingegnò di mostrar di donarle quello che vender non le potea, e disse, dove ella a’ suoi piaceri acconsentir si volesse, la libererebbe. Ma non valendo quelle parole, oltre a ogni conve- nevolezza volle usar la forza: ma l’Ancdreuola, da sdegno accesa e divenuta fortissima, virilmente si difese, lui con villane parole e altere ributtando indietro” (IV 6, 543).

Dunque, in questa novella, la violenza arriva per tramite del rappresentante della giustizia, “oltre ogni convenienza”, appunto: forte del suo potere ma non esitando a ricorrere all’inganno, il podestà pensa a’ suoi piaceri senza curarsi del dolore della donna e di Gabriotto ancora insepolto. Così, quando il padre dell’Andreuola viene a domandare che le venga restituita, è pronto subito a lodarla “per la sua constantia”, affermando che per metterla alla prova aveva cercato di usarle violenza. E aggiunge generosamente che

dove a grado a lui, che suo padre era, e a lei fosse, non ostante che marito avesse avuto di bassa condizione, volentieri per sua donna la sposerebbe (IV 6, 543),

continuando ad ignorare –se non per quel formale “dove a grado <…> a lei fosse”- lo stato d’animo della donna.

La novella si avvia al suo epilogo. Ancora con un colloquio tra figlia e padre:

“Padre mio, io non credo che bisogni che io la storia del mio ardire e della mia sciagura vi racconti, ché son certa che udita l’avete e sapetela; e per ciò quanto più posso umilmente per- dono vi domando del fallo mio, cioè d’aver senza vostra saputa chi più mi piacque marito preso. E questo perdono non vi domando perché la vita mi sia perdonata, ma per morire vostra figliuola e non vostra nemica” <…> Messer Negro, che antico era ormai e uomo di natura benigno e amorevole <…> disse: “Figliuola mia, io avrei avuto molto caro che tu avessi avuto tal marito quale a te secondo il parer mio si convenia, e se tu tal l’avessi preso quale egli ti piacea, questo doveva anche a me pia- cere; ma l’averlo occultato della tua poca fidanza mi fa dolere, e più ancora vedendotel prima aver perduto che io l’abbia saputo. Ma pur, poi che così è, quello che io per contentarti, vivendo egli, volentieri gli avrei fatto, cioè onore sì come a mio genero, facciaglisi alla morte” (IV 6, 543-544).

Il dramma si stempera nell’amore e nella comprensione, e le esequie solenni di Gabriotto sono riparatrici per tutti. La conclusione è edificante. Andreuola rifiuta la proposta del podestà –“niuna cosa ne volle udire”-, e sceglie di entra- re “essa e la sua fante” in un monastero “famoso di santità”, ove “onestamente” molto tempo visse, fedele nel ricordo del suo amore.

Nel documento RAGIONI D'AMORE. LE DONNE NEL DECAMERON (pagine 126-131)

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